|
Karl Marx ✆ Roland Beier |
L'affermazione, secondo la quale "la crisi del capitale internazionale è anche la crisi del sistema
statale internazionale", così come viene espressa da Sol Picciotto,
nel Dibattito sullo Stato di Open Marxism, è un evidente truismo,
che, tuttavia, rischia di diventare ambiguo e fuorviante, quando si pensa, o si
porta a pensare, che quello che stiamo affrontando non sia un'unica medesima
crisi, ma che si possa trattare, invece, di due differenti crisi. Del resto,
l'approccio da parte di Simon Clarke allo Stato, avviene nei termini per cui
"I nuovi approcci che emergono, conservano l'insistenza socialdemocratica
sull'autonomia dello Stato, al fine di sottolineare la specificità della
politica e l'irriducibilità della politica ai conflitti economici". Dal momento
che per Open Marxism, il
"politico" e "l'economico" sono separati in modo
irriducibile, ne consegue che, a livello di mercato mondiale, ci sono due crisi
separate in modo irriducibile: una crisi economica capitalista, ed una crisi
del "sistema Stato"; dove la crisi del capitalismo sarebbe
determinata dalla legge del valore e la crisi dello Stato sarebbe determinata
dalla lotta di classe.
Il "difetto" dei marxisti classici del periodo fra
le due guerre, nelle parole di Picciotto, sarebbe stato quello per cui "Le
contraddizioni dell'accumulazione" sono state troppo spesso pensate come
'leggi economiche' operanti dall'esterno sulle relazioni
politiche fra le
classi." Ovviamente, l'obiezione pone la domanda: "Dall'esterno di
cosa?" La risposta, si limita ad insistere che la "crisi
economica" è la crisi di "una forma, storicamente specifica, del
dominio di classe". E' difficile seguire un'argomentazione del genere, che vuole
stabilire la "politica" come una sfera separata da quella economica
all'interno dei rapporti capitalisti, e questo richiede che vengano ridefiniti
i rapporti capitalistici stessi e visti come "una forma, storicamente
specifica, del dominio di classe"; cosa che può sembrare buona e giusta,
molto lodevole, perfino rivoluzionaria, ma che è del tutto sbagliata: il
Capitale non è "una forma, storicamente specifica, del dominio di
classe", ma è la produzione del plusvalore. Certo, la produzione di
plusvalore è storicamente specifica al capitale, ma va fatta una distinzione
estremamente importante - e riguarda il "dominio di classe" - per
cui, il capitale (la produzione di plusvalore) attualmente non necessita di
alcuna classe capitalista. Non c'è da nessuna parte, nella critica
dell'economia politica fatta da Marx, qualcosa che suggerisca che egli credesse
che il capitalista fosse vitale per il modo di produzione, qualsiasi senso si
dia a questo termine. E se la classe capitalista non è necessaria ai rapporti
capitalisti, diventa difficile - se non impossibile - classificare il
capitalismo come una forma di dominio di classe.
Infatti, nel Capitale, possiamo trovare la definizione
contraria: nel decimo capitolo del I volume, Marx ci mette in guardia dal
confondere la personificazione del capitale con il capitale stesso:
"Come
capitalista, egli è soltanto capitale personificato. La sua anima è l’anima del
capitale. Ma il capitale ha un unico istinto vitale, l’istinto cioè di
valorizzarsi, di creare plusvalore, di assorbire con la sua parte costante, che
sono i mezzi di produzione, la massa di pluslavoro più grande possibile."
Poi, di nuovo nel III volume, al capitolo 48, dove afferma che "Il capitalista è soltanto il capitale
personificato, agisce nel processo di produzione soltanto come depositario del
capitale ..."
Secondo Engels, nell'analisi finale, la classe capitalista
del Das Kapital sarebbe stata resa del tutto superflua relativamente al modo di
produzione, cioè a dire, la figura patriarcale del capitalista del 18° secolo
veniva sostituita, col tempo, dallo stesso Stato; il capitale non è una forma
di dominazione diretta, bensì una forma di dominio astratto!
Quello che distingue l'epoca borghese da tutte le altre
epoche è l'emergere di una classe la quale non ha alcun interesse ad imporsi
sulla classe dirigente di quell'epoca. Un assunto del genere è stato
fondamentale per Marx, dal momento che, mancando un interesse di classe da
imporre contro la classe dirigente, ha così creduto che il proletariato si
trovasse perciò nella posizione di porre fine a tutte le classi. Diversamente,
per Picciotto, "il più grande contributo di Marx, alla lotta per il
socialismo" sarebbe "aver mostrato non solo che lo sviluppo sociale è
un processo della lotta di classe, ma aver anche mostrato che la lotta di
classe assume differenti forme storiche, nelle differenti società, e che capire
queste forme è essenziale ai fini della comprensione della lotta di classe e
del suo sviluppo." Ma se questo fosse vero, come potrebbe l'assenza di
interesse di classe del proletariato (ad imporsi sulla classe borghese) essere
essenziale ai fini della "comprensione della lotta di classe e del suo
viluppo? Significherebbe, essenzialmente che, nella misura in cui il
proletariato è coinvolto, non si dà lotta di classe.
E, in effetti, Marx usa questo argomento nella sua critica a
"Stato e Anarchia" di Bakunin, quando scrive:
(...) "significa
che il proletariato agisce ancora, durante il periodo della lotta per abbattere
la vecchia società, sulla base di quella vecchia società, e quindi si muove
ancora all'interno di forme politiche che ancora ad essa appartengono, non
avendo ancora raggiunto, durante questo periodo di lotta, la sua costituzione
finale, e impiega, per la sua liberazione, metodi che, dopo tale liberazione,
decadranno."
In poche parole, la lotta del proletariato appare come
lotta politica in quanto si muove dentro la forma politica della società
borghese. La lotta del proletariato non è lotta politica. "Open
Marxism" non si è ancora posto il problema che, per il proletariato, la
società borghese è senza classi. Non è un caso che la classe operaia non abbia
alcuna coscienza di classe, dal momento che non ha alcuna coscienza delle
classi. E questo presunto "difetto" in quella che è la comprensione
empirica delle attuali relazioni sociali, da parte del proletariato, significa
che la lotta di classe non è il terreno sociale sul quale la classe combatte.
Ma per i "Marxisti Aperti" "una teoria materialista dello Stato
non comincia chiedendosi in che modo la 'base economica' determini la
'sovrastruttura politica', bensì chiedendosi cosa sia, nei rapporti di
produzione sotto il capitalismo, a far sì che esse assumano forme economiche e
politiche separate." Il motivo, per i "Marxisti aperti" sarebbe
da attribuire allo scambio di merci: "il lavoratore non è assoggettato
fisicamente e direttamente al capitalista, il suo assoggettamento è mediato
dalla vendita della sua forza lavoro, come merce sul mercato." L'argomento
è giusto, ma c'è di più: lo scambio di merci implica competizione tra i
venditori e competizione fra gli acquirenti e, inoltre, competizione fra
acquirenti e venditori, cioè a dire competizione fra proletari, competizione
fra capitalisti e competizione fra proletari e capitalisti. La società borghese
è l'epoca della competizione globale fra tutti i membri della società. Le
condizioni materiali di questa società, dal momento che non esprimono
direttamente, da nessuna parte, quelli che sono gli interessi degli individui
che compongono la società, devono prendere una forma che sia indipendente da questa
competizione universale. E prende la forma dello Stato democratico, il quale è
semplicemente la forma che rende possibili le condizioni più libere possibili
per la competizione fra i membri della società. Le condizioni economiche
materiali della società borghese presuppongono non solo la separazione dello
Stato dalla società, ma anche la sua forma democratica.
I "Marxisti aperti" pensano di poter spiegare
perché lo Stato sia separato dalla società, ma, chiaramente, non possono
spiegare perché questo Stato, necessariamente, prenda la forma della
democrazia. Ci provano mediante un sotterfugio, secondo il quale lo Stato
sarebbe separato a causa delle relazioni fra le due grandi classi: la
compravendita di forza lavoro presuppone che il lavoratore sia libero di
venderla; che sia il proprietario di sé stesso. Sarebbe quest'astrazione (della
forza lavoro dal suo immediato processo di produzione, e la sua separazione) a
costituire l'economico ed il politico come distinti. Non si trova da nessuna
parte, in quest'argomentazione, il fatto che il "capitale" sia
suddiviso in capitali in competizione fra loro, né che i proletari siano
altrettanto suddivisi in quanto venditori di forza lavoro. Il fatto che la
classe borghese è realmente e materialmente divisa fra capitali in competizione
significa che da nessuna parte può possedere il potere dello Stato. Il potere
dello Stato, piuttosto, esprime gli interessi materiali comuni a questa classe.
Gli interessi della classe borghese non possono venire espressi in nessun'altra
forma diversa dallo Stato, proprio perché gli interessi della classe, nel suo
insieme, non sono in alcun modo gli interessi degli individui che compongono la
classe.
Anche se la classe capitalista ha provato ad esprimere
direttamente i propri interessi (anarco-capitalisti), un tentativo del genere
rimane solo una fantasia; gli interessi fra i diversi capitalisti non sono meno
antagonistici di quelli di capitalisti e lavoratori. Ogni capitalista è
obbligato dalla legge del valore ad incrementare il suo capitale, pena la sua
rovina e quella dei suoi competitori. Non c'è niente nella teoria del valore
che suggerisca che i capitalisti possano risolvere i loro conflitti per mezzo
del loro mutuo interesse in quanto classe (cosa che sarebbe un presupposto necessario
per assumere una qualsiasi sorta di ruolo diretto della 'classe'). La
separazione fra società e Stato, e la forma democratica di questo, è data dalla
competizione fra capitali e non richiede altra spiegazione. Se nonostante
questa separazione, dovesse avvenire una fusione fra il capitale totale e lo
Stato, ciò non implicherebbe un ruolo diretto della classe capitalista ma,
piuttosto, implicherebbe il fatto che la classe capitalista è stata resa
superflua per il capitale nazionale. Una conclusione, questa, che può
costituire un grosso problema per i "marxisti" la cui nozione di
comunismo richiede la presenza di un'altra classe e la presenza della lotta di
classe. Ma l'altra classe adesso è stata resa superflua dal progresso stesso
del modo di produzione.