Tommaso Redolfi Riva | L’intento
delle pagine seguenti è quello di mostrare come il Marx teorico della forma di
valore sia in grado di approfondire e portare a fondamento i concetti centrali
della teoria critica di Adorno. Nei primi paragrafi (§§ 1-3) farò vedere che i
temi essenziali della sociologia critica di Adorno, in particolare il tema
dell’oggettività sociale e dell’autonomizzazione della società, trovano il
proprio centro esplicativo nel concetto di scambio quale astrazione reale.
Mostrerò poi che tale concetto rimane sostanzialmente indeterminato e privo di
una precisa fondazione teorica nell’opera di Adorno. Nei paragrafi successivi
(§§ 4-6) cercherò di mostrare che una fondazione dello scambio quale astrazione
reale può essere guadagnata con l’analisi della forma di valore sviluppata
dalla Neue Marx-Lektüre e in particolare da Hans-Georg Backhaus attraverso
un’attenta lettura della critica dell’economia politica di Marx [1].
1. Nella Dialettica
negativa, l’excursus su Hegel ha per titolo Spirito del mondo e storia
naturale. Quello che
appare come un dualismo tra la progressiva umanizzazione
del mondo – quindi realizzazione della libertà, storia – e la cieca necessità
della natura, ben presto si dà a vedere come una prosecuzione della natura
all’interno della storia, come una continuazione dell’eteronomia nella sfera
della vita storica: “la storia umana, il progressivo dominio sulla natura,
prosegue quella inconsapevole della natura”[2].
Lo spirito del mondo, che nelle pagine hegeliane della
filosofia della storia si mostrava come il progressivo processo di
realizzazione della libertà, è letto da Adorno quale luogo dell’affermazione
dell’universale a danno del particolare, momento di autonomizzazione di un
processo complessivo di contro alle singole azioni che lo compongono. Più in
particolare la critica alla logica hegeliana di universalità e particolarità si
specifica nel richiamo adorniano alla legge dell’accumulazione capitalistica
che si realizza per mezzo delle azioni individuali, e da esse si rende autonoma
e oggettiva. Per Adorno, Hegel ha individuato questo processo sovraindividuale
attraverso il concetto di spirito del mondo che per l’appunto “si disinteressa
dei viventi, di cui […] ha bisogno, così come questi possono esistere solo grazie
a quel tutto”[3], ma, invece di criticarlo nella determinatezza storica del
modo di produzione capitalistico, lo ha elevato a “ipostasi filosofica”[4], a
processo universale di affermazione della libertà.
Per Adorno, la filosofia di Hegel diventa in prima istanza
un grimaldello per la comprensione dell’imporsi di una struttura oggettiva, ma
nello stesso tempo oggetto di critica, in quanto eternizzazione, ipostasi, di
un processo storicamente determinato.
L’istanza critica che muove Adorno è di grande interesse: la
società dominata dal modo di produzione capitalistico si costituisce attraverso
una specifica struttura nella quale le singole azioni individuali si compongono
in un’oggettività che domina gli stessi agenti sociali. Nel modo di produzione
capitalistico si infrange la classica antitesi tra natura e storia. Una tale
antitesi è vera e falsa insieme: è vera in quanto la legalità che si impone
agli agenti sociali è un loro stesso costrutto e quindi è storica; è falsa in
quanto questa legalità prodottasi storicamente agisce sugli agenti proprio come
una legge della natura. Come afferma enfaticamente Adorno: “l’oggettività della
vita storica è quella di una storia naturale”[5].
2. Il tema della riproduzione della
necessità naturale all’interno della dimensione storica si presenta con forza
negli scritti sociologici. Adorno si riferisce alla società nei termini di una
“prosecuzione eteronoma della natura”[6] ; la società è una totalità, un
universale, essa è “preordinata a tutti i singoli soggetti, poiché questi anche
in se stessi ubbidiscono alla sua pressione”[7].
Proprio a causa del suo carattere di totalità oggettiva, per
Adorno, non è possibile definire la società a partire dai membri che la
compongono, considerarla di volta in volta come il concetto “dell’umanità
insieme a tutti i gruppi in cui si suddivide e di cui si compone”, oppure come
“totalità degli uomini che vivono in un certo periodo di tempo”. Questa
definizione formale, che procede astraendo dai particolari e costruendo un
concetto generale del quale tutti i particolari sono predicabili,
presupporrebbe che si parlasse di una “società di uomini”, quindi una società
umana nei termini di un soggetto autodeterminantesi. Si eluderebbe così “la
proprietà specifica della socialità” ovvero il “predominio sugli uomini di
rapporti di cui essi sono diventati, alla fine, i prodotti privi di qualsiasi
potere”[8]. Tra società e individuo esiste una contraddizione che non permette
di giungere al concetto generale attraverso i particolari che lo compongono.
Mentre i singoli uomini agiscono e si muovono per mezzo di posizioni di scopo,
la composizione di tali azioni realizza un processo oggettivo che eccede e si
impone alle singole posizioni di scopo. Ci troviamo di fronte ad una
costruzione umana che si colloca oggettivamente di fronte ai soggetti che
l’hanno costituita. Lo scopo della teoria dialettica della società è proprio
quello di mostrare che “la società – ciò che ha assunto esistenza propria,
autonoma – non è più comprensibile; è solo la legge di questa
autonomizzazione”[9].
Adorno rileva che “l’ideale conoscitivo della spiegazione
coerente” si rivela inadeguato alla cosa stessa, cioè alla società, perché essa
non è coerente: la società è intimamente contraddittoria perché si presenta
come un meccanismo autonomo di composizione degli atti teleologici dei singoli
agenti che la compongono. È quindi in sé contraddittoria perché la composizione
sovraindividuale di atti liberi conduce alla costruzione di un sistema autonomo
autodeterminantesi che si oppone alle soggettività agenti.
È possibile sviluppare una critica nei confronti della
sociologia empirica e dell’ideale della spiegazione coerente proprio perché
essi si rivelano inadeguati rispetto alla “cosa stessa, la società” la cui
logica immanente si mostra “diversa da quella che il sistema di categorie della
logica discorsiva si aspetta a priori che siano i suoi oggetti”[10]. È
necessario tematizzare la contraddizione per cui la società è “razionale e
irrazionale insieme; è sistematica e irregolare, è cieca natura ed è mediata
dalla coscienza”[11]. Se la scienza sociale mette da parte questo carattere
contraddittorio del suo oggetto cade “per zelo puristico contro la
contraddizione, nella contraddizione più fatale: quella fra la sua struttura e
la struttura del suo oggetto”[12].
Adorno sintetizza la sua critica alla
metodologia positivistica delle scienze sociali con una frase dal sapore
esplicitamente hegeliano: “i metodi non dipendono dall’ideale metodologico ma
dalla cosa stessa”[13].
Adorno condivide con la sociologia comprendente l’idea
secondo la quale il modello delle scienze naturali non possa essere preso a
modello per lo studio della società. Ma non certo perché si devono rifiutare i
metodi che considerano un uomo parte della natura, cioè in quanto rinnegano
l’umanità propria dell’uomo e quindi la sua autodeterminazione. Adorno afferma
che “la sociologia non è una scienza dello spirito”[14]. Ciò significa che gli
agenti sociali, in quanto dominati da una struttura oggettiva che agisce alle
loro spalle, sono eterodeterminati. Adorno può ben affermare che “nella misura
in cui l’indurimento della società abbassa sempre di più gli uomini alla
condizione di oggetti, e trasforma il loro stato in una ‘seconda natura’, i
metodi che li costringono ad ammettere questa realtà non sono affatto
sacrileghi”[15]. Tuttavia questa concordanza tra oggetto della ricerca –
l’agente sociale divenuto oggetto e quindi eteronomo – e il metodo
oggettivistico delle scienze della natura deve a sua volta essere oggetto di riflessione.
Qualora non lo fosse si ipostatizzerebbe la condizione eteronoma dell’agente
sociale, la si renderebbe elemento astorico ed eterno di ogni formazione
sociale. Se invece il rapporto congruenza tra oggetto e metodo è esso stesso
oggetto di riflessione, la teoria è in grado di indagare il processo di genesi
per mezzo del quale l’agente sociale si è trasformato in oggetto e, di
riflesso, la genesi di questa forma di ricerca sociale quale scienza
riconosciuta: “nel momento in cui la situazione che i metodi della research colgono
e di cui sono insieme una manifestazione viene ipostatizzata come ragione
immanente della scienza, anziché fare di essa l’oggetto del pensiero –, si
contribuisce volontariamente o meno, a perpetuarla” [16].
Il carattere immanentemente contraddittorio della società
permette di criticare sia la sociologia comprendente di stampo weberiano che il
metodo oggettivante della sociologia durkheimiana. “La società è entrambe le
cose, è insieme conoscibile e non conoscibile dall’interno”[17]. La società è
conoscibile in quanto deve essere ricondotta agli uomini che la compongono.
Essa non può né deve essere reificata, resa oggetto, resa natura, è comunque un
prodotto umano. Deve essere conoscibile dal suo interno. Per Adorno, quindi,
Weber e la sua sociologia comprendente hanno la propria ragion d’essere in
questo momento del concetto di società. Tuttavia nello stesso tempo
la società non è conoscibile dall’interno. Perché per quanto le azioni
individuali siano riconducibili a una posizione di scopo individuale, quindi
ermeneuticamente comprensibili, esse si compongono in una struttura oggettiva
che trascende le singole posizioni di scopo: “a ciò si riferiva la regola di
Durkheim secondo cui i fatti sociali devono essere trattati come cose, rinunciando
per principio a comprenderli”[18] . Ma anche Durkheim rappresenta solo un momento,
perché non è in grado di riportare quella cosalità dei rapporti alla loro
genesi. Compito della sociologia è quindi “comprendere la non comprensibilità,
[…] mostrare come quei rapporti che si sono resi indipendenti e impenetrabili
per gli uomini, derivino proprio da rapporti fra gli uomini”[19]. Sia il metodo
di Weber che quello di Durkheim ipostatizzano un momento della
società, non sono in grado di cogliere l’oggettivo processo di riflessione che
si determina tra questi due momenti: nelle loro teorie, la coerenza tra il
metodo e l’oggetto è solo unilaterale.
Riassumendo: c’è conformità in Durkheim
tra il metodo oggettivante e l’autonomizzazione della società rispetto agli
agenti sociali. Durkheim ipostatizza il momento oggettivo, di cui non viene
compresa la genesi e il fondamento umano. Ugualmente: c’è conformità tra la
sociologia comprendente di Weber e la sua attenzione alla razionalità e al
momento dell’azione soggettiva nel processo sociale, ma la società è davvero
incomprensibile è davvero una cosa, e questo aspetto rimane celato se si parte
dagli agenti sociali e dalle loro posizioni di scopo. Qui si è ipostatizzato il
momento soggettivo.
La teoria dialettica di Adorno vuole comprendere e superare
questi momenti unilaterali. Essa si conforma all’oggetto proprio perché
comprende la soggettività e l’oggettività della società come momenti. Comprende
la società come oggetto nel processo genetico della sua autonomizzazione dai
soggetti.
3. La società deve essere esaminata a
partire dalla categoria di totalità, intesa in senso dialettico e non come
vorrebbero le teorie sistematiche del positivismo che si limitano a
“raccogliere gli accertamenti in un continuum logico non
contraddittorio, attraverso la scelta di categorie quanto più generali
possibile”[20]. La categoria di totalità non è una categoria a parte
subiecti, attraverso la quale lo studioso dei fenomeni sociali mette
coerentemente in connessione i suoi accertamenti oggettivi. È invece una
categoria oggettiva che preforma l’oggetto stesso che lo studioso apprende
empiricamente. Dire che la società è una totalità, non significa semplicemente
affermare con Hans Albert la banalità per cui “tutto è connesso con tutto”[21].
Si tratta di mostrare che nella società esiste un principio sintetico che
immanentemente determina la connessione di ogni fatto sociale.
Lo scambio per Adorno assolve oggettivamente a questo
compito: “ciò che rende la società un’entità sociale, che la costituisce sia
concettualmente che realmente, è la relazione di scambio, che lega assieme
virtualmente tutte le persone”[22]. Lo scambio è il principio di mediazione che
assicura la riproduzione della società e che connette tra loro tutti gli agenti.
Esso garantisce la socializzazione per mezzo di un processo di astrazione che
“implica la riduzione dei beni che devono essere scambiati tra loro a qualcosa
di equivalente ad essi, a qualcosa di astratto”[23].
Adorno riconosce, nell’analisi del processo di scambio, la
possibilità di concepire quel processo di autonomizzazione che costituisce il
tratto caratteristico della società capitalistica. Il processo di astrazione
che sottende ogni processo di scambio non è un’astrazione soggettiva, “un prodotto
rarefatto del pensiero”[24], bensì un’astrazione che opera oggettivamente
“indipendentemente dalla coscienza dei singoli individui che le sono soggetti
come da quella dei ricercatori”[25]. Nel modo di produzione capitalistico
esiste un principio di “riduzione a unità”[26] che permette lo scambio
delle merci. “Ciò che rende le merci scambiabili è l’unità del tempo di lavoro
astratto socialmente necessario”[27], tale unità non viene determinata
attraverso un processo di astrazione soggettivo compiuto dagli scambianti: “il
tempo di lavoro astratto astrae dai veri contraenti”[28] i quali perciò
sono inseriti in un rapporto sociale che si è reso loro autonomo.
I mezzi che garantiscono l’esecuzione fluida dello scambio,
quali il denaro, “sono accettati dalla coscienza ingenua come la forma
auto-evidente di equivalenza e così come il mezzo auto-evidente dello scambio,
esonerano i soggetti da una tale riflessione”[29].
Lo scambio è quindi un meccanismo oggettivo di riduzione a
unità che agisce al di fuori della coscienza degli scambianti; come afferma
Marx, che Adorno cita: “gli uomini non riferiscono, dunque, l’un l’altro i
prodotti del loro lavoro come valori perché queste cose valgono per
loro come involucri meramente cosalidi lavoro umano di genere uguale;
viceversa: in quanto nello scambio essi pongono l’un l’altro uguali, come
valori, i loro prodotti di genere diverso, essi pongono l’un l’altro uguali,
come lavoro umano, i loro lavori diversi. Non lo sanno ma lo fanno” [30].
La possibilità di parlare di un’oggettività che si è resa
autonoma, di una totalità oggettiva, di un universale che si impone sul
particolare, risiede quindi nel principio dello scambio, inteso quale processo
astrazione reale che agisce per mezzo degli atti singoli di scambio e che si
impone sugli agenti sociali dando vita ad una legalità oggettiva che agisce
come una legge di natura.
Per Adorno, questo processo è il carattere di feticcio della
merce: “il concetto di feticismo delle merci non è altro che questo necessario
processo di astrazione”[31] che all’economia politica appare come processo
naturale come “un-essere-in-sé delle cose”[32]. Il carattere dialettico del
processo di scambio risiede nel fatto che “da un lato il feticismo delle merci
è apparenza” e nello stesso tempo “è oltremodo reale”[33]: è apparenza, poiché
ciò che viene concepito come qualcosa di naturale è in realtà dipendente dai
rapporti sociali nei quali gli agenti sociali sono inseriti, è realtà poiché
quel processo di riduzione a unità trascende la coscienza degli agenti,
imponendo loro una legalità oggettiva.
Il processo di autonomizzazione della società rispetto agli
individui che la compongono diviene esplicito attraverso la concettualizzazione
dello scambio, che mostra in nuce il carattere contraddittorio della
società stessa.
Il compito di decifrare la società quale processo di
autonomizzazione è quindi assolto soltanto nel momento in cui si è in grado di
spiegare la genesi dello scambio quale processo di astrazione reale e luogo di
costituzione del feticismo: la teoria dialettica della società deve essere in
grado di comprendere il processo di autonomizzazione della società e nello
stesso tempo deve dare conto dell’ “oblio [das Vergessen] della sua genesi
sociale. Il materialismo storico” – a cui, in questo dialogo con Sohn-Rethel,
Adorno riconduce la teoria critica della società – “è l’anamnesi della
genesi”[34].
Questo tema tanto è centrale e fondativo per la teoria
critica, quanto rimane allo stato larvale negli scritti di Adorno. Ancora nel
1965 in un dialogo con Sohn-Rethel, Adorno affermava la necessità di una
“analisi sistematico-enciclopedica dell’astrazione dello scambio”[35], che però
non trovò mai realizzazione. Come afferma convincentemente Helmut Reichelt,
nelle considerazioni di Adorno sullo scambio e sull’astrazione reale “sono
riassunti tutti i temi della teoria dialettica, ma tutte le affermazioni
rimangono sul terreno dell’asseverazione”[36], “tutta la teoria critica dipende
dalla spiegazione convincente dell’ ‘astrazione oggettiva’. Se è impossibile concretizzare
questo ‘concetto oggettivo’, tutti gli altri concetti […] sono esposti
all’accusa di speculazione teoretico-sociale”[37].
4. A mio avviso la Neue Marx-Lektüre e in particolare
l’opera di Hans-Georg Backhaus possono essere lette nell’orizzonte
dell’approfondimento e della fondazione delle intuizioni di Adorno sullo
scambio e sull’autonomizzazione della società. Alla base del progetto risiede
una lettura approfondita dell’opera di Marx, nelle sue stratificazioni e nella
sua specificità metodologica, al di fuori delle ortodossie e delle mode
culturali[38].
Il primo passo della rilettura di Marx sviluppata da
Backhaus è la messa in discussione del concetto di “produzione semplice delle
merci” o “produzione mercantile semplice”. Questo concetto era stato sviluppato
da Engels nelle Considerazioni supplementari. Engels cercava di rispondere
alle critiche che rintracciavano problemi di coerenza logica nel rapporto tra
valori e prezzi di produzione.
La contraddizione tra la teoria del valore e la teoria dei
prezzi di produzione, veniva sciolta da Engels sul piano della storia: la legge
marxiana del valore “ha una validità economica generale per un periodo di tempo
che va dall’inizio dello scambio che trasforma i prodotti in merci fino al XV
sec. della nostra era […] La legge del valore ha dunque regnato per un periodo
che va da 5 a 7 mila anni”[39]. In questo periodo lo scambio delle merci sarebbe
avvenuto in base alla quantità di lavoro contenuta nelle merci. Questa fase
storica è definita da Engels “produzione semplice delle merci”. In essa vige sì
la produzione delle merci, ma il lavoratore è ancora proprietario del proprio
prodotto e dei mezzi di produzione; non c’è ancora la separazione tra le
condizioni soggettive e oggettive della produzione: non si può ancora parlare
propriamente di modo di produzione capitalistico. Engels ipotizzava una realtà
storica in cui il prodotto assume la forma di merce, ma non ancora la forma
della merce capitalistica; lo scambio è generalizzato, ma avviene inizialmente
nella forma del baratto, la determinazione del valore mediante il tempo di
lavoro è visibile alla superficie fino all’apparire del denaro, il quale
“divenne la misura decisiva del valore e in grado tanto maggiore quanto più le
merci messe nel commercio si moltiplicarono […] cosicché meno facile divenne il
controllo del tempo di lavoro necessario per la loro fabbricazione”[40]. La
società caratterizzata dalla produzione semplice di merci è quindi definita
dallo scambio delle merci, in forma di baratto o attraverso la mediazione del
denaro, in base alla quantità di lavoro erogato nella produzione delle stesse.
A questa forma di società, per Engels, si riferisce interamente la prima
sezione del primo libro. Con l’affermarsi del modo di produzione capitalistico
che per Engels storicamente si attua attraverso un ulteriore sviluppo della
divisione del lavoro, l’accrescimento della produzione industriale e la
polarizzazione in classi distinte delle condizioni soggettive e oggettive della
produzione, si determina un mutamento nella legge che regola lo scambio tra le
merci, le quali non si scambiano più in ragione della quantità di lavoro
erogata per la loro produzione, ma in base ai prezzi di produzione. In sostanza
quella contraddizione che i critici di Marx vedevano nella mancanza di coerenza
logica tra il primo e il terzo libro del Capitale, viene sciolta da Engels
riferendo la legge del valore e la legge dei prezzi di produzione a due epoche
storiche differenti.
Il concetto di “produzione semplice delle merci” ha
veicolato gran parte delle letture della teoria del valore di Marx. Per
Backhaus la messa al centro di questo concetto ha dato vita a due correnti
interpretative che possono essere considerate complementari, quella
logico-storica e quella modellistico-platonica o “mitodologica”.
L’interpretazione logico-storica si richiama espressamente
alla lettura engelsiana e intende lo svolgimento della forma di valore come lo
svolgimento logico di un contenuto storico. La teoria del valore è la
concrezione logica del funzionamento di quella società dominata dalla
“produzione semplice delle merci” e l’analisi marxiana della forma di valore
non è che il riflesso logico di un processo storico che ha poi portato alla nascita
del denaro. In relazione a questa lettura Backhaus sviluppa delle critiche non
soltanto relative alla pertinenza filologica nei confronti dell’opera di Marx,
ma in relazione alla pertinenza storicadel modello della “produzione
semplice delle merci”. Mentre le affermazioni engelsiane relative alla vigenza
della legge del valore e alla nascita del denaro non potevano essere
supportate, perché ancora da venire, da ricerche etnologiche specifiche che
avessero come oggetto le forme della produzione e riproduzione delle comunità
antiche, l’ortodossia logico-storica dovrebbe potersi confrontare
analiticamente con quei lavori che concretamente affrontano tali problemi da un
punto di vista storico e vedere che i risultati del metodo logico-storico, per
esempio quello sviluppato da W.F. Haug, in un importante saggio della metà
degli anni Settanta[41], “non si dimostrano né logicamente esenti da
contraddizioni, né storicamente plausibili”[42].
L’interpretazione “mitodologica” intende invece la
“produzione semplice delle merci”, e gli attori di quegli atti di valutazione
delle merci in rapporto al tempo di lavoro erogato, come figure ideali dalle
quali è necessario partire per poi giungere al modo di produzione capitalistico
in cui le merci non sono più vendute al loro valore bensì ai prezzi di
produzione, mentre la teoria della forma di valore è relegata alla funzione di
excursus storico esplicativo dell’evoluzione dello scambio dal baratto fino
all’apparire del denaro quale elemento di mediazione che facilita la circolazione
delle merci.
Alla base di entrambe queste correnti interpretative, che si
differenziano profondamente in rapporto ai contenuti economici che esprimono,
vi è un presupposto tacito che ne orienta lo sviluppo: l’idea iniziale di uno
scambio generalizzato delle merci in cui il denaro non ha ancora fatto la sua
comparsa, e la lettura dell’analisi marxiana della forma di valore come
concrezione logica di un processo storico che ha portato alla formazione del
denaro.
Entrambe le correnti interpretative possono essere
considerate come teorie premonetarie del valore: esse esaminano l’analisi della
sostanza e della grandezza di valore in sede separata rispetto all’analisi
della forma di valore. Un certo orientamento teorico si sostanzia in una
metodologia che considera lecita l’astrazione dal denaro e presenta in modo
separato l’analisi dello scambio tra merci. Il denaro è considerato un
fenomeno, che deve essere trasceso per giungere all’essenza dello scambio: esse
“concepiscono come strutturalmente identiche le leggi dello ‘scambio’
nell’economia di scambio premonetaria e in quella monetaria: per esse infatti
l’‘economia naturale di scambio’ è l’‘essenza’ dell’economia monetaria; le une
e le altre vorrebbero venir a sapere che cosa si cela ‘dietro’ i prezzi mediati
dal denaro”[43]. Secondo Backhaus la metodologia di queste correnti
interpretative segue lo stesso procedimento della teoria soggettiva del valore,
la quale cerca di spiegare lo scambio tra merci in base all’utilità soggettiva
astraendo dalle mediazioni monetarie. Ciò che la teoria neoclassica del valore
chiama “velo monetario” è concepito dalla tradizione marxista come fenomeno dal
quale è necessario prescindere per giungere all’analisi dell’essenza, ovvero
del rapporto di scambio tra merci. Ciò che sia le correnti interpretative
marxiste che la teoria soggettiva del valore non prendono in considerazione è
il processo inverso che dall’essenza porta al fenomeno, che dalla relazione di
scambio tra merci porta al denaro quale “astratta unità di calcolo” intersoggettivamente
valida. Il fenomeno o il “velo monetario” è inteso, dal marxismo e dalle teorie
neoclassiche del valore, come elemento che occulta senza rivelare niente
dell’essenza – occulta cioè le strutture premonetarie di un’economia di scambio
– mentre per Backhaus, la teoria marxiana della forma di valore è quel processo
che dall’analisi dell’essenza giunge al fenomeno, che adesso è mediato e
compreso come manifestazione dell’essenza.
Una tale metodologia interpretativa ha portato molti autori
marxisti ad essere del tutto concordi rispetto alla teoria del valore, e a
scontrarsi ferocemente sulla teoria del denaro. Attraverso l’esame di un’ampia
bibliografia marxista, che comprende sia autori occidentali che dell’Europa
socialista, Backhaus riesce a mostrare che le dispute relative alla teoria del
denaro in Marx dipendono dall’errata ricezione della forma di valore, per lo
più ignorata o al massimo interpretata storicamente, e dalla riduzione della
teoria marxiana a teoria premonetaria del valore. Proprio in base a questa
errata ricezione dell’analisi della forma di valore è possibile distinguere la
teoria specificamente marxiana dalle interpretazioni marxiste: “il fatto che
l’intimo intreccio fra teoria del valore e teoria del denaro non sia stato tematizzato,
mi sembra un indizio della necessità di distinguere per principio la teoria marxiana del
valore dalla sua ricezionemarxista”[44]. La famosa controversia riguardo alla
teoria del denaro tra “nominalisti” e “metallisti” che risale allo scontro teorico
tra Kautsky e Hilferding si è potuta ripetere all’interno del marxismo
sovietico all’inizio degli anni settanta proprio perché non si è tenuto di
conto di quella connessione presente nell’opera di Marx tra analisi
dell’essenza e sua manifestazione, cioè tra l’analisi della sostanza e analisi
della forma di valore.
Proprio in questo contesto teorico Backhaus vede la
necessità di riproporre come elemento centrale dell’opera marxiana il
sottotitolo del Capitale inteso così come Marx lo aveva espresso a Lassalle
in una lettera del 1858: “esposizione del sistema e critica dello stesso per
mezzo dell’esposizione”[45]. Il complesso della teoria del valore deve cioè
essere interpretato come critica delle teorie premonetarie del valore: “Marx
voleva mostrare che non era possibile costruire senza contraddizioni il
concetto di un’economia di mercato premonetaria e al contempo organizzata
secondo la divisione del lavoro, e quindi anche il modello di un’economia
naturale di scambio. Si doveva riconoscere che il concetto di una merce
premonetaria è impensabile. A tale scopo occorreva anzitutto dimostrare
che la costruzione di un processo di scambio di merci premonetarie è
necessariamente destinata a fallire”[46].
In primo luogo è necessario richiamare l’idea marxiana secondo
la quale “la stessa merce non può quindi comparire contemporaneamente
nella stessa espressione di valore in entrambe le forme [quella relativa
di valore e quella di equivalente]. Anzi, queste si escludono polarmente”[47]. L’analisi
della forma di valore totale o dispiegata dovrebbe rendere conto di quella
situazione che il marxismo, sulla scorta di Engels, considera un commercio di
scambio generalizzato tra merci nel quale non ha ancora fatto la sua comparsa
il denaro. Possiamo schematizzare questa situazione in questo modo:
b
a
a
c
c
b
a
d
b d
c
d ecc.
e
e
e
f
f
f
La merce a si troverebbe nel primo caso nella
forma relativa di valore, mentre nel secondo e nel terzo nella forma di
equivalente. Si tenga ben presente che i tre casi non sono cronologicamente
successivi, bensì contemporanei: sono i punti di vista particolari di ogni
possessore di una merce specifica. “Poiché ora nel modello di un’economia
naturale di scambio premonetaria e tuttavia al tempo stesso organizzata
mediante la divisione del lavoro si deve poter pensare una pluralità di merci
che si trovino tutte nella forma premonetaria II, un tale modello è impossibile
da pensare: ogni merce dovrebbe altrimenti poter comparire ‘al tempo stesso in
entrambe le forme’”[48]. In questo modo l’analisi di un’economia di scambio
generalizzata in cui non è presente il denaro si dimostra, alla luce
dell’analisi marxiana della forma di valore, impossibile da pensare e
la costruzione di un processo di scambio di merci premonetarie “deve al
contrario fallire”[49]. Questa interpretazione, così lontana dalla vulgata
marxista, si rivela coerente alla luce di un’attenta lettura del secondo capitolo
del primo libro del Capitale: “per ogni possessore di merci ogni merce
altrui vale come equivalente particolare della sua merce, la sua
merce vale comeequivalente universale di tutte le altre. Poiché, però,
tutti i possessori di merci fanno lo stesso, nessuna merce è equivalente
universale e le merci non posseggono, di conseguenza, neppure forma relativa
universale di valore, in cui esse si pongano uguali come valori e si comparino
come grandezze di valore. Esse non stanno, quindi, in genere le une di fronte
alle altre come merci, bensì solo come prodotti o valori d’uso. […] [I
possessori] possono riferire le loro merci le une alle altre come valori, e
quindi come merci, solo in quanto le riferiscono oppositivamente ad una
qualsiasi altra merce come equivalente universale”[50]. In base alla
lettura di Backhaus, si può affermare che le analisi della forma di valore
semplice e della forma di valore totale non sono altro che la dimostrazione
dell’impossibilità di uno scambio generalizzato di merci senza la presenza di
un equivalente generale. Si può affermare inoltre che il concetto di scambio è
un concetto generale trans-storico come quello di lavoro o quello di prodotto,
mentre invece il processo sviluppato da Marx nei primi tre capitoli del primo
libro deve essere inteso come circolazione, come determinazione di forma
del processo di scambio generalizzato in cui le merci assumono la forma di
denaro e quindi la forma di prezzo. Lo scambio è quindi un concetto generale
che si determina formalmente come baratto oppure come circolazione: “il
‘processo di scambio’ si svolge dunque solo entro determinate ‘forme’ storiche,
si compie quindi solo come ‘baratto immediato’, oppure, invece, come
‘circolazione’”[51].
Sulla scorta di queste considerazioni dobbiamo quindi
giungere alla conclusione che l’interpretazione engelsiana della prima sezione
del primo libro come teoria della produzione semplice di merci risulta
inadeguata, come risultano inadeguate tutte le interpretazioni marxiste che
separano la teoria del valore dalla teoria del denaro. Si dovrà inoltre
riconoscere che se una lettura logico-storica non si dimostra adeguata alla
comprensione del contenuto critico della teoria marxiana del valore, non è
neppure possibile considerare la merce con la quale Marx dà inizio alla propria
sistematica espositiva quale merce precapitalista come “il primo e più semplice
rapporto che ci si presenta storicamente, di fatto, cioè, […] il primo rapporto
economico che troviamo davanti a noi”[52], bensì essa dovrà essere intesa come
merce capitalisticamente determinata.
5. Come abbiamo visto fin qui, l’analisi del processo
di scambio, condotta da Backhaus attraverso la lettura di Marx, permette di
determinare in modo più approfondito il concetto di scambio a cui si richiama
Adorno. Se si parla di società capitalistica, è necessario determinare lo
scambio nell’orizzonte della circolazione capitalistica, nella quale il denaro
non è un semplice velo o un fenomeno che possa essere trasceso per avvicinarsi
all’essenza. Mettere da parte il carattere monetario del processo significa non
cogliere la natura contraddittoria dell’erogazione del lavoro. A questo punto,
per Backhaus si tratta di sviluppare il rapporto tra valore e denaro e spiegare
la genesi dell’autonomizzazione della società a partire dalla contraddizione
tra l’erogazione privata del lavoro e il suo processo di socializzazione.
Backhaus rintraccia il fondamento comune delle teorie
premonetarie del valore nell’incapacità di concepire il processo di mediazione
che dall’essenza, la sostanza del valore, porta alla forma fenomenica. È quindi
necessario ricostruire il percorso marxiano che dalla sostanza del valore
giunge alla sua forma fenomenica e mostrare il contenuto critico di esso.
La prospettiva teorica marxiana può essere compresa come
risposta a una domanda che bene sintetizza il problema della relazione tra
essenza e forma fenomenica: “perché questo contenuto assume quella forma, […]
perché […] il lavoro si espone nel valore dei prodotti del lavoro e
la misura del lavoro attraverso la sua durata temporale nella grandezza di
valore di essi”[53]? Non si tratta semplicemente di riconoscere la
sostanza comune delle merci che permette loro lo scambio, bensì comprendere
perché il lavoro erogato nella produzione della merce esprima se stesso per
mezzo della forma del valore, per mezzo del denaro. Questo orizzonte
problematico era rimasto del tutto al di fuori del campo visivo della economia
classica che aveva posto la propria attenzione esclusivamente sulla sostanza e
sulla grandezza di valore. Ricardo si è limitato a ricondurre lo scambio delle
merci alla loro essenza nascosta, il lavoro, ma perché il lavoro venga espresso
come valore dei prodotti, come proprietà oggettiva da essi posseduta è
completamente rimasto al di fuori della sua indagine. Possiamo affermare che la
domanda che apre alla prospettiva teorica marxiana – e che sottende la teoria
critica di Adorno – è “perché il valore ?” Mentre per l’economia classica lo
scambio è un dato non ulteriormente analizzabile, che può essere reso
comprensibile attraverso la riduzione della differenza qualitativa delle merci
a una loro unità essenziale, Marx si pone un problema ulteriore e fondante la differentia
specifica del suo procedere argomentativo: perché il ricambio organico
sociale avviene attraverso la forma della circolazione delle merci, attraverso
cioè un sistema di compravendite separate l’una dall’altra? Per rispondere a
questa domanda Marx deve necessariamente passare attraverso l’analisi
dell’essenza e nello stesso tempo comprenderne la forma di manifestazione. Deve
quindi procedere a un’analisi della forma specifica del lavoro che produce
merci e comprendere la ragione del suo manifestarsi nella forma di denaro.
La sfera della circolazione è caratterizzata da produttori
privati autonomi e indipendenti, che producono merci attraverso l’erogazione di
un lavoro privato, particolare. Questo lavoro privato si sancisce come lavoro
sociale soltanto se la merce prodotta viene venduta sul mercato delle merci. Il
processo di scambio che permette la validazione sociale del lavoro privato come
lavoro socialmente necessario, come valore, è possibile solo a condizione che
esista una merce particolare e al contempo generale, nella quale il lavoro
erogato per la produzione sia immediatamente sociale: il denaro. Soltanto lo
scambio tra merce e denaro sancisce quindi la necessità sociale del lavoro
erogato per la produzione di una merce particolare. La ragione, quindi, per cui
il lavoro erogato nella produzione delle merci deve esprimersi nella forma di
denaro risiede nella contraddizione immanente al modo di produzione
capitalistico, la contraddizione tra il lavoro privato e il lavoro sociale, la
contraddizione tra il lavoro particolare e il processo di astrazione reale che
si compie nello scambio e che determina il lavoro particolare come lavoro
astratto. Come afferma lucidamente Backhaus: “Marx ricava il concetto del
‘lavoro sociale’ e constata una contraddizione tra questa forma del lavoro e
quella del lavoro ‘effettivo’ che ha un carattere privato. È questa
contraddizione che viene considerata da Marx la causa del fatto che ‘il lavoro
si presenta nel valore’, detto altrimenti: del fatto che esiste il denaro”[54].
Per Backhaus il contenuto della teoria marxiana del denaro è
stato recepito dal marxismo soltanto nel suo lato critico nei confronti del
socialismo proudhoniano, quel socialismo che voleva la merce ma non voleva il
denaro e che quindi, non comprendendo l’intima contraddizione tra lavoro
privato e lavoro sociale, pensava di poter sostituire il denaro con delle
cedole che esprimessero la quantità di lavoro erogata nella produzione di ogni
merce. Agli occhi di Backhaus, il marxismo si è dimostrato cieco di fronte al
fatto che assieme alla critica a Proudhon Marx, per mezzo della comprensione
del duplice carattere del lavoro che produce merci, proponesse una teoria del
denaro del tutto nuova rispetto a quella ricardiana, e nello stesso tempo
intimamente connessa con la sua teoria del valore. Un’interpretazione che pensi
di poter astrarre dal denaro e analizzare uno scambio generalizzato in cui non
appare alcun equivalente universale, non tiene conto del duplice carattere del
lavoro che produce le merci, quindi della forma specifica in cui si attua la
distribuzione del lavoro sociale nonché della “data situazione nella quale la
connessione del lavoro sociale si fa valere come scambio privato dei
prodotti individuali del lavoro”[55], pertanto lascia da parte ciò che
veramente è l’oggetto della teoria marxiana, il modo di produzione
capitalistico.
Un’interpretazione che metta da parte la connessione tra
teoria del valore e teoria del denaro, che cioè separi l’analisi della sostanza
da quella della forma, si riduce, per Backhaus, ad una teoria del valore-lavoro
inteso come pena. Se invece di tematizzare la prima sezione del primo
libro del Capitale come analisi della circolazione semplice, la si
interpreta in un’ottica logico-storica come analisi dello scambio originario,
come esame della “produzione semplice delle merci”, si dovrebbe postulare una
misurazione soggettiva del tempo di lavoro erogato nella produzione delle merci
e comprendere lo scambio in base al sacrificio soggettivo dei produttori. Una
tale lettura della teoria del valore eluderebbe completamente il carattere
immanentemente contraddittorio della produzione capitalistica, nel quale “a
priori non ha luogo nessun cosciente disciplinamento sociale della produzione”,
nel quale cioè il carattere sociale del lavoro erogato privatamente “si impone
come media che agisce ciecamente”[56]. La legge del valore non è fatta valere
consapevolmente dagli scambianti, è bensì un processo sovraindividuale che si
attua oggettivamente rispetto alla coscienza degli scambianti. Il produttore
privato autonomo eroga una certa quantità di lavoro nella produzione della
propria merce, ma quanto di quel lavoro erogato si confermi nella circolazione
quale lavoro sociale, quindi come valore, egli non può saperlo prima della
vendita della propria merce. La teoria marxiana consiste proprio nello
“svolgere come la legge del valore si impone”[57], nella comprensione
cioè di quel processo oggettivo che si attua al di fuori della coscienza degli
agenti economici.
Proprio in base alla struttura oggettiva del valore Marx può
sviluppare la propria sistematica attraverso un’analisi categoriale che
prescinde dalla costruzione di modelli di azione degli agenti del processo. Se
il processo si impone oggettivamente agli agenti economici che strutturalmente
non possono avere consapevolezza del lavoro sociale erogato nella produzione della
propria merce se non in seguito allo scambio con denaro, è possibile sviluppare
un’analisi delle categorie quali “forme, determinazioni d’esistenza”[58] o
“forme di pensiero oggettive”[59] che esuli dalla costruzione di modelli
simulati di comportamento degli agenti economici. Non è il comportamento degli
agenti che determina la legge del valore, è bensì la legge del valore che si
impone attraverso gli agenti economici. La struttura stessa della produzione
capitalistica impone all’analisi sociale un completo abbandono di qualsiasi
forma di individualismo metodologico e la sostituzione di esso con un’analisi
che prescinda dalla socialità intesa a partire dagli agenti.
Come afferma
Backhaus nella teoria marxiana “non si tratta né di soggetti economici modellati,
costruiti in modo idealtipico, né di soggetti economici che compiono azioni di
scambio reali in società precapitalistiche; nei capitoli su merce e denaro […]
si tratta piuttosto esclusivamente dell’analisi della struttura, della forma della
relazione merce-denaro. I sostenitori di un’interpretazione mitodologica o
storicistica cercherebbero invano qui termini il cui senso si riferisca ad atti
intenzionali, a disposizioni economiche oppure ai contenuti, che stanno alla
loro base, della coscienza o dell’inconscio di individui agenti l’uno insieme
all’altro o l’uno contro l’altro”[60].
Nello stesso tempo, l’analisi marxiana mostra le condizioni
di possibilità delle strutture sovraindividuali del valore e del denaro e le
comprende nel loro specifico processo genetico, nel loro farsi oggettivo.
L’incapacità di mettere a tema la struttura oggettiva del
valore quale processo sovraindividuale è proprio dovuta ad una mancata
comprensione della forma. Sia nella teoria marxista che nella teoria soggettiva
del valore si determina uno iato tra l’analisi compiuta dal teorico, che riduce
la differenza qualitativa delle merci ad una sostanza comune (sia essa il
lavoro o l’utilità soggettiva), e quella dimensione economica oggettiva nella
quale le merci sono giàcommensurabili in quanto hanno un prezzo, in quanto
rappresentano porzioni ideali dell’equivalente universale. L’analisi della
forma di valore permette di analizzare la scissione “fra la ‘sostanza’
soggettivamente interpretata e la ‘forma’ oggettivamente anticipata del
valore”[61]. La scissione di cui parla Backhaus è quella che origina la
presenza di due misure del valore, una interna e una esterna, quella in valore
e quella in prezzo, è quella stessa scissione che induce svariati economisti a
metter da parte la teoria del valore come presupposto metafisico o
prescientifico dell’analisi della realtà economica.
Per comprendere questa tematica è significativo il dialogo
che Backhaus intraprende con Gottl-Ottlilienfeld e con il concetto di
“dimensione economica”. L’economista austriaco, avversario della teoria del
valore in genere, afferma l’esistenza di una regione ontologica, quella
economica, nella quale agli oggetti è inerente un numero caratteristico
oggettivo che “ha il senso di una grandezza valida”[62]. In sostanza “quando
noi parliamo di merce o di bene vendibile, siamo costretti a pensarvi insieme
l’assurdo stato di cose che alle cose sensibili ‘inerisca’ per così dire una
qualità ‘sovrasensibile’, di modo che risulti giustificato parlare di una
‘dimensione economica’ ed equipararla alle ‘dimensioni’ naturali della
lunghezza, del peso, della temperatura ecc.”[63]. Si tratta di sviluppare un
procedimento teorico che sia in grado di pensare l’autonomizzarsi di una
dimensione sociale, quella della forma di valore, rispetto agli individui che
compongono questa socialità. Si tratta di sviluppare un’analisi che sia in
grado di comprendere la forma di valore, o la dimensione economica, come
struttura sovraindividuale e nello stesso tempo costituita dagli atti dei
singoli individui. Come afferma Gottl-Ottlilienfeld si è costretti a pensare un
capovolgimento nel quale “qualcosa di personale diventi qualcosa di
impersonale”[64].
Per Backhaus la possibilità di pensare una struttura
siffatta risiede nella contraddizione presente nella categoria iniziale della
sistematica marxiana. La merce, intesa quale sinolo di valore d’uso e valore,
rimanda alla contraddizione tra il lavoro privato e concreto, da un lato, e il
lavoro sociale e astratto, dall’altro. Mentre il primo lato di queste coppie
opposizionali rinvia ad un qualcosa di individuale, a qualcosa che è presente
nella considerazione cosciente del produttore, il secondo lato rinvia a
qualcosa di sovraindividuale, che si attua nella circolazione e che si impone
oggettivamente agli agenti economici come media che agisce dopo e
indipendentemente dalla erogazione privata dei lavori. L’opposizione tra valore
d’uso e valore che caratterizza la merce è quindi l’opposizione tra il processo
di erogazione privata del lavoro e la sanzione sociale di esso, è
l’opposizione, potremmo dire con il lessico di Adorno tra il particolare e
l’universale.
Tale opposizione, per Backhaus, è ancora un’opposizione “per
noi”, un’opposizione analitica. Ciò che la merce esprime a noi quali teorici,
la merce deve dimostrarlo nella realtà, attraverso il processo di costituzione
di una dimensione economica, nella quale gli oggetti economici appaiano
oggettivamente dotati di quella qualità sovrasensibile che è il valore. Il
processo attraverso il quale la contraddizione immediata si determina quale
contraddizione posta è quello sdoppiamento della merce in merce e denaro che da
un lato permette la sanzione attraverso lo scambio del lavoro sociale erogato
nella produzione delle merci particolari, dall’altro determina quella
dimensione economica oggettiva nella quale le merci si concepiscono
immediatamente commensurabili in quanto quantità ideali di denaro. In questo
modo, quella dimensione economica sovraindividuale, nella quale gli oggetti
assumono “qualità sovrasensibili”, è ricondotta al suo fondamento materiale.
È proprio questa scissione tra la dimensione individuale dello
scambio e la dimensione sovraindividuale del processo di validazione sociale
che sorregge il concetto feticismo: l’erogazione del lavoro sociale avviene per
mezzo di lavori autonomi ed indipendenti che non hanno una coordinazione
anteriore rispetto a quella che si attua attraverso lo scambio tra cose, merce
e denaro. Il denaro è quindi il mezzo attraverso il quale si determina la
connessione sociale dei lavori privati, esso costituisce la società,
indipendentemente dalla consapevolezza dei singoli agenti. La connessione
sociale si determina quindi attraverso uno scambio tra cose.
L’analisi marxiana del feticismo ci permette di comprendere
quanto richiesto da Adorno: non solo la “genesi sociale” dell’
autonomizzazione, ma la spiegazione dell’“oblio” di questa genesi: si tratta di
comprendere con precisione la natura del movimento riflessivo del valore, della
sua manifestazione e del suo porsi quale apparenza oggettiva. È questo il
carattere enigmatico del prodotto del lavoro nel modo di produzione capitalistico:
“l’eguaglianza dei lavori riceve la forma cosale dell’uguale oggettualità di
valore dei prodotti del lavoro; la misura del dispendio della forza-lavoro
umana attraverso la sua durata temporale riceve la forma della grandezza di
valore dei prodotti del lavoro; infine i rapporti dei produttori, in cui si
attuano tutte le determinazioni sociali dei loro lavori, ricevono la forma di
un rapporto sociale dei prodotti del lavoro”[65].
Lo scambio di cose che si determina sul mercato fa apparire
i caratteri specifici della produzione capitalistica, la forma cioè in cui essa
è articolata, un carattere oggettuale dei prodotti del lavoro, una “proprietà
sociale di natura di queste cose”. È chiaro quindi che la parvenza oggettiva
che si dà sul mercato delle merci è quella di un rapporto naturale che si
determina tra le cose. In sostanza: una forma specifica di organizzazione
sociale della produzione si realizza attraverso lo scambio privato di oggetti
sul mercato.
In questa parvenza oggettiva risiede “l’oblio della genesi”:
se lo scambio fa apparire che, la forma specifica in cui si attua la
riproduzione sociale complessiva è determinata dalle cose stesse che si
scambiano sul mercato, allora è chiaro che quella forma specifica appare agli
agenti sociali come assoluta ed eterna, proprio perché è determinata dalla
“natura” delle cose: la genesi sparisce nel proprio risultato.
6. L’analisi della forma di valore si dimostra capace
di assolvere il compito che Adorno assegnava alla teoria critica: comprendere
il processo di autonomizzazione della società, mostrare la genesi del dominio
dell’oggettività sociale, svolgere cioè – nei termini di Marx – “come la legge
del valore si impone”. La struttura produttiva che è condizione dell’apparire
del valore è determinata dalla messa sul mercato di merci prodotte per mezzo di
lavori privati autonomi e indipendenti che assumono la forma di denaro, quindi
la loro forma sociale, solo ex-post. Il processo di socializzazione dei lavori
si attua indipendentemente dal processo di erogazione e per mezzo di un sistema
di scambi privati che dà origine a una forma di moto autonoma della società. Il
ricambio organico sociale e i rapporti sociali si determinano attraverso uno
scambio di cose che fa apparire eterno e immutabile ciò che invece è un portato
della forma specifica del produrre. L’“anamnesi della genesi”, di cui Adorno
parlava con Sohn-Rethel, trova il proprio chiarimento nella critica
dell’economia politica.
Note
[1] L’articolo in parte riprende e sviluppa alcuni temi presenti nel mio precedente Teoria
del valore e ricostruzione dialettica. H.G. Backhaus e la critica dell’economia
politica, in H.G. Backhaus, Dialettica della forma di valore, a cura di R.
Bellofiore e T. Redolfi Riva, Roma, Editori Riuniti, 2009.
[2] T. W. Adorno, Dialettica negativa, Torino,
Einaudi, 1970, p. 320.
[3] Ivi, p. 272.
[4] Ivi, p. 273.
[5] Ivi, p. 319.
[6] T. W. Adorno, Introduzione, in AA. VV., Dialettica
e positivismo in sociologia, Torino, Einaudi, 1972, p. 22.
[7] Ivi, p. 21.
[8] T. W. Adorno, Società, in AA. VV., La
Scuola di Francoforte. La storia e i testi, Torino, Einaudi, 2005, p. 316.
[9] T. W. Adorno, Introduzione, cit., p. 25.
[10] T.W. Adorno, Sulla logica delle scienze
sociali, in AA. VV., Dialettica e positivismo in sociologia, cit., p. 126.
[11] Ibid.
[12] Ibid.
[13] Ibid.
[14] T. W. Adorno, Sociologia e Ricerca empirica,
in AA. VV., Dialettica e positivismo in sociologia, cit., p. 89.
[15] Ibid.
[16] Ivi, p. 90.
[17] T. W. Adorno, Società, cit., p. 319.
[18] Ibid.
[19] Ibid.
[20] T.W. Adorno, Introduzione, cit., p. 23.
[21] H. Albert, Il mito della ragione totale, in
AA. VV., Dialettica e positivismo in sociologia, cit., p. 202, n.1
[22] T. W. Adorno, Einleitung in die Soziologie,
Frankfurt a. M., Suhrkamp, p. 57.
[23] T. W. Adorno, Sociologia e ricerca empirica,
cit., p. 96.
[24] T. W. Adorno, Società, cit. p. 321.
[25] T. W. Adorno, Sociologia e ricerca empirica,
cit., p. 96.
[26] H.G. Backhaus, Anhang. Theodor W. Adorno über
Marx und die Grundbegriffe der soziologischen Theorie.
Aus einer Seminarmitschrift im Sommersemester, 1962, in Id.,
Dialektik der Wertform, Freiburg, ça ira, p. 507.
[27] Ibid.
[28] Ibid.
[29] T. W. Adorno, Einleitung in die Soziologie,
cit., p. 58.
[30] K. Marx, Il Capitale, MEOC, XXXI, a cura di Roberto
Fineschi, Napoli, Città del Sole, p. 85.
[31] H.G. Backhaus, Anhang, cit., p. 507.
[32] Ivi, p. 508.
[33] Ibid.
[34] Notizien von einem Gespräch zwischen Th. W. Adorno
und A. Sohn-Rethel am 16. 4. 1965, in A. Sohn-Rethel, Geistige und
körperliche Arbeit. Zur Epistemologie der abendländischen Geschichte, Weinheim,
VCH, 1989, p. 223.
[35] Ivi, p. 226.
[36] H. Reichelt, Neue Marx Lektüre. Zur
Kritik sozialwissenschaftlicher Logik, Hamburg, VSA, 2008, p. 30
[37] H. Reichelt, Marx’s Critique of Economic Categories:
Reflections on the Problem of Validity in the Dialectical Method of
Presentation in Capital, in «Historical Materialism», 15, 2007, pp. 6-7.
[38] Per una contestualizzazione della Neue
Marx-Lektüre e dell’opera di Backhaus, che qui sono presupposti, cfr. R.
Fineschi, MEGA2: dalla filologia alla interpretazione critica. Un
resoconto sul dibattito tedesco sulla teoria del valore negli anni ’70-’80, in
A. Mazzone, (a cura di), Mega2: Marx ritrovato, Roma, Mediaprint, 2002; H.
Reichelt, Neue Marx-Lektüre, cit.; I. Elbe, Marx im Westen. Die
neue Marx-Lektüre in der Bundesrepublik seit 1965, Hamburg, Akademie Verlag,
2008; F. Engster, J. Hoff, La recente lettura di Marx nei paesi di lingua
tedesca, in R. Fineschi, T. Redolfi Riva, G. Sgro’, Marx 2013, “Il Ponte”,
5-6, 2013.
[39] F. Engels, Considerazioni supplementari, in
K. Marx, Il Capitale, Libro Terzo, Roma, Editori Riuniti, 1994, p. 39.
[40] Ibid.
[41] W.F. Haug, Vorlesungen zur Einführung ins
“Kapital”, Köln, 1974.
[42] H. G. Backhaus, Dialettica della forma di
valore…, cit., p. 247.
[43] Ivi, p. 221.
[44] Ivi, p. 123.
[45] Marx a Lassalle, 22. 2. 1858, in K. Marx, Lettere
sul Capitale, Roma-Bari, Laterza, 1971, p. 20.
[46] H. G. Backhaus, Dialettica della forma di
valore, cit., p. 226.
[47] K. Marx, Il Capitale, Libro primo, cit., p.
59.
[48] H. G. Backhaus, Dialettica della forma di
valore, cit., p. 393.
[49] Ivi, p. 394.
[50] K. Marx, Il Capitale, Libro primo, cit., p.
99.
[51] H. G. Backhaus, Dialettica della forma di
valore, cit., p. 403.
[52] F. Engels, Recensione, in K. Marx, Per
la critica dell’economia politica, Roma, Editori Riuniti, pp. 208-209.
[53] K. Marx, Il Capitale, Libro primo, cit., p.
92.
[54] H. G. Backhaus, Dialettica della forma di
valore, cit., p. 365.
[55] Marx a Kugelmann, 11. 7. 1868, in K. Marx, Lettere
sul Capitale, cit., p. 119-120.
[56] Ibid.
[57] Ibid.
[58] K. Marx, Lineamenti fondamentali della
critica dell’economia politica, Firenze, La Nuova Italia, 1997, vol. I, p. 34.
[59] K. Marx, Il Capitale, Libro primo, cit., p.
87.
[60] H. G. Backhaus, Dialettica della forma di
valore, cit., p. 381.
[61] Ivi, p. 506.
[62] Ivi, p. 495.
[63] Ibid.
[64] Ibid.
[65] K. Marx, Il Capitale, Libro primo, cit., p.
83.