|
Karl Marx ✆ Junior Lopes
|
Moreno Pasquinelli | Con quanta (insostenibile) leggerezza il pensiero unico liberista ha pensato di
sbarazzarsi dello "spettro" di Marx! Essi sono convinti che l'implosione
del movimento comunista dipenda anzitutto dalla fallacia delle previsioni
di Marx, considerate vaticini senza basi scientifiche, profezie filosofiche
campate per aria. Le cose stanno veramente così? E' proprio vero che la
globalizzazione avrebbe smentito le principali previsioni marxiane? O non è
forse vero il contrario? Proviamo a verificarlo, prendendo in considerazione, come
amano tanto gli "scienziati" di Sua Maestà Il Capitale, i fatti, i dati empirici, e quindi
rileggendo quanto Marx scrisse nel Manifesto
del Partito Comunista del 1848. Diverse sono le tesi "profetiche" di Marx, tra le altre quella che
concerne il rapporto indissolubile tra capitale e lavoro salariato, ovvero
come, alla crescita del capitale deve corrispondere un'aumento dell'esercito
proletario. Lo faremo svelando gli ultimi dati sulle classi sociali a livello
mondiale.
Marx aveva previsto la
globalizzazione?
Prima di arrivare al punto è necessario smentire quei
detrattori che vorrebbero far credere che Marx, in quanto irriducibile
anticapitalista, avesse sottovalutato, se non addirittura escluso, le capacità
espansive del modo capitalistico di produzione.
Ben al contrario Marx, e ciò mentre il capitalismo
predominava solo in Inghilterra, aveva non solo sottolineato il dinamismo
congenito del capitale ma previsto che il suo destino era, quello sì
inesorabile, di colonizzare il resto del mondo, e lo avrebbe potuto fare,
appunto, in virtù della sua capacità di sviluppare incessantemente i metodi di
produzione, quindi le sue forze produttive con l'uso sistematico delle scoperte
scientifiche e tecniche:
«La borghesia non può
esistere senza rivoluzionare continuamente gli strumenti di produzione, i
rapporti di produzione, dunque tutti i rapporti sociali. (...) Il bisogno di
uno smercio sempre più esteso per i suoi prodotti sospinge la borghesia a
percorrere tutto il globo terrestre. Dappertutto deve annidarsi, dappertutto
deve costruire le sue basi, dappertutto deve creare relazioni».
|
Tabella N° 1. La curva del Pil mondiale. Dati Fmi |
Il riconoscimento del ruolo "rivoluzionario" della
borghesia non indusse tuttavia Marx a fare l'apologia del capitalismo. Ben al
contrario! Marx colse l'aspetto disumanizzante dello sviluppo capitalistico,
che il progresso economico poteva nutrirsi solo con maggiore sfruttamento e
alienazione della classe dei lavoratori salariati:
«... la borghesia non ha lasciato fra uomo e uomo altri vincolo che il nudo interesse, il freddo "pagamento in contanti". Ha affogato nell'acqua gelida del calcolo egoistico i sacri brividi dell'esaltazione devota, dell'entusiasmo cavalleresco, della malinconia filistea. Ha disciolto la dignità personale nel valore di scambio e al posto delle innumerevoli libertà patentate e onestamente conquistate, ha messo, unica, la libertà di commercio prova di scrupoli. In una parola: ha messo lo sfruttamento aperto, spudorata, diretto e arido al posto dello sfruttamento mascherato d'illusioni religiose e politiche».
Si giudichi ora,
alla luce della più recente evoluzione del sistema capitalistico, ovvero con
l'avvento del neoliberismo, se la diagnosi marxiana non si sia rivelata esatta.
La cosiddetta "epoca d'oro" keynesiana, segnata (ma solo in
Occidente) dal sostanziale miglioramento condizioni di vita delle classi
proletarie (strappato al costo di molti anni di durissime lotte sindacali e
politiche) si è rivelata nulla di più che una parentesi. Piegato il movimento
dei lavoratori, dissoltosi lo spauracchio del "socialismo reale", il
capitalismo è tornato ad ubbidire ai suoi nativi e più feroci istinti.
E proprio alla luce dell'involuzione dei sistemi politici, prendendo in
considerazione ogni singolo paese capitalistico, si provi a negare che Marx
avesse avuto ragione nel caratterizzare governi e stati come comitati d'affari
della borghesia:
«...la borghesia, infine, dopo la creazione della grande
industria e del mercato mondiale, si è conquistata il dominio politico
esclusivo nello Stato rappresentativo moderno. Il potere statale moderno non è
che un comitato che amministra gli affari comuni di tutta la classe borghese».
Le crisi
capitalistiche
|
Tabella N° 2. Il commercio mondiale |
Quel che Marx mise poi in rilievo era una caratteristica
essenziale del capitalismo, quella di causare crisi economiche periodiche (oggi
le chiamiamo "recessioni") che, da parziali tendevano a diventare
generali e devastanti. Negli anni della cosiddetta "maturità", quando
si dedicherà a scrivere la monumentale opera che andrà sotto il nome de Il
capitale, Marx indagherà per lungo e per largo il fenomeno delle crisi.
Affermerà che queste crisi non giungono a caso, ma sono il risultato di
contraddizioni intrinseche al sistema capitalistico stesso. Provai a riassumere
quanto Marx scrisse sulle crisi ne Il capitale in
questo
articolo.
Già nel Manifesto tuttavia la sua analisi è
sostanziale:
«Nelle crisi
commerciali viene regolarmente distrutta non solo una gran parte dei prodotti
ottenuti, ma addirittura gran parte delle forze produttive già create. Nelle
crisi scoppia un'epidemia sociale che in tutte le epoche anteriori sarebbe
apparsa un assurdo: l'epidemia della sovrapproduzione. La società si trova
all'improvviso ricondotta a uno stato di momentanea barbarie: sembra che una
carestia, una guerra generale di sterminio le abbiano tagliato tutti i mezzi di
sussistenza; l'industria, il commercio sembrano distrutti. E perché? Perché la
società possiede troppa civiltà, troppi mezzi di sussistenza, troppa industria,
troppo commercio».
Sembra o no una descrizione fedele di quanto il nostro paese
e tutto l'Occidente stanno attraversando dopo il collasso finanziario del
2008-09? Marx indica poi con altrettanta precisione come il capitale
tenti di venir fuori dalle sue crisi periodiche:
«Con quale mezzo la
borghesia supera le crisi? Da un lato, con la distruzione coatta di una massa
di forze produttive; dall'altro, con la conquista di nuovi mercati e con lo
sfruttamento più intenso dei vecchi. Dunque, con quali mezzi? Mediante la
preparazione di crisi più generali e più violente e la diminuzione dei mezzi
per prevenire le crisi».
|
Tabella N° 3 The businnees cìycle |
Il capitalismo, quindi, non si arrende alle sue crisi
periodiche, non abbandona il campo, ricorre a tutte le sue risorse per
superarle. Marx ammette quindi che il capitalismo può riuscire a riavviare un
ciclo virtuoso di accumulazione (oggi la chiamano "crescita"), ma
solo dopo avere causato catastrofi economiche e sociali. Sostiene tuttavia
che dopo il nuovo ciclo espansivo la crisi successiva sarà ancor più grave
della precedente. Non si sostiene forse, negli stessi ambienti borghesi, che la
crisi attuale è una "depressione", e che è forse più grave di quella
del 1929?
Secondo alcuni analisti, a cui non si può certo imputare
simpatie anticapitaliste, questa crisi potrebbe smentire il modello che va
sotto il nome di "ciclo del businness", l'idea che dopo ogni
recessione/depressione ci sia necessariamente un'espansione. Siamo forse
entrati nella fase del declino dell'Occidente imperialistico?
Classi sociali e globalizzazione
Uno dei punti cardinali dell'analisi marxiana è che non può
esserci sviluppo capitalistico senza un aumento delle file dei lavoratori
salariati.
«Nella stessa
proporzione in cui si sviluppa la borghesia, cioè il capitale, si sviluppa il
proletariato, la classe degli operai moderni, che vivono solo fintantoché
trovano lavoro, e che trovano lavoro fintantoché il loro lavoro aumenta il
capitale. (...) La condizione più importante per l'esistenza e per il dominio
della classe borghese è l'accumularsi della ricchezza nelle mani dei privati,
la formazione e la moltiplicazione del capitale; condizione del capitale è il
lavoro salariato».
|
Tabella N° 4. Dati: ILO e Cia Book. Elaborazione nostra |
L'ultimo trentennio di globalizzazione capitalista ha
invalidato o convalidato l'analisi di Marx?
I dati empirici (vedi la Tabella n.3) dimostrano che aveva
visto giusto. La tabella mostra che i lavoratori salariati sono più di due
miliardi. Ma sono numeri per difetto, poiché la tabella non prende in
considerazione centinaia di milioni di salariati, spesso minori, che vengono
sfruttati ma non sono registrati come forza-lavoro. Qui da noi si direbbe che
"lavorano a nero". Si tenga poi conto che centinaia di milioni di
addetti all'agricoltura sono anch'essi dei salariati. Lo stesso numero dei
proletari senza lavoro è evidentemente calcolato per difetto. Anche ove fosse
giusto gli stessi
dati del
Fondo Monetario indicano che la crisi scoppiata nel 2008 ha fatto
aumentare la disoccupazione mondiale — nel 2005 le statistiche parlavano di 192
milioni di disoccupati. Sottolineiamo che Marx includeva i disoccupati, ovvero
lo "esercito industriale di riserva", nella classi proletaria e non,
come a torto si ritiene, nel "sottoproletariato". Mai come adesso la
classe proletaria è stata così numerosa.
Su questo punto centrale del discorso marxiano, sul fatto
che non ci sarebbe potuto essere sviluppo del capitale senza crescita delle
file proletarie, sin dagli inizi degli anni '80, l'attacco dei pensatori
borghesi è stato spietato, virulento.
Da più di un trentennio una schiera di intellettuali non
hanno fatto altro che insistere sulle magnifiche sorti e progressive del
capitalismo, che il capitalismo non solo aveva messo il turbo ed era destinato
a non conoscere più crisi di sorta, ma che si era incaricato di far scomparire
il lavoro salariato.
Tutti quelli che non erano capitalisti sarebbero diventati
dei felici piccolo borghesi. Il tedioso lavoro di fabbrica sarebbe stato
rimpiazzato dall'automazione generale.
Pensatori come Jeremy Rifkin avevano addirittura affermato
che il capitalismo stesso stava liberando l'umanità dal fardello del lavoro.
Anche a sinistra simile sciocchezze avevano trovato vasta eco.
|
Tabella N° 5. Composizione sociale mondiale per settori produttivi |
Qualcuno ricorderà la sicumera con cui i Negri e il suo clan
brindavano alla fine delle legge del valore e dell'avvento del lavoro
immateriale e cognitivo? Prima ancora che la critica, sono stati i fatti ad
incaricarsi del fallimento di queste idee, fasulle prima ancora
che occidentalo-centriche.
La tabella n. 4 è alquanto istruttiva e non lascia adito a
dubbi che Marx avesse avuto ragione. Nell'arco di tempo che va dal 2000 al 2013
gli addetti all'industria sono cresciuti di 238 milioni, quelli ai servizi di
400 milioni —da segnalare che nel frattempo nella Cina post-maoista, dopo il
1980, i salariati pressoché raddoppiati.)
La tabella mette poi in evidenza l'evoluzione diseguale, tra
paesi occidentali (imperialistici o tardo-capitalisti) e quelli di recente
industrializzazione: nei servizi l'aumento degli addetti è stato omogeneo,
mentre nell'industria nei primi c'è stato un calo e nei secondi vistosi
aumenti. Quando si dice: il capitale va sempre a caccia di profitti per
valorizzarsi....
Ora ci si risponderà che Marx, nel Manifesto, aveva parallelamente
previsto che allo sviluppo e all'espansione del capitalismo sarebbe corrisposta
la decrescita costante dei salari e la "pauperizzazione generale. Se
questa "profezia" sia sia realizzata o meno, e vedremo che si
va realizzando, sarà compito di un prossimo intervento.