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Colonialismo ✆ Latuff
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Enrico Galavotti | Che
Marx ed Engels avessero un atteggiamento ambivalente nei confronti del
capitalismo (lo giudicavano negativamente in rapporto al socialismo, ma
positivamente in rapporto a qualunque formazione pre-capitalistica), è
testimoniato anche dal fatto che la loro analisi del colonialismo non è sempre
stata coerente. Da un lato infatti era esplicita la condanna del colonialismo
come strumento di oppressione e sfruttamento; dall'altro però essi tendevano a
considerarlo come occasione di sviluppo per popoli arretrati e "senza
storia". In questo loro giudizio pesava ovviamente il retaggio della
filosofia occidentale, specie quella hegeliana. Nel
Capitale non
è affatto chiaro l'apporto determinante del colonialismo alla realizzazione
dell'accumulazione originaria. È singolare come nel
Capitale non venga mai ipotizzata l'inevitabilità di una serie
infinita di guerre civili cui in Europa avrebbe portato l'accumulazione
originaria, se nel contempo non fossero state conquistate America, Africa e
Asia. La popolazione si sarebbe dimezzata e lo sviluppo capitalistico, se
ancora ci fosse stato, avrebbe subìto un rallentamento considerevole.
Nel cap. XXV (libro I del Capitale) dedicato al colonialismo, Marx afferma che la proprietà
basata sul proprio lavoro era presente nei territori extra-europei successivamente
colonizzati dalle nazioni capitalistiche più industrializzate. Anche questo
però è un modo astratto di vedere le cose, poiché al tempo di Marx la proprietà
libera in Asia non esisteva più, mentre in America latina era già in forte
disuso nel XV sec. Solo in Africa si poteva ancora ampiamente costatare.
Marx ed Engels capivano perfettamente i limiti del
colonialismo, ma, poiché nutrivano forti pregiudizi nei confronti delle società
pre-capitalistiche, preferivano indulgere verso certe interpretazioni
contraddittorie piuttosto che dover ammettere la sostanziale inadeguatezza
delle soluzioni capitalistiche, globalmente intese, all'arretratezza dei paesi
pre-capitalistici.
In Miseria della
filosofia Marx scrive:
"Una delle
condizioni più indispensabili per la formazione dell'industria manifatturiera
era l'accumulazione dei capitali, facilitata dalla scoperta dell'America e
dall'introduzione dei suoi metalli preziosi... e dall'aumento delle merci messe
in circolazione dal momento in cui il commercio penetrò nelle Indie orientali
per la via del Capo di Buona Speranza, dal regime coloniale, dallo sviluppo del
commercio marittimo... dal licenziamento dei numerosi seguiti dei signori
feudali, i cui membri subalterni divennero dei vagabondi prima di entrare nell'officina...
molti contadini, cacciati di continuo dalle campagne in seguito alla
trasformazione dei campi in praterie o in seguito al fatto che i lavori
agricoli richiedevano meno braccia per la coltivazione della terra, affluirono
nelle città per secoli interi" (ed. Samonà e Savelli, Roma 1968, p.
174).
Poi riassume dicendo: "L'allargamento
del mercato, l'accumulazione dei capitali, i mutamenti intervenuti nella
posizione delle classi sociali...".
Dunque si noti:
1. per Marx, in questo testo, il capitalismo nasce anche e
soprattutto in forza dell'espansione dei commerci, resa possibile dalla
conquista dell'America, delle Indie ecc.;
2. egli non sembra riporre le cause della nascita del
capitalismo soltanto all'interno della nazione capitalistica, ma le
fa dipendere anche dall'esterno, soprattutto dalla conquista militare di
paesi non europei.
Viceversa, nel Capitale (cap.
XXIV) Marx dirà che il capitalismo nasce tutto all'interno della
nazione mercantile; il rapporto con le colonie è marginale o comunque conseguente
rispetto al ruolo che ha avuto il commercio interno, che, raggiunto un
certo livello, ha appunto generato il capitalismo e che, raggiunto un livello
superiore, ha prodotto il colonialismo. In pratica il ragionamento del Marx
maturo è di tipo hegeliano: da una serie di determinazioni quantitative ad un
certo punto sorge una nuova qualità.
Il giovane Marx era invece convinto che il commercio interno
si fosse sviluppato grazie soprattutto al commercio estero, che, a sua
volta, dipendeva dal colonialismo. Le domande rimaste senza risposta nel
periodo giovanile portarono il Marx della maturità a formulare delle tesi
fataliste.
In realtà il marxismo non ha mai spiegato perché il
colonialismo sia una caratteristica tipica dell'Europa occidentale e soprattutto
perché la nascita del colonialismo abbia favorito in maniera decisiva soltanto in
Europa occidentale (specie nei paesi protestanti) la nascita del capitalismo.
L'Italia comunale, con le sue città marinare, era già
un paese colonialista (attività commerciale con attività militare) nei
confronti del Medio Oriente (sin dai tempi delle crociate), e tuttavia non
diventò un paese capitalista industriale, ma si fermò allo stadio commerciale;
anzi, con la Controriforma regredì a livelli para-feudali. Anche la Polonia,
tra i paesi cattolici nord-europei, reagì al progredire del capitalismo delle
nazioni vicine, accentuando il peso del servaggio. Basta leggersi i testi
dell'economista W. Kula. Anche nei paesi danubiani accadde la stessa cosa (si
leggano i testi di H. Stahl).
Spagna e Portogallo, che pur erano già delle nazioni,
ebbero bisogno di diventare prima di tutto paesi colonialisti, al fine di poter
fronteggiare la concorrenza dei nuovi paesi manifatturieri del Nord Europa:
eppure gli imperi coloniali che riuscirono a creare non servirono loro per
diventare potenze industriali.
Questo significa che se il colonialismo appartiene
come eredità culturale all'Europa occidentale pre-industriale (anzi,
addirittura pre-borghese), il capitalismo invece ha bisogno di un
terreno culturale specifico, quale solo la religione protestante poteva
offrire.
Singolare inoltre il fatto che Marx abbia visto nel
colonialismo soprattutto la possibilità per l'operaio salariato immigrato di
diventare un capitalista. Marx cioè non ha mai analizzato il rapporto di
stretta dipendenza che legava le colonie alla madrepatria occidentale (salvo
qualcosa nei rapporti tra Irlanda e Inghilterra o tra questa e l'India). Eppure
il colonialismo era iniziato con la scoperta-conquista dell'America. Era cioè
tempo di rendersi conto che il capitalismo non è mai stato un fenomeno
tipicamente euroccidentale, nato in Inghilterra e da qui trasferito in tutto il
mondo. Esso in realtà è nato come fenomeno mondiale.
In altre parole, senza colonialismo non ci sarebbe stato il
capitalismo, che non avrebbe potuto sopravvivere nel mero ambito dell'Europa
occidentale. Esso aveva necessariamente bisogno di espandersi ovunque fosse
possibile. Marx insomma considerò il colonialismo un effetto del capitalismo,
mentre esso in realtà ne è una concausa.
Non bisogna inoltre mai dimenticare che proprio in virtù
dell'apporto decisivo delle colonie allo sviluppo delle metropoli europee, la
borghesia imprenditoriale ha potuto corrompere, con salari relativamente alti,
una parte del proletariato, creando la cosiddetta "aristocrazia
operaia".
In Occidente il proletariato industriale è sì sfruttato
dalla classe dei capitalisti, ma insieme essi partecipano, secondo proporzioni
diverse, allo sfruttamento dei proletari del Terzo Mondo. È quindi dubbio,
sotto questo aspetto, che il proletariato occidentale potrà mai solidarizzare
col proletariato terzomondista finché resterà immutata questa copertura
favorevole all'occidente e allo sfruttamento delle ingenti risorse umane e
materiali del Terzo Mondo.
***
Il capitalismo nasce da un centro (l'Europa occidentale), ma
ha bisogno immediatamente di una periferia per svilupparsi. La periferia può
essere cercata inizialmente all'interno della stessa nazione che ha imboccato
la strada del capitalismo (il Mezzogiorno p.es. può essere considerato una
colonia interna dell'Italia), ma il capitale ha bisogno di una riproduzione
continuamente allargata. È così che la Luxemburg spiega la necessità intrinseca
del colonialismo.
In realtà noi vorremmo fare un discorso più culturale:
poiché il capitalismo, per evolversi, ha bisogno di una ideologia favorevole
alla libertà individuale e poiché la consapevolezza di questa libertà porta a
un atteggiamento di ribellione nei confronti delle imposizioni (vedi la
resistenza prima contadina, poi operaia, durata sino alla fine del XIX secolo,
ma in Italia, p.es., sino alla fine della mezzadria e alla costituzione del
movimento cooperativistico), il capitalismo, ad un certo punto, per riprodursi
agevolmente, ha bisogno di espandersi in territori periferici extra-nazionali,
ove il livello culturale sia più basso di quello nazionale.
Il capitalismo, infatti, da un lato, per imporsi, deve
promettere benessere per tutti, dall'altro però non può mantenere le proprie
promesse, poiché il benessere di pochi è frutto della miseria di molti. Di qui
l'esigenza di sfruttare altri lavoratori, di paesi coloniali, il cui livello
culturale è troppo basso perché siano in grado di ostacolare lo sviluppo del capitale
e il cui grado di sfruttamento sia tale da permettere al capitalismo
metropolitano di soddisfare le esigenze di libertà (economica e culturale) dei
lavoratori occidentali. Ecco perché là dove esiste solo "precarietà di
mezzi" o produzione per l'autosussistenza, il capitalismo crea miseria,
degrado e sottosviluppo.
Questo significa che fino a quando i lavoratori del Terzo
Mondo non si emanciperanno dallo sfruttamento imperialistico (e non solo dalla
dipendenza politica), sarà molto difficile che i lavoratori dei paesi
occidentali lottino per la realizzazione del socialismo.
Lenin aveva già capito molto bene che in presenza
dell'imperialismo, la consapevolezza rivoluzionaria della classe operaia
occidentale arriva a porre, come massimo, delle rivendicazioni di tipo sindacale,
cioè perde quell'istinto sociale alla rivoluzione che invece Marx le aveva
riconosciuto, condizionata com'è e da un relativo benessere pagato altrove e
dai potenti mezzi persuasivi (propagandistici) del capitale.
Quando Lenin cominciò a predicare la necessità di offrire dall'esterno una
vera consapevolezza rivoluzionaria, egli non fece altro che constatare una
situazione di fatto: spontaneamente gli operai occidentali, nel sistema
dell'imperialismo, non sono rivoluzionari ma piccolo-borghesi, non meno degli
intellettuali di sinistra che li rappresentano.