- All’inizio delle pubblicazioni del “Rasoio di Occam” si è
svolto un dibattito fra Stefano Petrucciani ed Ernesto Screpanti intorno al
fondamento normativo del pensiero marxiano. In questo articolo, Guido
Grassadonio ne riprende alcuni spunti per svolgerli in una diversa direzione.
Il problema posto nel botta e risposta è semplice da
spiegare: posta un’innegabile tendenza morale nelle opere di Marx, qual è il
fondamento filosofico su cui potere articolare tale tendenza, senza tradire la
loro coerenza. Marx voleva essere un pensatore “scientifico”, le cui
proposizioni erano meramente descrittive, eppure ha anche fondato un dover
essere preciso e fatto ricorso a giudizi morali sul presente abbastanza
netti. Come, infatti, può una teoria sullosfruttamento essere solo
descrittiva? Chiaramente è anche un giudizio di valore. Ma questo valore come
lo fondiamo, mantenendo un rapporto forte col momento descrittivo?
Occorre, allora, indagare il pensiero marxiano come un
pensiero anche morale, forzando i limiti voluti dallo stesso Marx. Ora, il
tentativo di trovare un fondamento etico possibile in una teoria della
giustizia appare quantomeno arduo. Soprattutto perché, a mio parere, tradisce totalmente
l’impianto teorico del Moro, che come nota bene Screpanti – ma anche
Petrucciani ne è cosciente – è più orientato verso una teoria della libertà di
stampo hegeliano. Screpanti ritiene
che tale teoria sia limitata al pensiero
del giovane Marx e che vi sia una cesura con tutto ciò nelle opere mature. Come
si vedrà non concordo con tale diagnosi, perché ritengo piuttosto che con
le Tesi su Feuerbach Marx abbia semplicemente aperto la strada ad un
autentico superamento della dialettica hegeliana, che va oltre il tema del
rovesciamento materialistico. Ma non voglio anticipare troppo il discorso.
Che si parli di libertà o di giustizia, Petrucciani ritiene
a ragione che il problema della coincidenza fra descrizione e giudizio vada
risolto. E, con precisione encomiabile, segnala tre vie possibili per
affrontare la questione.
Le soluzioni possibili sono:
1) risolvere il problema attraverso una via hegeliana:
trovare in che modo oggettivo e soggettivo possano coincidere nello stesso
discorso. In altre parole, in che modo la descrizione di una tendenza storica
può fondare una critica alla stessa tendenza?
2) ammettere un certo grado di relativismo. Ogni
giudizio di valore si fonda sopra un postulato. Tale postulato, in quanto tale,
non è dimostrabile e va assunto o respinto. Quindi dovremo aggiungere accanto
all’analisi dei fatti marxiana, un insieme di postulati che ne sorreggono
l’impianto morale.
3) riferirsi ad una normatività esterna al pensiero di Marx.
È possibile, cioè, costruire un’etica normativa su basi filosofiche ben
diverse, ad esempio sulla base dell’analisi del linguaggio umano (Habermas,
Apel). Si tratta poi di integrare questa filosofia morale al pensiero di Marx,
evidentemente inadeguato sotto questo profilo.
Petrucciani rifiuta con forza la seconda ipotesi, perché
ritiene che l’affidarsi a postulati non sia che una scappatoia a basso costo.
Ognuno, infatti, può farsi i suoi ed il discorso filosofico perde di senso o
quantomeno di valore.
Anche la prima ipotesi viene scartata perché si considera
difficile che ne esca davvero qualcosa. La terza, invece, nonostante le
evidenti difficoltà, è per Petrucciani la strada da prediligere.
Il mio lavoro verte, al momento, attorno allo studio delle
opere di Lucien Goldmann, filosofo e sociologo marxista, che ha partecipato al
dibattito filosofico internazionale dalla metà degli anni ’40 fino all’anno
della sua morte (1970). Non posso certo riprendere qui l’insieme del lavoro di
ricostruzione del suo pensiero, ma volevo in qualche modo introdurre nell’arco
del dibattito la soluzione suggerita da Goldmann del problema posto da
Petrucciani e Screpanti. In fondo, Goldmann già negli anni ’50 poneva come
centrale il problema della coincidenza fra descrizione e giudizio di valore.
In quale dei tre riquadri, delle tre possibili soluzioni,
possiamo inscrivere la proposta goldmanniana? Essendo egli soprattutto un
grande interprete della filosofia espressa dal Lukács di Storia e
coscienza di classe, siamo portati ad inquadrarlo nella prima casella. Ma la
soluzione hegelianeggiante proposta da Goldmann – e costruita sopra un’attenta
esegesi delle 11 Tesi su Feuerbach – ha la caratteristica di
“inghiottire” anche la seconda casella. In questo, qualsiasi sia il valore che
se ne voglia dare, sta sicuramente l’originalità del suo pensiero: la
coincidenza fra descrivere e dover essere si radica in una scommessa.
Ovviamente, la scommessa è qualcosa di diverso da un
postulato ed è per questo motivo che non è possibile, secondo me, dire che
Goldmann stia tra la soluzione 1) e 2). Quel che è possibile dire è che nel suo
modo di cercare una soluzione di tipo hegeliano, spiega fino in fondo anche
cosa voglia dire affidarsi ad un “postulato morale”.
L’idea di Goldmann è quella di definire la posizione di Marx
come un monismo, un «monismo immanentista», se vogliamo restare all’ottima
descrizione data più recentemente da Costanzo Preve.
Che vuol dire? “Monismo” è qui un modo per segnalare la
differenza fra Marx ed Hegel (ma anche fra Marx ed il materialismo). Hegel,
sappiamo, pone la coincidenza fra soggetto ed oggetto. Ma nella coincidenza dei
due momenti, possiamo dire vi è un momento dominante che riesce a risolvere
l’altro in se stesso: è il soggetto a «mangiarsi» l’oggetto (la metafora del
«mangiare» stavolta la desumo da E. Bloch). Anche una critica “materialista”
dell’hegelismo può cadere in soggettivismi simili: ad esempio, se radica la
propria dialettica attorno ad una nozione di uomo che è data al di là della
storia e dello svolgersi oggettivo degli eventi.
Può, però, esistere un’idea di coincidenza soggetto-oggetto
orientata verso l’oggettivismo. Il livello spirituale non sarebbe allora che
l’esatto derivato di necessità strutturali o comunque oggettive, contingenti.
Su questo livello si pongono tutte le posizioni marxiste deterministe,
scientiste o che comunque annullano il momento della libertà soggettiva. Per
Goldmann, esempi di oggettivismo sono, in questo senso: lo stalinismo, lo
spontaneismo, l’althusserismo, ecc. Anche alcune delle opere pre-1845 di Marx
ricadono in questa tendenza (mentre altre sono al contrario soggettiviste o
umaniste).
Ma, Marx, secondo l’autore, dalle Tesi in poi non
parteggia né per l’una né per l’altra opzione. La coincidenza soggetto-oggetto
va intesa come momento in cui nessuna delle parti è dominante: si tratta di
monismo, appunto.
Cosa è l’uomo? L’uomo è ciò che si dà nell’immanenza
dell’accadere sociale. Ma nel suo darsi ha un momento riflessivo: è materia che
riflette ed orienta la propria prassi. I soggetti individuali ed i soggetti
sociali – non c’è qui spazio per tratteggiare a dovere la nozione di soggetto
trans-individuale in Goldmann – agiscono all’interno di condizioni date, ma
sono in grado di riflettere su di esse ed in questo modo determinano nuove
condizioni (si cfr. qui la terza Tesi su Feuerbach). Come ha notato E.
Balibar in La filosofia di Marx – la cui affinità su questo tema con
Goldmann sarebbe probabilmente impensabile negli anni ‘60 –, Marx pone la
coincidenza fra theoria, praxis e poiesis. Quello che
penso, faccio e produco s’inscrive completamente all’interno del
complessivo agire sociale .
Questo dovrebbe, in realtà, indurre a mettere in discussione
i termini disoggetto, oggetto e praxis: la rottura con lo
hegelismo infatti è, a mio parere, così forte da essere resa opaca dal
mantenimento di tali categorie così come sono. A mio parere, fra l’altro,
questo si lega anche alla decisione di Marx di abbandonare un certo tipo di
tematiche e di linguaggio. Si tratta, però, di un tema complesso, che non posso
ridurre qui se non al prezzo di dimenticare quali sono le ragioni per cui
effettivamente Goldmann le mantenga. Preferisco allora concentrarmi nel mio
percorso ed arrivare rapidamente al dunque.
Sì, perché si sarà osservato che siamo ancora lontani
dall’avere espresso una soluzione al problema del fondamento morale del
marxismo, mentre abbiamo sottobanco reinserito nel discorso il tanto vituperato
concetto dialettico di «totalità». Si tratta di una nozione che dopo la
frantumazione della teoria emancipativa nella proliferazione dei “discorsi”
voluta dal post-modernismo trova una sua difficile giustificazione all’interno
del dibattito attuale. Inutile però negare la sua centralità all’interno del
discorso goldamanniano, anche se Goldmann lo interpreta, come vedremo fra poco,
in una maniera decisamente originale.
Va subito precisato che Goldmann propone una correzione al
discorso marxiano/lukacciano intorno alla coincidenza soggetto-oggetto. Per lui
essa è possibile, ma sempre e soltanto «parzialmente».
Ma che vuol dire nella pratica che soggetto ed oggetto
coincidano? Vuol dire che, ad esempio, quando studio i fatti umani, essendo
anche io un uomo, studio un complesso di fattori entro cui vivo anche io. Non
soltanto: studio un complesso di fattori che possono variare grazie al mio
agire o all’agire della classe di cui faccio parte e che muta anche
semplicemente in base al sapere che ho prodotto (secondo una direzione che,
però, non è detto sia quella da me voluta).
In questo senso, per farla breve, un discorso oggettivo non
è possibile e dietro ogni descrizione ci sta sempre un giudizio di valore. Là
dove non sembra esserci, il giudizio in realtà è semplicemente a favore di un
mantenimento necessario dell’ordine vigente. Dietro il semplice catalogare gli
eventi, sta sempre una postulato legato a un insieme di valori e a
una visione del mondo (Goldmann preferisce usare raramente
l’espressione Weltanschauung).
La visione del mondo non è che l’idea di come si
connettano (o non si connettano) i vari momenti della vita sociale. Si tratta
della succitata idea diTotalità. Ma posta in questo modo, si capisce perché
Goldmann insista a non volerla definire come un concetto. Si tratta più che
altro di un presupposto gnoseologico-esistenziale: per orientare il pensiero
faccio sempre riferimento ad un visione del mondo, anche se la metto,
magari, costantemente in discussione.
Ed accanto questa visione del mondo, ritrovo, come
detto, un sistema di valori che serve, quantomeno, ad indicarmi cosa,
dell’enorme numero di elementi che mi circondano, sia significativo e cosa no.
E dato che pensiero, prassi e produzione coesistono nello
stesso livello, sarà all’interno dell’agire sociale, della prassi sociale
condivisa, che il mio pensiero, la mia prassi e la mia produzione, ovvero le
mie istanze soggettive, troveranno conferma o no. È nel mondo reale che un
agire (teorico o pratico che sia) trova la sua funzione. Tenendo presente che
la coincidenza soggetto-oggetto sarà sempre e comunque parziale, rendendo
impossibili quelle situazioni «apocalittiche» (per citare lo stesso Lukàcs) di
coincidenza assoluta fra descrizione e valutazione che sono presenti
in Storia e coscienza di classe.
Per questi motivi, Goldmann recupera con grande energia e
fatica intellettuale la nozione pascaliana di scommessa. Le pari
pascalien viene inserito nella dialettica come suo motore. Il marxismo
diventa, allora, il primo pensiero capace di comprendersi per quello che ogni
pensiero è: una scommessa su un sistema di valori, su una configurazione
possibile del tutto sociale e su una funzione che la nostra prassi può avere
nel riconfigurare quello stesso mondo.
Molte precisazioni da fare sarebbero ancora da fare, ma mi
limiterò solo ad alcune di esse:
1) La nozione di scommessa non va intesa come se stessimo
dinanzi a una roulette. Si scommette sapendo che la “vittoria” o la “sconfitta”
passeranno attraverso i nostri corpi e le nostre azioni. È dunque in gioco
anche il principio di responsabilità;
2) Le varie posizioni soggettive, nonostante siano in grado
di determinare nuove configurazioni sociali, sono anche determinate dalle
stesse. Si tratta indubbiamente di uno dei momenti più complessi e problematici
del pensiero goldmanniano.
3) La forma sintetica con cui ho esposto i concetti, che
spero non mi abbia portato a fraintendere il pensiero di Goldmann, mi ha
costretto a utilizzare esempi soggettivo-individuali. Per Goldmann tuttavia
sono decisive le tendenze dei soggetti sociali.
Detto ciò, resta la domanda, su quale sistema di valori
scommetta Marx. Ovvero, posto che il suo pensiero sia il risultato di una
scommessa su una rivoluzione possibile e su una configurazione particolare del
tutto sociale, radicata nella posizione sociale espressa dal proletariato dalla
metà fino alla fine dell’800, quali sono però i valori sui quali egli insiste?
Per Goldmann, la risposta è semplice: un’idea di libertà che
si incarna in una comunità umana autocosciente ed autodeterminata. Più
concretamente, una società dove siano possibili controlli democratici dei
processi produttivi, forme di organizzazione del lavoro votate all’autonomia ed
all’autodeterminazione.
Tornando ad una terminologia più hegeliana, sarebbe l’idea
di una prassi autocosciente. In questo senso, al contrario di Screpanti,
Goldmann (ed io con lui) vede una continuità fra il concetto di libertà del
giovane e del vecchio Marx. Continuità con un forte elemento di discontinuità
che pone anche nuovi problemi teorici: parlare di una prassi autocosciente vuol
dire parlare della coscienza come di qualcosa che si dà nel pratico e non
(soltanto) nel momento spirituale. Se le nuove tecnologie di comunicazione
propongono idee innovative rispetto alla possibilità di organizzare
orizzontalmente lavoro e comunicazione, sappiamo bene che la soluzione resta
problematica. A tali problemi del passaggio da una configurazione utopica ad
una concreta, Goldmann non dà altre soluzioni se non attraverso il manifesto
interesse per le opere degli anni ’60 di Vittorio Foa o attraverso il –
risibile se visto con gli occhi di oggi – sostegno al sistema cooperativistico
jugoslavo.
Pur con tali limiti, credo si possa dire che Goldmann offre
una via alternativa a quella prevista da Petrucciani. Una soluzione che non si
radica tanto nella filosofia morale, quanto nell’epistemologia hegeliana (e
pascaliana). Una soluzione che reintroduce parole d’ordine come autogestione,
orizzontalità ed organizzazione dal basso che possono essere care anche a un
marxista di orientamento più libertario come Screpanti.
Guido Grassadonio è dottorando
all’EHESS con una tesi su Lucien Goldmann. Ha pubblicato anche Libertà, Prassi,
Soggettività. La filosofia di Marx, Malatempora 2013