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Karl Marx ✆ Alejandro Magallanes |
Stefano Petrucciani | Nell’epoca caratterizzata dall’egemonia
ideologica del neoliberismo e dalla crisi delle teorie politiche ad esso
alternative, di ispirazione socialista o radicale, può essere utile rileggere
alcuni aspetti della critica marxiana del liberalismo, per capire se essa può
avere ancora oggi una sua validità e, soprattutto, per comprendere quali sono i
suoi punti di forza e quali quelli di debolezza.
1. C’è un
Marx liberale
Ma prima di affrontare questo aspetto del discorso, è
necessaria innanzitutto una precisazione: sarebbe del tutto errato considerare
Marx semplicemente come un nemico del liberalismo; anzi, bisogna ricordare che
la presenza di temi schiettamente liberali è una costante che attraversa tutto
il suo pensiero, anche se nelle diverse fasi assume modalità estremamente
differenti. L’esperienza politica di Marx, com’è noto, comincia proprio nel
segno del liberalismo: negli articoli che pubblica sulla
Gazzetta renana, tra il maggio del 1842
e il marzo del 1843, il giovane filosofo è impegnato in battaglie tipicamente
liberali come quelle in difesa della libertà di stampa, contro la censura, per
l’autonomia dello Stato e la laicità rispetto alle confessioni religiose.
La
libertà, scrive Marx intervenendo nel dibattito sulla censura, si identifica
completamente con l’essenza dell’uomo
[1].
Non solo, difendendo la libertà di stampa, Marx sottolinea (dimostrandosi così,
nonostante la sua giovane età, un ottimo maestro di liberalismo) che “ogni
forma di libertà presuppone le altre, come ogni membro del corpo presuppone gli
altri. Ogniqualvolta vien posta in discussione una determinata libertà, è la
libertà stessa che viene posta in discussione”
[2] .
Anche quando Marx avrà abbandonato il suo giovanile
liberalismo, una vena liberale continuerà a innervare alcuni aspetti il suo
pensiero: si pensi per esempio alla critica dello Stato “pesante”, ipertrofico
e burocratico che Marx sviluppa nella
Guerra
civile in Francia, oppure ad un altro tema che viene talvolta trascurato:
Marx non disprezza affatto le “libertà negative” del liberalismo, tanto è vero
che, nella
Critica del programma di
Gotha, ribadisce, criticando lo “Stato educatore” sostenuto dai lassalliani,
che “ognuno deve poter soddisfare tanto i suoi bisogni religiosi quanto i suoi
bisogni corporei senza che la polizia vi ficchi il naso”
[3].
Come appare evidente anche dal tono di queste righe, Marx considera le libertà
negative liberali come qualcosa che dovrebbe essere (anche se spesso non è) un
dato ovvio e scontato; ma anche come una dimensione che rimane del tutto
limitata e insufficiente se quello che ci interessa è conseguire una effettiva
liberazione da tutte le forme di asservimento
[4].
2. Cosa c’è
di sbagliato nel liberalismo
A distanza di pochi mesi dalle battaglie liberali condotte
con la Gazzetta renana, Marx
conferisce una decisa svolta al suo pensiero, che lo porta alla critica
radicale dei diritti liberali sviluppata nella Questione ebraica. Il punto
fondamentale, nel testo del 1843, sembra essere quello che riguarda la
concezione dell’uomo che sta alla base della teorizzazione liberale che, come
appare nelle Dichiarazioni dei diritti della Rivoluzione francese e come già
accadeva nel liberalismo lockiano, individua come diritti fondamentali
dell’uomo essenzialmente la libertà, la sicurezza e la proprietà.
Il limite fondamentale del liberalismo consiste in sostanza,
secondo questo Marx, nel fatto di fare propria una visione isolante e
atomizzante dell’individuo, considerato come una “monade che riposa su stessa”
[5].
E proprio partendo da questo rilievo critico Marx può scrivere che
“nessuno dei cosiddetti diritti dell’uomo oltrepassa dunque l’uomo egoista,
l’uomo in quanto è membro della società civile, cioè individuo ripiegato su se
stesso, sul suo interesse privato e sul suo arbitrio privato, e isolato dalla
comunità.” [6].
Insomma, secondo questa prospettiva, “l’intera società esiste unicamente per
garantire a ciascuno dei suoi membri la conservazione della sua persona, dei
suoi diritti e della sua proprietà”
[7].
A me sembra che questa riflessione marxiana si esponga
fondamentalmente a due tipi di critica, peraltro largamente convergenti: per un
verso essa pare sottovalutare radicalmente il tema della necessaria separatezza
degli individui, del loro essere anche e sempre portatori di interessi in
conflitto, conflitto dal quale nasce appunto l’esigenza di diritti che tutelino
le legittime sfere di autonomia individuale. Qui Marx si contrappone a tutta la
tradizione della filosofia politica moderna, dallo Hobbes teorico del conflitto
fino al Kant della “insocievole socievolezza”. Per altro verso essa sembra
presupporre un concetto olistico o addirittura comunitario della socialità,
dove gli individui trovano nella libertà dell’altro non più un limite, ma addirittura
larealizzazione della loro propria libertà
[8].
Critiche di questo tipo all’antiliberalismo marxiano hanno
sicuramente le loro buone ragioni. Ma forse esse non colgono quello che invece,
pur restando un po’ implicito, è a mio avviso il suo vero e proprio nocciolo
razionale. Provo a esporlo sinteticamente. Il vero punto cieco del liberalismo,
il suo presupposto apparentemente ovvio ma in realtà questionabile, è l’idea
che le regole sociali, i principi regolativi di base della convivenza civile,
debbano avere come loro obiettivo primario se non unico quello di assicurare
interazioni ordinate tra estranei potenzialmente nocivi l’uno all’altro. E che
invece non debbano avere come loro scopo primario quello di garantire nel modo
migliore la soddisfazione dei bisogni vitali e l’acquisizione del maggior
benessere possibile per tutti. Il vero punto di fondo, che Marx non riesce a
cogliere in modo esplicito, ma che la sua critica in qualche modo illumina, è
che il pensiero liberale occulta quello
che, anche per la filosofia politica antica, è sempre stato l’aspetto
fondamentale della relazione sociale, e cioè che gli uomini stanno insieme per
godere di una vita migliore e più agiata.
Il punto fondamentale, a mio avviso, sta esattamente
qui: il liberalismo politico borghese-moderno, rompendo con una tradizione
bimillenaria, non pensa più la società come una cooperazione lavorativa per la
migliore soddisfazione di ciascuno, ma, al contrario, la tematizza come una
relazione tra estranei potenzialmente nocivi, che non nasce dal problema di
soddisfare le necessità vitali di ciascuno, ma da quello di garantirgli
l’ordinato godimento dei suoi beni dopo che egli ha provveduto da solo a procurarseli.
Per questo aspetto, il nocciolo razionale non immediatamente
visibile della critica marxiana può essere così riassunto: il pensiero liberale
e neoliberale non è in grado di esibire nessuna buona ragione a sostegno del
suo assunto fondamentale, e cioè che lo Stato e la politica abbiano come primo
compito quello di garantire la sicurezza, la proprietà e le transazioni di
mercato, e non invece quello di operare per assicurare a ciascun individuo
condizioni di benessere e di sviluppo umano.
3. Il
liberalismo e la società di mercato
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Foto: Stefano Petrucciani |
L’altro aspetto della riflessione marxiana sul quale bisogna
a questo punto soffermarsi è che vi è, secondo l’autore del Manifesto, una
sorta di precisa corrispondenza tra la teoria politica del liberalismo e
l’ordine delle relazioni economiche vigente nella società di mercato. Ma per
comprendere meglio questo punto conviene lasciarsi alle spalle gli scritti giovanili
e passare al Marx del Capitale,
e più precisamente alle pagine dove Marx riflette sulle modalità della
cooperazione sociale e, a partire da lì, sulla questione del feticismo delle
merci. Nella società mercantile la dipendenza di ciascuno dalla cooperazione
lavorativa con tutti gli altri viene occultata dal fatto che gli attori
economici agiscono ognuno per conto proprio e senza un piano. La dipendenza
reciproca si occulta dietro l’indipendenza apparente, che in realtà non è
indipendenza ma dipendenza in una forma non consapevole, non programmata e
mediata dal denaro. Ma questa è esattamente la prospettiva nella quale si
colloca il liberalismo, quando considera l’associazione politica come un
rapporto che nasce da individui originariamente indipendenti, e il cui bisogno
di legarsi reciprocamente sotto norme comuni è motivato solo dalla necessità di
conseguire la sicurezza fisica (Hobbes) o la tutela della propria persona e dei
propri averi (Locke).
Ma il problema più interessante che si cela dietro questo
primo livello di riflessione è a mio avviso quello che è stato messo in risalto
nel pluriennale lavoro analitico che all’opera marxiana ha dedicato Jacques
Bidet: il punto in sostanza è che la stessa idea della società di mercato, che
Marx sembra prendere per buona, almeno come tipo ideale, nelle pagine sul
feticismo
[9],
è una
rappresentazione immaginaria.
Lo è in primo luogo nel senso che Marx stesso mette in luce, perché chi ragiona
in termini di società mercantile vede solo ciò che accade nella sfera della
circolazione (dove regnano
“Libertà,
Eguaglianza, Proprietà e Bentham” [10])
e non vede ciò che accade nel regno della produzione, dove vige invece il
dominio del capitale sul lavoro. Ma lo è anche in un altro senso che Marx non
tematizza, e che invece è al centro del lavoro di Bidet. L’idea della società
di mercato, che caratterizza la tradizione liberale e che rappresenta oggi il
sogno o l’utopia del neoliberismo, è una
rappresentazione
immaginaria (e naturalmente anche apologetica) perché le relazioni di
mercato non sono autosussistenti, non bastano a se stesse, ma possono
sussistere solo in quanto si inscrivono e sono supportate a monte e a valle da
forme di coordinazione sociale non mercantile, come ad esempio la fornitura
di beni pubblici (quali ad esempio strade, infrastrutture, mantenimento di un
ambiente salubre) da parte dello Stato o lo scambio di “servizi” alle persone
nell’ambito delle relazioni familiari, amicali e affettive.
Ciò significa che la società di mercato che il
(neo)liberalismo vagheggia è, oltre che indesiderabile, illusoria, perché
– e questo è un punto che neppure Marx vede adeguatamente – la
soddisfazione dei bisogni sociali, anche e soprattutto nella tarda modernità,
passa in larghissima parte per ciò che mercato non è, ovvero da un lato per lo
Stato e dall’altro per i legami familiari o di solidarietà. Perciò la pretesa
della mercatizzazione integrale distrugge (paradossalmente) le basi sociali che
rendono possibile il mercato stesso. Esso infatti dipende manifestamente per la
sua sopravvivenza e per la sua sostenibilità sociale dal fatto che è integrato
da altre modalità di produzione dei beni e di soddisfazione dei bisogni. E
quanto più queste modalità si restringono, come vorrebbe il credo neoliberista
che conosce solo individui atomizzati e che proclama che “la società non
esiste”, tanto più entra in crisi, come la storia recente ha dimostrato
abbondantemente, la stessa economia capitalistica. Perciò si può dire che il
neoliberismo lavora a tagliare proprio il ramo sul quale è seduto.
Stefano Petrucciani es Profesor de Filosofía Política en el Departamento de Filosofía de la Università degli Studi di Roma — La Sapienza
Note
[1] Cfr.
Marx-Engels,
Opere, vol. I,
Editori Riuniti, Roma 1980, p. 154.
[3] Marx,
Critica al programma di Gotha (1875),
in Marx-Engels,
Opere scelte, a
cura di L. Gruppi, Editori Riuniti, Roma 1966, pp. 953-975: 972-973.
[4] Cfr.
a questo proposito R. G. Peffer,
Marxism,
Morality and Social Justice, Princeton University Press 1990, p. 127, dove
l’autore giustamente sottolinea che il bersaglio della critica di Marx è la
tesi che la libertà negativa esaurisca il concetto di libertà, mentre invece
per Marx ne è solo un aspetto limitato.
[5] Marx-Engels,
Opere, vol. I, cit., p. 177.
[8] Ivi,
p. 177. Un’aspra critica del concetto giovane-marxiano della società si trova
negli importanti lavori di Roberto Finelli, di cui si veda da ultimo
Un parricidio compiuto. Il confronto finale
di Marx con Hegel, Jaca Book, Milano 2014.
[9] Come
osserva criticamente Jacques Bidet,
“contrapponendosi
al liberalismo, Marx si è situato in un certo qual modo sul terreno di esso,
nella prospettiva storica che definisce la modernità capitalistica attraverso
il mercato” (J. Bidet,
Il
capitale. Spiegazione e ricostruzione, ed. it. a cura di Eleonora
Piromalli, manifestolibri, Roma 2010, p. 150).
[10] K.
Marx,
Il capitale. Libro primo,
ed. it. a cura di A. Macchioro e B. Maffi, Utet, Torino 2009, p. 271,
corsivo di Marx.