Guglielmo Carchedi
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Vi sono state molte dispute nella storia della teoria del valore. A
incominciare dagli anni 1980, una controversia è divampata tra i Marxisti che
sostengono che l’economia è in equilibrio o tende verso di esso (l’approccio
dell’equilibrio) e quei Marxisti che sostengono che la nozione di equilibrio è
aliena alla teoria di Marx. Per questi ultimi, non solo l’equilibrio ma anche
ma anche le deviazioni da esso (il disequilibrio) sono solo potenti nozioni
ideologiche che non hanno alcuna rilevanza per una teoria economica del mondo
reale. Infatti, l’economia capitalista tende non verso l’equilibrio ma verso le
crisi attraverso una successione di cicli economici. I due approcci sono
radicalmente differenti. I termini ‘economia del (dis)equilibrio’ e ‘economia
del non-equilibrio’ sottolineano questa differenza. La disputa non è ancora
stata risolta, in una maniera o nell’altra.
Il dibattito si à concentrato
principalmente su due aspetti: il cosiddetto problema della trasformazione e la
caduta tendenziale del tasso di profitto. In entrambi i casi, dalla prospettiva
dell’equilibrio e del concomitante simultaneismo (la teorizzazione
dell’economia come se il tempo non esistesse, cioè dove tutto accade
simultaneamente) si possono trovare molte inconsistenze in Marx.
Ma dalla
prospettiva del non-equilibrio e concomitante temporalismo (la teorizzazione
dell’economia in cui il tempo gioca un ruolo essenziale) queste inconsistenze
scompaiono.[1] Lo scopo di questo articolo non è quello di rivisitare il
dibattito. È sufficiente menzionare che, per quanto riguarda la coerenza
interna della teoria di Marx, il fatto che l’approccio temporale e del
non-equilibrio renda possibile la soluzione di tali inconsistenze è una ragione
sufficiente per scegliere tale approccio. La stessa scelta è inevitabile ce se
si è interessati ad una teoria del mondo reale piuttosto che in una teoria del
mondo virtuale (senza tempo). Questo articolo non vuole neanche affrontare una
questione differente ma correlata: se si sceglie l’approccio temporale e del
non-equilibrio, se l’economia a quindi la società non sono in equilibrio e
neppure tendono verso di esso, come è possibile che esse si possano riprodurre?
Ho trattato di questa questione in un altro lavoro (Carchedi, prossima
pubblicazione, Parte I e Parte II). In quel lavoro, propongo un metodo
dialettico di ricerca sociale che spiega sia la riproduzione che il superamento
del capitalismo nell’assenza della nozione di (dis)equilibrio. Piuttosto,
quest’articolo partecipa indirettamente al dibattito ponendo una questione
differente: è possibile trovare una conferma della nozione di dialettica di
Marx nei suoi Manoscritti Matematici (d’ora in avanti, MMM)?
Come noto, Marx non hai mai scritto
un trattato sulla dialettica. In altri lavori ho argomentato che tale nozione
piuttosto che essere cercata in Hegel dovrebbe essere estratta dal lavoro dello
stesso Marx. La conclusione a cui giunge quel lavoro è che tale nozione è
basata su tre principi che sono le cordonate del metodo di ricerca sociale di
Marx. Primo, i fenomeni sociali sono sempre sia realizzati che potenziali e
cioè essi contengono in se stessi un ambito di potenzialità la cui
realizzazione spiega il loro cambiamento. L’aspetto realizzato e quello
potenziale possono essere contradditori. Secondo, i fenomeni sociali sono
sempre sia determinanti che determinati. Cioè essi sono connessi da una
relazione di determinazione reciproca. Per semplicità espositiva, chiamiamo i
primi A e i secondi B. A è determinante di B perché A è la condizione di
esistenza di B in quanto B è contenuto potenzialmente in A e (2) A causa
l’emergere di B dal suo stato potenziale cosicché B diventa una istanza
realizzata. B è determinato da A. B, dal canto suo, realizzandosi, diventa la
condizione realizzata della riproduzione o del superamento di A, cioè del
cambiamento di A. Questa nozione di reciproca determinazione presuppone un
dimensione temporale. Solo ciò che si è già realizzato può causare la
realizzazione di ciò che non si è ancora realizzato ma esiste solo
potenzialmente (in ciò che si è realizzato). Terzo, da questi due principi
segue che i fenomeni sociali sono soggetti a un movimento e cambiamento continui
e cioè essi cambiano da uno stato realizzato a quello potenziale e vice versa e
da uno stato determinante ad uno determinato.
Ne consegue che la realtà sociale,
vista dal punto di vista dialettico, è un flusso temporale di fenomeni
contradditori determinanti e determinati che emergono continuamente da uno
stato potenziale per diventare fenomeni realizzati e che poi ritornano ad uno
stato potenziale. La società tende a riprodursi o a superare se stessa
attraverso questo movimento. Né l’equilibrio né il disequilibrio giocano un
ruolo nella riproduzione della società. Essi sono semplicemente dei concetti
ideologici con nessun contenuto scientifico.
In genere, gli studiosi dei MMM considerano
il metodo di calcolo differenziale di Marx dal punto di vista della storia
della matematica.[2] Come risaputo,
Marx iniziò lo studio della matematica perché, come ebbe a dire egli stesso, la
sua conoscenza dell’algebra era insufficiente per la elaborazione dei principi
dell’economia.[3] La prima indicazione dell’interesse di Marx per la
matematica è contenuta in una lettera ad Engels del 1858 in cui scrive: “nello
sviluppare i principi dell’economia sono stato così dannatamene ostacolato da
errori di calcolo che in disperazione ho incominciato di nuovo a ripassarmi
l’algebra. L’aritmetica mi è sempre stata ostica. Prendendo la deviazione per l’algebra
sto facendo di nuovo rapidi progressi”. Nel 1863 scrive di nuovo ad Engels:
“nel mio tempo libero faccio calcolo differenziale ed integrale.” È molto
interessante che in un’altra lettera a Engels
dieci anni più tardi (1873) dà un esempio di quali principi
dell’economia egli avesse in mente:
“Ho riferito a Moore del problema su cui da tempo mi sto
rompendo la testa. Tuttavia lui pensa che sia irrisolvibile, per lo meno pro
tempore, a causa dei molti fattori che giocano un ruolo, molti dei quali devono
ancora essere scoperti. Il problema è questo: hai visto quei grafici in cui i
movimenti annuali dei prezzi, dei tassi di sconto, ecc. sono esibiti come zig
zag crescenti e decrescenti. Ho tentato in vari modi di analizzare le crisi
calcolando questi su e giù come curve irregolari e ero dell’opinione (e credo
ancora che sarebbe possibile se il materiale fosse analizzato sufficientemente)
che potrei essere in grado di determinare matematicamente le leggi principali
che regolano le crisi. Come ho detto, Moore pensa che ciò non sia possibile
oggigiorno e ho deciso di rinunciarvi per adesso”
Alla luce del fatto che “le leggi
principali che governano le crisi” sono, come tutte le leggi sociali,
tendenziali e contraddittorie, è impossibile “determinare matematicamente” tali
leggi. Primo, la matematica è un ramo della logica formale e nella logica
formale le premesse non possono essere contraddittorie. Tuttavia, per spiegare
le leggi del movimento della società è necessario iniziare da premesse
contraddittorie (nel senso di contraddizioni dialettiche) ed è per questo che le
leggi del movimento sono tendenziali. Secondo, anche se si conoscessero “tutti
i fattori che giocano un ruolo”, sarebbe praticamente impossibile prendere
tutti in considerazione. Questo è il motivo per cui i modelli econometrici,
anche quelli composti di migliaia di equazioni, hanno risultati tanto
disastrosi come strumenti di predizione. Ma se è impossibile determinare le leggi delle
crisi puramente in termini matematici è certamente possibile analizzare i
movimenti ciclici degli indicatori economici (i su e giù) usando la “matematica
superiore”. Questa è l’intuizione di Marx ed è (anche) per questo che si dedicò
allo studio del calcolo.
Ma vi potrebbe essere anche
un’altra ragione. Come si vedrà più sotto, la critica di Marx al calcolo
differenziale e la elaborazione del suo metodo alternativo sono incentrati sulla
natura ontologica degli infinitesimi. La sua insoddisfazione per il metodo con
cui Leibniz calcola le derivate è incentrata sulla nozione di infinitesimimali
che emerge da tale metodo, una nozione in cui le derivate non sarebbero né zero
né un numero reale. Nel tentativo di elaborare il proprio metodo di
differenziazione, Marx riconsidera gli infinitesimali e da loro la propria
interpretazione. La tesi di questo articolo è che Marx, nello studiare il
calcolo differenziale, cercava i riprova per il suo metodo di analisi sociale e
il materiale per sviluppare ulteriormente tale metodo. È per questo che per la
sua elaborazione Marx usa alcuni principi fondamentali della sua concezione
dialettica della realtà. Da questo punto di vista i MMM sono rilevanti per lo
scienziato sociale piuttosto che per il matematico o lo storico della
matematica.
A questo punto sorgono due domande.
Primo, perché Marx non ha fatto uso del calcolo differenziale nel suo lavoro? Secondo
Smolinski, per Marx
Il fattore chiave è che la merce o ha un valore o non ce
l’ha, il lavoro è produttivo o non lo è, un partecipante al processo economico
o è un capitalista o un proletario, la società è o capitalista o socialista.
Per questo universo polarizzato, un calcolo binario potrebbe essere uno
strumento più adatto del calcolo differenziale (1973, p.1199)
Tuttavia Alcouffe nota che gli
schemi di riproduzione e la caduta tendenziale del tasso di profitto possono
essere trattati con la matematica sviluppata da Marx. Per esempio, il calcolo
differenziale può essere usato per calcolare il tasso istantaneo di variazione
del tasso di profitto (1985, p.37). Entrambe le opinion hanno un elemento di
verità. Il calcolo differenziale è, in effetti, applicabile ad alcuni aspetti
della teoria economica di Marx ma la questione è se ciò sia rilevante. La
questione importante non è la variazione istantanea del tasso di profitto ma
come e perché esso cambia a causa della relazione dialettica tra la tendenza e
le controtendenze.[4] Più probabilmente, dato che Marx finalmente padroneggiò il
calcolo verso la fine della sua vita, gli mancarono il tempo e la opportunità
di scrivere una analisi degli aspetti quantitativi della vita economica (per
esempio, quelli che chiama gli zigzag nella lettera più sopra).
La seconda questione concerne il
modo in cui Marx avrebbe applicato il calcolo differenziale se ne avesse avuto
il tempo e l’opportunità. Questa questione non può essere risolta attraverso un’analisi
di come la matematica sia stata applicata nelle ex-economie a pianificazione
centralizzata. Come dice Smolinski, “secondo un opinione molto comune, è stata
l’influenza di Marx a ritardare per decenni lo sviluppo della economia matematica
nei sistemi economici di tipo Sovietico; è opinione comune che tale ritardo a
sua volta abbia un effetto avverso sull’efficienza con la quale essi operano”
(1973, p.1189). Ma, come l’autore indica correttamente e come i MMM dimostrano,
Marx conosceva bene il calcolo ed era molto interessato alla sua applicazione
alla teoria economica. È vero che
“La “matematicofobia” dei pianificatori, per usare
l’appropriata espressione di Kantorovich, condusse ad una allocazione
sostanzialmente inefficiente delle risorse attraverso decisioni non-ottimali …
anche il costo intellettuale di tale tabù fu alto; la teoria economica, ridotta
allo stato di una scienza “qualitativa” e de-quantificata, stagnò … [Oskar
Lange, G.C.] sottolineò che la teoria economica sovietica degenerò in un dogma
sterile il cui scopo diventò quello di “difendere gli interessi specifici della
burocrazia dominante e di distorcere e falsificare la realtà economica”” …
Questi processi condussero ad un avvizzimento del Marxismo … la scienza
[economica] Marxista fu rimpiazzata da una apologia dogmatica” (ibid).
Vi è considerevole confusione in questo
brano. Mentre Marx non può essere ritenuto responsabile per l’insufficiente
applicazione della matematica nelle economie di tipo sovietico e mentre ciò fu
certamente un ostacolo per un funzionamento efficiente del sistema economico,
la ragione della scomparsa della Unione Sovietica e delle altre economie a
pianificazione centralizzata di tipo Sovietico deve essere ricercata altrove. In
breve, nonostante le sue caratteristiche specifiche, compresa l’assenza del
mercato, l’Unione Sovietica era diventata un sistema dove la classe
politico/manageriale svolgeva la funzione del Capitale (si veda il terzo volume
del Capitale per tale nozione). Lo scopo della applicazione delle tecniche di
pianificazione era quello di imitare il mercato come un sistema di allocazione
senza esautorare la burocrazia. Era quindi l’opposto di un sistema basato
sull’autogestione dell’economia e della società da parte dei lavoratori. Contrariamente
a quanto pensa Smolinski, le scelte dei pianificatori erano spesso sbagliate
non perché esse “ riflettevano l’erronea teoria del valore lavoro” (op.cit. p.1190) ma perché un sistema
inerentemente capitalista aveva bisogno del mercato come sistema allocativo piuttosto
di qualunque altro sistema. L’allocazione ottimale per il capitale può essere
solo attraverso il mercato. Il sistema era quindi intrinsecamente debole e
incapace di competere con sistemi capitalisti pienamente sviluppati (Carchedi,
1987).[5]
Per quanto riguarda Marx, la
questione importante non è se e come egli avrebbe applicato il calcolo
differenziale alla sua teoria economica. Ciò è di scarsa importanza. Il punto è
che anche se i MMM non trattano della relazione tra dialettica e calcolo differenziale,
il metodo del calcolo differenziale di Marx ci permettere di intuire quale
fosse la sua prospettica dialettica della realtà. Questo punto è sfuggito a
tutti i commentatori dei MMM. Eppure, sono questi elementi piuttosto che la
originalità del metodo di differenziazione di Marx che sono gli aspetti
veramente importanti del MMM.
Consideriamo, per iniziare, come “Leibniz
arrivò alla nozione di derivata … da considerazioni geometriche” (Gerdes, 1985,
p.24; si veda anche Struik, 1948, pp. 187 e seguenti). Supponiamo che
y1 = x13.
Partendo da dx = x1-x0 and dy = y1 - y0 , (1) y1 = x13 = (x0+dx)3 =
x03+3x02dx+3x0(dx)2+(dx)3dato che y0 = x03(2) y1 = y0+3x02dx+3x0(dx)2+(dx)3cosicchè(3) y1 - y0 = dy =
3x02dx+3x0(dx)2+(dx)3e dividendo entrambi i membri per
dx otteniamo(4) dy/dx = 3x02+3x0dx+(dx)2
A questo punto, seguendo Leibniz,
cancelliamo dx nella parte destra dato che dx è infinitamente piccolo. Quindi, otteniamo
(5) dy/dx = 3x02 or
more generally 3x2 (Gerdes, 1985, pp.24-30).
Il problema, secondo Marx, è
doppio. Primo, la derivata 3x02 appare già nella equazione (1) e cioè prima
della derivazione, prima che dx sia posto uguale a zero. Quindi, per ottenere
la derivata, “i termini che sono ottenuti in aggiunta alla prima derivata
[3x0dx+(dx)2, G.C.]… devono essere fatti sparire
per ottenere il risultato corretto [3x02, G.C.]” (1983, p. 91). Ciò è
necessario “non solo per ottenere il risultato corretto ma qualsiasi risultato”
(op. cit. p.93). Marx lo chiama il metodo “mistico”.
Secondo, se dx è una quantità infinitamente piccola, se non è un numero
ordinario (Archimedeo), come possiamo giustificare l’uso delle regole per
numeri ordinari, per esempio l’applicazione della espansione binomiale a
(x0+dx)3? Più in generale, qual è lo stato teorico e ontologico di quantità
infinitamente piccole?
Nell’affrontare queste difficoltà,
Marx sviluppa il proprio metodo di derivazione. Sostanzialmente, il suo metodo
è il seguente. Data una certa funzione, come y=f(x), prima di tutto Marx lascia
che xo si incrementi fino a x1. Sia x che y aumentano di una quantità finita Δx and Δy (cosicché le regole dei numeri ordinari possono essere
applicate in questo caso). Marx chiama il rapporto Δy/Δx = [f(x1)-f(x0)]/(x1-x0) la derivata provvisoria o
preliminare. Poi, Marx fa decrescere x1 fino a x0. Quindi, x1-x0=0 e conseguentemente y1-y0=0.
In tal modo questo valore è ridotto alla sua quantità assolutamente minima.
Questa è definita la derivata definitiva, dy/dx (cosicché la derivata appare
solo dopo la differenziazione).[6] “La quantità x1, anche se ottenuta originariamente dalla
variazione di x, non sparisce, è solo ridotta al suo valore limite minimo = x” (op.cit. p.7, sottolineatura mia, G.C.).
Vediamo quindi come Marx calcola la derivata di y = x3.
Se x0 aumenta fino a x1, y0 aumenta
fino a y1. Dato che x1-x0 = Δx e y1-y0=Δy
(1) Δy/Δx = (y1-y0)/(x1-x0) = (x13-x03)/(x1-x0)Dato che(2) (x13-x03) =
(x1-x0)(x12+x1x0+x02)sostituiamo (2) in (1)(3) Δy/Δx = [(x1-x0)(x12+x1x0+x02)]/(x1-x0)e otteniamo la derivata provvisoria(4)
Δy/Δx = x12+x1x0+x02
Al fine di ottenere la derivata
definitiva, x1 decresce fino a x0 cosicché Δx = dx = 0 e Δy = dy = 0. L’equazione (4) diventa
(5) dy/dx = x02+ x02 +x02 = 3x02
La derivata definitiva è quindi la
“derivata preliminare ridotta alla sua assoluta minima quantità” (ibid). I due
metodi conducono allo stesso risultato. Ma ci sono differenze tra loro. Primo “
i punti di partenza … sono poli opposti per quanto riguarda il metodo
operativo” (op.cit. p.68). In un caso è
x0+dx = x1 (la “forma positiva”); nell’altro (Marx) è x0 che aumenta fino a x1,
i.e. x1-x0 = Δx (la “forma negativa”) ( op. cit., p. 88). “Una esprime la
stessa cosa dell’altra: la prima negativamente come la differenza Δx, la seconda positivamente come
l’incremento h” (op.cit. p.128). Nella forma positiva “fin dall’inizio
interpretiamo la differenza come il suo opposto, come somma” (op.cit.p.102).
Secondo, anche le procedure sono diverse: la frazione Δy/Δx è trasformata in dy/dx (i.e. Marx incomincia dalle
quantità finite che susseguentemente egli pone uguali a zero[7]) e la derivata è ottenuta dopo la derivazione, dopo che dx
è posto uguale a zero. Nel metodo positivo (forma positiva) “la derivata non è per
nulla ottenuta attraverso la differenziazione ma invece semplicemente
attraverso l’espansione di f(x+h) oppure y1 in una espressione definita
ottenuta attraverso una semplice moltiplicazione” (op.cit. p.104).
Si potrebbe sostenere che queste
differenze sono insignificanti dato che entrambe usano solo algebra elementare
e dividono l’incremento di una quantità, y, che dipende da un’altra quantità,
x, per l’incremento in x.[8] Per di più, da un punto di vista matematico, il metodo di
Marx è di limitata applicabilità “perché è spesso impossibile dividere
f(x1)-f(x0) by x1-x0” (Gerdes, 1985, p.73). Ma si potrebbe anche sostenere che
la procedura di Marx ha un valore per la storia della matematica perché il suo
metodo gli permette di capire che dy/dx non è un rapporto tra due zeri ma un
simbolo che indica la procedura secondo cui prima x0 aumenta fino a x1 (e
quindi y0 a y1) e poi x1 (e quindi y1) sono ridotti ai loro valori minimi, x0 e
y0. La scoperta di Marx che dy/dx è un simbolo operativo anticipa “un’idea che fu avanzata di nuovo
solo nel secolo ventesimo” (Kolmogorov, citato in Gerdes, 1985, p.75).[9] L’enfasi posta da
Marx su dy/dx come un simbolo operativo, “l’espressione di un processo”
(op.cit. p.8), “il simbolo di un processo reale” (op.cit. p.9) è un vero
successo, un’eccellente critica delle fondamenta ‘mistiche’ del calcolo
infinitesimale, della natura metafisica di entità infinitamente piccole che non
sono, “né finite nè nulle” (Lombardo Radice , menzionato in Ponzio, 2005, p.23).
Per Marx, Δx diventa zero solo come simbolo,
come un simbolo rappresentante una quantità minima ma reale. Il tasso dy/dx =
0/0 è solo una notazione simbolica, un simbolo operativo per la derivata
definitiva. È un simbolo di un processo, di x0 che prima aumenta fino a x1 e
poi decresce fino a x0.
Sia come sia, queste considerazioni
sono solo di interesse marginale per questo articolo. Il punto è che questo
metodo ci permette di intuire importanti aspetti della nozione di dialettica
secondo Marx.[10] Primo, per Marx
una quantità x può essere o x1 o x0. La
nozione di una quantità infinitamente piccola, di una infinita approssimazione
allo zero, di qualcosa che, come entità realizzata, non è né un numero né zero,
deve essere respinta come ‘metafisica’ come una ‘chimera’. Nell’ambito della
realtà realizzata una quantità non può essere allo stesso tempo zero e
differente da zero.[11] Nel suo metodo, Marx prima incrementa x0 fino a x1 (cioè
di dx) e poi riduce x1 a x0, cosicché x1 non sparisce ma è ridotto al suo
limite minimo, x0. Quindi, dx piuttosto che essere allo stesso tempo zero e non
zero è prima un numero reale e poi è posto uguale a zero. Questa è una
concezione di un processo reale e temporale. In tal modo Marx sfugge alla
nozione “chimerica “ della derivata. Le notazioni dx=0 e dy=0 sono i simboli di
questo processo, e non numeri reali divisi per zero.
Secondo, per Marx nel metodo
positivo xo+dx indica un’addizione, una variabile (dx) sommata ad una quantità
costante (xo). Implicitamente, xo rimane lo stesso per tutta la durata cosicché
il movimento e il cambiamento interessano solo una limitata sezione della
realtà.[12] Il punto di partenza è una costante, una mancanza di
movimento e di cambiamento, a cui un cambiamento è aggiunto come un’appendice.
Questa è una nozione di una realtà statica che è disturbata dal movimento
soltanto temporaneamente, un movimento che per di più riguarda solo una parte
della realtà. L’analogia con l’equilibrio e il disequilibrio (deviazioni
temporanee dall’equilibrio) nelle scienze sociali è chiara. Dx è esterno a x,
il primo è aggiunto al secondo. Il movimento non scaturisce dalla natura
interna e dalla struttura di ciò che si muove ma è il risultato di forze
esterne. Dietro la ‘forma positiva’ si cela una interpretazione statica della
realtà.
D’altra parte, per Marx (la forma
negativa) “x1 è x stesso incrementato; il suo incremento non è separato da esso
… questa formula distingue x incrementato, cioè x1, dalla sua forma originaria
prima dell’incremento, x, ma non distingue x dal suo stesso incremento” (Marx,
1983, p.86). Nel metodo di Marx è il tutto che si muove. In altre parole, il
cambiamento in una parte della realtà (non importa quanto piccola) cambia il
tutto. Il movimento da x0 a x1 (il punto di partenza di Marx) e a ritroso (da
x1 a x0, il punto di arrivo) indica un cambiamento in tutta la realtà anche se
causato da una sua minima parte. Questa è una nozione dinamica in cui l’assenza
di movimento e di cambiamento non giocano nessuna parte. Se il cambiamento non
deriva dall’esterno di x, x0 può essere incrementato fino a x1 solamente perché
x+dx è intrinseco a x come una delle sue potenzialità. Cioè il metodo di Marx
implica che x contiene potenzialmente in se stesso x+dx, che questo ultimo si
realizza come x+dx, e che se x+dx ridiventa x, esso diventa di uovo un
potenziale intrinseco a x. Anche se Marx
non lo dice esplicitamente, il suo metodo presuppone quell’aspetto della
dialettica che distingue tra le entità realizzate e quelle potenziali. Il fatto
che questo non sia il modo in cui la matematica moderna teorizzi dx è del tutto
irrilevante ai fini di questo articolo.
Per concludere, quale concezione
della realtà sociale si cela dietro il metodo di differenziazione di Marx? Marx
vede quel metodo con gli occhi dello scienziato sociale, del dialettico. Il suo
metodo di differenziazione riflette un processo che è reale, temporale, in cui
qualcosa (un numero reale) non può essere allo stesso tempo qualcosa di diverso
(zero) e in cui il movimento riguarda il tutto piuttosto che una parte del
tutto ed è il risultato delle interazione tra gli aspetti potenziali e quelli
realizzati della realtà. Il metodo di Marx del calcolo differenziale può corrispondere
solo ad un approccio dinamico e temporale (e non ad un approccio in cui il
tempo non esiste, come nel simultaneismo nell’economia) e più generalmente con
la nozione di dialettica accennata qui e sviluppata altrove (Carchedi, prossima
pubblicazione, parte I e II). Questa conclusione è molto importante per la
scelta tra una teoria sociale in cui il tempo è una coordinata essenziale e una
teoria in cui il tempo non esiste. La questione non è se il metodo di Marx sia di
scarso interesse per la matematica (anche se è corretto) o per la storia della
matematica.[13] Il punto è che i MMM sono rilevanti per quegli scienziati
sociali che siano interessati a scoprire la nozione di dialettica di Marx come
metodo di analisi sociale e come strumento di cambiamento sociale e a
svilupparlo ulteriormente.
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Marx, K. (1858), letter to Engels, 11 January, 1858,
Marx/Engels, Werke, vol. 29, p. 256
Marx, K. (1863), letter to Engels, 6 July, Marx/Engels,
Werke, vol. 30, p. 362
Marx. K. (1873), letter
to Engels, 31 May, Marx/Engels, Werke, Vol. 33, p.821
Marx, Karl (1983), Mathematical Manuscripts of Karl Marx,
New Park Publications
Ponzio, A. (2005), (ed.). Karl Marx, Manoscritti
Matematici, Spirali, Milano
Reuten, G. (2004), “Zirkel vicieux” or Trend fall? The
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36:1, 2004, pp. 163-186
Shaikh, A. 1978.
Political Economy and Capitalism: Notes on Dobb’s theory of crisis,
Cambridge Journal of Economics 2:2, 233–51.
Smolinski, L. Karl Marx and mathematical economics, Journal
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Struik, D.J. (1948), Marx and Mathematics, Science and
Society, Vol. XII, No. 1, Winter, pp. 181-196
Vi è un aspetto del metodo di
differenziazione di Marx che parrebbe non concordare con la nozione di
dialettica presentata più sopra. Si è visto che per Marx xo diventa x1 e poi
ritorna a xo. sembrerebbe che una quantità ritorna alla sua dimensione iniziale
cosicché la differenza è zero. Ma perché mai un tasso istantaneo di cambiamento
dovrebbe essere derivato da un movimento che aumenta una certa quantità di us
certo ammontare e che poi riduce quella quantità incrementata alla sua
dimensione iniziale? Questo metodo non
corrisponde a nessun processo reale mentre una delle caratteristiche di Marx è
che egli analizza processi reali. Secondo, se un numero è incrementato di una
certa quantità e poi ritorna immediatamente alla sua dimensione iniziale, vi è
stato un cambiamento o no? Una quantità è cambiata e allo stesso tempo non è
cambiata. La stessa accusa che Marx muove agli infinitesimi di essere “mistici”
o “chimere” perché essi non sono né numeri reali né zero sembrerebbe essere
valida anche per la nozione di Marx di numeri che cambiano e allo stesso tempo
non cambiano. Ma si può argomentare che questo non è il caso. Le citazioni più
sopra indicano che per Marx x1 non diventa di novo xo ma è “ridotto al suo
valore limite minimo”. Su questa base, x1 è un numero reale e il metodo di Marx
è solo un modo indiretto che esprime la moderna nozione di limite. La
differenza x1-x0 non è letteralmente zero ma un numero che può essere ridotto a
piacimento. Ad un certo punto può essere così piccolo che può essere
considerato insignificante, praticamente zero. Questa interpretazione, se
corretta, farebbe di Marx un precursore del calcolo moderno. Ma, a parte ciò,
il metodo di differenziazione di Marx rivela i presupposti dialettici della sua
visione della realtà, cioè (1) un cambiamento in x determina un cambiamento in
y (x è determinante e y è determinato) (2) l’incremento da x a x+dx è un
concetto che corrisponde ad un processo temporale e reale, ad un movimento che
ha la sua origine all’interno di x
piuttosto che al suo esterno (per aggiunta) e (3) il tasso di cambio è
la realizzazione di una delle possibilità inerenti in x e y se sono correlate
da una certa funzione (per esempio y1 =
x13).
“Lo studio
dei Manoscritti Matematici di Marx ebbe un grande impatto sulla ricerca nella
Unione Sovietica sulla storia e la filosofia della matematica, a incominciare
dagli anni 1930. Questo fu particolarmente il caso per la filosofia della
matematica in cui praticamente tutto il
lavoro pubblicato tra 1930 e 1950 trattò dei Manoscritti. Ma anche la storia
della matematica ricevette uno stimolo notevole a causa di quanto Marx scrisse ... Quindi il significato della
scoperta e dello studio degli scritti matematici di Karl Marx nella Unione
Sovietica può essere valutata in molti modi diversi. Nella misura in cui il
lavoro editoriale dei Manoscritti promosse lo studio della storia della
matematica negli anni 1930, il suo effetto fu positivo. In particolare, i
Manoscritti fornirono una forte ragione per un esame serio della storia della
analisi. Ne consegui che per apprezzare Marx completamente era necessario
studiare la storia della matematica in generale. Sfortunatamente, per quanto riguarda le
fondamenta della matematica, Marx e i Manoscritti hanno avuto un impatto largamente
negativo. La ragione principale è stata la tendenza nella ricerca fondamentale
di concentrarsi quasi esclusivamente sulla interpretazione dialettica della
matematica secondo le dottrine fondamentali di Marx. Per quanto riguarda lo
sviluppo interno, tecnico della matematica stessa, pare che i Manoscritti di
Marx non abbiano giocato nessun ruolo apprezzabile, sia positivo che negativo.”
Dauben, 2003, pp.2-3