|
Friedrich Engels & Karl Marx ✆ J. Stephensson
|
1. Lo Stato di classe Sebastiano Ghisu
Uno delle teorie più consolidate della tradizione marxista –
e comunque di una sua parte importante – è senz’altro quella secondo cui lo
Stato, inevitabilmente, nel momento stesso in cui diviene realmente «rappresentante di tutta la società», si
estingue. Scrive Engels in un celebre e citatissimo passaggio: Il primo atto con cui
lo Stato si presenta realmente come rappresentante di tutta la società, cioè la
presa di possesso di tutti i mezzi di produzione in nome della società, è nello
stesso tempo l’ultimo suo atto indipendente in quanto Stato. L’intervento di
una forza statale nei rapporti sociali diventa superfluo in un campo dopo
l’altro e viene poi meno da se stesso. Al posto del governo sulle persone
compare l’amministrazione delle cose e la direzione dei processi produttivi. Lo
stato non viene “abolito”: esso si estingue.
Come si vede, lo Stato di cui qui si parla è parte del conflitto
sociale o piuttosto: nel conflitto sociale. È anzi da esso nutrito,
legittimato, sorretto: se appare come il rappresentante di tutta la società, ed
estraneo dunque al conflitto, è soltanto perché rappresenta in realtà la sola
classe dominante.
Leggiamo ancora:
Lo Stato era il
rappresentante ufficiale dell’intera società, la sua sintesi in un corpo
visibile, ma lo era solo in quanto Stato di quella classe che per il suo tempo
rappresentava, essa stessa, tutta quanta la società: nell’Antichità era lo Stato
dei cittadini padroni di schiavi, nel Medioevo della nobiltà feudale, nel nostro
tempo della borghesia. Nel momento in cui, infine, diviene effettivamente il
rappresentante dell’intera società, si rende, esso stesso, superfluo. Non
appena non vi saranno più classi sociali da mantenere nell’oppressione, non
appena con il dominio di classe e della lotta per l'esistenza individuale
fondata sull’anarchia della produzione finora esistente, verranno eliminati
anche le collisioni e gli eccessi che sorgono da tutto ciò, non ci sarà più
niente da reprimere di ciò che rendeva necessaria una forza repressiva
particolare, uno Stato (MEW 20, 261sg.).
Lo Stato è proprio questa «forza repressiva particolare (besondre Repressionsgewalt)» e non la
semplice organizzazione o amministrazione della società (che non è di per sé
“Stato”). Allo Stato viene dunque attribuito, storicamente, un ruolo
esclusivamente repressivo o coercitivo, legato alla forza, alla violenza, al
conflitto. Esso è lo spazio del politico, che la modernità (diversamente, ad
esempio, dal mondo antico) fa coincidere, per l’appunto, con il conflitto, la
violenza, la forza (e non semplicemente con il comune essere in società e la
sua amministrazione). È questa l’idea del politico cui Marx ed Engels
implicitamente ricorrono ed è da quest’idea che discende ml’idea e, di
conseguenza, il loro concetto di Stato.
Scriverà Engels nel 1883, ricordando il suo antico compagno
di viaggio e di avventura intellettuale,
Marx ed io siamo stati
dell’avviso, fin dal 1845, che una delle conseguenze ultime della futura
rivoluzione proletaria sarà la progressiva dissoluzione dell’organizzazione
politica indicata con il nome Stato. Lo scopo principale di tale organizzazione
è sempre stato quello di garantire, attraverso la violenza armata,
l’oppressione economica della maggioranza lavoratrice da parte di una minoranza
soltanto facoltosa. Con lo scomparire di una minoranza soltanto facoltosa
scompare anche la necessità di un potere armato statale o repressivo. (MEW
19, 344).
In effetti, come già scriveva Marx nel Secondo abbozzo su “La guerra civile in Francia” del 1871,
«il potere statale è sempre stato il potere di affermare l’ordine, vale a dire l’ordine sociale
sussistente e quindi la subordinazione e sfruttamento della classe dei
produttori attraverso la classe dei proprietari» (MEW 17, 593).
Engels, di nuovo, nell’opera esplicitamente dedicata alla
genesi dello Stato (L’origine della
famiglia, della proprietà privata e dello Stato del 1884) precisa ancora che
lo Stato si è originato dal bisogno di «tenere a bada i contrasti di classe, essendo
esso contemporaneamente sorto nel mezzo del conflitto di queste classi». In tal
senso, lo Stato è «di norma lo Stato della classe più potente ed economicamente
dominante, che diviene quindi grazie ad esso anche la classe politicamente
dominante e ottiene così nuovi strumenti per la soggezione e lo sfruttamento
della classe oppressa» (MEW 21, 166sg.). Lo Stato, insomma,
«non è affatto un
potere imposto alla società dall’esterno, tanto meno è “la realtà dell’idea
etica”, “l’immagine e la realtà della ragione”, come asserisce Hegel. È
piuttosto un prodotto della società ad un determinato livello di sviluppo; è
l’ammissione che questa società si è invischiata in una insanabile
contraddizione con se stessa, si è divisa in contrapposizioni inconciliabili
che non è in grado di evitare. Affinché tuttavia queste contrapposizioni, le
classi con interessi economici contrastanti, non consumino se stesse e la
società in una lotta infruttuosa, è divenuta necessario un potere che stia
apparentemente al di sopra della società, che deve attenuare il conflitto e
tenere “l’ordine” all’interno di certi limiti; e questo potere che scaturisce
dalla società, ma che si colloca al di sopra di essa, e da essa si estranea
sempre più, è lo Stato (MEW 21, 165)2.
Sommario
1. Lo Stato di classe
2. Lo Stato come oggettivazione dell’uomo
3. L’uomo come effetto
4. Le «robinsonate», ovvero le teorie ideologiche dello Stato
5. Estinzione dello Stato?
6. Idea e concetto di Stato
► Testo in PDF | 11 pp.