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Karl Marx ✆ Natalia Rizzo
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Antiper | Sul rapporto tra marxismo e
filosofia sono state scritte intere biblioteche. Il “dilemma” è ricondotto alla
questione, posta dai filosofi “di professione”, dell’insufficiente, nascosto,
frainteso o addirittura mistificato “statuto filosofico” del marxismo. Nel
parlare di marxismo e filosofia si va da chi afferma che il vero problema del
marxismo è l’assenza di uno spazio filosofico specifico a chi afferma che un
po’ di buona filosofia c’è, ma bisogna disseppellirla da sotto una montagna di
deformazioni economicistiche, storicistiche, umanistiche, a chi sostiene che in
Marx è posto in modo esauriente il problema filosofico fondamentale. E così
via.
Più in generale i filosofi vogliono più
filosofia. E' normale: gli economisti vogliono più economia, i sociologi più
sociologia, ecc… Raramente si ricorda che una delle acquisizioni fondamentali
di Marx consiste proprio nel superamento della divisione disciplinare della
conoscenza (si potrebbe dire, della “divisione del lavoro nel campo della
conoscenza”) e nell’inaugurazione di un nuovo approccio ai problemi filosofici,
economici, storici, sociali, ecc…
«il
marxismo non si lascia collocare in nessuno dei comparti tradizionali del
sistema delle scienze borghesi, e anche se si intendesse approntare
appositamente per esso... un nuovo comparto chiamato sociologia, esso non vi
rimarrebbe tranquillamente, ma continuerebbe a uscirne per infilarsi in tutti
gli altri. “Economia”, “filosofia”, “storia”, “teoria del diritto e dello
Stato”, nessuno di questi comparti è in grado di contenerlo, ma nessuno di essi
sarebbe al sicuro dalle sue incursioni se si intendesse collocarlo in un altro» [1].
La maggior parte dei filosofi critica
“benevolmente” Marx (chi più chi meno), mentre riserva un trattamento ben
diverso al povero Friedrich Engels, “reo” di un supposto scivolamento
“positivistico” e della riduzione della filosofia ad epistemologia che
naturalmente i filosofi non materialisti – che sono poi la gran parte dei
filosofi - vedono letteralmente come fumo negli occhi. La colpa che questi
filosofi non possono perdonare ed Engels (e a Marx) è quella di aver sancito la
fine della filosofia come principale strumento di conoscenza
«La
filosofia intera, nel senso che finora si è dato a questa parola, è finita. Si
lascia correre la ‘verità assoluta’ che per questa via e da ogni singolo
isolatamente non può essere raggiunta, e si da la caccia, invece, alle verità
relative accessibili per la via delle scienze positive e della sintesi dei loro
risultati a mezzo del pensiero dialettico. Con Hegel ha fine, in modo generale,
la filosofia» [2].
Al contrario, i filosofi preferiscono
lasciar correre le “verità relative accessibili per la via delle scienze
positive e della sintesi dei loro risultati a mezzo del pensiero dialettico”
per correre dietro a verità più o meno “assolute” raggiunte, ovviamente, nel
campo del più puro pensiero e in totale assenza di qualsiasi riscontro pratico.
C'è da dire che la rivendicazione della
giovanile rottura con Hegel compiuta da Engels nel suo piccolo saggio [3] è
anch'essa a tutti gli effetti un “atto filosofico” e questo vuol dire che
esiste ancora uno spazio filosofico.
Il punto è che una conoscenza puramente
filosofica, non supportata da altre forme di conoscenza, è una conoscenza che
non conosce o che conosce solo in modo parziale ed inefficace.
La
rottura con la propria antecedente concezione
Nel 1857, scrivendo l’introduzione a Per la critica dell’economia politica (che
uscirà due anni dopo), Marx ricorda il periodo in cui lui ed Engels decisero di
scrivere l’Ideologia tedesca
«Decidemmo
di mettere in chiaro, in un lavoro comune, il contrasto tra il nostro modo di
vedere e la concezione ideologica della filosofia tedesca, di fare i conti, in
realtà, con la nostra anteriore coscienza filosofica. Il disegno venne
realizzato nella forma di una critica alla filosofia posteriore ad Hegel» [4].
Da questa frase ricaviamo 2 elementi di
riflessione. Il primo riguarda il fine (“fare
i conti con la nostra anteriore coscienza filosofica”); il secondo riguarda il
mezzo - e al tempo stesso l’occasione, lo spunto - (la “critica alla filosofia
posteriore ad Hegel”).
Nell'Ideologia
Tedesca giunge a maturazione un passaggio decisivo (quella che Althusser
definirà un po' enfaticamente una vera e propria “rottura epistemologica” [5])
ovvero la comprensione che la trasformazione della società non può avvenire per
effetto di una battaglia delle sole idee e che la base materiale - economica e
sociale - è il vero terreno su cui si gioca ogni trasformazione.
E' necessario dunque abbandonare il terreno
esclusivamente filosofico (tanto più quello di matrice idealista che fa
discendere la realtà da un'Idea che si colloca “a priori”6 rispetto ad essa)
per abbracciare il terreno della lotta politica. E' la prima tesi su Feuerbach:
“Il difetto principale di ogni materialismo
fino ad oggi, compreso quello di Feuerbach, è che l'oggetto, il reale, il
sensibile è concepito solo sotto la forma di oggetto o di intuizione; ma non
come attività umana sensibile, come attività pratica, non soggettivamente. E'
accaduto quindi che il lato attivo è stato sviluppato dall'idealismo in
contrasto col materialismo, ma solo in modo astratto, poiché naturalmente
l'idealismo ignora l'attività reale, sensibile come tale. Feuerbach vuole
oggetti sensibili realmente distinti dagli oggetti del pensiero; ma egli non
concepisce l'attività umana stessa come attività oggettiva. Perciò nell'Essenza
del cristianesimo egli considera come schiettamente umano solo il modo di
procedere teorico, mentre la pratica è concepita e fissata da lui soltanto
nella sua raffigurazione sordidamente giudaica. Pertanto egli non concepisce
l'importanza dell'attività "rivoluzionaria", dell'attività
pratico-critica” [7]
In realtà gli studi di economia politica di
Marx sono già iniziati da tempo (almeno dal primo soggiorno parigino) e hanno
portato alla stesura di appunti generalmente noti come Manoscritti parigini del
1844 (successivamente definiti, appunto, “economico-filosofici”). In
questi manoscritti Marx ha già maturato la propria idea fondamentale anche se
la sua realizzazione pratica (i manoscritti) è ancora largamente influenzata
dai temi e dai linguaggi della propria formazione filosofica. Del resto, come
scrive Althusser, anche le Tesi su Feuerbach, che costituiscono “l’estremo
margine anteriore” della rottura epistemologica di Marx lasciano trasparire
“dentro la vecchia coscienza e dentro il vecchio linguaggio, e quindi in
formule e in concetti per forza disequilibrati ed equivoci”, “la nuova
coscienza teorica”.
Con l’Ideologia
tedesca [8] e le Tesi su Feuerbach [9] Marx ed Engels
portano a compimento la rottura con la propria antecedente concezione e
cominciano ad incamminarsi verso nuova concezione: la concezione materialistica
della storia. Ma per comprendere come si arriva a questo passaggio fondamentale
è necessario fare alcuni passi indietro.
L'eredità
di Hegel
Il rapporto di Marx (ed Engels) con Hegel è
un rapporto molto significativo che segue un processo tortuoso: dall’originaria
adesione, seppur fugace, si passa infatti ad una prima fase critica e,
successivamente, al superamento. Si tratta, come è noto, di un superamento “in
senso hegeliano” (aufhebung [10])
ovvero di un superamento-mantenimento basato su una critica dialettica del
pensiero di Hegel e dei suoi discepoli “di sinistra”
«Il
pensiero di Marx deve essere compreso a partire da quello di Hegel. Senza
comprensione filosofica - e non soltanto storica o sistematica - della
filosofia di Hegel non vi è profonda comprensione di Marx e del marxismo» [11].
«Il
rapporto Hegel-Marx risulta assai complesso e oggetto di divergenti
interpretazioni critiche, poiché mentre alcuni studiosi (ad esempio Lukács)
hanno sottolineato soprattutto le relazioni di continuità fra i due pensatori,
altri (ad esempio Althusser), hanno insistito soprattutto sui nessi di rottura» [12].
Forse è più corretto dire che quello con
Hegel è un rapporto che contiene sia elementi di continuità, sia elementi di
rottura, e che in definitiva non si interrompe mai
“Le
prospettive interpretative emerse grazie alla pubblicazione della nuova
edizione storico-critica (MEGA2) aprono nuovi orizzonti - se non altro per
quanto riguarda la periodizzazione, come si è visto. Si è definitivamente preso
atto dell’esistenza di una stratificazione interna anche per quanto riguarda
l’interpretazione di Hegel: si sono individuate sostanzialmente due letture, la
prima giovanile, direttamente influenzata dalla sinistra hegeliana e dalla
temperie culturale del Vormärz; la seconda risalente al 1857, periodo in cui
Marx scrive il primo grande abbozzo complessivo della teoria del modo di
produzione capitalistico; Marx asserisce che rileggere la Scienza della logica
gli è stato di grande aiuto per quanto riguarda il metodo (cfr. lettera a
Engels del 16 gennaio 1857, in Marx, Engels, 1973, pp. 259 s.)” [13]
C'è un passo molto importante della
Prefazione alla seconda edizione del Capitale in cui Marx spiega la differenza
fondamentale tra la sua dialettica e quella di Hegel (che definisce
mistificatrice)
“Per
il suo fondamento, il mio metodo dialettico, non solo è differente da quello
hegeliano, ma ne è anche direttamente l'opposto. Per Hegel il processo del
pensiero, che egli, sotto il nome di Idea, trasforma addirittura in soggetto
indipendente, è il demiurgo del reale, mentre il reale non è che il fenomeno
esterno del processo del pensiero. Per me, viceversa, l'elemento ideale non è
altro che l'elemento materiale trasferito e tradotto nel cervello degli uomini”.
Al tempo stesso, in questa stessa
Prefazione Marx dichiara di aver voluto “civettare” con il linguaggio di Hegel
nell'esposizione della sua teoria del valore
“Ho
criticato il lato mistificatore della dialettica hegeliana quasi trent'anni fa,
quando era ancora la moda del giorno. Ma proprio mentre elaboravo il primo
volume del Capitale i molesti, presuntuosi e mediocri epigoni che ora dominano
nella Germania colta si compiacevano di trattare Hegel come ai tempi di Lessing
il bravo Moses Mendelssohn trattava lo Spinoza; come un “cane morto”. Perciò mi
sono professato apertamente scolaro di quel grande pensatore, e ho perfino
civettato qua e là, nel capitolo sulla teoria del valore, col modo di
esprimersi che gli era peculiare. La mistificazione alla quale soggiace la
dialettica nelle mani di Hegel non toglie in nessun modo che egli sia stato il
primo ad esporre ampiamente e consapevolmente le forme generali del movimento
della dialettica stessa. In lui essa è capovolta. Bisogna rovesciarla per
scoprire il nocciolo razionale entro il guscio mistico.
Nella
sua forma mistificata, la dialettica divenne una moda tedesca, perchè sembra va
trasfigurare lo stato di cose esistente. Nella sua forma razionale, la
dialettica è scandalo e orrore per la borghesia e pei suoi corifei dottrinari,
perchè nella comprensione positiva dello stato di cose esistente include
simultaneamente anche la comprensione della negazione di esso, la comprensione
del suo necessario tramonto, perché concepisce ogni forma divenuta nel fluire
del movimento, quindi anche dal suo lato transeunte, perché nulla la può
intimidire ed essa è critica e rivoluzionaria per essenza.” [14]
Quali sono i meriti principali che Marx
riconosce ad Hegel?
«1) per
aver concepito l’uomo in un'ottica storica e come risultato della propria
attività, ossia come «processo di auto-generazione;
2) per aver
sottolineato in tale processo auto-formativo l’importanza del lavoro;
3) per aver
inteso tale processo in termini di alienazione e soppressione dell’alienazione;
4) per aver evidenziato «la dialettica
della negatività come principio motore e generatore», ossia per aver intuito
che la liberazione scaturisce dialetticamente dall’oppressione, in quanto
l’unico modo di realizzarsi, per l’uomo, consiste nel negare le condizioni che
negano il proprio essere.
Ed i
principali limiti?
Tuttavia, sebbene Hegel, in tal modo, abbia
colto «l’espressione astratta, logica, speculativa per il movimento della
storia», i suoi limiti consistono sostanzialmente:1) nell'aver ridotto l’individuo ad
«autocoscienza» o «spirito», mettendo quindi, al posto dell’uomo reale,
l’essenza astratta di esso;
2) nell'aver considerato soprattutto il
lavoro spirituale e «speculativo», quale si incarna nella figura del filosofo;
3) nell’aver inteso l’alienazione e la
dis-alienazione come delle operazioni ideali, che si consumano a livello
coscienziale e filosofico e non sul piano pratico;
4) nell'aver identificato l’alienazione con
l’oggettivazione del soggetto, non rendendosi conto che ciò che aliena
l’individuo non è l'oggettivazione in quanto tale, attuata tramite il lavoro,
ma quell’oggettivazione negativa e disumanizzante che è propria del lavoro
operaio nella società capitalistica» [15].
Invece
«se l'alienazione economica è un fatto
reale, che sta alla base di tutte le altre alienazioni, soprattutto di quella
politica e di quella religiosa, l’unico modo per abbatterla, secondo Marx, è
l’atto reale, e non puramente pensato, della rivoluzione e dell’instaurazione
del socialismo, inteso come “umanismo giunto al proprio compimento”» [16].
***
Negli anni '30 dell'800 Hegel è
l'indiscussa autorità intellettuale della Germania e già prima della sua morte
si produce una divisione all’interno della sua scuola tra un gruppo
“accademicamente autorevole” che sostiene
«...la
necessità di una conciliazione sempre più stretta fra religione e filosofia e
di uno sviluppo della nota dottrina della coincidenza tra reale e razionale» [17]
ed un gruppo di giovani che
«...sostenevano
la non coincidenza tra religione e filosofia, la completa autonomia di
quest’ultima nonché il suo diritto a portare l’analisi e la critica in
qualsiasi campo del pensiero. In campo politico negavano la razionalità del
reale e l’ottimalità dell’ordine esistente, per sostenere invece il
diritto-dovere della filosofia di criticare le istituzione politiche e sociali»
[18]
In un articolo del 1837 David F. Strauss,
che con la sua Vita di Gesù (1835)
aveva avuto grande influenza nell’ambiente filosofico tedesco, riprende una
dicotomia che era stata introdotta per la prima volta all'epoca della
Rivoluzione Francese definendo “destra” gli accademici e “sinistra” i giovani,
di cui egli stesso peraltro si considera parte.
Con il poderoso sviluppo industriale degli
anni '40 anche in Germania si sviluppano le nuove classi sociali
“capitalistiche”, borghesia e proletariato. La “destra” hegeliana si colloca a
difesa dell'assolutismo mentre la “sinistra” diviene espressione del
liberalismo borghese in ascesa.
Diversamente da quanto avviene in Francia,
dove lo scontro è già apertamente politico e il proletariato trova la propria
embrionale espressione politica nel “socialismo utopistico” degli Owen, dei
Saint-Simon, dei Fourier, dei Proudhon... lo scontro in Germania resta
confinato soprattutto al terreno filosofico e lo scontro con l'assolutismo
viene portato solo in modo indiretto attraverso l'attacco alla religione che ne
costituisce uno dei pilastri culturali.
Nel 1848 Marx sostiene la necessità di
un'alleanza tra le istanze proletarie (che dovrebbero essere rappresentate dal
nascente movimento comunista) e quelle borghesi-liberali nella realizzazione
una rivoluzione democratica contro l'autocrazia. Lo strumento politico di
questa alleanza dovrebbe essere un giornale, la Nuova Gazzetta Renana.
Ma la borghesia tedesca, spaventata dalla
forza crescente della classe operaia, decide invece di allearsi con
l'aristocrazia e non contro, ciò che conduce alla sconfitta della rivoluzione
o, per meglio dire, ad una sua versione “bastarda”, in cui il ruolo politico
della borghesia viene riconosciuto in alleanza e non in opposizione
all'aristocrazia prussiana (la quale ha deciso opportunamente di cedere una
parte per non dover cedere tutto). Un importante insegnamento anche per la
storia che sarebbe venuta poi.
Il
reale e il razionale
Lo scontro politico in Germania, si è detto,
si manifesta nella forma dello scontro tra due diverse interpretazioni della
filosofia hegeliana. Da un lato l'enfatizzazione del sistema da parte della
destra; dall'altro, l'enfatizzazione del metodo da parte della sinistra. In
particolare, lo scontro teoretico si concentra dalla nota assunzione di Hegel
secondo cui
«Tutto
ciò che è reale è razionale e tutto ciò che è razionale è reale».
Premesso che
“...per
Hegel non è il reale in senso empirico - che in tedesco è “realität” - ma è la
“wirklichkeit”, cioè la storia effettiva depurata delle nostre proiezioni, che
è razionale” [19]
Questo vuol dire che la razionalità del
reale, per Hegel, è proprio la razionalità del processo storico così come esso
si determina effettivamente, aldilà dei nostri giudizi o delle nostre
aspirazioni.
La destra interpreta l’affermazione di
Hegel come una sorta di legittimazione per via filosofica dell’assolutismo
tedesco e della religione cristiana, ovvero dei due elementi che più di ogni
altro caratterizzano la “realtà” tedesca a cavallo tra ‘700 e ‘800.
Engels dirà
«Questa
era manifestamente, infatti, l’approvazione di tutto ciò che esiste, la
consacrazione filosofica del dispotismo…» [20]
La sinistra, invece, usa Hegel per
indirizzare la propria battaglia culturale soprattutto contro la religione (non
avendo la forza politica e sociale per puntare direttamente contro lo Stato) e
non a caso gli autori giovane-hegeliani si misurano prevalentemente con il
terreno teologico.
Aldilà del tentativo di dare ad Hegel
addirittura patenti di anti-capitalismo (Preve, Fusaro), la verità è che,
nonostante la simpatia mai rinnegata verso alcuni aspetti della Rivoluzione
Francese, Hegel non è molto amante delle rivoluzioni e specialmente di quelle
più radicali
“Le
rivoluzioni liberali in Francia e in Belgio lo riempiono di orrore, ma a
Berlino riesce a tenere lontane dall'università tutte le agitazioni politiche:
egli si attiene ancora scrupolosamente ai Decreti di Karlsbad, i decreti
statali che hanno stabilito lo scioglimento delle corporazioni studentesche, la
censura sulla stampa e il controllo sulle università” [21]
Del resto Hegel non fa mistero della sua
preferenza verso la Monarchia che, nella forma Costituzionale, considera
addirittura l'insuperabile (assoluta) forma istituzionale
“La
monarchia costituzionale come meta della storia. - Il perfezionamento dello
Stato a monarchia costituzionale è l'opera del mondo moderno, nel quale l'Idea
sostanziale ha guadagnato la forma infinita” [22].
“Secondo
Hegel la monarchia costituzionale è l’unione del principio monarchico, di
quello aristocratico e del democratico [*]” [23]
Non è per caso, dunque, che lo Stato
prussiano decida di elevare la filosofia di Hegel al rango di “filosofia di
stato” facendo in modo che i suoi discepoli di destra assumano la guida di
quasi tutte le università tedesche.
***
Prima domanda: cosa intende Hegel quando
afferma che “il reale è razionale”?
Secondo la “filosofia della storia”
hegeliana “la ragione governa il mondo” e la storia del mondo è un percorso ininterrotto
di salita dagli stadi più arretrati a quelli più avanzati della razionalità
umana, un percorso indirizzato verso il raggiungimento dell'Idea Assoluta.
“L'esposizione
più compiuta si trova nelle Lezioni sulla filosofia nella storia, che furono edite
da Eduard Gans e dal figlio, Karl Hegel. Hegel afferma una tesi davvero
singolare: “La ragione governa il mondo”. E spiega: siccome la storia è opera
dello spirito oggettivo, quindi dello stesso Assoluto, e sappiamo che questo
non può agire che in modo razionale, ecco la dimostrazione. Anche quando si
verifica un male, dice Hegel, si tratta solo di un male transitorio e
necessario, perché anch'esso concorre alla realizzazione di un bene maggiore.
L'idea di un progresso lineare, tipica dell'illuminismo, viene qui sostituita
da quella di un progresso dialettico, che contiene sempre un lato negativo
necessario.
“Noi
vediamo - scrive Hegel - un enorme quadro di eventi e di azioni, di
infinitamente varie formazioni di popoli, stati, individui, in un succedersi
instancabile... dappertutto vengono proposti e perseguiti fini... Diffuso su
tutti questi eventi e casi noi vediamo un umano agire e soffrire, una realtà
nostra dovunque e perciò dovunque una inclinazione o un'avversione del nostro
interesse... Talora vediamo il più vasto corpo di un interesse generale
procedere con maggiore difficoltà, e disgregarsi lasciato in preda ad infinito
complesso di piccoli rapporti; talora vediamo nascere il piccolo da un enorme
dispiegamento di forze, e l'enorme da ciò che appariva insignificante... e se
una vien meno, ecco che un'altra ne prende il posto”.
Hegel prosegue, asserendo che la prima
categoria che impariamo
“osservando
la vicenda di individui, popoli e stati, che per un certo tempo esistono... e
quindi scompaiono, è la categoria del mutamento”. “A questa categoria del
mutamento è però senz'altro connesso anche l'altro motivo, che dalla morte
sorge nuova vita”.”. [24]
Si potrebbe dire così: la realtà che
abbiamo di fronte è sempre razionale e si è realizzata perché non poteva che
realizzarsi. E il razionale è bene perché anche quando ci sembra che si
manifesti un male in realtà esso prepara un nuovo bene.
“Ciò
però che è necessario si rivela in ultima istanza anche come razionale, e
applicata allo Stato prussiano di allora la tesi di Hegel significa soltanto:
questo Stato è razionale, questo Stato corrisponde alla ragione, nella misura
in cui è necessario; e se esso ci appare cattivo e ciò nonostante continua ad
esistere, benché sia cattivo, la cattiva qualità del governo trova la sua
giustificazione e la sua spiegazione nella corrispondente cattiva qualità dei
sudditi. I prussiani d’allora avevano il governo che si meritavano” [25]
Ma il giustificazionismo di Hegel per ciò
che esiste proprio in quanto e solo esiste, non si ferma qui e conduce Hegel a
stabilire che in ogni guerra vince sempre quello che ha le idee migliori (e
quindi è giusto che vinca); così, quella che Marx chiama “ideologia dominante”
non domina ideologicamente in quanto ideologia della classe che domina
materialmente, ma in quanto “spirito dei tempi” (Zeitgeist), interprete più
genuina della realtà storica. Si potrebbe dire che qualsiasi sia l'evoluzione
del reale, per Hegel è del tutto indifferente: è sempre l'esito più giusto,
l'esito più razionale.
Questo approccio può forse aiutarci a
capire come mai molti tedeschi abbiano accettato l'Olocausto senza ribellarsi.
Oppure potrebbe indurci a ritenere che l'Olocausto, per proseguire con
l'esempio, fu un “male” per gli ebrei degli anni '40 che tuttavia preparò il
“bene” per gli ebrei dopo gli anni '40 in quanto costituì il fondamento di quel
Grande rimorso occidentale che avrebbe poi condotto alla concessione della
Terra Promessa di Israele.
E naturalmente potremmo proseguire dicendo
che il bene degli ebrei fu “dialetticamente” il male dei palestinesi a cui la
terra fu tolta. E anche dire che se i palestinesi venissero tutti uccisi dagli
ebrei questo potrebbe essere visto come un male (soprattutto dai palestinesi),
ma anche come un bene (per gli ebrei, che potrebbero stare più comodi nella
terra ormai diventata loro). E così via: gli esercizi di dialettica sono
ovviamente infiniti.
Si potrebbe infine concludere (qui non più
hegelianamente, bensì marxianamente) che in un mondo diviso in classi il bene di
una classe è il male dell'altra. E viceversa.
Nella filosofia della storia hegeliana non
è la storia ad essere il prodotto degli uomini (secondo il principio che fonda
la concezione materialistica della storia); al contrario, secondo la concezione
idealistica della storia, sono gli uomini ad essere il prodotto della storia la
quale segue un processo di sviluppo segnato fin dall'origine. Anche quando ci
appare il contrario, la storia ha una sua propria razionalità e muove, sia pure
dialetticamente, verso il progresso, verso la Ragione Assoluta, e questo
movimento è fatto anche di contraddizioni che finiscono poi per costituirne il
vero motore.
Dal momento che la storia ha già una
propria razionalità, non c'è alcun bisogno di introdurre altra razionalità attraverso
la nostra prassi. È inutile impegnarsi per modificare l'esistente: sarà la
storia a farlo dopo che avrà fatto il suo corso. In termini hegeliani: ciò che oggi non esiste –
non è reale – non è razionale (non può che non esistere). Ma magari diventerà reale (e dunque razionale) domani.
Tutto questo potrebbe essere interpretato
anche come una variante storicistica dell'imperscrutabilità del “disegno
divino”. Se nella classica domanda “perché, se Dio è buono e misericordioso,
lascia che bambini innocenti muoiano di fame, malattie e guerre?” e nella
classica risposta “il disegno del Signore è imperscrutabile e non possiamo
conoscerlo, ma è volto al bene” si sostituisce l'Idea di Hegel a Dio si può
tranquillamente procedere con fame, malattie e guerre. Tanto “è un male che
prepara il bene”. Per inciso, ci si potrebbe domandare come possiamo dire che
il disegno di Dio è volto al bene se non lo conosciamo. Ma fermiamoci qui.
***
Hegel sembra pensare che non esiste una
realtà fuori da un io razionale. Addirittura che nulla possa essere reale che
non sia razionale, pensabile razionalmente, che non sia Idea
“la
filosofia al contrario garantisce il giudizio che nulla è reale se non l'idea.” [26]
Anche se gli assomiglia, non è una
posizione “schopenhaueriana” (il mondo non esiste, esistono solo
rappresentazioni del mondo, necessariamente “soggettive”). Si tratta in ogni
caso di una posizione idealistica che si contrappone alla posizione
materialistica adottata da Marx per la quale esiste un reale che è indipendente
da noi (diciamo, un oggetto che prescinde dal soggetto che lo pensa) e persino
dalla nostra stessa conoscenza della sua esistenza (in fondo, gli atomi
esistevano anche quando nessuno sapeva ancora che esistessero).
Un'applicazione della razionalità del reale
Hegel la offre a proposito dello Stato vigente del quale intende spiegare la
razionalità, più che l'auspicabilità
“Così
dunque questo trattato, in quanto contiene la scienza dello stato, dev’essere
nient’altro che il tentativo di comprendere e di esporre lo stato come un
qualcosa entro di sé razionale. Come scritto filosofico esso non può far altro
che essere lontanissimo dal dover costituire uno stato come dev’essere;
l’insegnamento che in tale scritto può risiedere, non può tendere ad insegnare
allo stato com’esso dev’essere, bensì piuttosto com’esso, l’universo etico,
deve venir conosciuto” [27]
Ma Marx la pensa in modo diverso
“Hegel
non è da criticare perché descrive l’essenza dello Stato moderno, come essa è,
ma perché egli presenta ciò che è, per l’essenza dello Stato. Il fatto che il
razionale è reale, ha la sua prova proprio nella contraddizione
dell’irrazionale realtà che in ogni luogo è l’opposto di ciò che essa asserisce
ed asserisce l’opposto di ciò che essa è” [28].
Metodo
e sistema
Nella sua analisi del contributo filosofico
di Hegel, Engels evidenzia la contraddizione tra metodo e sistema ovvero il
contrasto tra la natura intrinsecamente non dogmatica del metodo e invece la
natura dogmatica del sistema filosofico hegeliano
«E
ciò pel semplice motivo che egli era costretto a costruire un sistema; e un
sistema di filosofia, secondo le esigenze tradizionali, deve conchiudersi con
una specie qualunque di verità assoluta» [29]
Hegel, scegliendo di costruire un sistema
capace di produrre una “verità assoluta” (l'“Idea assoluta”) finisce per
violare il proprio stesso metodo anti-dogmatico nel quale ogni verità (tesi)
può e deve essere confutata (antitesi) per addivenire, diciamo così, ad una
verità ancora “più vera”.
«Ma
alla fine di tutta la filosofia un cosiffatto ritorno al punto di partenza è
possibile solo per una via, cioè facendo consistere la fine della storia nel
fatto che il genere umano giunge alla conoscenza precisamente di questa idea
assoluta, e dichiarando che questa conoscenza dell’idea assoluta è raggiunta
nella filosofia hegeliana. Ma con ciò si dichiara verità assoluta tutto il
contenuto dogmatico del sistema hegeliano, in contraddizione col suo metodo
dialettico, che dissolve ogni elemento dogmatico; in questo modo il lato
rivoluzionario viene soffocato da una ipertrofia del lato conservatore. E ciò
che vale per la conoscenza filosofica, vale anche per l’attività pratica
storica» [30].
Giungendo alla “verità assoluta” Hegel
mette fine allo scopo stesso della filosofia che è il perseguimento della
sempre maggiore conoscenza della verità. E dunque, anche se può apparire
paradossale, è proprio la definizione di un sistema chiuso e completo a
produrre una sorta di fine della (storia della) filosofia
«In
tutti i filosofi l’elemento caduco è proprio il “sistema” e precisamente perché
emana da un bisogno imperituro dello spirito umano, il bisogno di rimuovere
tutte le contraddizioni. Ma rimosse che siano, una volta per sempre, tutte le
contraddizioni, siamo arrivati alla cosiddetta verità assoluta, la storia
universale è finita, eppure bisogna che essa prosegua, sebbene non le resti più
niente da fare; il che è una nuova, insuperabile contraddizione” [31].
“La
filosofia intera, nel senso che finora si è dato a questa parola, è finita. Si
lascia correre la ‘verità assoluta’ che per questa via e da ogni singolo
isolatamente non può essere raggiunta, e si da la caccia, invece, alle verità
relative accessibili per la via delle scienze positive e della sintesi dei loro
risultati a mezzo del pensiero dialettico. Con Hegel ha fine, in modo generale,
la filosofia» [32].
Questo passo spiega i motivi d'odio dei
filosofi nei confronti di Friedrich Engels il quale, con una certa qual
decisione, decreta il proprio congedo dalla filosofia in quanto strumento
principe della conoscenza umana e si dice convinto che lo spazio della
filosofia venga ormai a coincidere sostanzialmente con quello
dell'epistemologia e con la sintesi, attraverso la dialettica, dei risultati
conseguiti dalle scienze positive (economia, antropologia, storia, scienze
sociali, scienze naturali, ecc…).
La filosofia è sempre più solo uno degli
strumenti del sapere dell'uomo; spesso, neppure il più importante. Si tratta
certamente di un passaggio radicale che forse può essere letto in modo più
morbido tenendo conto di alcuni elementi:
— La ricerca della verità non può
realizzare il proprio obbiettivo attraverso la sola speculazione filosofica, ma
è indispensabile l'apporto sempre più decisivo delle conoscenze scientifiche.— La verità assolute esistono, come pensa
Hegel, ma sono spesso irraggiungibili e devono essere pensate come asintoti ai
quali tendere progressivamente attraverso verità relative sempre più accurate.— A differenza del sistema hegeliano, in
cui il raggiungimento dell'Idea Assoluta costituisce necessariamente la fine
della storia (e soprattutto della filosofia, che avendo ormai raggiunto il suo
obbiettivo non avrebbe più nulla da fare), con la concezione materialistica la
storia non finisce mai.
La
nottola di Minerva
Per Hegel, la filosofia ha solo la funzione
di analizzare, comprendere e giustificare (alla luce della razionalità del
reale) ciò che è già avvenuto e non di prefigurare ciò che ancora non è
avvenuto
«Del
resto, a dire anche una parola sulla dottrina di come dev’essere il mondo, la
filosofia arriva sempre troppo tardi. Come pensiero del mondo, essa appare per
la prima volta nel tempo, dopo che la realtà ha compiuto il suo processo di
formazione ed è bell’e fatta. Questo, che il concetto insegna, la storia
mostra, appunto, necessario: che, cioè, prima l’ideale appare di contro al
reale, nella maturità della realtà, e poi esso costruisce questo mondo
medesimo, colto nella sostanza di esso, in forma di regno intellettuale. Quando
la filosofia dipinge a chiaroscuro, allora un aspetto della vita è invecchiato,
e, dal chiaroscuro, esso non si lascia ringiovanire, ma soltanto riconoscere:
la nottola di Minerva inizia il suo volo sul far del crepuscolo» [33].
Per Hegel la filosofia arriva alla “fine della
giornata”, quando la realtà del giorno ha già avuto corso. E quindi la funzione
della filosofia non può essere quella di indirizzare le cose del mondo, ma solo
quella di ricapitolare gli insegnamenti che l'evoluzione del reale ci consegna,
di interpretare il mondo.
«Paragonando
la filosofia alla civetta di Minerva Hegel intende sottolineare che la
filosofia non può dire qualcosa di astratto sul futuro, perché è piuttosto un
soppesare ed un riflettere su quello che c’è, su quanto ci proviene dal passato.
La filosofia è quindi un tentativo di impadronirsi della situazione storica, di
far propria la situazione sociale, culturale che è ora diventata la nostra. Ma
questo non significa però che non possiamo dire assolutamente nulla sul futuro,
anche perché nel presente ci sono tensioni che richiedono una soluzione, ci
sono difficoltà che già offrono prospettive di soluzione e quindi a partire dal
presente possiamo già avanzare delle congetture sul futuro, anche se è poi
impossibile passare dalla supposizione ancora oscura ad una visione concettuale
precisa e distinta dell’avvenire» [34].
Dunque si tratta solo di spiegare lo
sviluppo del reale evidenziandone la razionalità, non certo di trasformarlo.
«Una
volta appurato che la realtà è ragione, e che tutto ciò che avviene è
razionale, si tratta di stabilire qual è il compito della filosofia. Hegel lo
riscontra nel semplice prendere atto della realtà quale è, e non deve
prefiggersi di trasformare la realtà, come dirà Marx. La filosofia, essendo la
più alta e compiuta manifestazione dell’Assoluto, non può essere presente in
ogni stadio del pensiero umano, ma solo alla fine del percorso, quando la
realtà è già compiuta e non vi è più nulla da trasformare. Ecco dunque che la
filosofia altro non deve se non giustificare perché la realtà è strutturata in
questo modo, e dimostrarne la razionalità, elaborandone i concetti. La
filosofia secondo Hegel è la "nottola di Minerva" che scende sul
mondo a giorno fatto e da senso a ciò che è stato»
[35].
Difficile misurare una differenza più
radicale con la prima delle tesi su Feuerbach
«I
filosofi hanno solo interpretato il mondo in modi diversi; si tratta però di
mutarlo» [36].
La
critica della “critica critica” e Feuerbach
Dopo una prima fase Marx ed Engels
cominciano a distaccarsi dall'approccio giovane-hegeliano e attraverso una
serie di passaggi sempre più precisi (e attraverso alcuni testi fondamentali
come la Sacra famiglia, l’articolo sulla Questione ebraica, la seconda e la
terza parte dell’Ideologia tedesca)
consumano il proprio distacco non solo da Hegel o da qualcuna delle sue scuole,
ma dall'intera impostazione idealistica.
Il punto di svolta è l'apparizione sulla
scena filosofica dell'Essenza del cristianesimo di Ludvig Feuerbach.
È nota la grande influenza esercitata da
Feuerbach su Marx, Engels ed altri ambienti dell’intellettualità tedesca
«Allora
apparve l’Essenza del cristianesimo di Feuerbach. D’un colpo essa ridusse in
polvere la contraddizione, rimettendo sul trono senza preamboli il
materialismo. La natura esiste indipendentemente da ogni filosofia; essa è la
base sulla quale siamo cresciuti noi uomini, che siamo pure prodotti della
natura; oltre alla natura e agli uomini, non esiste nulla, e gli esseri più
elevati che ha creato la nostra fantasia religiosa sono soltanto il riflesso
fantastico del nostro proprio essere. L’incanto era rotto; il «sistema» era
spezzato e gettato in un canto; la contraddizione era rimossa, in quanto
esistente soltanto nell’immaginazione. Bisogna aver provato direttamente
l’azione liberatrice di questo libro, per farsi un’idea di essa. L’entusiasmo
fu generale: in un momento diventammo tutti feuerbachiani. Con quale entusiasmo
Marx salutasse la nuova concezione e quanto ne fosse influenzato, - malgrado
tutte le riserve critiche, - lo si può vedere leggendo La sacra famiglia» [37].
Ma ben presto anche la concezione
materialistica di Feuerbach si rivelerà troppo angusta.
Inizia così un percorso di critica che si
concluderà nel biennio 1846-47 con la stesura dell’Ideologia tedesca e delle Tesi su Feuerbach. Quello
che si completa non è un “semplice” distacco da una particolare concezione
filosofica (idealismo hegeliano o materialismo feuerbachiano); è, piuttosto, il
definitivo abbandono della metafisica e il definitivo distacco dalla filosofia
intesa come suprema via per il raggiungimento della verità
«La
questione se al pensiero umano appartenga una verità oggettiva non è una
questione teorica, ma pratica. È nell’attività pratica che l’uomo deve
dimostrare la verità, cioè la realtà e il potere, il carattere terreno del suo
pensiero. La disputa sulla realtà o non-realtà di un pensiero che si isoli
dalla pratica è una questione puramente scolastica»
[38].
Anni dopo Engels dirà:
«In
entrambi i casi il materialismo moderno è essenzialmente dialettico e non ha
più bisogno di una filosofia che stia al di sopra delle altre scienze. Dal
momento in cui si esige da ciascuna scienza particolare che essa si renda conto
della sua posizione nel nesso complessivo delle cose e della conoscenza delle
cose, ogni scienza particolare che abbia per oggetto il nesso complessivo
diventa superflua. Ciò che quindi resta ancora in piedi, autonomamente, di
tutta quanta la filosofia che si è avuta sino ad ora è la dottrina del pensiero
e delle sue leggi, cioè la logica formale e la dialettica. Tutto il resto si
risolve nella scienza positiva della natura e della storia» [39]
Era inevitabile che una conclusione di
questo tipo (“Tutto il resto si risolve nella scienza positiva della natura e
della storia”) dovesse suscitare molte accuse, specialmente di positivismo.
Ed effettivamente Engels mostra di avere
una grande fiducia nelle scienze. Per lui, nel momento in cui le discipline
scientifiche incorporano un contenuto filosofico (nel senso che sono portate a
interrogare sé stesse in merito ai propri fondamenti epistemologici e nel senso
che sono portate a collocarsi rispetto al “nesso complessivo delle cose e della
conoscenza”) una filosofia come disciplina a sé stante finisce per perdere di
senso.
L'adozione di un approccio materialistico e
dialettico diventa il fondamento di una nuova filosofia della storia: posto che
le idee sono il prodotto della realtà la storia delle idee viene ricondotta,
sia pure a livello macroscopico, alla storia del modo in cui gli uomini hanno
riprodotto la propria esistenza ovvero alla storia dei modi di produzione e
riproduzione dell’esistenza umana.
«Gli
ideologi idealisti ritengono che le idee, la morale, la religione, la
filosofia… abbiano una esistenza e uno sviluppo indipendenti dalle condizioni
di vita materiali, e che possano influire in misura determinante sulla storia.
In realtà la produzione delle idee è direttamente intrecciata all’attività
materiale e alle relazioni materiali degli uomini, delle quali le idee non sono
che una emanazione più o meno immediata.
…ogni
concezione puramente ideologica, che non si renda conto dei presupposti reali
da cui è determinata, non può far altro che muoversi inconsapevolmente sulla
base di quei presupposti che vengono quindi accettati e giustificati» [40].
«La
concezione materialistica della storia deve invece risalire aldilà di tutte le
interpretazioni ideologiche e di tutte le forme politiche e giuridiche che si
sono avute finora e assumere come suoi presupposti gli individui storici, non
individui astratti o ideali, che vivono in società e in condizioni di esistenza
di volta in volta determinate. Gli uomini producono innanzitutto la loro vita
materiale.
…
L’ambiente crea l’uomo nella stessa misura in cui l’uomo crea l’ambiente…
…
tutte queste lotte pratiche e ideologhe non sono altro che le forme illusorie
nelle quali vengono condotte le lotte reali delle diverse classi» [41].
Ecco allora che diventa chiaro il
“rovesciamento di Hegel” di cui si è tante volte parlato. Non sono le idee che
producono la realtà, ma è la realtà che produce le idee. E questa produzione
non avviene “in vitro”, ma all'interno di ben precise esperienze di carattere
sociale e culturale.
“I
presupposti da cui muoviamo non sono arbitrari, non sono dogmi. Sono
presupposti reali, dai quali si può astrarre solo nell’immaginazione. Essi sono
gli individui reali, la loro azione e le loro condizioni materiali di vita,
tanto quelle che essi hanno trovato già esistenti quanto quelle prodotte dalla
loro stessa azione. Si possono distinguere gli uomini dagli animali per la
coscienza, per la religione, per tutto ciò che si vuole; ma essi cominciarono a
distinguersi dagli animali allorché cominciarono a produrre i loro mezzi di
sussistenza, un progresso che è condizionato dalla loro organizzazione fisica.
Producendo i loro mezzi di sussistenza, gli uomini producono indirettamente la
stessa loro vita materiale. Individui determinati che svolgono un’attività
produttiva secondo un modo determinato entrano in questi determinati rapporti
sociali e politici”.
“L’insieme
di questi rapporti di produzione costituisce la struttura economica della
società, ossia la base reale sulla quale si eleva una sovrastruttura giuridica
e politica e alla quale corrispondono determinate forme sociali della
coscienza. La produzione delle idee, delle rappresentazioni, della coscienza, è
direttamente intrecciata all’attività materiale degli uomini, linguaggio della
vita reale. Finora gli uomini si sono sempre fatti idee false intorno a se
stessi, intorno a ciò che essi sono o devono essere. In base alle loro idee, essi hanno regolato i loro rapporti. I parti della loro testa sono diventati più forti di loro. Come non
si può giudicare un uomo dall’idea che egli ha di se stesso, così non si può
giudicare un’epoca di sconvolgimento dalla coscienza che essa ha di se stessa;
occorre invece spiegare questa coscienza con le contraddizioni della vita
materiale, con il conflitto esistente tra le forze produttive della società e i
rapporti di produzione. D’altronde è del tutto indifferente quel che la
coscienza si mette a fare per conto suo: questi tre momenti – la forza
produttiva, la situazione sociale e la coscienza – possono e debbono entrare in
contraddizione tra di loro” [42]
Note
[1] Karl Korsch, Marxismo e filosofia,
Sugar, Milano, 1968, pagina 87. Cit. in Nicola Abbagnano, Storia della
filosofia, Vol. 3, Cap.10, Marx.
[2] Friedrich Engels, Ludovico Feuerbach e il punto di approdo della
filosofia classica tedesca, Autoproduzioni, 2013, pag. 9. http://www.filosofia.it/images/download/ebook/Engels_su_Feuerbach1888.pdf
[3] Il Ludovico Feuerbach.
[4] Karl Marx, Introduzione del 1857
a Per la critica dell’economia
politica.
[5] Louis Althusser, Per Marx,
Mimesis, 2008, pag. 33: “Che cosa ne è della filosofia marxista? Ha
teoricamente diritto all’esistenza? E se esiste il diritto, come definirne la
specificità? Nella pratica questo problema essenziale si trovava inserito in un
problema apparentemente storico, ma in realtà teorico: il problema della
lettura e dell’interpretazione delle opere giovanili di Marx. Non è un caso se
sembrò indispensabile sottoporre a un esame critico serio questi testi famosi,
che erano stati sbandierati e utilizzati da tutti, questi testi apertamente
filosofici in cui avevamo creduto, più o meno spontaneamente, di leggere la
filosofia di Marx in persona. Porre il problema della filosofia marxista e
della sua specificità a proposito delle opere giovanili di Marx significava per
forza porre il problema dei rapporti tra Marx e le filosofie che egli aveva
adottato o attraversato, quelle di Hegel e di Feuerbach, vale a dire porre il
problema della sua differenza. Fu appunto lo studio delle opere giovanili di
Marx a spingermi inizialmente alla lettura di Feuerbach e alla pubblicazione
dei suoi testi teorici più importanti del periodo 1839-45... La medesima
ragione doveva poi condurmi per forza di cose a studiare, nel particolare dei
loro rispettivi concetti, la natura dei rapporti tra la filosofia di Hegel e la
filosofia di Marx. Il problema della differenza specifica della filosofia
marxista assunse così una forma tale da chiedersi se esisteva o no, nello
sviluppo intellettuale marxiano, una rottura epistemologica tale che segnasse
il sorgere di una nuova concezione della filosofia, e il problema correlativo
del punto preciso di questa rottura. Nel campo di questo problema, lo studio
delle opere giovanili di Marx assunse un’importanza teorica (esistenza della
rottura?) e storica (luogo della rottura?) decisive. È chiaro che, per asserire
l’esistenza di una rottura e definire il luogo, non poteva trattarsi di
accettare, se non come dichiarazione da dimostrare, invalidare o confermare, la
famosa frase in cui Marx afferma questa rottura (“fare i conti con la nostra
anteriore coscienza filosofica”) collocandola così nel 1845 in corrispondenza
dell’Ideologia tedesca. Per provare i
titoli di validità di questa dichiarazione c’era bisogno di una teoria e di un
metodo: c’era bisogno di applicare a Marx stesso i concetti teorici marxistici
in cui può venire pensata in generale la realtà delle formazioni teoriche
(ideologia, filosofia, scienza). Senza la teoria di una storia delle formazioni
teoriche, non si potrebbe in effetti cogliere e definire la differenza
specifica che distingue due formazioni teoriche diverse. A questo scopo, ho
creduto di poter riprendere da Jacques Martin il concetto di problematica per
designare l’unità specifica di una formazione teorica e di conseguenza fissare
il luogo di questa differenza specifica, e da Gaston Bachelard il concetto di
“rottura epistemologica” per significare il mutamento avvenuto nella
problematica teorica, contemporaneo alla fondazione di una disciplina
scientifica. Che fosse necessario costruire un concetto e prenderne a prestito
un altro, non implica affatto che questi due concetti fossero arbitrari o
estranei a Marx; al contrario, anzi, si può dimostrare che sono presenti e
operanti nel pensiero scientifico marxiano, anche se la loro presenza resta il
più delle volte allo stato pratico. Con questi due concetti mi ero concesso
quel minimo di teoria indispensabile a consentire un’analisi pertinente del
processo di trasformazione teorica del giovane Marx e a giungere a una qualche
conclusione precisa. Mi sia consentito riepilogare qui, in forma estremamente
sommaria, alcuni risultati di uno studio che si protrasse lunghi anni e di cui
i testi che pubblico sono soltanto testimonianze parziali.
1)
Una “rottura epistemologica” senza equivoci è chiaramente presente nell’opera
di Marx, laddove Marx stesso la colloca, nell’opera non pubblicata mentre era
ancora in vita, che costituisce la critica della sua antica coscienza
filosofica (ideologica): L’ideologia
tedesca. LeTesi su Feuerbach, che non sono che poche frasi, segnano
l’estremo margine anteriore di questa rottura, il punto in cui, dentro la
vecchia coscienza e dentro il vecchio linguaggio, e quindi in formule e in
concetti per forza disequilibrati ed equivoci, traspare già la nuova coscienza
teorica.
2)
Questa “rottura epistemologica” riguarda congiuntamente due discipline teoriche
distinte. Creando la teoria della storia (materialismo storico) Marx, con un
unico e medesimo gesto, aveva rotto con la sua coscienza filosofica ideologica
anteriore e gettato le basi di una nuova filosofia (materialismo dialettico).
Riprendo appositamente la terminologia consacrata dall’uso (materialismo
storico, materialismo dialettico), per designare in una sola rottura questa
duplice creazione”.
[6] A priori, proprio in senso kantiano,
ovvero a prescindere dall'esperienza.
[7] Karl Marx, Tesi su Feuerbach, I,
1846.
[8] Scritta nel 1846 e pubblicata nel 1932,
come i Manoscritti del ‘44.
[9] Scritte nel marzo 1845 e pubblicate nel
1886 da Engels nella rivista di Kautsky, Neue Zeit.
[10] Cfr. Dizionario di Filosofia,
Treccani, Aufhebung: “Con questo termine Hegel esprime il carattere peculiare
del processo dialettico, il quale «nega», «supera» un momento, una categoria,
ecc., e, al tempo stesso, lo «eleva» e «conserva» in un ulteriore momento, in
un’ulteriore categoria, che quindi ne è l’inveramento e il completamento. La
negazione dialettica di un momento ne annulla dunque soltanto l’immediatezza, e
in effetti lo riafferma e lo compie in un grado superiore di svolgimento”.
[11] Kostas Axelos, Marx pensatore della
tecnica, Sugar, Milano 1963, pagina 433. Cit. in Nicola Abbagnano, Storia della
filosofia, Vol.3, Cap.10 “Marx”, 3. La critica al “misticismo logico” di Hegel.
[12] Nicola Abbagnano, Storia della
filosofia, Vol. III, Cap.10, “Marx”, 3. La critica al “misticismo logico” di
Hegel.
[13] Roberto Fineschi, Marx e Hegel,
Carocci, 2006, pag. 17.
[14] Karl Marx, Il Capitale, Editori
Riuniti, 1980, Pag.44.
[15] Nicola Abbagnano, Storia della
filosofia, Vol. III, Cap.10, “Marx”, 5. La critica dell’economia borghese e la
problematica dell’alienazione.
[16] Nicola Abbagnano, Storia della
filosofia, Vol. III, Cap.10, “Marx”, 5. La critica dell’economia borghese e la
problematica dell’alienazione.
[17] Sergio Moravia, Introduzione a
Marx. Scritti filosofici giovanili, pag. XIV, Fabbri editore.
[18] Ibidem.
[19] Remo Bodei, Hegel e la
dialettica, Il caffé filosofico, 0:47:01
[20] Friedrich Engels, Ludovico
Feuerbach e il punto di approdo della filosofia classica tedesca, in
Marx-Engels, Opere scelte, pag. 1105, Editori Riuniti.
[21] Diego
Fusaro, Hegel. Cronologia della vita e delle opere,
www.filosofico.net.
[22] Hegel, Lineamenti di filosofia
del Diritto, III Eticità, III Stato, Bompiani, 2006, pag. 463.
[*] Riferimento a Montesquieu: virtù
principio della democrazia, moderazione dell’aristocrazia, onore della
monarchia feudale. (pp. 467-469).
[23] Sintesi dei Lineamenti della
Filosofia del Diritto di Hegel, A cura di Carla Maria Fabiani,
www.filosofico.net
[24] Renzo Grassano, Hegel. Lo Stato e
la storia universale, filosofico.net.
[25] Friedrich Engels, Ludovico
Feuerbach e il punto di approdo della filosofia classica tedesca.
[26] G.W.F. Hegel, Lineamenti di filosofia
del diritto, Prefazione, Laterza, 1974, pag. 17.
[27] G.W.F. Hegel, Lineamenti di
filosofia del diritto, a cura di G. Marini, Roma-Bari 2001 (1999), pag. 15.
(cit. in Carla Maria Fabiani, Der Pöbel in Hegel, www.dialetticaefilosofia.it,
2007).
[28] K. Marx, Critica del diritto
statuale hegeliano, trad., cura e commentario di R. Finelli e F.S. Trincia,
Roma 1983, pag. 136. (cit.
in Carla Maria Fabiani, Der Pöbel in Hegel, www.dialetticaefilosofia.it, 2007).
[29]
Friedrich Engels, op.cit..
[30] Friedrich
Engels, op.cit..
[31]
Friedrich Engels, op.cit..
[32]
Friedrich Engels, op.cit..
[33] Hegel, Lineamenti di filosofia
del diritto, Laterza, Bari, 1965, pagg. 14-17.
[35] Il pensiero di Hegel, Wikipedia
[36] Karl Marx, XI tesi su Feuerbach.
[37] Friedrich Engels, Ludovico Feuerbach e
il punto di approdo della filosofia classica tedesca, Autoproduzioni, 2004
[38] Karl Marx, Tesi su
Feuerbach, II.
[39]
Friedrich Engels, Antidühring in Marx-Engels, Opere scelte, Editori
Riuniti, Roma, 1969, pagg. 998-999
[40] Marx-Engels, La concezione
materialistica della storia, Editori Riuniti, pag. 23.
[41] Ibidem, pag.24.
[42] Marxpedia.wikidot.com, Karl Marx,
Friedrich Engels, da Ideologia tedesca
(1846), I, passim, e da Prefazione a Per
la critica dell’economia politica (1859)