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Karl Marx ✆ Joaquín Bourdieu |
Gary Werskey
Il mio obiettivo, con questo scritto, è comprendere, come
partecipante e come osservatore, la storia e le prospettive della critica
marxista della scienza capitalistica. Tale prospettiva – e le politiche da essa
sostenute – hanno vissuto una breve fioritura, in particolare in Gran Bretagna,
Francia e Stati Uniti, negli anni Trenta e Quaranta, per poi essere riprese e
trasformate solo negli anni Sessanta e Settanta. In entrambi i casi, i critici
socialisti hanno attinto dalla propria esperienza personale, professionale e
politica – influenzati dal marxismo della loro epoca – dando vita a nuovi e
stimolanti resoconti circa la storia, la filosofia e le politiche della
scienza. Tuttavia, nessuna corrente marxista ha condizionato, in modo
significativo, la tendenza dominante nello sviluppo degli studi su scienza e
tecnologia (STS) nella second meta del XX secolo. Ancora più importante per
queste attività, i movimenti politici sui quali poggiavano sono interamente, e
rispettivamente, crollati negli anni Cinquanta e ottanta.
Ciò nonostante, come un fantasma infernale nella macchina
degli STS, l’influenza di tali critici marxisti ha aleggiato nell’ombra, nelle
memorie e nelle liste di lettura. Al culmine della Guerra fredda, Marx
rappresentava una sorta di spirito non annunciato, che ossessionava i
resoconti dell’epoca sulla rivoluzione scientifica del XVII secolo. Né certi
sopravvissuti marxisteggianti – in particolare
J.D.
Bernale
Joseph Needham – avevano chiuso bottega del tutto.
Alcuni dei loro giovani accoliti sono stati, in seguito, in
grado di ispirare una nuova generazione di studiosi, in un periodo di rinnovata
agitazione politica, a intraprendere ricerche sullo sviluppo scientifico
assai più critiche dal punto di vista sociale. Gli studenti di questo
gruppo che hanno scelto di rimanere nell’ambito accademico hanno, a loro volta,
agito come un legame costante a questa tradizione.Ciò nonostante, come un
fantasma infernale nella macchina degli STS, l’influenza di tali critici
marxisti ha aleggiato nell’ombra, nelle memorie e nelle liste di lettura. Al
culmine della Guerra fredda, Marx rappresentava una sorta di spirito non
annunciato, che ossessionava i resoconti dell’epoca sulla rivoluzione scientifica
del XVII secolo. Né certi sopravvissuti marxisteggianti – in particolare
J.D.
Bernale
Joseph Needham – avevano chiuso bottega del tutto.
D’altro canto, la mia impressione è che, a partire dal 1980,
l’influenza della critica marxista sulle discipline di tale campo di studi sia
stata praticamente nulla. Il predominio dei resoconti sociologici della scienza
post-kuhniani e postmodernisti ha fatto curiosamente eco alle storie
“internaliste” degli anni Cinquanta, trasferendo semplicemente l’enfasi da ciò
che gli scienziati hanno pensato a ciò che hanno fatto. Quindi mi colpisce
l’ironia – conoscendo molti dei miti e apolitici desperados che hanno promosso
il costruttivismo sociale negli STS – per la quale il loro dogma centrale è stato
visto, in alcuni ambienti, come parte integrante degli sforzi di uno strambo
assortimento di docenti femministe e “radicali” finalizzati a sovvertire la
razionalità scientifica. Di gran lunga più preoccupante è il fatto che, mentre
le cosiddette “science wars” hanno concentrato l’attenzione sulle dispute
epistemologiche all’interno degli STS, i rapporti sociali della scienza
venivano trasformati è sempre più subordinati a sostegno del potere e della
redditività del capitale globale e, più specificamente, americano.
Eppure, all’inizio del XXI secolo, vi sono segni sia di un
profondo disincanto rispetto a vari aspetti della “tecnoscienza” capitalistica,
che di un certo disagio accademico circa la ristrettezza delle recenti indagini
sugli studi storici e sociali della scienza. Possiamo dunque chiederci:
A quali condizioni
tali tendenze potrebbero dar vita a nuova sinistra in ambito scientifico? Quale
forma assumerebbe, e dove avrebbe le maggiori probabilità di prosperare?
Potrebbe una
prospettiva marxista aiutarci a comprendere le origini e le sorti delle prime
due fasi della sinistra in ambito scientifico? Nonché ispirare e
arricchire anche la sua terza manifestazione?
Se la storia si ripete
– la prima vota come tragedia, la seconda come farsa – la terza occasione
potrebbe essere quella buona?
Questi sono gli interrogativi posti dal presente saggio.
Inevitabilmente, vincoli di tempo e conoscenza limiteranno
la mia indagine.
Mi concentrerò
prevalentemente sugli sviluppi britannici rispetto a quelli americani, e molto
molto poco sulla Francia. Sino alla conclusione dovrò ignorare gran parte del
resto del mondo.
Nel’ambito degli STS
darò maggior rilievo alla storia della scienza, rispetto ad altre
sottodiscipline, e alla prospettiva marxista.
Tra i marxismi
concorrenti favorirò quello eclettico e libertario associato al Radical
Science Journal degli anni Settanta.
Pur soffermandomi
spesso sulle circostanze che hanno coinvolto scienziati accademici e sulle
analisi sociali che ne sono state fatte, lo spirito della mia ricerca consiste
nell’incoraggiare una maggiore comprensione – e una sfida più efficace – della
totalità dei rapporti sociali nella scienza e delle forme di vita sociali da
essi supportate.
Questo saggio è inevitabilmente autobiografico. Ho speso un
decennio della mia breve carriera di studioso tentando di comprendere le
personalità, le azioni e il pensiero sociale della sinistra scientifica
britannica. Dopo un intervallo di trent’anni, nella prima parte del saggio, ho
rivisitato il mio libro The Visible College, ricollocando tale materiale
in una cornice marxista, mi auguro, più coerente. La seconda parte tratta del
movimento radicale nella scienza degli anni Settanta, nel quale sono stato
impegnato sia come studioso che come attivista. Il mio punto di vista è
necessariamente parziale, manifestamente laddove sono stato più coinvolto, ad
esempio nel caso del Radical Science
Journal. La sezione finale è puramente speculativa e basata in gran
parte sulle mie speranze riguardo – più che su qualsivoglia
conoscenza definitiva (o ottimismo circa) – all’emergere di una nuova sinistra
in ambito scientifico, marxista o d’altro genere.
La mia conclusiva apologia metodologica riguarda l’ampiezza
(e lunghezza) del saggio. Il contributo dei due precedenti movimenti agli STS
era inseparabile dalla pratica politica che era loro propria, a sua volta
indissolubilmente legata alle prospettive della scienza, del capitalismo e del
socialismo in un epoca di straordinarie turbolenze globali. Poiché, come Robert
Boyle, questi uomini e queste donne erano “a tal punto crucciati della mancanza
di buon lavoro che essi hanno preso la cura dell’intero genere umano quale loro
compito”, la loro teoria, così come la loro pratica, vanno collocati
nel contesto della crisi di vasta portata nelle relazioni sociali, la quale ha
agito da precipitante, e delle reazioni politiche e accademiche che hanno
condotto alla loro scomparsa. Una volta individuatene e comparatene traiettoria
e realizzazioni, è possibile una riflessione sull’eventualità che la loro
storia e le loro idee, a determinate condizioni, possano contribuire a
promuovere nuove tendenze di sinistra in campo scientifico nel prossimo
decennio. A tal fine, concluderò con un interrogativo su quale ruolo gli studi
su scienza e tecnologia (STS) potrebbero svolgere nel dotare, sia gli
scienziati che i non scienziati, di una comprensione storicamente e
criticamente più adeguata dei rapporti sociali della scienza contemporanea.
A parte ciò, desidero ringraziare Bob Young – cui è dedicato
questo scritto – per averlo reso disponibile sul suo sito web. Con Bob siamo
stati compagni di viaggio negli anni Settanta in quello che si è dimostrato un
emozionante, sebbene spesso accidentato, percorso attraverso la riscoperta e
trasformazione delle teorie e prassi marxiste. Ma egli ha rappresentato per me
anche un modello da seguire oltreché un critico perspicace. Ho avuto modo
di apprezzare sia la sua erudizione che la sua passione politica, entrambe le
quali hanno contribuito a formare e guidare il mio lavoro e il mio impegno
politico durante questo periodo. Alcuni hanno trovato le scelte personali e
politiche di Bob, non di rado drammatiche, alienanti; io le ritengo
stimolanti. dunque, questo saggio è un promemoria, per Bob e per altri, della
capacità di guida da lui mostrata, così come del valore di ciò che egli,
insieme d altri, ha creato in quell’epoca tanto diversa.
Primo movimento: la sinistra
britannica nella scienza, 1936-1956
Allegro con
brio
Vorrei iniziare descrivendo brevemente le circostanze del
capitalismo globale e britannico nei periodi immediatamente precedente e
successivo alla Prima guerra mondiale – incluso lo stato delle loro risorse
tecnico-scientifiche – prima di passare ai principali catalizzatori della
sinistra scientifica inglese degli anni Trenta. Delineerò in seguito la
composizione sociale e le appartenenze politiche di tale movimento, le sue
pratiche caratteristiche, e i suoi contributi teorici alla comprensione sociale
e pubblica della scienza. L’analisi si conclude con un bilancio dei successi,
delle sconfitte e del lascito del movimento nel dopoguerra.
Un
capitalismo caotico
La prima sinistra inglese in campo scientifico è sorta,
fiorita e crollata nel corso della fase più barbara di quello che Eric Hobsbawm
ha definito come “il secolo più straordinario e terribile della storia
dell’umanità”. Si tratta di un’epoca che ha suscitato in molti “quella passione
tipica del XX secolo, l’impegno politico”; un’epoca testimone, in parte in
conseguenza di ciò, di una “guerra dei trent’anni” globale, rispetto alla quale
l’unica forma di grazia è consistita nelle soluzioni del dopoguerra, che hanno
posto fine temporaneamente a quasi mezzo secolo di catastrofica instabilità
economica internazionale e carneficina.
Le origini di gran parte di tale disordine risiedevano nelle
crescenti sofferenze dell’economia mondiale capitalistica, nella quale non vi
era, dal 1914, una potenza egemonica capace di mantenere la stabilità
internazionale e un’ordinata espansione economica. Sebbene la Gran Bretagna
fosse ancora la nazione più potente a livello mondiale, la sua egemonia globale
era significativamente diminuita a fronte della sfida industriale e
imperialista della Germania, della Francia e, sempre più, degli Stati Uniti.
Un’importante manifestazione di queste rivalità imperialistiche , dal terzo
quarto del XX secolo in poi, è stata la sempre maggiore preminenza dello stato
nel proteggere i mercati nazionali e le colonie d’oltremare, attraverso il
rafforzamento delle tariffe e delle forze armate. L’ascesa del nazionalismo
economico stimolava sia la crescita di una moderna industria su larga scala e
la finanza internazionale, che il restringersi delle opportunità di realizzare
adeguati proventi economici da tali investimenti. La risultante crisi di
“sovrapproduzione” incoraggiava ulteriori misure protezionistiche, il
nazionalismo e le tensioni internazionali, da una parte, e incrementava
l’opposizione della classe lavoratrice e del movimento socialista al sistema
capitalista responsabile della crisi, dall’altra. Ironicamente ma
inevitabilmente, le politiche di questi movimenti d’opposizione, nonostante il
loro dichiarato internazionalismo, erano risolutamente nazionaliste e
stato-centriche, al pari dei loro avversari di classe.
Quale tentativo di risoluzione di tali contraddizioni
economiche e politiche, la Prima guerra mondiale è stata un completo e
sanguinario disastro. Combattendo per la “vitoria totale”, Gran Bretagna,
Germania e Francia si sono organizzate come potenti “warfare states”,
mobilizzando e esponendo eserciti e popolazione civile al moderno terrore della
“guerra totale”. In ultima analisi, il conflitto “ha condotto alla rovina sia i
vincitori che i vinti, portando “gli sconfitti verso la rivoluzione e i
vincitori alla bancarotta e all’esaurimento materiale”. Il solo, e
relativamente indenne, potere capitalista che avrebbe potuto garantire una maggiore
stabilità si era ritirato in un risoluto isolamento rispetto alle questioni
della “vecchia Europa”; per poi accelerare, tramite il crollo di Wall Street,
una depressione globale di scala inedita e la prospettiva di un’altra guerra
mondiale. Sulla scia di un simile massacro e di tale caos, non è
sorprendente come in molti in tutto il mondo, compresa l’aristocrazia
intellettuale britannica, si siano sentiti disillusi dai propri capi politici,
nonché più disponibili ad alternative collettiviste (e autoritarie) al
capitalismo liberale e all’imperialismo.
Nel corso della fase di preparazione, così come nella
conduzione e nell’indomani della “Grande guerra”, le capacità
tecnico-scientifiche, l’organizzazione e la direzione delle grandi potenze
capitalistiche vennero significativamente alterate. Si tratta del periodo nel
quale gli stati imperialisti, soprattutto la Gran Bretagna, iniziavano a
finanziare un’enorme espansione della manodopera tecnica, spesso proveniente
dalle classi medio-basse e dai ceti professionali, che andavano a formare
le nuove e sempre più coscienti professioni scientifiche e ingegneristiche. La
maggior parte avrebbe trovato lavoro nell’industria privata – in particolare
nei settori chimico, elettrico e farmaceutico – e negli stabilimenti
governativi – sia in patria che nell’impero, come insegnanti, ricercatori o
amministratori. Una minoranza sarebbe rimasta in una manciata di università e
istituti di ricerca a perseguire quella che era già nota come scienza “pura”,
peraltro con grande successo, in particolare nelle scienze fisiche. In ognuno
di questi aspetti dei rapporti sociali della scienza, la Germania d’anteguerra
era generalmente considerata la più forte delle potenze imperiali, il che era
causa di una certa agitazione nel rivale britannico. Tuttavia, prima del 1914,
le preoccupazioni circa le capacità scientifiche nazionali non erano
sufficienti a suscitare la ricerca nel campo che oggi definiamo STS, o un
declino nell’internazionalismo scientifico.
Ciò nonostante, la Prima guerra mondiale ha fatto in modo
che i belligeranti europei non solo militarizzassero e incorporassero
ulteriormente la scienza e la tecnologia al servizio del capitalismo e
dell’imperialismo, ma ha conferito ai lavoratori scientifici una maggiore
consapevolezza sociale. Una volta evidente che il conflitto non sarebbe finito
rapidamente, lo stato britannico iniziava a mobilitare velocemente le risorse
industriali e scientifiche nazionali, dispiegandole a fini militari sia nelle
proprie fabbriche e stabilimenti di ricerca, che nell’industria privata. Alcuni
scienziati accademici e tecnici vennero impiegati direttamente – e senza
esprimere remore di sorta – nella produzione di armamenti quali gas tossici,
aerei e munizioni; ma la scienza era anche coinvolta più direttamente nella
produzione attraverso i nuovi criteri scientifici di gestione
tayloristica. Nelle maggiori organizzazioni di ricerca e sviluppo, numerosi
laureati tecnico-scientifici si ritrovavano a lavorare in squadra, sotto
stretta supervisione, a problemi dettati da altri. Tali condizioni
incoraggiavano una maggiore coscienza professionale e di classe, di cui è stata
espressione, per esempio, la formazione della National Union of Scientific
Workers (NUSW).
L’eredità della guerra per lo stato britannico e per alcune
frazioni del capitale è consistita nell’assegnare un ruolo maggiore alla
conoscenza tecnico-scientifica, e occasionalmente alle istituzioni scientifiche
accademiche, nell’avanzamento dei loro interessi economici e imperialisti.
Durante il periodo tra le due guerre, come sostenuto in modo convincente da
David Edgerton, un vasto complesso militar-industriale diretto dallo stato
venne stabilito, pari a un terzo o più di tutti i fondi pubblici in ricerca e
sviluppo, agevolando reti e progetti di ricerca sempre più importanti col
coinvolgimento di organismi scientifici accademici, industriali e statali. Un
simile “warfare state” implicava anche una revisione della conduzione della
politica scientifica, dell’organizzazione dei suoi stessi programmi di ricerca
civili e del loro rapporto rispetto agli interessi dell’industria privata e
dell’impero. Alla base di tutte queste iniziative vi era un’ulteriore
espansione, finanziata dallo stato, dell’educazione tecnico-scientifica, con
una conseguente triplicazione del numero di scienziati, giunto a 28.000 nel
1939.
Gli scienziati beneficiavano direttamente anche
dell’espansione della ricerca e delle opportunità di insegnamento, mantenendo
una sostanziale autonomia dallo stato attraverso il controllo dei finanziamenti
provenienti dai consigli per la ricerca governativi e dallo Universities
Grants Committee. Gli anni Venti sono stati un periodo particolarmente vivace
per l’istituzione più favorita, Cambridge, e i suoi più validi istituti di
ricerca, il Cavendish Laboratory sotto la direzione di Sir Ernest
Rutherford e il Dunn Biochemical Institute guidato da Sir Frederick
Gowland Hopkins. L’entusiasmo che circondava la fisica nucleare era addirittura
sufficiente a ricostruire le relazione tra accademici tedeschi e britannici,
dopo quasi un decennio nel quale la Germania era stata praticamente
ostracizzata dalla scienza internazionale.
Nonostante la loro relativa prosperità e un’utilità
ampiamente percepita, l’influenza politica/ideologica, la posizione culturale e
lo status sociale della scienza britannica, nonché della sua comunemente
assunta propaggine, la tecnologia, erano decisamente più ambigue. Politicamente
e ideologicamente, la crescente identificazione degli scienziati con gli orrori
della guerra chimica e le prospettive della disoccupazione tecnologica
portavano ad appelli, da parte di vescovi e altre nobili figure, per una
moratoria su nuove ricerche e innovazioni.
Probabilmente l’uso più ideologico della scienza
verificatosi negli anni Venti fu il supporto dei biologi allineati alla
Eugenics Society sia alla sterilizzazione degli inadatti – una categoria che
avrebbe presto abbracciato i disoccupati – che all’incoraggiamento rivolto alle
persone brillanti e rispettabili come loro, oltreché alla loro classe dirigente,
a riprodursi di più. Forse non per caso, il Partito laburista aveva fallito
nell’accogliere la scienza come un compagno ideologico nella lotta per il
socialismo. Ma tale riluttanza era probabilmente legata culturalmente,
quantomeno nelle menti degli umanisti scientifici e liberali associati a Nature di
Sir Richard Gregory, all’abbraccio, al più parziale, della scienza e di chi la
praticava da parte della cultura dominante. Causa di risentimento e
preoccupazione, la cura proposta consisteva in una campagna nazionale di
educazione al fine di instaurare un nuovo umanesimo scientifico nelle scuole e
nella vita pubblica, attraverso la nascente disciplina della storia della
scienza. Sappiamo ora, grazie all’innovativa ricerca di Anna-K. Mayer, che
uno dei principali fautori di questo movimento era Charles Singer, già
proiettato verso il secondo Congresso internazionale di storia della scienza e
tecnologia di Londra nel 1931, nel corso del quale sperava di conquistare gli
opinion maker politici e culturali alle rivendicazioni del liberalismo
scientifico. Prima di tale data, il principale impegno della scienza nella
cultura contemporanea erano stati gli sforzi di Arthur Eddington, James
Jeans, e John Scott Haldane finalizzati a dimostrare come la teoria della
relatività e la biologia vitalista riconciliassero le pretese di una scienza
meno materialista con quelle del cristianesimo.
Probabilmente tali preoccupazioni “sovrastrutturali” dei
sostenitori della scienza smentivano il rinnovato rispetto accordato all’élite
scientifica nei corridoi del potere, nonché in alcuni consigli di
amministrazione. Certamente i vertici della Royal Society, Sir Henry Dale e Sir
A.V. Hill, e i loro colleghi della FRS (Fellow of the Royal Society), venivano
regolarmente richiesti quali consulenti sia dei dipartimenti e comitati chiave
del governo, sia – come nel caso di Dale – dalle principali case farmaceutiche.
I più coinvolti fra questi membri dell’establishment scientifico erano
sicuramente nei pensieri di Bertrand Russel quando questi condannava, nel 1931,
“quegli uomini di scienza divenuti sempre più determinati sostenitori
dell’ingiustizia e dell’oscurantismo sui quali il nostro sistema sociale è
fondato”. Ciò che sicuramente non si trova, nel periodo tra i focolai di guerra
e la depressione, è un qualunque scienziato di spicco che si sia espresso quale
attivista socialista. Per quanto mi è dato sapere, il giovane
Lancelot
Hogben è stato l’unico scienziato (a parte Russel) incarcerato come
obiettore di coscienza durante la Prima guerra mondiale, e il solo biologo ad
affrontare gli eugenisti reazionari e gli scienziati con inclinazioni
religioso-idealiste negli anni Venti. Dei successivi e più prominenti
rappresentanti della sinistra scientifica, soltanto
Hayman Levy era seriamente coinvolto sia
nell’organizzazione sindacale per la NUSW, che negli sforzi per rendere il
socialismo del Partito laburista più scientifico. Chi avrebbe potuto prevedere,
ancora nel 1931, che la Gran Bretagna avrebbe presto assistito alla
formazione di un importante movimento d’opposizione da parte di scienziati
socialisti?
Convertitori
catalitici
I movimenti sociali di opposizione formano una complessa
miscela di speranze e insoddisfazioni, sia personali che sociali, e sembrano
funzionare meglio tra l’euforia e la disperazione. Tuttavia, è assai
improbabile che tali catalizzatori convertano chicchessia all’azione – tanto
meno gli scienziati britannici al socialismo – sin quando figure rispettate non
sono pronte a prendersi dei rischi e a creare spazi fecondi per
l’agitazione. Questo sembrerebbe il modello in opera nella costituzione di
una sinistra nel campo della scienza britannica nel corso degli anni Trenta.
Come osservato da un ex funzionario del Partito comunista, incaricato di
supervisionare l’attività degli scienziati naturali, “sollevare queste genere
di persone richiede un enorme sforzo”.
La depressione globale é stata causa di diffusi malcontenti
per i lavoratori scientifici, sia in Gran Bretagna che internazionalmente. Sul
fronte interno, la crescente disoccupazione andava a colpire non solo la classe
lavoratrice industriale ma anche i laureati in materie scientifiche e tecniche.
Dopo l’euforia dovuta all’estendersi delle opportunità in Inghilterra negli
anni Venti, era giunto il momento dei tagli ai contributi pubblici, alle borse
di studio e ai fondi per la ricerca. All’estero, l’ascesa del fascismo, specie
in Germania, segnalava l’incorporazione della scienza al”interno di una
macchina militare finalizzata alla conquista globale e imbevuta in
un’ideologia profondamente razzista, che avrebbe ben presto portato al’espulsione
di eminenti scienziati ebrei tedeschi. La mancanza di immaginazione della
risposta fornita dai principali partiti politici britannici a questa
combinazione di crisi – inclusa la riduzione del sostegno alla ricerca civile –
non poteva certo ispirare fiducia nel capitalismo e nella democrazia liberali.
Inoltre, la reputazione delle professioni tecnico-scientifiche, ora ancor più
invischiate nei rapporti sociali capitalistici e imperialisti, non era ben
vista da coloro che individuavano nella scienza la causa della crescente
“disoccupazione tecnologica” e della brutalità militare. L’insoddisfazione si
sarebbe diffusa particolarmente tra i giovani scienziati accademici, laddove le
loro speranze di un pieno coinvolgimento negli attesi grandi avanzamenti della
fisica e della biologia si ritiravano a fronte di un’annunciata guerra europea.
Un simile ottimismo riguardo al futuro della scienza – e sul
suo contributo al progresso del benessere dell’umanità – ha rappresentato
naturalmente anche una grande fonte di ispirazione per la generazione di
lavoratori scientifici tra le due guerre. Essi avevano “il futuro nelle loro
ossa”, come osservato da C. P. Snow, in parte perché alcuni di loro stavano
partecipando direttamente alla sua creazione, attraverso l’entusiasmante
lavoro compiuto sotto la guida di figure del calibro di Hopkins e Rutherford.
La loro ampia visione della scienza come forza storica progressiva derivava da
una tradizione intellettuale risalente a Francis Bacon, tradizione rafforzata
nei loro anni formativi da scrittori di testi scientifici e romanzi, quali H.
G. Wells in particolare. Per quanto tale ideologia potesse incoraggiare
alcuni a ritenersi più attrezzati dei politici, privi di conoscenze
scientifiche, a dirigere gli affari umani, questa fiducia in se stessi sarebbe
stata difficile da sostenere in assenza di modelli reali in grado di
confermarla.
Questo è il motivo per il quale l’esempio dell’Unione
Sovietica, intesa quale apparente quintessenza del “socialismo scientifico”, ha
avuto un simile effetto su alcuni intellettuali in campo scientifico negli anni
Trenta. Come dimostrato da Loren Graham nel corso di quattro decenni, una
combinazione di fede nel marxismo come scienza, e la brutale necessità della
rapida modernizzazione di una società prevalentemente agraria, condussero il
regime sovietico a divenire “il più entusiasta sostenitore della scienza e
della tecnologia fra tutti i governi contemporanei”. Una dedizione espressa
nella leniniana promessa per cui “nessun oscuro potere sarebbe stato in grado
di resistere all’unione dei rappresentanti della scienza, del proletariato e
della tecnica”. L’impegno dell’URSS nella causa del socialismo scientifico
andava ben oltre il suo massiccio incremento di lavoratori scientifici,
strutture di ricerca e industria pesante. Si trattava anche, infatti, del primo
paese ad aver istituzionalizzato quelli che oggi chiamiamo STS, stabilendo un
centro di ricerca dedicato alla storia della scienza e della tecnologia,
strettamente connesso al pionieristico lavoro della pianificazione e politica
scientifiche, sotto gli auspici del Consiglio superiore dell’economia e del primo
piano quinquennale. Tuttavia, niente di tutto ciò avrebbe avuto la minima
importanza per gli scienziati, o per chiunque altro, se non fosse stato per un
unico e sconvolgente fatto: la sola nazione ad aver rotto col capitalismo
liberale sembrava essere anche la sola immune dal “trauma del grande crollo”.
Tra il 1929 e il 1940 la produzione industriale sovietica era più che
triplicata, giungendo a rappresentare nel 1938 il 18 per cento della produzione
manifatturiera mondiale. “Ancora più rilevante, non vi era disoccupazione”.
La notizia di questi risultati epocali – e della loro base
nel supporto senza precedenti fornito dall’URSS alla ricerca
tecnico-scientifica, compresi gli studi storici e sociali della scienza –
raggiunsero Londra, nel luglio del 1931, grazie alla delegazione sovietica al
Congresso internazionale di storia della scienza e della tecnologia. Il gruppo
era costituito da importanti ricercatori dell’Istituto di storia della scienza
dell’Università di Mosca, guidati da Nikolaj Bucharin e accompagnati da un
supervisore del “partito”. Il contesto politico e le reazioni alle relazioni
sovietiche, pubblicate nel giro di una settimana col titolo Science at the
Cross Roads, sono state ampiamente discusse altrove. Ciò che va
sottolineato in questa sede sono, la magistrale panoramica compiuta da Bucharin
sulla sociologia marxista della scienza e sulla pratica sovietica della
pianificazione scientifica; e l’iconoclastico saggio del suo collega
Boris Hessen “Le
radici sociali ed economiche dei Principia di Newton”. Quest’ultimo
costituisce, ovviamente, un punto di riferimento nella storiografia della
scienza, la cui tesi così possono essere sintetizzate: 1) la storia della
scienza può essere scritta come un movimento dialettico tra la base economica
della società e la sua sovrastruttura ideologica; 2) distinzione tra il valore
conoscitivo della scienza e le condizioni sociali che l’hanno ispirato; 3)
necessità di sottolineare il significato sociale e politico della storia della
scienza. Ma ciò che sia Bucharin che Hessen erano ansiosi di porre in evidenza,
consisteva nel contrasto tra il pessimismo di una società capitalistica
incapace di servirsi delle sue forze produttive, compresa la scienza, e
l’ottimismo di una società socialista nella quale “la scienza sta raggiungendo
la vetta del riconoscimento sociale”.
Mentre l’ondata sovietica infrangeva le iniziali speranze
nutrite da Chrles Singer che il congresso potesse favorire la promozione
dell’umanesimo scientifico e della storia della scienza presso un pubblico più
vasto, esso scuoteva positivamente alcuni dei suoi più giovani organizzatori e
partecipanti – J. D. Bernal, Lancelot Hogben, Hyman Levy e Joseph Needham.
Insieme al giornalista J. G. Crowther, ospitarono i sovietici, li
aiutarono a tradurre e pubblicare i loro saggi, supportarono le loro relazioni
tagliate al congresso, per poi promuovere queste nuove prospettive marxiste sia
sulla stampa che tra i loro colleghi. “Il più importante incontro fra idee dai
tempi della Rivoluzione”, questo l’entusiastico verdetto di Bernal sul
congresso. Non sorprende che il corrispondente locale dell’agenzia di
informazione russa TASS, telgrafasse a Mosca che, nonostante il generale disappunto
dei delegati sovietici rispetto al congresso, questi rimasero “impressionati da
una minoranza di giovani delegati, in particolare Hogben, Needham e David
Guest”. La fiduciosa conclusione? “forse il congresso scientifico potrebbe
divenire storico nel senso che esso… ha fornito un’enorme spinta [allo] studio
[del] materialismo dialettico, specie in Inghilterra, tra le giovani
generazioni di lavoratori scientifici”. Un punto di vista giornalistico
confinante con la profezia.
Questa trentina di scienziati, tra i quali
J. B. S. Haldane e
P. M. S. Blackett, avrebbe costituito informalmente la
guida della sinistra scientifica negli anni Trenta e Quaranta, il suo “Visible
College”. Il loro retroterra sociale variava dalla classe lavoratrice
impoverita all’aristocrazia intellettuale liberale. Tutti erano stati
profondamente influenzati e disillusi dalla Prima guerra mondiale, sia come
ufficiali in servizio, sia come ricercatori per conto del governo o obiettori
di coscienza, sia, infine, come studenti entrati in contatto con i veterani di
ritorno a Cambridge nel dopoguerra. La fede religiosa era una vittima comune; a
parte il quaccherismo di Hogben e l’idiosincratico anglo-cattolicesimo di
Needham, ora erano tutti atei. Tutti tranne Haldane si erano convertiti al
socialismo durante gli studi universitari, tuttavia erano stati largamente
politicamente inattivi negli anni Venti. Tutto ciò che rimaneva del loro
giovanile idealismo e passione lo investirono non nella politica, bensì nel
perseguimento del fervore scientifico, che fosse attraverso la fisica nucleare,
la genetica, o i confini tra la biologia, la chimica e la cristallografia a
raggi x. Certamente per Bernal, “la sua fede nella scienza può essere meglio
descritta come devozione religiosa”, la quale brilla attraverso le pagine del
suo straordinario trattatello del 1929, The World, the Flesh and the Devil.
Al di là del piacere dell’immersione nella vita di laboratorio, molti tra
questi scienziati si sentirono liberi di estendere la loro curiosità
intellettuale non solo alla “filosofia della natura”, prima che la
specializzazione e la frammentazione conquistassero la scienza”, ma al
freudismo, nonché a stili di vita e di matrimonio non convenzionali. Alcuni,
come Blackett e Levy, erano più concentrati sulla loro scienza, oltreché più
convenzionali nella loro vita privata. Ma tutti erano, comunque, figli dei
disillusi e modernisti anni Venti.
Ciò che si sovrappose ben presto a questa
mentalità, tipica degli anni Venti, furono le ideologie marxiste degli
anni Trenta. Con la notevole eccezione di Lancelot Hogben, questi uomini si
spostarono verso l’estrema sinistra, sia nel Partito laburista che nei partiti
comunisti. A prescindere dall’appartenenza di partito, il comunismo attraeva
gli scienziati di mentalità progressista del’epoca. Essi vedevano l’URSS come
un potente esempio di socialismo scientifico, sia nella teoria che nella
pratica – e una simile impressione, formatasi inizialmente durante il congresso
del 1931, venne presto rafforzata dalle loro visite in Unione Sovietica. Il
Comintern (l’Internazionale comunista) rappresentava se stesso quale movimento
di tutta l’umanità,
sposando un internazionalismo che faceva eco agli ideali scientifici di
cooperazione globale. Più vicino a noi, i comunisti inglesi venivano percepiti
come i più dediti, effettivi e duri avversari del fascismo e della guerra – un
partito, e delle persone, i quali si organizzavano perché si facesse
qualcosa di pratico per i
disoccupati e in opposizione all’inefficacia delle politiche dei governi
nazionali.
È ovviamente significativo il fatto che tale risveglio
politico degli scienziati abbia coinciso con la linea, profondamente lacerante
e inefficace, della “classe contro classe” adottata dal Comintern, sulla base
della quale i partiti socialdemocratici e i movimenti sindacali a loro affiliati
venivano denigrati quali nemici “social-fascisti” della classe lavoratrice. Uno
degli effetti specifici e negativi di una simile visione in bianco e nero
consisteva nel suo incorporare la convinzione – certamente in Bernal – che i
valori individuali e le libertà intellettuali fossero sia illusori che
sacrificabili nella lotta per rovesciare il capitalismo e a difesa dell’URSS.
D’altra parte, il messaggio secondo il quale il mondo si stava rapidamente
dividendo in due campi e precipitando verso una catastrofe globale era
decisamente galvanizzante. Ed era certamente il messaggio che P. M. S.
Blackett comunicava ai suoi colleghi scienziati nel corso di una trasmissione
della BBC nel marzo del 1931:
Credo vi siano solo
due cammini da intraprendere, e quelo che oggi sembrerebbe esordire
conduce al fascismo; con esso giungono le riduzioni della produzione,
un’abbassamento degli standard di vita della classe lavoratrice e una rinuncia
al progresso scientifico. Sono convinto che la sola altra via sia il compiuto
socialismo. Il socialismo si servirà di tutta la scienza a disposizione per
produrre la maggior ricchezza possibile. Gli scienziati probabilmente non hanno
molto tempo per chiarirsi le idee su quale campo schierarsi.
Descritto come “il discorso “più rosso” mai trasmesso
da… Broadcasting House”, con esso Blackett metteva in chiaro che una
presenza militante della sinistra si stava facendo sentire nella comunità
scientifica.
Attraverso gli interventi radiofonici, gli articoli sui
quotidiani e i libri popolari, il Visible College era diventato il voto
pubblico della sinistra scientifica per i successivi vent’anni. Tuttavia vi
sono altre dimensioni, ugualmente, se non più importanti, in questa leadership.
Si trattava di instancabili organizzatori dietro le quinte, attivi nella
sinistra, nel senso più ampio del termine, come lo erano fra gli scienziati –
non ultimo Bernal, “questo pozzo di ubiquità”, nelle parole di Hyman Levy. I
principali scienziati schierati a sinistra trovarono anche il tempo per produrre
uno straordinario corpus di pensiero politico e sociale circa i rapporti
sociali della scienza, un lavoro pionieristico in quasi ogni aspetto di quelli
che oggi chiamiamo STS. Ma la chiave della loro preminenza, efficacia e
persuasività tra gli studenti e colleghi, risiedeva nella modalità tramite la
quale avevano modellato il ruolo dello scienziato-attivista di successo. In
essi si combinavano un alto status, e realizzazioni, scientifici, alla volontà
di rischiare la loro reputazione allo scopo di ampliare le opportunità per
i lavoratori scientifici – sia in quanto cittadini che esperti – di fare un
buon lavoro del quale potesse beneficiare la società. Ad eccezione di Levy,
tutti sarebbero divenuti membri della Royal Society. Persino nei primi
anni Trenta, Blackett – futuro premio Nobel – e Bernal – riconosciuto padre
della biologia molecolare del dopoguerra – erano considerati, insieme ad
Haldane, scienziati di prim’ordine, eventualmente dei geni. La loro reputazione
professionale contribuiva enormemente al peso delle loro opinioni politiche,
almeno in alcuni ambienti accademici e perfino presso il grande pubblico.
Naturalmente, nell’assumere simili posizioni pubbliche
riguardo al ruolo e alle prospettive della scienza nelle società capitalistica,
fascista e socialista, il Visible College rischiava gravi danni di reputazione.
Rutherford detestava Bernal, anche se probabilmente tanto per il suo
taglio di capelli e la sua promiscuità sessuale che per il suo comunismo. Un
costo di gran lunga superiore era dato dal fatto che il tempo speso
nel’agitazione politica era tempo irrevocabilmente sottratto al perseguimento
di ciò che era loro più caro – l’allargamento dei confini dei rispettivi campi.
Come Needham avrebbe in seguito mestamente riconosciuto, “ho cercato di
rimanere nel mio campo, ma la politica l’avrebbe infranto”. Perché, dunque,
sacrificare almeno una parte del divertimento, dell’entusiasmo, delle
realizzazioni e delle ricompense di cui avrebbero potuto godere se non avessero
scelto di essere più attivi politicamente? Quantomeno nel caso di Bernal,
una risposta l’ha fornita il suo amico fisico e comunista francese
Paul
Langevin, il quale ha osservato che
“il
lavoro scientifico che io posso fare, può essere, e sarà, realizzato da altri,
forse presto, forse non ancora per alcuni anni; ma senza che il lavoro politico
sia fatto non vi sarebbe scienza alcuna”.
Politica
scientifica
La posizione sociale e la forza della sinistra scientifica
britannica sono facilmente riassumibili. Il suo fulcro era Cambridge, sede
della sinistra studentesca più forte degli anni Trenta. Il supporto da parte
scientifica per le cause della sinistra proveniva largamente (e non per caso)
dai principali e più prestigiosi centri di ricerca: il Cavendish
Laboratory – dove sia Bernal che Blackett facevano base prima
del loro trasferimento al Birkbeck College, a Londra, rispettivamente
nel 1933 e 1937; e il Dunn Biochemical Institute, nel quale si trovavano
Needham e, fino al 1932, Haldane. Il nucleo della sinistra scientifica era
formato da dottorandi, con le donne proporzionalmente sovrarappresentate e
assai attive nelle principali attività e campagne. In larga parte figli e
figlie della classe professionale e dirigenziale, si erano gettati nella lotta,
in parte perché i loro docenti si erano mostrati tolleranti riguardo alle loro
attività extra-curricolari, mentre una chiara linea politica e professionale
era stata tracciata, linea che li incoraggiava a concentrarsi sul percorso per
divenire scienziati compiuti. Essi sono stati attratti verso il socialismo
scientifico per ragioni simili a quelle dei loro modelli favoriti, dai quali
traevano incoraggiamento, forza e indirizzo. A parte gli storici più giovani, erano
i fisici nucleari, i cristallografi e i biochimici a essere più cospicuamente
rappresentati a sinistra.
Il lato negativo di questa istantanea consiste nel fatto che
la sinistra non aveva molta visibilità in altre università britanniche,
certamente non nel campo scientifico. Persino a Cambridge non attirava più che
un migliaio di studenti (il 20 per cento), dei quali forse un centinaio membri
del Partito comunista. Quindi, come ha osservato più tardi Noel Annan, “con
tutto il suo ardore la sinistra non ha conquistato la mia generazione – anche
considerando che per un certo periodo ha conquistato la storia degli anni
Trenta. Troppo innocente, ingenua e puritana”. Ma è anche un luogo comune, il
quale trova origine nel riconoscimento di un’altro, illustre King’s man – John
Maynard Keynes – che coloro che furono attratti dalla sinistra erano i giovani
più brillanti degli anni Trenta. Come molte delle loro successive carriere come
scienziati, storici e, sì, spie sovietiche, avrebbero ampiamente confermato.
Il Visible College e i suoi seguaci di Cambridge dividevano
le proprie energie politiche tra campagne di portata generale, e quelle rivolte
più specificamente ad altri lavoratori scientifici o a questioni nelle quali la
competenza scientifica aveva un notevole peso. La frustrante fase della
politica di sinistra all’insegna dello slogan “classe contro classe” lasciava
il posto a quella del “Fronte popolare”, 1935-1939, nella quale
forze laburiste, comuniste e liberali si combinavano, inizialmente per combattere
il fascismo e la guerra, e successivamente a sostegno della guerra contro il
fascismo… I loro sforzi si cristallizzavano, innanzitutto, intorno alla
necessità di sconfiggere Franco nella Guerra civile spagnola, in seguito su
quella del riarmo e della creazione di un fronte unitario con l’Unione
Sovietica conto Hitler. Bernal era in prima linea nel dare un carattere
scientifico a queste lotte, attraverso la formazione a Cambridge di un gruppo
di scienziati contro la guerra che combinasse l’agitazione locale con ricerca e
esperimenti, criticando i sistemi di difesa aerea del governo. Il supporto alle
vittime del fascismo assumeva la forma di organizzazioni come For
Intellectual Liberty, la quale promuoveva la causa degli accademici
rifugiati, e attaccava il razzismo pseudoscientifico dei nazisti e della
Eugenics Society, rendendo decisivamente marginale l’influenza di quest’ultima.
Su un altro piano, la sinistra scientifica operava su tre
fronti al fine di accrescere la coscienza di altri scienziati circa la loro
condizione economica, il ruolo e le prospettive della scienza in quell’epoca
travagliata. In primo luogo, sotto la guida di Bernal e Blackett, trasformando
la NUSW di nuovo in un sindacato, la Association of Scientific Workers.
La AScW ora era in grado di organizzare scienziati e tecnici nel governo
e nel settore privato, nonché divenire propagandista di primo piano per una
espansione e riorientamento dei fondi pubblici per ricerca e sviluppo. In
secondo luogo, ora che la sinistra scientifica disponeva di organizzazioni
nazionali più solide, poteva esercitare una maggiore pressione sugli umanisti
liberali di Nature, perché fornissero risposte più incisive alle
preoccupazioni sullo stato della scienza britannica e internazionale. Ciò che
ne emerse era un fronte popolare degli scienziati – anche conosciuto come
movimento “Social Relations of Science” – il quale condusse, nel 1938, alla
formazione di una Division for the Social and International Relations of
Science all’interno della veneranda British Association for the
Advancement of Science. Come l’intestazione della nuova divisione implicava, la
terza dimensione dell’impegno della sinistra scientifica con gli scienziati
professionali era internazionale nei suoi fini. Il suo contato più duraturo e
significativo era, di gran lunga, quello con la sinistra scientifica francese,
la quale annoverava tra le sue figure guida, Langevin,
Jean
Perrin e
Frederic Joliot-Curie. Alleato a un partito comunista più forte
e, brevemente, a un fronte popolare al governo, il movimento francese conseguì,
effettivamente, vittorie maggiori rispetto all’omologo britannico.
I contatti con scienziati di sinistra americani, invece,
erano più ad hoc, tuttavia comprendevano il supporto editoriale del Visible
College alla fondazione di Science and Society, una delle principali
riviste marxiste degli Stati Uniti. D’altra parte, mentre l’influenza della
sinistra scientifica britannica si estendeva certamente ai Paesi Bassi, non vi
erano legami con movimenti scientifici nelle società coloniali e meno
sviluppate (a parte l’URSS).
Entro la fine degli anni Trenta, la presenza e l’influenza
del Visible College nella sua stessa società si estendeva in due direzioni
molto diverse. Da un lato, con l’accrescersi delle minacce di guerra, la loro
consulenza diveniva sempre più richiesta dallo stato, sia su questioni tecniche
che di natura più generale relative all’effettiva organizzazione degli
scienziati in tempo di guerra. Blackett, già nel 1935, veniva contattato quale
consigliere del Ministero dell’aeronautica riguardo lo sviluppo del radar. Alla
fine degli anni Trenta, Bernal, Needham, Hogben, Blackett e Levy, si
incontravano regolarmente con addetti ai lavori scientifici e del governo nel Tots
& Quots Club di Solly Zukerman con sede a Londra. Dall’altro lato, i
leader della sinistra scientifica si trovavano sulla buona strada per diventare
intellettuali pubblici accreditati, in grado di scrivere e parlare con grande
autorità del ruolo della scienza nella società, e su quale forma una Gran
Bretagna riformata in senso più scientifico avrebbe potuto e dovuto assumere. A
parte la loro presenza sui mass media – la rubrica settimanale di Haldane
sul Daily Worker era un
modello di lucidità – erano impegnati in giri di conferenze per promuovere i
loro testi sui rapporti sociali della scienza. Mathematics for the Million (1936), seguito nel 1938
da Science for the Citizen,
entrambi di Hogben, divennero dei best-sellers, scritti e promossi al fine
di fornire ai lettori con sufficienti conoscenze le capacità per divenire
cittadini a tutti gli effetti in un’era scientifica. Il saggio di Bernal The Social Function of Science, una
pietra miliare pubblicata nel 1939, segnala l’approdo di questi scienziati al
ruolo di commentatori dello stato della scienza, cultura e società britanniche.
In proposito, essi ereditavano e proseguivano la tradizione inglese di ricerca
civile “amatoriale”, sino ad allora dominata da umanisti in campo scientifico e
letterario di orientamento liberale. Tale è stato il loro contributo peculiare
a questa tradizione – quale, invece, l’apporto specifico al marxismo?
Teoria
marxista
Il marxismo sovietico dell’epoca influenzò senza dubbio il
pensiero sociale del Visible College, così come la sua prassi politica e, in
misura minore e variabile, la pratica scientifica. Designato come “materialismo
dialettico”, si trattava – quale che fosse il suo valore cognitivo – di
un’ideologia di stato, la quale rifletteva chiaramente sia le sue origini politiche
staliniste che gli imperativi dell’industrializzazione rapida. Come ebbe a
definirlo Stalin stesso:
Il materialismo
dialettico è la concezione del mondo del partito marxita-leninisra. Si
chiama materialismo dialettico poiché il suo approccio ai fenomeni della
natura, il metodo cui ricorre per studiarli, è dialettico, mentre la sua
interpretazione degli stessi fenomeni… la sua teoria, è materialistica. Il
materialismo storico costituisce… un’applicazione dei principi del materialismo
dialettico ai fenomeni della vita e dela società…
Una concezione dell’eredità marxista che poneva gli scritti
di Engels sulla scienza in primo piano, enfatizzando il primato delle leggi
della dialettica nel guidare lo sviluppo sociale, e elevando le scienze
naturali a una posizione ideologica, storica e pratica di massima importanza;
(per esempio, l’esposizione fornita da Bucharin di tale dottrina al congresso
del 1931, esaltava in particolare il ruolo della scienza sia nel marxismo che
come forza produttiva). Il cosiddetto “diamat”, inoltre, conferiva a
Stalin e il partito una conveniente giustificazione scientifica della loro
autorità e decisioni. Come versione sovietica del “materialismo storico” era
inevitabilmente “economicistico” – sebbene non necessariamente “volgare” –
nella sua raffigurazione dello sviluppo sociale come dialettica tra la “base
economica” della società e la sua “sovrastruttura ideologica”, con le
contraddizioni, interne alla base, tra “forze e rapporti di produzione”, a fare
da propellente. La prova dell’utilità e solidità della teoria sovietica sarebbe
stata, ovviamente, il suo contributo all’edificazione di una società socialista
attraverso la leniniana alleanza tra scienza, proletariato e tecnica, ora
saldamente sotto la custodia di Stalin.
Questa tipologia di marxismo veniva ora ricoperta e
setacciata tramite la preesistente comprensione e esperienza della scienza – la
loro “mentalità” – del Visible College, buona parte della quale non troppo
differente da quella degli umanisti scientifici degli anni Venti. Il risultato
è stato, in modo schiacciante nel caso di Bernal, l’identificazione del
marxismo e del socialismo con la scienza. Come notoriamente affermato da Bernal
in The Social Function of Science:
“ovviamente troviamo nella pratica della scienza il prototipo di ogni comune
attività umana. Il compito intrapreso dagli scienziati – la comprensione e il
controllo della natura e dell’uomo stesso – è semplicemente l’espressione
cosciente della società umana… nel suo sforzo la scienza è il comunismo”. Sia
che il “bernalismo”, come l’ho definito altrove, venga considerato come una
variante dell’umanesimo scientifico, o come distintiva di “anglo-marxismo” è
materia di discussione. A mio modo di vedere rappresenta certamente
un’idealizzazione e ideologia della pratica scientifica comunemente nota come
“scientismo”. Se l’inverso del mantra di Bernal è veritiero, allora il
comunismo diviene anch’esso scienza, il che ha un enorme significato, non solo
per Bernal e buona parte del pensiero sociale del Visible College, ma anche per
la loro politica. Chris Freeman, uno dei più grandi ammiratori di Bernal,
spiega:
[Bernal] idealizzava
la scienza non solo come forma di conoscenza ma anche in senso politico,
convinto che la gestione degli affari umani potesse essere più scientifica in
virtù dell’essere socialista. Era dunque particolarmente incline ad accettare
le pretese del marxismo sovietico di rappresentare la scienza in generale,
e accordargli lo stesso grado di rispetto.
Sebbene Freeman sia nel giusto quando richiama l’idealismo
scientifico (e politico) di Bernal quali “debolezze centrali” del suo pensiero
sociale, egli è stato in ogni caso l’ispiratore degli sforzi del Visible
College finalizzati a comprendere i rapporti sociali nella scienza in quasi
tutte le loro manifestazioni.
Il lavoro sinottico della sinistra scientifica è stato senza
alcun dubbio The Social Function of
Science di Bernal, “il primo a intendere chiaramente la “scienza” come
un sottosistema sociale, definendone e misurandone i confini nel suo complesso,
ponendo tutto ciò in relazione al più ampio sistema sociale nel suo sviluppo
storico e possibile futuro”. Nella prima parte (“‘What Science Does”) Social
Function combina una vertiginosa revisione della storia sociale della
scienza con un’analisi critica della sua corrente organizzazione e approccio
all’educazione scientifica, l’efficienza con la quale viene condotta e
applicata la ricerca a fini civili e militari e lo stato della scienza a
livello internazionale. La seconda parte (“What Science Could Do”) fornisce una
razionale e completa ricostruzione sociale – per non dire socialista – dei
rapporti sociali della scienza, partendo dalla formazione degli scienziati ed
estendendosi non solo alla riorganizzazione della ricerca, della comunicazione
scientifica e del finanziamento, bensì a una nuova strategia per il progresso
scientifico “al servizio dell’uomo” nonché della trasformazione sociale.
L’ampiezza e gli argomenti espressi in Social Function sono ancora
oggi audaci e stimolanti. Tuttavia questi sono in larga parte castelli di carta
e sogni: il libro non offre alcuna strategia politica utile alla loro
realizzazione. Coerentemente con la sua ideologia scientista, Bernal identifica
la scienza come motore della trasformazione tecnologica e sociale. Ogni
progresso è frutto dell’applicazione della scienza e del suo metodo. Una volta
che la scienza è finanziata adeguatamente, organizzata e provvista del
personale, tutto il resto segue. Un simile punto di vista, inoltre, colloca
i lavoratori scientifici nel cuore di una nuova società e dei suoi centri
di potere, non da ultimo quali pianificatori dell’avanzamento del socialismo
scientifico.
Le incursioni del Visible College nel materialismo
dialettico, inteso quale utile cornice filosofica e comprensiva filosofia della
scienza, hanno impressionato osservatori più qualificati di chi scrive. Bernal,
Haldane e Levy hanno prodotto commenti di spicco circa i principi
generali, e la loro utilità per i lavoratori scientifici, del “diamat”. Le
connessioni tra l’enfasi posta dal materialismo dialettico sui processi e i
rapporti, quali modalità utili a organizzare e percepire i fenomeni naturali –
inclusa la relazione osservatore e oggetto dell’osservazione nella ricerca
scientifica – probabilmente sono state d’aiuto: si vedano le speculazioni di
Bernal riguardo all’origine della vita; Needham con la sua filosofia evolutiva
dei “livelli integrativi”; e sia Bernal che Needham nei loro sforzi anteguerra
finalizzati a cogliere i contorni di una nuova biologia molecolare. Per quanto
mi è dato conoscere, solo Haldane ha fatto affermazioni specifiche
sull’applicazione diretta del materialismo dialettico alla progettazione dei
suoi esperimenti.
Di maggior interesse per lo storico sono i contributi
del Visible College alla storia della scienza. I suoi componenti avevano
compreso, grazie a Boris Hessen, che inserire le pratiche scientifiche in una
più ampia spiegazione storica dell’emergere e del riprodursi del
capitalismo aveva un grande significato politico. E al pari di Hessen,
essi non avevano timore a utilizzare la storia per fini esplicitamente
politici. Sfortunatamente, ad eccezione di Hessen, gli storici-scienziati
britannici di sinistra non erano a conoscenza dei contributi, principalmente
europei, a quello che, retrospettivamente, può ancora essere considerato il
periodo “classico” della storia sociale della scienza. Comparati alla
raffinatezza metodologica di, per esempio, Benjamin Farrington
e Edgar Zilsel, gli sforzi di Bernal e Crowther appaiono abbastanza
rudimentali ed economicistici, mancando del tutto i tentativi di un Hessen
miranti a collegare le teorie scientifiche alla loro impostazione ideologica.
La definizione, fornita da Jerry Ravetz, delle parti storiche
di Social Function e Science in History di Bernal, come
storiografia “esternalista whig” forse non è troppo lontana dalla realtà.
Tuttavia, il contributo di Joseph Needham alla storia della
scienza, in questo periodo e in quello successivo, non può essere così
facilmente categorizzato o liquidato. Needham aveva fatto il suo ingresso negli
anni Trenta come storico dalla mentalità enciclopedica, sotto la supervisione
di Charles Singer. Il suo interesse per la giovane disciplina in seguito si
approfondì in diversi modi. Egli collegò i suoi primi lavori sulla storia
dell’embriologia alle nuove esigenze della storiografia della scienza
post-Hessen. Inoltre, intravide il valore sia storico che propagandistico
insito nello scrivere una resoconto di taglio popolare, per il Left Book Club,
delle connessioni tra capitalismo, puritanesimo radicale e filosofia naturale
del XVII secolo. Infine, tentò, insieme a Walter Pagel, di istituzionalizzare
l’insegnamento della storia della scienza a Cambridge, nel 1936, come parte
integrante di una formazione completa degli scienziati naturali. A dispetto di
simili risultati, Needham rimase legato, in quest’epoca, ad alcuni assunti
caratteristici degli storici della scienza tradizionali (e della sinistra
scientifica); ad esempio, la visione della tecnologia come “scienza applicata”;
la convinzione eurocentrica che le origini e, più specificamente, “la nascita
della scienza moderna” andassero individuate, in Europa, nella pratica
dei filosofi naturali del XVII secolo. Quest’ultimo presupposto era stato
parzialmente posto in discussione nel corso della visita, a Cambridge nel 1937,
di tre biochimici cinesi – i quali gettarono nella mente di Needham i semi di
quella che sarebbe divenuto uno delle più grandiose realizzazioni della storia
della scienza del XX secolo.
Per la fine degli anni Trenta il Visible College aveva
stabilito un promettente corpus di teorie – basato su una lettura dei
rapporti storici e sociali nel campo della scienza che fondeva il marxismo
sovietico con l’umanesimo scientifico – il quale forniva una base intellettuale
alla politica di una vigorosa sinistra scientifica, in ascesa in termini di
forza e sicurezza. Un clima di ascesa culturale vividamente colto, nel 1941,
da
C.H. Waddington in The Scientific Attitude:
Il sistema economico
razionale, alle cui doglie stiamo già assistendo, potrà essere pienamente
utilizzato se vi verrà infusa una cultura il cui metodo d’approccio sia
anch’esso razionale, intelligente ed empirico. La scienza ha finora omesso di
confessare al mondo di aver generato una simile discendenza nelle meretrici
scienze umane; ma questa neonata cultura sta iniziando a fare capolino – nel
suo vigore di bastardo risiede l’unica speranza di un degno erede della cultura
del passato.
Lo si potrebbe definire come umanesimo coi denti. Niente
sembrava in grado di fermare la marcia verso il socialismo scientifico in
Inghilterra; neanche le preoccupanti notizie provenienti dall’Unione Sovietica,
come le purghe staliniane – che condussero agli omicidi giudiziari di Bucharin,
Hessen e tanti altri – o più direttamente correlato alla sinistra scientifica,
i primi attacchi di
T. D. Lysenko alla scienza e al potere dei genetisti
sovietici. tuttavia, tali sviluppi allarmavano alcuni scienziati, e non solo
tra quelli politicamente schierati a destra.
Opposizione
da destra a sinistra
Alla vigilia della Seconda guerra mondiale, un gruppo di
opposizione alla sinistra scientifica – la Society for Freedom in Science
(SFS) – iniziava a formarsi attorno allo zoologo di Oxford John R. Baker,
e a un emigrato dalla Germania nazista, il chimico Michael Polanyi.
Entrambi condividevano una profonda paura e disgusto per l’Unione Sovietica,
sostenevano sorpassati e reazionari punti di vista su eugenetica e razza (nel
caso di Baker) ed economia (Polany era membro del ristretto circolo di Fridrich
von Hayek). Tuttavia, queste profonde motivazioni politiche vennero in larga
parte soppresse sino alla fine del conflitto mondiale, in favore di attacchi
pubblici alla visione bernalista della funzione sociale della scienza, nonché
alla necessità di una “scienza pianificata”. Baker e Polany vedevano nel
bernalismo sia una denigrazione della “scienza pura” – un mero strumento
per soddisfare primarie necessità umane come cibo, riparo e vestiti- sia quale
pericolo per la libertà individuale degli scienziati di decidere degli
oggetti di ricerca, delle metodologie e conclusioni da perseguire. Non
sorprende che definita la scienza come separata da qualsiasi applicazione
pratica e base politica, o motivazione commerciale, la SFS attirasse numerosi
accademici, sopratutto scienziati, ma anche molti dei principali storici della
scienza britannici. In effetti, le cinque proposizioni della Society circa la
libertà scientifica erano talmente anodine che persino Joseph Needham si
sentiva di sottoscriverle.
Uno scienziato che rifiutò di unirsi alla SFS era il
segretario della Royal Society, Sir A.V. Hill. Hill non era certo un
simpatizzante della sinistra scientifica. Già nel 1933, durante la
sua Huxley Memorial Lecture, si “rallegrava” della libertà inglese – “non
possiamo immaginare altrimenti, a dispetto di tutti i nostri giovani comunisti
e fascisti” – ammonendo i giovani scienziati circa i pericoli dell’immischiarsi
in politica. Né il suo parere riguardo il Visible College sarebbe mutato in
positivo assistendo alla sua crescente influenza a Cambridge e nei media. Ciò
nonostante era convinto esistessero modi più efficaci per contenere il
bernalismo rispetto all’opporvisi pubblicamente. Come ebbe a scrivere, nel
1941, a un sostenitore del SFS:
Haldane e Blackett,
pur con tutte le loro bizzarre nozioni politiche, sono membri utili e
cooperativi del Consigli della Royal Society: sono sicuro che così sarà per
Bernal e Hogben quando verrà il loro turno di servire, dato che si sono sempre
dimostrati della massima utilità ogniqualvolta interpellati su questioni
scientifiche. Li possiamo tenere in riga meglio cooperandovi negli affari
scientifici, anziché prendendo formalmente posizione contro le loro idee
politiche in nome della scienza.
Il suo collega Sir Henry Dale concordava e rammentava
cortesemente a Baker e Polany che, dal momento che l’URSS combatteva Hitler
(salvando la Gran Bretagna), sarebbe stato controproducente per la Royal
Society sostenere quella che esplicitamente, sebbene in sordina, si configurava
come un’organizzazione antisovietica e anticomunista.
Ma le preoccupazioni riguardo alla repressione stalinista, e
l’acritico supporto da parte degli scienziati comunisti per la scienza
industrializzata sovietica, erano presenti anche nella sinistra scientifica.
Tra i membri del Visible College, Lancelot Hogben era il meno intrigato dal
marxismo sovietico. Aveva da tempo rigettato il materialismo dialettico in
quanto filosoficamente incoerente e inutile per gli scienziati. L’esecuzione di
Bucharin lo angosciava profondamente, ma era ancor più inquieto dalla
promozione, da parte dell’Unione Sovietica e di Bernal, di quelli che
considerava valori capitalistici nelle sfere della produzione e del consumo.
Come i cosiddetti socialisti “utopisti” della generazione precedente, Hogben
era convinto che le necessità umane non potessero essere valutate in termini di
“preferenze del consumatore”, né che la loro soddisfazione richiedesse la
distruzione della terra, al fine di creare il “paradiso della chimica” altamente
urbanizzato prefigurato da Bernal. Tuttavia, Hogben era conscio che la sua
visione di una società socialista “più verde” e agile, avrebbe avuto scarsa
attrattiva, almeno in assenza di “una vasta riforma dei contenuti
dell’educazione, finalizzata a dotare la ricerca della conoscenza di un
nuovo senso di rilevanza sociale”. In proposito, quantomeno, egli andava a
braccetto con gli umanisti scientifici degli anni Venti.
Joseph Needham condivideva la visione globale di Bernal
molto più di Hogben, ma la sua preoccupazione riguardo l’impatto di quello che
definiva “oppio scientifico” sulle prospettive e l’agire dei marxisti sovietici
e dei bernalisti era, se possibile, ancor più profonda. Needham vedeva le due
componenti di questa sostanza inebriante come “spietate” rispetto
a deviazioni e imperfezioni, e “cieche” ai “numinosi” aspetti
dell’esperienza umana. Egli temeva che una simile mentalità potesse “troppo
facilmente applicarsi ai disadattati e ai deviazionisti nell’ordine mondiale
socialista”, e si interrogava:
Dobbiamo sostituire
all’oppio della religione un oppio della scienza? È sempre stata la convinzione
tacita dei riformatori sociali e di coloro impegnati nell’applicazione pratica
della conoscenza scientifica che attraverso lo sforzo umano, non solo il male minore,
bensì anche quelli maggiori dell’esistenza possano essere superati. Ciò è ben
espresso nella grandiosa affermazione di Marx: “I filosofi hanno discusso a
lungo sull’universo; è giunto il momento di cambiarlo”. Ma il problema del male
non è di così agevole soluzione.
Eppure, Needham ancora sosteneva (perlomeno nel 1935) che
“il comunismo fornisce la teologia morale adeguata ai nostri tempi”.
Il carattere scientista del bernalismo, in particolare la
sua fusione col marxismo, destava anche l’allarme del classicista comunista
Benjamin Farrington. Il marxismo di quest’ultimo si era sviluppato nella
lontana Città del Capo, molto prima del suo ritorno in Gran Bretagna alla metà
degli anni Trenta. Egli ebbe modo di venire a contatto con diverse tendenze e tradizioni
marxiste, non solo quelle provenienti dall’Unione Sovietica. Così, al suo
ritorno a Londra, rimase sorpreso dal fatto che:
… almeno la meta dei
marxisti che ho avuto modo di incontrare erano scienziati. Ma… il loro marxismo
era di un tipo particolare. Essi sembravano convinti che il marxismo avesse
origine nelle… scienze fisiche, e poco consapevoli del retroterra sociale e
filosofico… Ho trovato un ottimismo totale circa il marxismo [come] la teoria
in grado di dare alla scienza la sua opportunità… Sembrava che la scienza e il
marxismo avessero un legame assoluto – che fossero la stessa cosa.
Un tale restringimento delle fonti e delle prospettive
rendeva difficile, a coloro che abbracciavano un marxismo di ispirazione
sovietica, l’impegno in un dibattito critico, in quanto socialisti, circa punti
di vista alternativi e schemi nuovi e promettenti. Ad esempio, l’esposizione
agli scritti di Gramsci sulla natura e gli effetti dell’egemonia capitalistica
– i valori e i punti di vista della cultura dominante sia all’interno che al di
là della scienza – avrebbero dovuto condurre a una valutazione più autocritica
della teoria e pratica della sinistra scientifica, in particolare il tipo di
critiche fornite da Hogben, Needham e Farrington riguardo ai valori da essa
veicolati. Tuttavia, quand’anche una simile tradizione alternativa fosse stata
più accessibile, la sinistra scientifica non avrebbe avuto l’energia e l’impeto
di confrontarvisi in seguito alla Seconda guerra mondiale.
Una guerra
“giusta”?
Per il Visible College e i suoi seguaci si
trattava generalmente di una “guerra giusta”. Personalmente un certo
numero di loro ha contribuito in maniera significativa allo sforzo bellico.
Bernal e Blackett, per esempio, ottennero straordinari successi e riconoscimenti
per il lavoro compiuto nel nuovo campo della ricerca operativa, rispettivamente
presso l’ammiragliato e il Combined Operations di Mountbatten. Needham
istituì l’Ufficio di cooperazione scientifica sino-britannica a Chunking,
un’esperienza che non solo avrebbe cementerto la sua “storia d’amore” con la
civiltà cinese, ma l’avrebbe ispirato, in seguito,a fare pressione a favore di
un più ampio e progressivo internazionalismo scientifico all’interno
dell’UNESCO. Persino Hogben, l’ex-obiettore di coscienza, divenne colonnello
coll’incarico di riorganizzare il settore della statistica medica dell’esercito
britannico. Quali che fossero le loro funzioni – nessuna delle quali implicava
lo sviluppo di armamenti – fecero un buon uso collettivo della loro esperienza esercitando
pressioni sul governo, attraverso Tots and Quots e la AScW, a
favore di un impiego più efficace della scienza e dei consiglieri scientifici
in tempo di guerra. In seguito, con l’avvicinarsi della fine del conflitto, si
misero a lavoro così da garantire che né i politici, né l’opinione pubblica,
potessero ignorare la lezione della “guerra degli scienziati”.
Al di là dei loro trionfi e soddisfazioni circa la condotta
e i risultati di guerra, essa costituì un’esperienza amara per tutti coloro che
vi presero parte. L’opportunità di passare dalle futili manifestazioni
antifasciste a una propositiva azione contro Hitler era ovviamente
gratificante, così come la possibilità di mettere in pratica alcune delle loro
idee riguardo la pianificazione scientifica. D’altra parte, come notato più
tardi da Bernal, “la sola occasione di mettere in qualche modo in pratica le
mie idee nel mondo reale è stato al servizio della guerra. E, per quanto si
trattasse di una guerra che ho sentito allora, e sento tutt’ora andasse vinta,
il suo carattere distruttivo ha offuscato e viziato in me il piacere di
essere un membro attivo dell’umanità”. Analogamente, la soddisfazione politica
di vedere gli antiscientifici nazisti sconfitti dall’Armata rossa del
socialismo scientifico doveva essere bilanciata con la creazione, e l’uso, di
quell’amaro frutto della fisica nucleare e dell’ingegneria bellica che è stata
la bomba atomica. Gli scienziati potrebbero anche non aver “conosciuto il
peccato” in seguito a Hiroshima, ma persino Bernal – un incurabile ottimista
scientifico – rimase sconvolto da questa “sciagurata scoperta”. La bomba,
ovviamente, ha segnato un momento cruciale nelle relazioni sociali e
internazionali della scienza – nonché per le fortune politiche della sinistra
scientifica.
Bilanci del
dopoguerra
La “guerra dei trent’anni” del XX secolo si è conclusa con
un enorme massacro di civili che è stato anche uno spettacolare trionfo
d’ingenuità tecno-scientifica. ma ha anche inaugurato importanti cambiamenti
storici. variamente descritti come: 1) la realizzazione, a lungo ritardata,
delle speranze suscitate dalle rivoluzioni del 1848 di una riforma del
capitalismo e del coronamento della libertà nazionale; 2) il sorgere di
“un’epoca dell’oro” del capitalismo globale sotto l’egemonia statunitense, un
“lungo boom” durato sino agli inizi degli anni Settanta; 3) “la fine dei sette
o otto millenni di storia umana iniziati con l’invenzione del’agricoltura
nell’età della pietra, considerato che – entro la fin del secolo – una maggioranza
della popolazione mondiale non vive più coltivando cibo e allevando bestiame.
Per il Visible College, queste trasformazioni si dimostrarono essere dei
benefici di natura assai mista, dei quali ebbero esperienza tra il 1945 e il
1956 come di una serie di bilanci politici, scientifici, intellettuali,
personali e storici interconnessi e spesso drammatici.
Politicamente, in un primo momento si ebbe una situazione
molto incoraggiante per i socialisti europei che fossero socialdemocratici o
comunisti. La liberal democrazia aveva prevalso contro il fascismo in europa
occidentale. Le principali economie capitaliste venivano riformate attraverso
la diffusa accettazione della necessità della pianificazione economica statale,
nonché di politiche miranti alla piena occupazione. Per quanto il nazionalismo
economico, che aveva tanto afflitto l’economia mondiale nella precedente meta
del secolo, fosse ancora assai presente, i suoi effetti venivano
sostanzialmente moderati dal supporto USA alla ricostruzione delle economie
“occidentali” (Giappone incluso). Il risultato di queste politiche illuminate,
sia nazionali che internazionali, fu un’onda lunga di crescita economica senza
precedenti. Una prosperità che assicurava – sebbene non l’ispirasse – la
creazione dello “stato sociale”, il quale sponsorizzò una maggiore mobilità
sociale e potenziò i servizi sociali su entrambe le sponde dell’Atlantico. Gran
parte del merito per questi progressi è dovuto alla rinascita della sinistra
nel primo dopoguerra, in particolare in Francia, Italia e, naturalmente, Gran
Bretagna dove il governo laburista di Attlee giunse al potere nel 1945 con un
ampissimo mandato per il suo programma socialdemocratico. A est, i comunisti e
i loro compagni di viaggio potevano rincuorarsi del nuovo status di
superpotenza dell’Unione Sovietica, dell’adesione di comunisti e socialisti al
governo in Europa orientale e, fatto ancor più spettacolare, il successo
della rivoluzione comunista in Cina nel 1949. Si trattava anche dell’epoca
nella quale i grandi imperi coloniali europei iniziavano a dissolversi.
Per quanto incoraggianti, agli occhi della sinistra europea,
questi sviluppi erano accompagnati dal molto meno gradito avvento della Guerra
fredda. La risposta americana a quella che era percepita come una significativa
minaccia sovietica (e in seguito sino-sovietica) prese rapidamente forma nel
periodo 1947-1950, con la costituzione della NATO, col Piano
Marshall, oltre a una serie di iniziative culturali confluite infine sotto
l’ombrello del Congress for Cultural Freedom (CCF) – con la CIA a reggere
i cordoni della borsa. Questi programmi USA erano concepiti non solo come
cuscinetti contro “la cospirazione comunista mondiale”, ma contro le rivolte
sociali e il nazionalismo anti-americano negli stati clienti. Nel frattempo,
Stalin si muoveva altrettanto rapidamente e più brutalmente per affermare il
controllo sui “satelliti” est europei attraverso il Patto di Varsavia, oltreché
rafforzando la repressione politica in URSS. La detonazione di un ordigno
atomico da parte dell’Unione sovietica nel 1949 era una risposta inevitabile al
maggiore potere militare ed economico degli USA. Sia la superpotenza
capitalista che quella comunista – e i seguaci dei rispettivi campi – erano
ormai fermamente divenuti warfare state impegnati in una costosa e pericolosa
corsa agli armamenti nucleari.
Una delle prime vittime della Guerra fredda è stata la
sinistra europea: i membri della sua al comunista rapidamente marginalizzati
come simpatizzanti stalinisti, spie e sovversivi; quella socialdemocratica al
contempo, irrevocabilmente disillusa dal comunismo sovietico, e
costretta a destra dalla paura di apparire “morbida” nei confronti del
comunismo. Nell’epoca in bianco e nero dei due campi contrapposti, delle due
culture, i comunisti europei pagarono il prezzo del loro leale supporto a
Stalin e all’Unione Sovietica, cessando di essere una forza politica maggiore
per decenni. Lealtà che inizio a erodersi rapidamente nel 1956,
quando Nikita Chruščëv rivelò, nei dettagli, i crimini di Stalin e la
complicità del partito, rivelazione devastante per i comunisti britannici.
Tali sviluppi economico-politici trasversali influirono
ampiamente, provocando cambiamenti nel dopoguerra, sui rapporti sociali della
scienza britannica – con risultati ambivalenti per quanto riguarda la sinistra
scientifica. Dal lato positivo della bilancia, “la Gran Bretagna ora si vedeva
come una nazione scientifica, e gli argomenti per più scienza nella vita
nazionale, associati in particolare con la sinistra scientifica, erano ormai
luoghi comuni”. Il governo centrale finanziò una massiccia espansione dei
posti universitari, specialmente in campo scientifico, tecnologico e
medico(STM), con corrispondente incremento della ricerca scientifica di “base”
e “applicata”. La ricerca civile prosperava, sia nei grandi progetti basati sul
partenariato pubblico-privato, sia nelle più affermate industrie
tecno-scientifiche, in particolare nel settore farmaceutico. Si ebbero alcune
spettacolari innovazioni intellettuali nei laboratori accademici, non ultimi
quelli di alcuni allievi di Bernal nel campo della biologia molecolare. Questa
nuova e crescente comprensione del ruolo strategico della scienza in una
società capitalista socialmente riformata godeva di supporto bipartisan in
parlamento, ma proveniva soprattutto dal Partito laburista, sia nel’immediato
dopoguerra che ai tempi dei governi di Harold Wilson negli anni Sessanta.
(L’ultimo riaffermarsi di una socialdemocrazia a guida tecnocratica doveva
qualcosa alle pressioni di Bernal e Blackett). Alla maggiore attenzione, e
finanziamenti, accordati dai governi al campo degli STS, si accompagnava un
crescente ruolo e influenza politici per consiglieri scientifici e per la
“lobby della scienza2 più in generale.
L’effetto culturale di tutta questa attenzione e larghezza
nazionali consisteva nel legittimare ulteriormente gli intellettuali
scientifici come commentatori rispettati sulla società britannica, allo stesso
livello dei letterati e degli umanisti liberali. I membri del Visible College
non potevano che essere felici di ricoprire un simile alla BBC. Inoltre, essi
iniziavano a prendere il loro posto in prima linea nella promozione di forme
più progressive di internazionalismo scientifico. All’UNESCO, Joseph Needham
patrocinava ambiziosi piani finalizzati sia ad assistere i paesi del terzo
mondo nello sviluppo di proprie capacità scientifiche, che la ricerca
nell’ambito della storia della scienza globale. Contemporaneamente, un’alleanza
anglo-francese, guidata da Bernal, Blackett e Joliot-Curie, stabiliva nel 1946
la World Federation of Scientific Workers (WFSW), con l’obiettivo di
promuovere la pace e l’uso pacifico della scienza.
Il contrappunto della Guerra Fredda a simili progressi è
stata la crescente militarizzazione e segretezza della scienza, la rivelazione
della totale ipoteca della biologia sovietica da parte di Lysenko e la completa
rottura del fronte popolare degli scienziati, formatosi nel periodo
d’anteguerra, sia in Gran Bretagna che a livello internazionale. La crescita
del warfare state britannico significava che, per la metà degli anni Cinquanta,
il 60 per cento del totale degli investimenti inglesi in ricerca e sviluppo era
destinato a fini militari. A parte l’assorbimento di manodopera, risorse e
obiettivi strategici, l’aumento del ricorso a competenze tecniche a fini di
difesa (oltreché commerciali) comportava anche restrizioni senza precedenti
alla libertà di pubblicazione, movimento e parola di numerosi lavoratori
scientifici. Le preoccupazioni circa la sicurezza nazionale servivano anche da
giustificazione per il progetto di bomba atomica britannica – la più
spettacolare espressione della scienza capitalistica del dopoguerra.
Quali che fossero i vantaggi politici acquisiti dalla
sinistra scientifica in seguito alla crescente paura di un conflitto nucleare,
essi vennero in gran parte vanificati dalla sua associazione con l’ex
alleato della Gran Bretagna, divenuto nemico da un giorno all’altro, l’Unione
Sovietica, e più specificamente gli effetti del “totalitarismo” sulla libertà
scientifica. Il trionfo finale del lysenkoismo nel 1948 non poteva giungere in
un momento peggiore, specialmente per i membri comunisti del Visible College
che tentavano di comprendere e difendere – in particolare nel contesto della
crescente isteria anticomunista – l’indifendibile soppressione della genetica
ortodossa. A questo punto Baker, Polany e la SFS erano liberi di levarsi il
guanto di velluto e colpire quello che era sempre stato il tallone d’Achille
del bernalismo: la disastrosa e ora fatale equazione tra scienza pianificata
sotto il socialismo e qualsiasi cosa avvenisse in URSS. I componenti più
moderati del fronte popolare degli scienziati anteguerra iniziavano a tirarsi
fuori da precedenti coinvolgimenti con la sinistra scientifica. Le critiche
pubbliche alle politiche del governo britannico, in particolare la sua
sponsorizzazione della bomba e la sempre maggiore militarizzazione del settore
ricerca e sviluppo, si ridussero drasticamente. Dopotutto, perché affondare la
barca? Come candidamente ammesso da un barone della scienza del
dopoguerra, questo era il periodo “nel quale decidevamo che avrebbe dovuto
esserci un enorme innalzamento nei finanziamenti alla ricerca
universitaria – una differenza di dieci volte tanto. Questo era una sorta di
luna di miele per gli scienziati, e ovviamente, quando sei in luna di miele non
inizi una protesta politica”.
Le iniziative internazionali della sinistra scientifica non
ebbero esito migliore. Needham e i suoi ambiziosi piani per l’UNESCO vennero
progressivamente marginalizzati e infine accantonati, in buona parte in seguito
a pressioni statunitensi. La WFSW non fu mai in grado di estendersi al di là
della sua base anglo-francese, sino a quando non venne tardivamente sostenuta
dai sovietici nei primi anni Cinquanta, il che ne assicurò la stigmatizzazione
quale “fronte” comunista dalla limitata influenza periferica. Nel frattempo, la
destra scientifica diveniva globale, nel momento in cui Michael Polany –
spalleggiato dal temibile intellettuale e crociato della Guerra fredda, nonchè
cane da guardia americano della cultura inglese, Edward Shils – stabiliva
il Committee for Science and Freedom ad Amburgo nel 1953. Il CSF era
affiliato al for Cultural Freedom, il quale a sua volta finanziava la
fondazione del più famoso prodotto degli anticomunisti scientifici, la rivista
internazionale Minerva.
Per gli studiosi del campo degli STS uno degli aspetti più
affascinanti della Guerra fredda culturale consiste nel modo in cui le varie
sotto-discipline si sono formate e costituite a partire dalle lotte politiche
all’ordine del giorno. Ancora una volta, dal punto di vista della sinistra
scientifica britannica, i risultati istituzionali e intellettuali erano
ambivalenti. La storia della scienza, in un primo momento a Cambridge e in
seguito più diffusamente, è stata fondata su di una storiografia esplicitamente
anti-marxista e “internalista”. Lo storico Herbert Butterfield, il cui
principale passatempo è sta definito da Noel Annan “l’intrigo accademico”, era
l’architetto di tale trasformazione. In qualità di leader del conservatorismo militante
del dopoguerra, un conservatorismo “radicale, riverente nei confronti del
cristianesimo, irriverente col liberalismo e sprezzante con i socialisti”,
Butterfield dirottò il Cambridge History of Science Committee durante la
guerra e lo riempì di storici della scienza simpatetici con la Society for
Freedom in Science. Egli era anche desideroso di escludere gli scienziati da
questa impresa, poiché, a suo modo di vedere, non avrebbero mai compreso la
storia. Il suo insediamento avveniva nel momento più opportuno, dato che alla
facoltà di scienze di Cambridge era stata infine presa la decisione di fare
della storia della scienza una matteria d’esame obbligatoria. La sua mossa
successiva fu di escludere dal curriculum qualsiasi opzione al di fuori della storia
della scienza intesa come movimento trainato dai successi di alcuni geni,
isolati e aristocratici. Fornì, inoltre, un libro di testo iconico, che
concentrava l’attenzione, per il successivo mezzo secolo, sulla decisamente
inglese rivoluzione scientifica del XVII secolo. Consolidare la disciplina in
questi termini richiedeva, da una parte, la protezione della nascente
British Society for the History of Science dalla maligna influenza di
scienziati e storici di inclinazione marxista, e dall’altra, la nomina di un
protetto fidato incaricato di portare avanti la controrivoluzione di
Butterfield. Quest’ultimo requisito soddisfatto con la nomina del suo allievo
Ruppert Hall alla prima cattedra ufficiale di storia della scienza a Cambridge.
Hall soddisfaceva al meglio le aspettative di Butterfield, considerata la sua
tesi di dottorato sulla balistica del XVII secolo – la quale negava l’influenza
delle esigenze militari (nel senso di Hessen) su Galileo e colleghi. Allo
stesso tempo, promettenti storici della scienza marxisti come Sam Lilley e
Stephen Mason non trovavano posti adeguati. Non sorprende che nel 1962 Hall si
sentiva di affermare trionfalmente che “le spiegazioni esternaliste della
storia della scienza hanno perso il loro interesse così come ogni capacità
interpretativa”.
Altri aspetti del lavoro della sinistra scientifica sui
rapporti sociali della scienza sarebbero sopravvissuti e fioriti, ma non prima
degli anni Sessanta. In Gran Bretagna, il revival della prospettiva bernalista
sulla politica scientifica e sulla formazione, all’epoca del governo
Wilson, ha portato alla creazione di quelli che erano destinati a
essere centri dedicati agli “studi scientifici” concepiti in senso tecnocratico
– la Science Policy Research Unit a Sussex, la Science Studies Unit
dell’Università di Edimburgo e il Liberal Studies dello Science
Department di Manchester. Quantomeno in questo senso, il Bernal
di Social Function può essere accreditato come il padrino
intellettuale degli studi sociali del movimento scientifico in Gran Bretagna.
La tardiva influenza di Bernal si fece sentire, più o meno nello stesso
periodo, anche in Unione Sovietica, quando alcuni responsabili della politica
scientifica sovietici mostrarono crescente preoccupazione circa il ritardo
nella performance scientifica dell’URSS. Sfruttando il prestigio di Bernal come
campione di lunga data del comunismo sovietico, tennero importanti conferenze
basate sulla sua Storia della scienza e, più particolarmente, le sue
idee riguardo la natura della “rivoluzione scientifico-tecnologica” del
dopoguerra. In tal modo, le idee di Bucharin e Hessen – bandite per oltre
trent’anni in URSS – trovavano la via del ritorno verso la società che le aveva
originariamente ispirate.
Come ci si può aspettare, il bilancio personale per i membri
del Visible College era in delicato equilibrio fra onore e disonore, coraggio e
ostracismo e continuità e svolte con un persistente attaccamento alle loro
varie tipologie di socialismo. Si trattava, come rammentato da Hobsbawm, “di un
brutto periodo per essere comunista nelle professioni intellettuali”. Tanto per
iniziare, il loro status accademico nel dopoguerra raramente coincise con i
loro risultati scientifici. Che il Birkbeck College – la più umile tra le
istituzioni dell’Università di Londra – fosse un importante rifugio in momenti
critici della carriera di Hogben, Blackett, Bernal e poi
David
Bohm, è indicativo di tale mancata coincidenza. Si ebbe anche una rapida
caduta dell’influenza politica dal 1948 in poi, non da ultimo per Bernal e
Blackett, ai quali – nonostante il conferimento delle più alte onorificenze
civili del governo americano – ben presto venne negato l’ingresso negli Stati
Uniti in quanto ritenuti pericolosi sovversivi. Queste alcune delle ricompense
per il loro coraggio (o follia se si preferisce) nell’esprimere idee impopolari
sulla condotta della scienza durante la Guerra fredda, con la conseguenza non
solo dell’emarginazione politica nell’ambiente della scienza britannica, ma
anche di feroci campagne di stampa contro alcuni di loro. Un effetto, perlomeno
indiretto, di tali vicissitudini è stata l’initeressante discontinuità di
alcune carriere: l’abbandono da parte di Blackett della fisica nucleare per la
geofisica; il passaggio di Needham dalla biochimica alla storia della scienza
cinese; e il trasferimento di Haldane in India dove passò il resto dei suoi
giorni a capo dell’Indian Statistical Unit. Come questi percorsi indicano, i
componenti del Visible College divennero molto più interessati al ruolo della
scienza nella promozione dello sviluppo del terzo mondo. Tuttavia c’era anche
continuità con i loro interessi anteguerra nella storia della scienza, il
ruolo della guerra nello sviluppo scientifico e, più in generale, il contributo
che i lavoratori scientifici avrebbero potuto dare all’avanzamento del
benessere sociale. ancor più importante, come ebbe a dirmi Joseph Needham nel
maggio 1968, “mi viene da pensare che tutti coloro i quali, negli anni Trenta,
hanno creduto che le scienze naturali avrebbero alla loro perfetta
fruizione in una società socialista, probabilmente, lo pensano tutt’ora”.
Dopo aver esaminato la traiettoria e le realizzazioni della
sinistra scientifica – i suoi trionfi e le sue tragedie – cosa dire del suo
lascito e del suo significato storici, politici e intellettuali? Senza dubbio,
la sua eredità più rilevante è stata l’incoraggiamento a una maggiore
integrazione della scienza nella vita economica, politica e culturale del capitalismo
britannico. Attraverso il suo successo nell’organizzare i lavoratori
scientifici, la sua pionieristica analisi dei rapporti sociali nel campo
della scienza, il suo contributo allo sforzo bellico e l’attività
lobbistica nei confronti del governo, la sinistra scientifica ha fornito gli
argomenti e le condizioni che hanno rafforzato altre tendenze favorevoli
alla crescita della scienza, tendenze risalenti alla Prima guerra mondiale. In
conseguenza di ciò, le risorse tecnico-scientifiche sono state ampliate, il
potere politico e lo status culturale delle élite scientifiche è aumentato, e
la necessità di comprendere i rapporti sociali della scienza ha finalmente
condotto all’istituzionalizzazione e professionalizzazione degli STS.
Si tratta, ovviamente, di una “eredità ambigua e
problematica”. I proventi economici del investimento del dopoguerra nella
rivoluzione tecnico-scientifica si sono dimostrati deludenti, in parte a causa
del suo modello unidimensionale d’innovazione basato sull'”impulso della scienza”,
in parte a causa della scoperta per cui rendimenti migliori possono essere
ottenuti attraverso progressi non scientifici, ad esempio, la qualità del
management. Inoltre, la stretta integrazione della scienza accademica nelle
politiche pubbliche non è stata un puro beneficio, in particolare per
quelli come Bernal e Polany la cui mentalità scientifica si era formata
negli ambienti, estremamente liberi, della cristallografia a raggi x degli anni
Venti. Sorprendentemente uniti nel dopoguerra dal disincanto rispetto
agli effetti della segretezza del governo e commerciale sulla libertà dello
scambio scientifico, i due vecchi antagonisti si trovavano a fare causa
comune nei loro separati appelli a porre fine alla militarizzazione della
scienza, nonché alla riforma delle leggi sui brevetti, al fine di incoraggiare
la libera circolazione delle informazioni scientifiche e un più rapido
avanzamento della conoscenza. Tuttavia, nessuno dei due si mostrò pubblicamente
schietto quanto Lancelot Hogben, il quale condannò la crescente natura
autoritaria dell’educazione scientifica e il soffocante clima intellettuale di
molti laboratori universitari.
L’eredità politica derivante dalla creazione di
una scienza globale pianificata e capitalistica, in particolare quella fiorente
nel contesto del warfare state, era se possibile, ancor più preoccupante per i
futuri socialisti. Come osservato da Patrick Petitjean, “il bernalismo ha
trionfato col capitalismo. La sua analisi della funzione sociale della scienza
non contraddice il capitalismo… Cosa ne è dunque del socialismo?” Innanzitutto,
come una sempre più larga percentuale di lavoratori scientifici trovava impiego
al di fuori dei centri d’élite della scienza accademica, la probabilità di
un loro impegno nelle lotte socialiste si restringevano. Questo divenne il
destino della AScW. Come risultato dell’incremento, fra i suoi membri, di
lavoratori di organizzazioni industriali e governative – principalmente tra i
tecnici anziché tra i laureati in scienze – gli obiettivi politici divenivano
sempre più centristi, sino al suo assorbimento nel 1968 in un sindacato ancora
più mainstream. La sempre più stretta identificazione delle attività
tecnico-scientifiche con la guerra nucleare aveva appannato, in modo
permanente, l’immagine bernalista della scienza come forza intrinsecamente
progressiva, segnando la fine di una tradizione assai antica. “Con Bernal, una
linea di profeti che risaliva indietro, attraverso Huxley e Condorcet, a
Bacon, giungeva a termine”; di qui il giudizio di Jerry Ravetz su Bernal quale
“figura tragica” nella storia della scienza. A partire dagli anni Sessanta la
politica degli scienziati socialisti iniziò a basarsi sull'”uso/abuso di un
modello di scienza il quale concepiva quest’ultima come una forma socialmente innocente
di conoscenza, immune da interessi e valori, una casta vittima dell’abuso
altrui.
Quest’immagine di una scienza socialmente “pura” no nera poi
cosi differente da quella spacciata dalla tradizione dominante degli STS negli
anni Cinquanta e Sessanta. I nuovi centri di studi scientifici ereditavano una
concezione della scienza essenzialmente tecnocratica, intesa come oggetto di
politiche e di applicazione – depurata della sua funzione critica e di
qualsivoglia orpello marxista – mentre gli storici della scienza internalista
continuavano a ridurre l’impresa scientifica sino alla sua essenza più
immateriale e idealistica. Uno dei più incisivi critici dell’internalismo
rimaneva Joseph Needham. Egli si dilettò nel rimproverare gli internalisti come
manichei ai quali “non piace ammettere che gli scienziati hanno un corpo,
mangiano e bevono, e conducono una vita sociale tra il oro simili, ai cui
problem pratici non possono rimanere indifferenti”. Più seriamente, egli
imputava loro il rigetto di una storia della scienza più socialmente orientata,
da cui l’incapacità a spiegare perché la scienza moderna avesse avuto
origine nell’Europa del XVII secolo e non altrove – non come risultato
della pura casualità o dell’assunto razzista che solo il genio europeo fosse all’altezza
di un simile compito. Ciò che Needham non contestava era la stessa distinzione
esternalista/internalista (E/I), distinzione che avrebbe strutturato la pratica
degli storici per i seguente quarto di secolo. Come giustamente sostenuto da
Steven Shapin, questo discorso si è costruito su una grande incoerenza di
teorie e concetti, incompiuti e irrisolti, la quale ha condotto la disciplina
in una serie di vicoli ciechi e dibattiti infruttuosi. Ciò che Shapin ha
probabilmente sottostimato è quanto gli storici marxisti, nel corso della
Guerra Fredda, si siano visti costretti ad adottare una simile rettorica –
invece di ignorarla modellando una propria storiografia esplicitamente
post-Hesssen e anti E/I – semplicemente come strategia per essere ascoltati o
pubblicati. Anche una tale mossa non è stata sufficiente a salvarli, laddove
qualsiasi cosa anche remotamente “esternalista” veniva immancabilmente bollata
come “marxista”.
Questa dunque l’eredità lasciata dalla sinistra scientifica
britannica, eredità ben presto raccolta e trasformata dal movimento della
scienza radicale negli anni Settanta. Il supporto dalla vecchia sinistra ad
alcuni aspetti chiave della ridefinizione della scienza britannica avvenuta nel
dopoguerra, rendeva certo che la nuova sinistra avrebbe dovuto rompere coi suoi
predecessori, dovendosi confrontare con nuove sfide e lottare per sviluppare
prospettive inedite. Nel far questo, il prossimo movimento guarderà più a
Needham che a Bernal, come guida in questo suo percorso.
Título original en
inglés: “The Marxist Critique of Capitalist Science: A History in Three
Movements?