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Karl Marx ✆ James Staley
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Luca Basso | L’articolo
è incentrato sull’antropologia marxiana, a partire dall’idea secondo cui l’uomo
è uno zoon politikon. In particolare, nella Einleitung del 1857,
si afferma proprio che l’uomo è uno zoon politikon, e nel primo libro del Capitale si
ribadisce tale concetto, sottolineando il fatto che l’espressione indicata può
essere tradotta con “animale sociale”, più che con “animale politico”. Più
avanti ritornerò su tali passi, mostrando il fatto che non possono venire
interpretati a partire dalla convinzione di un presunto “aristotelismo” di
Marx: l’elemento dello zoon politikon viene completamente
“trasvalutato” rispetto ad Aristotele. Questo rilievo sull’uomo come zoon
politikon fa emergere la dimensione antropologica del pensiero marxiano. Metterò
in luce il carattere non astratto, non essenzialistico di tale
antropologia, che si radica in una situazione determinata, all’interno di
un determinato contesto storico e sociale. D’altronde, proprio dal momento che
lo zoon politikon viene inteso come animale sociale, più che come
animale politico, il riferimento alla società risulta decisivo: cruciale si
rivela quindi la questione del rapporto fra individuo e società, e anche fra
individuo e comunità, e individuo e associazione. Così il percorso svolto
attraverserà i concetti di società, comunità e associazione, che devono venire
tra di loro differenziati, ma nello stesso tempo presentano vari tratti
comuni. Vista l’enorme vastità del tema di per sé, e nello specifico in
Marx, pur fornendo un approccio complessivo al problema, mi soffermerò in
particolare sul
lemma società in senso stretto, Gesellschaft, cercando di
farne emergere gli aspetti più rilevanti. Metterò in luce il nesso fra il
concetto di società, Gesellschaft e quello di comunità e “essere
comune”,Gemeinschaft e Gemeinwesen, insistendo sul rapporto sociale
come centrale per l’interpretazione del problema.Inoltre verrà esaminato, anche
se in modo meno approfondito (essendo anche meno frequente nell’itinerario
marxiano), l’elemento dell’associazione, dell’unione, Assoziation e Verein,
significativo in particolare per connotare il comunismo in quanto cooperazione
di uomini liberi. Nella prima parte mi soffermerò sui primi testi marxiani, e
soprattutto sull’Ideologia tedesca, nella seconda parte, più ampia, esaminerò
in particolare la Einleitung del ’57 e i Grundrisse, ma farò
anche qualche riferimento alCapitale. Non intendo in alcun modo approdare
alla delineazione di due Marx, il giovane Marx, umanista e ideologico, e il
Marx maturo, scientifico. Su questo punto la tesi althusseriana, in particolare
contenuta in un testo comunque importante come Per Marx[1], della “rottura
epistemologica”, irrigidisce in modo non condivisibile il discorso. Invece
indagherò il percorso marxiano nella sua sostanziale unitarietà, pur
all’interno di una serie di problematizzazioni, e talvolta anche fratture e
scarti interni. La presente trattazione è incardinata sulla critica marxiana
alla società, in quanto società borghese, più che sulla questione dell’associazione
comunista, anche se emergeranno alcune linee di tendenza in tal senso, in
particolare in relazione al fatto che la direzione qui intrapresa è volta non
all’ipostatizzazione della società a scapito degli individui, ma al contrario
alla realizzazione delle singolarità operaie[2].
Alla base del discorso sta la nozione di società non
all’interno di una modernità genericamente intesa, ma in quanto risultante, per
un verso, dalla rivoluzione economica, la Rivoluzione industriale, e, per
l’altro, dalla rivoluzione politica per eccellenza, la Rivoluzione francese
(due riferimenti costantemente presenti nelle opere marxiane): si tratta della
società ottocentesca, o, per essere più precisi, di quell’assetto che inizia a
formarsi nel passaggio fra il XVIII e il XIX secolo (seppur con modalità
differenti da paese a paese), che si configura come distruzione della società
divisa in ordini, vale a dire dell’antica società per ceti. Viene meno l’idea
di una società dotata di un suo ordine intrinseco, basato su libertates e
privilegi, su stabili gerarchie, sulle norme della tradizione, sui rapporti
patriarcali. Si tratta di costruire, faticosamente ma anche dinamicamente, un
ordine della società, a partire dal riconoscimento di individui liberi e
uguali[3]. Si parte dal presupposto che gli uomini siano uguali: da questa idea
si può pensare anche la loro differenza. In tale prospettiva centrale è la
questione del rapporto individuo-proprietà. Persino Tocqueville, non certo un
socialista, nei Ricordi, preconizzò il fatto che la proprietà sarebbe
diventata il grande terreno di scontro. All’emergere dell’elemento del
lavoro salariato (e quindi alla decomposizione della struttura cetuale)
corrisponde la nascita della società dei privati, con la loro autonomia
rispetto allo Stato. Anche il potere politico diventa un effetto della società.
In questo ragionamento centrale è il riferimento alla Rivoluzione francese e a
una figura come Sieyès: l’intero Che cos’è il Terzo Stato? è pervaso
dalla convinzione della centralità dell’ordine sociale, di cui si occupa la
scienza sociale, la “science de l’état de société”, che è una scienza, afferma
Sieyès, del tutto nuova, che non si radica in una tradizione precedente, ma
anzi si configura come una frattura rispetto al passato. Per la comprensione di
questi problemi nello scenario ottocentesco, estremamente significativa è la
tematizzazione di Lorenz von Stein, primo studioso tedesco che ha focalizzato
il discorso sul movimento sociale francese, cogliendone l’estrema rilevanza
all’interno della società capitalistica, e che ha operato una distinzione
cruciale come quella fra rivoluzione politica e rivoluzione sociale:
l’Ottocento può essere interpretato proprio a partire dal passaggio dalla
rivoluzione politica a quella sociale, o comunque da un sempre più stretto
intreccio fra i due elementi[4].
Inizio la trattazione marxiana citando un passo
significativo della Critica del diritto statuale hegeliano: “L’attuale
società civile (bürgerliche Gesellschaft) è il compiuto principio
dell’individualismo; l’esistenza individuale è lo scopo ultimo: attività,
lavoro, contenuto sono solo mezzi”[5]. Al di là di alcuni limiti del discorso
della Critica del diritto statuale hegeliano (ad esempio, la
sottovalutazione della questione dei legami fra gli individui[6]), è
interessante rilevare che qui la società si fonda su individui privati: appare
evidente la distanza rispetto all’antica società per ceti. D’altronde, per Marx
i ceti non possono ricomporre la frattura fra società civile e Stato e quindi
presentano una sostanziale impotenza, una velleitaria tendenza a operare una
mediazione che non media realmente. In ogni caso, nel passo citato “attuale
società civile” e “individualismo” non rappresentano due elementi in
opposizione reciproca, ma al contrario costituiscono le due facce della stessa
medaglia. E’ interessante notare l’uso del termine “individualismo”.
Contrariamente a quanto emerge in varie ipotesi interpretative, che tendono a
“datare” l’individualismo all’inizio dell’epoca moderna, addirittura al Seicento[7],
la direzione qui intrapresa consiste nel calare tale elemento nello scenario
ottocentesco, dopo la Rivoluzione industriale e la Rivoluzione francese. Tra
l’altro, anche dal punto di vista terminologico, il lemma cominciò ad essere
adoperato dai controrivoluzionari francesi. Rilevanti al riguardo sono le
osservazioni di Tocqueville. Infatti, nella Democrazia in America, egli
metteva in luce che “individualismo è un’espressione recente nata da
un’idea nuova. I nostri padri conoscevano soltanto l’egoismo. L’egoismo è un
amore appassionato ed esagerato di sé […] L’individualismo invece è un
sentimento riflessivo e tranquillo, che dispone ogni cittadino a isolarsi dalla
massa dei suoi simili […] L’individualismo è di origine democratica; minaccia
di svilupparsi via via che le condizioni si livellano”[8]. E, in L’antico
regime e la rivoluzione, aggiungeva: “I nostri padri non conoscevano la parola individualismo, che
noi abbiamo foggiata per nostro uso, perché ai loro tempi non v’era in realtà
un individuo che non appartenesse ad un gruppo, e che potesse considerarsi
assolutamente solo […]”[9]. Si tratta quindi non di una nozione generica, ma di
una nozione che deve ricevere una determinazione specifica, e deve essere
inserita all’interno dello scenario ottocentesco, contraddistinto dal
riferimento al “sociale”. Il discorso sull’individualismo, e il suo legame con
le dinamiche “proprietarie”, in quanto “altra faccia” della società civile (per
come appare dal passo citato della Critica del diritto statuale hegeliano)
può venir compreso all’interno di questo contesto.
In ogni caso, la riflessione marxiana della Critica del
diritto statuale hegeliano, e dei testi successivi, in primis della Questione
ebraica, può essere connotata all’insegna della Trennung, della
separazione fra la società civile e Stato, e quindi fra il bourgeois,
l’individuo della società civile, l’”uomo reale”, concreto, portatore di
interessi materiali, e il citoyen, l’individuo dello Stato, l’”uomo
vero”. Marx pone al centro del discorso la società civile, e quindi l’individuo
della società civile, il bourgeois, in quanto “reale”. Occorre tenere
presente anche la determinazione storica che Marx fornisce, in questi primi
testi oggetto d’indagine, alla questione della separazione fra società civile e
Stato, fra bourgeois e citoyen. Tale Trennung trova il
suo pieno compimento con la Rivoluzione francese. Ci si trova così di fronte a
due “poli”: il primo è costituito dalla società civile, formata da individui
liberi e uguali, il secondo è rappresentato dall’autonomizzazione della sfera
politica, dallo Stato, con il monopolio di forza legittima che incarna:
“L’emancipazione politica è contemporaneamente la dissoluzione della vecchia
società […] La rivoluzione politica è la rivoluzione della società civile”[10].
La rivoluzione politica (e quindi la Rivoluzione francese, “rivoluzione
politica” per antonomasia) si configura come rivoluzione della società civile.
Marx fornisce un’interpretazione ambivalente di tale processo, denotato nella Questione
ebraica con il concetto di emancipazione politica. Infatti, Marx mette in
luce il carattere propulsivo di quest’ultima, fondata sulla separazione società
civile-Stato, in quanto tale processo segna la dissoluzione dei privilegi
feudali, e la sostituzione alla logica dei privilegi della logica del diritto,
fondato su individui liberi e uguali. Nello stesso tempo, però, Marx mostra i
limiti interni a tale concezione, e in particolare il fatto che non viene
sottoposto a critica il bourgeois, con la sua libertà “monadica”,
asociale, e in particolare non viene criticato l’elemento della proprietà
privata: anzi, quest’ultima viene tutelata dalla legge. Cruciale è la questione
del rapporto individuo-proprietà. Marx cerca di andare al di là
dell’“emancipazione politica”: questo “andare oltre” viene indicato, nella Critica
del diritto statuale hegeliano, col concetto di democrazia, e nella Questione
ebraica con il concetto di emancipazione umana, e successivamente con
l’elemento del comunismo in quanto abolizione della proprietà privata. Occorre
però tenere presente che proprietà privata e proprietà individuale, in Marx,
non solo non si identificano, ma divergono: in Marx si assiste a una critica
alla privatizzazione, non intesa come individualizzazione. Il tentativo è di
andare al di là della separazione dell’individuo in bourgeois e citoyen,
in “uomo reale” e “uomo vero”. Ci si trova di fronte alla messa in discussione
della possibilità stessa di rinvenire una mediazione tra le figure che
contraddistinguono la società civile moderna e lo Stato in quanto titolare
della sovranità. Comunque sia, la critica nei confronti della separazione
fra società civile e Stato è volta a fare emergere la politicità costitutiva
della società civile, il continuo “scambio” fra dimensione sociale e dimensione
politica.
In tale discorso sempre più rilevante diventa l’elemento dei
rapporti sociali: nelle Tesi su Feuerbach, Marx insiste sull’essenza
umana come ensemble dei rapporti sociali (gesellschaftliche
Verhältnisse)[11]. E’ interessante notare che Marx adopera il termine ensemble,
e non Ganze. In ogni caso, il concetto di società trova un suo
significativo approfondimento con l’Ideologia tedesca, testo di estrema
importanza per la radicalità della sua impostazione e per la novità delle sue
acquisizioni rispetto ai momenti precedenti. Ci si trova di fronte a una
progressiva erosione degli aspetti più problematici presenti nel concetto diGattungswesen,
ente generico, di derivazione feuerbachiana: tale elemento rischiava di
presupporre un’idea astratta di natura umana, svincolata dalle condizioni concrete
del suo darsi, che non può resistere a un’analisi materialistica. Comunque sia,
nella mia interpretazione l’ente generico non comporta un compiuto organicismo,
ma piuttosto conteneva un’indistinzione concettuale fra l’”individuale” e il
“collettivo”, senza peraltro rimandare a una pratica concreta di lotta. Il
prosieguo della riflessione marxiana va in direzione di una focalizzazione del
discorso, della “scienza della storia” (per usare un’espressione dell’Ideologia
tedesca), non sull’ente generico, ma su “individui reali”, che sono
“individui determinati”, inseriti in un contesto sociale e politico
circostanziato, all’interno di rapporti e condizionamenti da cui non si può
prescindere. “La società civile (bürgerliche Gesellschaft) comprende tutto il
complesso delle relazioni materiali fra gli individui (den gesamten Verkehr der
Individuen) all’interno di un determinato grado di sviluppo delle forze
produttive (Entwicklungsstufe der Produktivkräfte)”[12]. Un elemento-chiave è
costituito dal fatto che la società non consiste di individui, ma di relazioni
materiali fra gli individui: il costante tentativo marxiano è di porre al
centro del ragionamento ciò che sta fra individuo e società, e quindi la
dimensione della relazione. Marx usa il termine Verkehr, molto importante
nell’Ideologia tedesca: in quanto commercio, traffico, suo primo significato,
esso “cattura” sia l’elemento produttivo sia quello comunicativo. In ogni caso,
il “filo rosso” dell’argomentazione dell’Ideologia tedesca è costituito
dall’elemento della divisione del lavoro, con la sussunzione individuale che
essa provoca. Comunque sia, occorre rimarcare la centralità della nozione di bürgerliche
Gesellschaft nell’intero orizzonte marxiano, e non solo nelle prime opere:
per la sua comprensione, in questa fase, centrali sono i riferimenti a Adam
Ferguson (Essay on the History of Civil Society, 1767), che Marx conosceva
nella sua versione francese, e naturalmente a Hegel (Grundlinien der
Philosophie des Rechts, 1821). Qui, nell’Ideologia tedesca, l’espressione bürgerliche
Gesellschaft sta ad indicare, nello stesso tempo, la società civile, in
quanto sistema dei bisogni, e la società borghese. E’ interessante notare che,
in un passo dell’Ideologia tedesca[13], Marx adopera il termine Bourgeoisgesellschaft,
in quanto sinonimo di bürgerliche Gesellschaft, a testimonianza del fatto
che, con quest’ultima espressione, egli intende, allo stesso tempo, società
civile e società borghese. “Qui già si vede che questa società civile (bürgerliche
Gesellschaft) è il vero focolare, il vero teatro di ogni storia, e si vede
quanto assurda sia la concezione della storia finora corrente, che si limita
alle azioni di capi e di Stati e trascura i rapporti reali”[14]. “Il
termine bürgerliche Gesellschaft sorse nel secolo diciottesimo,
quando i rapporti di proprietà si erano già fatti strada fuori del tipo di
comunità (Gemeinwesen) antico e medievale. La società civile come tale
comincia a svilupparsi con la borghesia”[15]. Si potrebbe sostenere che il
concetto di società, a rigore, riguarda solo la società borghese, in quanto è
determinato dalla misura in cui il ricambio organico tra uomo e natura è
diventato specificamente storico[16]. Perché si dia società, è necessario uno
stadio molto sviluppato in cui gli individui entrino in un contatto reciproco
universale e in cui le relazioni sociali si rendano autonome fino a diventare
una sorta di seconda natura: per indicare le forme pre-capitalistiche, invece,
Marx adopera termini come tribù, comunità (Gemeinwesen), in quanto elementi
‘naturali’. La società moderna borghese si configura come il prodotto della
reciproca azione degli individui, con le sue linee di frattura. Decostruire la
nozione di società civile-borghese significa, infatti, anche mostrarne, al di
là di ogni rappresentazione idillica, il carattere di profonda conflittualità,
di scontro continuo sussistente fra individui e classi, secondo una condizione
di perenne instabilità. L’immagine, che permane immutata nell’intero scenario
marxiano, è quella di una bürgerliche Gesellschaftcontraddistinta
hobbesianamente da un bellum omnium contra omnes: “tutta la società civile
(bürgerliche Gesellschaft) è proprio questa guerra (Krieg), l’uno contro
l’altro, di tutti gli individui, isolati l’uno dall’altro ormai solo dalla loro
individualità”[17]. E Engels, nella Situazione della classe operaia
in Inghilterra, rimarca: “La concorrenza è l’espressione più completa della
guerra (Krieg) di tutti contro tutti che regna nella moderna società civile (bürgerliche
Gesellschaft)”[18].
Nell’Ideologia tedesca, rilevando tale dimensione di
isolamento come strutturale all’assetto capitalistico, Marx instaura uno
stretto nesso fra la nozione dibürgerliche Gesellschaft, società borghese, e
quella di scheinbare Gemeinschaft, di comunità apparente. Così si
mette in luce, della struttura capitalistica, il carattere non solo di società,
ma anche di comunità, seppur apparente: “La comunità apparente (die scheinbare
Gemeinschaft), nella quale finora si sono uniti gli individui, si è sempre resa
autonoma (verselbständigte) di contro a loro e allo stesso tempo, essendo
l’unione (Vereinigung) di una classe contro l’altra, non era soltanto una
comunità del tutto illusoria, ma anche una nuova catena”[19]. Ci si trova così
di fronte a “individui medi (Durchschnittsindividuen)”, “individui
contingenti”, contraddistinti, addirittura determinati dall’appartenenza a una
classe e a una specifica struttura produttiva: “Col denaro ogni forma di
relazioni (Verkehrsform) e le relazioni (Verkehr) stesse sono poste
come casuali (zufällig) per gli individui”[20]. Si assiste al “convertirsi del
rapporto individuale (das individuelle Verhalten. Gli individui sono accomunati
(una comunanza però che nello stesso tempo li isola reciprocamente) dalla loro
sussunzione al potere sociale del denaro. Occorre precisare che in Marx, e più
in generale nella concettualità del periodo[21], non si assiste a un’assoluta
separazione fra Gemeinschaft, come elemento naturale e “organico”, e Gesellschaft,
come elemento razionale. In ogni caso, per ritornare al passo citato, occorre
sottolineare che il sistema capitalistico si fonda su una soziale
Macht, che si configura come una fremde Gewalt, un potere-violenza che si
erge sopra gli individui dominandoli, ma, nello stesso tempo, che si configura
come il frutto della loro unione: “La potenza sociale (die soziale Macht), cioè
la forza produttiva moltiplicata che ha origine attraverso la cooperazione dei
diversi individui, determinata nella divisione del lavoro, appare a questi
individui […] non come la propria potenza unificata (vereinte Macht), ma come
una potere estraneo (eine fremde Gewalt)”[22]. Tale struttura di dominio
presenta un carattere insieme sociale e astratto, così come il denaro
costituisce un elemento sociale e astratto allo stesso tempo. Centrale,
nell’intero percorso marxiano, è il nesso fra i concetti di Herrschaft, Macht e Gewalt.
La traduzione di tali termini non è sempre agevole: generalmente renderei Herrschaft con
“dominio” (dominio politico, dominio ideologico, ecc.: esistono forme
differenziate di subordinazione non riducibili al potere politico), Macht con
“potere” (anche “potenza”, nel caso in cui, come nel passo sopra citato, si
faccia riferimento alla soziale Macht, potenza sociale, frutto di una Vereinigung), Gewalt è
lemma complesso, che, per così dire, sta insieme per power e violence,
risultando irriducibile al nostro termine “violenza”: generalmente Gewalt indica
il potere-violenza nelle sue articolazioni istituzionali. In ogni caso,
nel passo precedentemente citato Marx si riferisce, allo stesso tempo, alla scheinbare
Gemeinschaft, evidenziando il suo carattere di strutturale isolamento e
indifferenza, e alla bürgerliche Gesellschaft, contraddistinta dall’idea
secondo cui tutte le relazioni vengono sussunte al rapporto astratto del
denaro.
A tale impostazione non è sottesa, quindi, un’enfasi
societaria, un’esaltazione della società versus l’individuo, dal
momento che il tentativo è di dar vita a una vera e propria destrutturazione
della società, fondata sulla fremde Gewalt richiamata. Il discorso,
quindi, non muove nella direzione di una valorizzazione dell’uomo sociale versus l’uomo
privato, sulla base di una sorta di morale dell’altruismo: “i comunisti non
propugnano né l’egoismo contro l’abnegazione né l’abnegazione contro l’egoismo,
e non accettano teoricamente questa opposizione […], ma piuttosto ne dimostrano
l’origine materiale, insieme con la quale essa scompare da sé. I comunisti non
predicano alcuna morale in genere […] Essi non pongono agli uomini gli
imperativi morali: amatevi l’un l’altro, non siate egoisti, ecc.; essi al
contrario sanno benissimo che in determinate condizioni l’egoismo, così come
l’abnegazione, è una forma necessaria per l’affermarsi degli individui (Durchsetzung
der Individuen) […] I comunisti dunque non vogliono affatto… sopprimere
l’’uomo privato’ (den ‘Privatmenschen’)per amore dell’’uomo universale’ (‘dem
‘allgemeinen’ Menschen), dell’uomo che si sacrifica […] questa antitesi (fra
dimensione privata e dimensione sociale) è solo apparente, perché uno dei lati,
quello cosiddetto ‘generale’, è continuamente generato dall’altro, l’interesse
privato, e non si oppone affatto ad esso come potenza autonoma […] dunque nella
pratica questa antitesi viene continuamente distrutta e generata”[23]. Da
questo punto di vista, si assiste a una vera e propria dissoluzione
dell’antitesi “privato”-“sociale”, mostrando il reciproco richiamarsi, nella
pratica, di tali elementi. Comunque sia, alla base del discorso sta la messa in
questione della società: “San Max crede che i comunisti vogliano ‘sacrificare’
‘alla società’, laddove essi, se mai, vogliono sacrificare la società esistente
(die bestehende Gesellschaft)”[24]. “La rivoluzione comunista non dipenderà
dalle ‘istituzioni sociali (gesellschaftlich) di fertili ingegni sociali (social)’”[25]. Concetti
come “spirito di sacrificio”, “dovere sociale”, “lavorare, missione dell’uomo”
sono oggetto di forte scherno da parte di Marx[26]. Molti anni più tardi, nella Critica
del programma di Gotha, il discorso prenderà accenti ancora più marcatamente
“individualistici”, nel momento in cui viene sottoposta a critica in modo quasi
parossistico ogni possibile oppressione compiuta nei confronti del singolo
individuo.
E’ però necessario rimarcare che, in questo ragionamento, la
società, non solo non consiste solo di individui, ma di rapporti fra gli
individui all’interno di un determinato sviluppo delle forze produttive: di
più, la società è formata non solo da individui, ma anche da classi,
proletariato e borghesia. Qualche anno più tardi, nella Miseria della
filosofia, Marx sottolinea che i rapporti sociali “non sono rapporti tra
individuo e individuo”, ma tra operaio e capitalista: “Cancellerete questi
rapporti, e distruggerete la società (Gesellschaft)”[27]. Tra le due
classi non esiste una simmetria, come se si trattasse di due eserciti in lotta.
La simmetria non è rotta solo dal fatto che è presente un rapporto di dominio
di una classe sull’altra (classe dominante e classe dominata), ma anche dal
fatto che lo statuto del proletariato è differente rispetto allo statuto della
borghesia, risultando irriducibile a classe particolare: “Questa sussunzione
degli individuisotto classi determinate non può essere superata finché non si
sia formata una classe che non abbia più da imporre alcun interesse particolare
di classe contro la classe dominante”[28]. Sono presenti due accezioni di
proletariato: nella prima, esso viene inteso sulla base di una in simmetria nei
confronti della borghesia, nella seconda, invece, tale simmetria viene
scardinata. In quest’ultima declinazione, il proletariato, pur configurandosi
come parte, non possiede un fine particolare, dal momento che tende alla
dissoluzione dell’orizzonte classista, e del suo stesso porsi come classe: non
si tratta di sacrificarsi alla società, ma di sacrificare la società esistente.
Il proletariato è uno strano essere, allo stesso tempo puramente sociale e
storico e al di fuori della società e della storia, capace di agire libero
dall’ispirazione del passato[29]. In questo senso, esso non può venir
ipostatizzato né sul piano ontologico né su quello sociologico radicandosi
nella dimensione della pratica: “I singoli individui (die einzelnen Individuen) formano
una classe solo in quanto debbono condurre una lotta comune (einen gemeinsamen
Kampf) contro un’altra classe”[30]. E’ importante rimarcare che con il Kampf i
singoli individui non si dissolvono nella classe, ma affermano la loro
specifica individualità. La classe non appare assolutamente riducibile a
gruppo sociale, e quindi si carica di una politicità dirompente, risultando
definita da un antagonismo[31], come si verifica all’interno di una situazione
in cui si passa dalla rivoluzione politica alla rivoluzione sociale, facendo
entrare la libertà nei bassifondi della produzione. Si tratta di quel
“movimento reale” che è il comunismo, volto ad abolire lo stato di cose
presente: esso si inserisce nella materialità delle forme e delle situazioni
storicamente esistenti, ma per destrutturarle. Per interpretare tali questioni,
occorre sempre tenere presente che in Marx si assiste a una messa in discussione
della filosofia nella sua autonomia (si pensi al sarcasmo nei confronti della
“critica critica” di Bauer), e, più in generale, dell’omologia tra pensiero e
realtà. All’interno di tale destrutturazione, in cui conoscenza e
trasformazione si intrecciano continuamente, si tratta di assumere fino in
fondo la politicizzazione radicale che investe ogni ramo dell’esistenza.
Nell’Ideologia tedesca, se lo scenario della bürgerliche
Gesellschaft, della società borghese, che è scheinbare Gemeinschaft,
comunità apparente, si fonda su Individuen als Klassenmitglieder,
individui come membri di una classe, in una condizione di sussunzione nei
confronti di una soziale Macht che è anchefremde Gewalt, la wirkliche
Gemeinschaft, comunità reale non può che porsi in radicale distonia rispetto a
questa prospettiva: “nella comunità (Gemeinschaft)dei proletari rivoluzionari
[…], i quali prendono sotto il loro controllo le condizioni di esistenza
proprie e di tutti i membri della società, è proprio l’opposto (rispetto alla
comunità apparente): ad essa gli individui prendono parte come individui (Individuen
als Individuen)”[32]. Tra “comunità apparente” e “comunità reale”, così come
tra “individui come membri di una classe” e “individui in quanto individui”,
esiste un “salto”, non mediabile concettualmente, ma frutto di un’azione comune
della classe nel suo carattere dirompente. Nell’Ideologia tedesca il
discorso sulla società si presenta quindi duplice: da una parte, viene
sottoposta a critica la bürgerliche Gesellschaft, che è anche scheinbare
Gemeinschaft, dall’altra, viene delineata, in contrapposizione alla prima, la
prospettiva della kommunistische Gesellschaft[33], in quanto liberazione
dalla soggezione insita nel sistema dei bisogni, Gesellschaft che è
anche wirkliche Gemeinschaft, fondata sulla realizzazione individuale non
in distonia con la connessione sociale, che, come sottolinea Marx, “abbraccia
una grande cerchia di molteplici attività e relazioni”[34]. Anche qui,
simmetricamente a quanto avvenuto nella trattazione del sistema capitalistico,
insieme società borghese e comunità apparente, nella tematizzazione del
comunismo vengono adoperati sia il termine Gesellschaft, società, kommunistische
Gesellschaft, società comunista, sia il termine Gemeinschaft, comunità, wirkliche
Gemeinschaft. Non ci si trova di fronte a una divaricazione fra società e
comunità, ma piuttosto a una loro differenziazione, derivante dal fatto che, in
qualche misura, a Gemeinschaft viene attribuita una valenza di per sé
positiva, tanto che la contrapposizione è tra la comunità apparente
capitalistica e la comunità reale proprio del comunismo. Ma occorre aggiungere
un altro elemento: l’uso del termine Gemeinschaft a proposito del
comunismo presenta aspetti problematici, in quanto inevitabilmente la comunità
comporta la perimetrazione di un territorio con le sue strutture di
disciplinamento, configurandosi quindi come un luogo di sussunzione di
individui a un soggetto politico costituito. Non a caso, nel Capitale, per
denotare il comunismo, Marx non adopererà il termine Gemeinschaft, con il
suo rischio “organicistico”, ma il termine Verein, associazione, meno
“carico” di rischi olistici e più compatibile con un’idea non “fusionale” del
rapporto fra individui.
-o-o-
La seconda parte della trattazione è incentrata sulla
questione della società e della comunità all’interno della critica
dell’economia politica di Marx, con particolare riferimento alla Einleitung del
’57 e ai Grundrisse. Saranno però presenti anche richiami al Capitale.
Per ragioni di spazio, mi limito a sottolineare che il dispositivo di critica
all’economia politica come segno distintivo della riflessione marxiana va
calato nello scenario successivo al 1848 e alla sua sconfitta, e quindi con il
venire meno di una prospettiva immediatamente rivoluzionaria, una rivoluzione
con un carattere europeo se non mondiale. In questo contesto, di “rettifica”
del Manifesto del partito comunista[35], diventa centrale la ricerca di
un’articolazione complessiva del discorso. Nel Poscritto alla seconda
edizione del Capitale è contenuta l’idea secondo cui la critica
dell’economia politica non si configura semplicemente come denuncia dei suoi
limiti, ma come sua radicale destrutturazione: non è possibile dare vita a
un’altra economia politica, visto che quest’ultima appare irrimediabilmente
segnata dalla sua origine borghese[36]. L’economia politica può restare scienza
solo finché la lotta di classe rimane latente: è un elemento extra-teorico,
politico, a spostare le coordinate del discorso. Nello stesso tempo, però,
dalla critica dell’economia politica non si può ricavare immediatamente una
politica: il rapporto fra teoria e prassi si rivela quindi complesso,
irriducibile alla deduzione di un elemento dall’altro. Qui occorre riprendere la
questione della non-omologia fra realtà e pensiero. In ogni caso, per quanto
riguarda l’Ausgangspunkt del ragionamento, come si rileva nella Einleitung del
’57, “il punto di partenza è costituito naturalmente dagli individui che
producono in società (in Gesellschaft produzierende Individuen), vale a dire
dalla produzione socialmente determinata degli individui. Il singolo e isolato
(der einzelne und vereinzelte) cacciatore e pescatore, con cui cominciano Smith
e Ricardo, appartengono alle immaginazioni prive di fantasia che hanno prodotto
le robinsonate del XVII secolo […]”[37]. L’economia politica classica (in
primis, Smith e Ricardo) e il contrattualismo (in primis, Rousseau) sono
accomunati dal presupposto astratto di individui isolati, pervenendo poi alla
sussunzione al soggetto costituito come esito del ragionamento. Se, sul
piano metodologico, si assume come punto di avvio la produzione socialmente
determinata degli individui, e non l’idea astorica e astratta di individui come
atomi, la società viene però decostruita in modo radicale.
L’analisi della nozione di società, all’interno della Einleitung del
‘57, permette di cogliere le differenze specifiche fra i vari assetti
produttivi: il punto di partenza del discorso consiste nel fatto che Marx non è
interessato, in prima battuta, a delineare una storia generale dell’umanità, e,
in particolare, delle strutture che si sono succedute nella storia, bensì a
comprendere i meccanismi determinati del sistema capitalistico in quanto forma
storica di organizzazione della società moderna: si tratta di un contesto in
cui il capitale, per così dire, “fa epoca”. Così in Marx ci si trova di fronte
non a una teoria complessiva delle formazioni sociali, bensì a un’analisi della
società capitalistica nel suo diventare modo di produzione dominante, dotato di
contraddizioni specifiche. “La società borghese è la più complessa e sviluppata
organizzazione storica della produzione. Le categorie che esprimono i suoi
rapporti e che fanno comprendere la sua struttura, permettono quindi di
penetrare al tempo stesso nella struttura e nei rapporti di produzione di tutte
le forme di società passate, sulle cui rovine e con i cui elementi essa si è
costruita […] L’anatomia dell’uomo è una chiave per l’anatomia della scimmia
[…] In tutte le forme in cui domina la proprietà fondiaria il rapporto con la
natura è ancora predominante. In quelle, invece, dove domina il capitale,
prevale l’elemento sociale, prodotto storicamente”[38]. Fintanto che la società
borghese resta la struttura della produzione più differenziata, le categorie
che esprimono i suoi rapporti si rivelano anche le più capaci di esaminare la
natura delle forme meno complesse che l’hanno preceduta: ciò non significa che
i concetti indicati dal capitalismo cancellino le diversità storiche, ma
piuttosto che contengano quelle differenze in modo più sviluppato. Marx pone al
centro del ragionamento il capitalismo nella sua differentia specifica rispetto
alle forme precapitalistiche; gli elementi costitutivi del modo di produzione
capitalistico non possono venir applicati in modo indebito, sic et
simpliciter, agli altri modi di produzione. Comunque sia, non viene delineata
un’analisi delle forme sociali nella loro successione, ma la prospettiva
risulta condotta a partire dall’assetto presente, quello capitalistico:
“Sarebbe dunque inopportuno ed erroneo disporre le categorie economiche
nell’ordine in cui esse furono storicamente determinanti. La loro successione è
invece determinata dalla relazione in cui esse si trovano l’una con l’altra nella
moderna società borghese (bürgerliche Gesellschaft)”[39]. Da questo punto di
vista, il fulcro del ragionamento risiede in un’indagine specifica del sistema
capitalistico. Le forme precapitalistiche, Gemeinwesen, vengono colte dopo
il capitalismo, come il suo “altro”. E’ presente un rifiuto radicale del
ricorso all’elemento dell’origine: è il sistema della combinazione degli
elementi nella società attuale che ci apre anche alla comprensione delle
formazioni passate.
Comunque sia, Marx non esamina in modo approfondito le
contraddizioni specifiche delle forme precapitalistiche, in quanto prende in
considerazione queste ultime a partire, appunto, dal riferimento costitutivo al
capitalismo. In ogni caso, prima del capitalismo, nella “preistoria” del capitale,
non viene individuata una logica lineare ed univoca della storia; tutt’al più,
si può sostenere che schiavitù, feudalesimo e capitalismo, secondo Marx, si
sono succeduti in quest’ordine, di fatto, in Europa: Marx non afferma mai che
il feudalesimo non possa non produrre il capitalismo. In ogni caso, nelle forme
indicate “gli individui non sono in un rapporto di lavoratori, bensì di
proprietari – e membri di una comunità (Gemeinwesen) i quali nello stesso
tempo lavorano. Lo scopo di questo lavoro non è la creazione di un valore […]
il suo scopo è invece il mantenimento del singolo proprietario e della sua
famiglia non meno che di tutta la comunità”[40]. Nelle forme precedenti al modo
di produzione capitalistico, infatti, gli uomini costituiscono i membri di
un Gemeinwesen, di una comunità, in cui sono inseriti e da cui dipendono.
Emerge con forza la differenza tra la struttura sociale capitalistica e quella
precedente: “In realtà questa (la realtà moderna) è una situazione molto
diversa da quella in cui l’individuo, o l’individuo naturalmente o storicamente
allargatosi a famiglia o a tribù (e poi a comunità), si riproduce su basi
direttamente naturali, o in cui la sua attività produttiva e la sua
partecipazione alla produzione è indirizzata ad una determinata forma di lavoro
e di prodotto, e il suo rapporto con gli altri è altrettanto determinato”[41].
L’elemento principale di tali strutture risiede, quindi, nella riproduzione del
singolo in quanto appartenente a un insieme più grande di lui, a un Gemeinwesen,
a una comunità rispetto a cui non presenta la minima possibilità di
indipendenza. Dall’analisi condotta deriva il fatto che, nelle forme
precapitalistiche, “lo scopo economico è la produzione di valori d’uso”, e che,
quindi, l’individuo si trova in rapporto con le condizioni oggettive del lavoro
come condizioni proprie, e con la terra tramite la mediazione della comunità.
Nelle forme precapitalistiche i presupposti della circolazione appaiono esterni
alla produzione: quest’ultima richiede continuamente nuovi impulsi dall’esterno
per “riaccendersi”, non riesce ad autorinnovarsi, a identificarsi con la
riproduzione generale dell’umanità. In tale stato di cose la circolazione delle
merci e gli antagonismi sociali non risultano immanenti al processo produttivo:
gli antagonismi sociali non impersonificano direttamente le condizioni lacerate
del lavoro. Le strutture precapitalistiche si caratterizzano per una
sostanziale unità: unità dell’uomo con la terra, appunto, con le condizioni
oggettive del lavoro, e con gli altri uomini. Questo “organicismo” possiede
inevitabilmente un carattere dispotico, e tiene “incollato” il singolo uomo
alla comunità come a un cordone ombelicale: al riguardo ritorna sovente la
metafora della “catena”. Si tratta di un assetto fondato su rapporti personali,
mediati dalla natura.
Comunque sia, alla base del discorso sta il tentativo non di
articolare una storia generale dell’umanità, ma di cogliere gli elementi
costitutivi del sistema capitalistico nella sua “differenza specifica” rispetto
alle forme precapitalistiche. Dal momento che il suo segno distintivo è
rappresentato dalla Trennung, Marx vuole comprendere tale elemento,
proprio del capitalismo, non l’unità precapitalistica. Si potrebbe addirittura
affermare che sia ”individuo” sia “società” costituiscono categorie impensabili
prima del capitalismo. Per indicare la situazione precapitalistica, si può
richiamare la categoria di uomo, nella sua relazione molto stretta con la
comunità a cui apparteneva e da cui non era discernibile, ma non alla nozione
di individuo. Infatti risultava inconcepibile l’idea di individuo, con la sua
indipendenza, con la sua liberazione da vincoli precostituiti. Inoltre si può
sostenere che il concetto di società, in senso stretto, riguardi solo la
società borghese, dal momento che è determinato dalla misura in cui il ricambio
organico tra uomo e natura è diventato specificamente storico. Perché si dia
società, è necessaria una condizione molto sviluppata, in cui gli individui
entrano in un contatto reciproco universale, e in cui le relazioni si
autonomizzano, diventando una sorta di seconda natura. Costitutivo della
società è un forte dinamismo, una continua riapertura a soluzioni non
condizionate pienamente dalla natura: in tal senso, la società capitalistica provoca
la rottura della proprietà comune, presente nelle forme precapitalistiche, in
cui l’uomo risultava legato al Gemeinwesen come a un “cordone ombelicale”,
attraverso la mediazione della terra. Per designare le forme precapitalistiche,
invece, Marx usa termini come tribù, comunità, in quanto strutture ‘naturali’.
Così si può sostenere che, in senso forte, le forme precapitalistiche
costituiscono comunità,Gemeinwesen, più che società, Gesellschaften, se
attribuiamo a società il significato appena indicato. Ma, al di là
dell’utilizzo dei termini, la società in modo vero e proprio si realizza con il
capitalismo. All’interno delle strutture in questione “possono sorgere grandi
individualità. Ma non c’è qui da pensare a uno sviluppo libero e completo né
dell’individuo (Individuum), né della società (Gesellschaft), giacché un tale
sviluppo è in contraddizione con il rapporto originario”[42] dell’uomo con
la comunità. Con il capitalismo, invece, si verifica lo scompaginamento di
tutte le forme comunitarie. Infatti, proprio della società è un elemento di
dinamismo e quindi anche la possibilità di una sua trasformazione. D’altronde,
nel primo libro del Capitale Marx sostiene: “Anche nelle classi
dominanti albeggia il presentimento che la società odierna non è un solido
cristallo, ma un organismo capace di trasformarsi e in costante processo di
trasformazione”[43].
Dalle considerazioni svolte in merito alle categorie di
individuo e società a partire dal confronto fra le forme produttive, emergono
in particolare due elementi significativi. Il primo concerne il riconoscimento
marxiano del novum rappresentato dalla società capitalistica rispetto
alle comunità precedenti: ci si trova di fronte a una rottura dirompente, che
sposta completamente le coordinate esistenti, e che permette di parlare di
individui, non di uomini, e nello stesso tempo di società in quanto rete
complessa di relazioni sociali. “Soltanto il capitale dunque crea la società
borghese e l’universale appropriazione tanto della natura quanto della
connessione sociale stessa da parte dei membri della società [...] In
virtù di questa sua tendenza, il capitale spinge a superare sia le barriere (Schranken) e
i pregiudizi nazionali, sia l’idolatria della natura, la soddisfazione
tradizionale, orgogliosamente ristretta entro angusti limiti, dei bisogni
esistenti, e la riproduzione del vecchio modo di vivere. Nei riguardi di tutto
questo il capitale opera distruttivamente, attua una rivoluzione permanente,
abbatte tutti gli ostacoli che frenano lo sviluppo delle forze produttive
[…]”[44]. La centralità del denaro e del capitale, come sua conservazione e
accumulazione, presuppone uno stretto nesso fra società borghese e mercato
mondiale. Così si assiste non a una continuità dello sviluppo storico, bensì a
un “nuovo inizio”, che segna una discontinuità radicale, una mutazione
dell’umanità. Emerge una nuova antropologia rispetto al passato, dotata di un
carattere insieme espansivo e spettrale: diventa così cruciale la questione
della ridefinizione dell’antropologia.
In ogni caso, il punto di avvio della presente riflessione è
costituito dalla separazione capitalistica: d’altronde, nell’intero percorso
marxiano l’elemento della separazione e della scissione, indicato dai termini Trennung, Spaltung, Scheidung,
risulta assolutamente decisivo[45]. L’aspetto caratterizzante del capitalismo è
rappresentato dalla Trennung dell’individuo rispetto agli elementi a
cui precedentemente si presentava legato: con il sistema capitalistico si attua
un processo di sradicamento dell’uomo, di sua denaturalizzazione. Il
capitalismo cerca di annientare ogni comunità di interessi, ponendo gli
individui l’uno contro l’altro nella concorrenza, vero e proprio bellum
omnium contra omnes, in cui si fronteggiano come compratori o venditori
della forza-lavoro. Ciò che distingue il capitale da altri modi di
appropriazione di lavoro altrui è il fatto che la coazione esercitata sui
lavoratori non appare esterna ma interna al processo di produzione immediato:
la forza-lavoro viene così incorporata nel processo di produzione.
Se è emersa la differenza fra la società capitalistica e le
comunità precapitalistiche, si rivela però necessario approfondire i segni
distintivi della società capitalistica. “La società non consiste di individui,
bensì esprime la somma delle relazioni (Beziehungen), dei rapporti (Verhältnisse)
in cui questi individui stanno l’uno rispetto all’altro”[46]. Alla base della
società non stanno solo individui, ma relazioni fra gli individui: il rapporto
sociale si rivela cruciale. Successivamente, nelle prime battute del Capitale si
sottolinea che, alla base di quella “immane raccolta di merci” che è il modo di
produzione capitalistico, sta “un rapporto sociale determinato” (das
gesellschafliche Verhältnis) fra gli individui[47]. Insistere sulla
dimensione del nesso sociale non presenta nulla di irenico: ci si trova di
fronte a rapporti di dominio, contraddistinti da una asimmetria. D’altronde la
società si configura come “generale dipendenza reciprocadei produttori”, che
“si esprime nella necessità permanente dello scambio e nel valore di scambio
quale mediatore universale […] Si tratta di interesse dei privati; ma il suo
contenuto, come la forma e i mezzi della sua realizzazione, sono dati da
condizioni sociali indipendenti da tutti. La mutua e generale dipendenza
degli individui reciprocamente indifferenti (der gegeneinander gleichgültigen
Individuen) costituisce il loro nesso sociale (ihren gesellschaftlichen
Zusammenhang)”[48]. Con l’avvento del valore di scambio si assiste a un
costante “scambio” tra l’elemento privato e quello sociale. In questo discorso,
società e indifferenza rappresentano le due facce della stessa medaglia. Nei Grundrisse,
libertà e indipendenza vengono concepite nel loro carattere apparente; con
“apparenza” qui non si intende mera irrealtà, ma si indica comunque la presenza
di una profonda mistificazione, o comunque di un intreccio fra realtà e mistificazione:
“Nei rapporti di denaro, nel sistema di scambio sviluppato (e questa parvenza Schein seduce
la democrazia) […] gli individui sembrano entrare in un contatto reciproco
libero e indipendente (questa indipendenza che in se stessa è soltanto e andrebbe
detta più esattamente indifferenza (Gleichgültigkeit-im Sinn der Indifferenz) e
scambiare in questa libertà; ma tali essi sembrano soltanto a chi astrae dalle
condizioni di esistenza nelle quali questi individui entrano in contatto
[…]”[49]. Libertà e indipendenza, al di là della rappresentazione che “seduce
la democrazia”, in realtà si convertono nel loro contrario, illibertà e
dipendenza: la frattura marxiana con l’orizzonte democratico non è componibile.
Importante è il riferimento allaGleichgültigkeit-im Sinn der Indifferenz: il
termine Gleichgültigkeit indica, letteralmente, l’”uguale validità”,
e quindi l’indifferenza, concepita non in contraddizione con la società ma come
“altra faccia” di quest’ultima. Da una parte, l’equiparazione fra gli individui
conduce alla formazione del rapporto sociale, dall’altra, la relazione è basata
su un isolamento reciproco degli individui e su una loro sussunzione ad un
potere anonimo e oggettivo.
Così ritorna l’elemento del potere (o potenza) sociale, nell’Ideologia
tedesca soziale Macht, nei Grundrisse gesellschaftliche Macht,
“materializzato” nel denaro, a cui gli individui sono sottoposti: “Il potere che
ogni individuo esercita sulla attività degli altri o sulle ricchezze sociali,
egli lo possiede in quanto proprietario di valori di scambio, di denaro. Il suo
potere sociale (gesellschaftliche Macht), così come il suo nesso (Zusammenhang) con
la società (Gesellschaft), egli lo porta con sé nella tasca […] Il carattere
sociale dell’attività, così come la forma sociale del prodotto e la
partecipazione dell’individuo alla produzione, si presentano qui come
qualcosa di estraneo ed oggettivo di fronte agli individui”[50]. La società
risulta così costantemente attraversata dalla dimensione del potere e della violenza:
ciò che ogni individuo si “porta nella tasca”, aspetto apparentemente privato,
rivela un carattere sociale, e tale socialità è però fremd e sachlich.
Il capitale, in quanto accumulazione del denaro, costituisce, quindi, una
potenza insieme sociale e astratta, dal momento che la sua socialità si trova
incarnata in un oggetto, dotato di un carattere di astrazione. In tale stato di
cose, il denaro, elemento decisivo della Gesellschaft, funziona da vero e
proprio mezzo di separazione: “esso stesso, il denaro, è la comunità (Gemeinwesen),
né può sopportarne altra superiore”[51].
In ogni caso, è necessario fare una precisazione
terminologica; negli anni ’50 e ’60 Marx utilizza il termine Gemeinwesen, al
posto di Gemeinschaft, adoperato in precedenza: nei Grundrisse il
termine Gemeinschaft non compare quasi mai, mentre Gemeinwesen,
che qui denota la forma sociale borghese, incentrata sul denaro,
generalmente contraddistingue le forme sociali precapitalistiche, fondate su un
elemento “naturale”, su un rapporto “organico” fra l’uomo e la comunità,
intesa come un Ganze, e quindi è fortemente legato al termine Gemeinde (comune,
comunità). E’ necessario ricordare che Gemeinwesen, negli scritti
giovanili marxiani, connotava, per un verso, l’essenza comune dell’uomo, in
relazione col concetto di Gattungswesen, e, per l’altro, associato
all’aggettivo politisch, la comunità politica o Stato. Gemeinwesen può
indicare anche il comunismo, nella sua capacità di tenere in forma l’essere in
comune degli individui. Comunque sia, posto che Marx non sempre è rigoroso
nell’utilizzo di un termine piuttosto che un altro (talvolta vengono usati in
modo sinonimico), riveste un senso determinato la sostituzione, negli anni
Cinquanta e Sessanta, di Gemeinschaft, che possiede un carattere statico,
essendo inevitabilmente legato alla perimetrazione, fisica e metaforica, di un
territorio, con Gemeinwesen, che invece presenta un carattere
dinamico, irriducibile all’elemento indicato. Nell’Ideologia tedesca l’insistenza
sul termine Gemeinschaft non permetteva di cogliere la non immediata
identità fra la comunità, legata inevitabilmente alla forma-Stato, e la
dimensione comune nella sua mobilità. In ogni caso, il rapporto fra società e
comunità non deve venir interpretato nei termini di un’opposizione: la comunità
vive dentro la società. Ma, nei passi citati dei Grundrisse, il
termine Gemeinwesen viene adoperato in rapporto a due elementi
diversi: da un lato, viene utilizzato per indicare le forme precapitalistiche,
dall’altro, ricorre per denotare il denaro, vera comunità, appunto, nel
capitalismo. In questa seconda accezione, in relazione al denaro, appare
particolarmente evidente perché Marx adoperi non il termine Gemeinschaft,
ma il termine Gemeinwesen, indicante un essere comune più che una comunità
staticamente fissata. D’altronde, il capitale presenta come sua tendenza
immanente quella di configurarsi come mercato mondiale, e il denaro costituisce
la materializzazione di tale dinamica. Se il denaro è il vero Gemeinwesen,
il rapporto fra gli individui non può che caratterizzarsi all’insegna della Zufälligkeit.
Gli individui si rivelano sottomessi a un elemento astratto, che presenta una
doppia “faccia”, economica (il denaro, la moneta) e giuridica (l’”Eden dei
diritti dell’uomo”), dal momento che il contratto costituisce l’altro lato
dello scambio[52]. “Nella totalità dell’attuale società borghese, questo
ridurre a prezzi, la loro circolazione ecc. si presentano come il
processo superficiale al fondo del quale invece si verificano ben altri
processi nei quali questa apparente uguaglianza e libertà dell’individuo (scheinbare
Gleichheit und Freiheit der Individuen) scompare […] si dimentica che […]
l’individuo ha ormai un’esistenza soltanto come entità produttiva di valore di
scambio, nel che è già implicita la negazione totale della sua esistenza
naturale, che esso dunque è totalmente determinato (bestimmt) dalla società (Gesellschaft)”[53].
E’ necessario approfondire l’elemento appena esaminato, e
quindi il rilievo sul nesso individuo-socialità, non in termini trans-storici,
ma sulla base di un’indagine specifica del sistema capitalistico, con le sue
contraddizioni specifiche. D’altronde, tale idea della socialità dell’uomo,
all’interno di un contesto determinato, risultava fortemente presente già nei
primi scritti marxiani, caratterizzati dal richiamo all’uomo come ente
generico, come Gattungswesen. Al di là dei limiti presenti nel rilievo sul Gattungswesen,
occorre però precisare che, anche nei primi scritti, e persino nei Manoscritti
economico-filosofici del 1844, testo in cui l’ente generico gioca un ruolo
particolarmente rilevante, il Gattungswesen non presenta un carattere
astratto, configurandosi come un “essere sociale (das gesellschaftliche
Wesen)”, le cui manifestazioni “sono quindi una espressione e una conferma
della vita sociale”[54]. Oggetto d’analisi risulta, quindi, l’uomo sociale, in
quanto inserito in un determinato contesto, e non un individuo isolato, che si
configura come una mera astrazione. Ma, per approfondire tale problema,
relativo all’uomo sociale, con la sua intrinseca duplicità, all’interno della
critica dell’economia politica risultano decisivi i due passi evocati
all’inizio dell’articolo, e che insistono sull’idea dell’uomo come zoon
politikon. Inizio dal primo passo, contenuto nella Einleitung del
’57: “E’ soltanto nel XVIII secolo, nella ‘società civile (bürgerliche
Gesellschaft)’, che le diverse forme del contesto sociale si
contrappongono all’individuo come un puro strumento per i suoi scopi privati,
come una necessità esteriore. Ma l’epoca che genera questo modo di vedere, il
modo di vedere dell’individuo isolato (des vereinzelten einzelnen), è proprio
l’epoca dei rapporti sociali (gesellschaftliche Verhältnisse) (generali da
questo punto di vista) finora più sviluppati [… ] L’uomo (Mensch) è nel senso
più letterale uno zoon politikon, non soltanto un animale sociale (ein
geselliges Tier), ma un animale che solamente nella società può (kann)
isolarsi (sich vereinzeln)”[55]. Il secondo passo rilevante al riguardo è
contenuto nel capitolo sulla cooperazione del primo libro delCapitale:
“[…] l’uomo è per natura un animale, se non politico, come pensa
Aristotele, certo sociale”. E, in nota (13), aggiunge: “Propriamente, la
definizione di Aristotele dice che l’uomo è per natura cittadino. Essa è
caratteristica dell’antichità quanto è caratteristica dello spirito yankee la
definizione del Franklin, che l’uomo è per natura ‘facitore di strumenti’”[56].
Di nuovo emerge la centralità del “sociale”: nel Capitale l’analisi
della cooperazione fa emergere la dimensione della società nel suo carattere di
produttività, con l’ambivalenza di tale elemento: si tratta di un rilievo sul
processo di individuazione contenuto nella cooperazione capitalistica di molti
individui, nella potenza sociale derivante dalla loro attività lavorativa. Il
carattere sociale del processo produttivo si rivela nella misura in cui il mio
lavoro diventa equiparabile al lavoro di un altro: tale commensurabilità dei
diversi lavori li rende sociali. In questo senso, come risalta dal passo del Capitale, il
riferimento all’aristotelico “zoon politikon” deve venir interpretato operando
una “trasvalutazione” rispetto al significato e all’orizzonte aristotelici.
Appare necessario insistere, in primo luogo, sull’elemento della socialità come
costitutivo, e in secondo luogo, sulla presenza di una determinazione
specifica, vale a dire sul richiamo al capitalismo. Così il richiamo allo zoon
politikon è indice della permanenza di un’antropologia in Marx, ma
concependo tale elemento non in termini astratti, sulla base di una sorta di
natura umana, ma a partire da un’indagine storicamente condizionata, del
meccanismo capitalistico, e dalla possibilità di andare oltre rispetto ad esso,
ma tenendo conto delle condizioni materiali esistenti. Comunque sia, per
ritornare al primo passo citato, presente nella Einleitung del ’57,
Marx mette in luce un aspetto precedentemente rimarcato, vale a dire la
compenetrazione fra dimensione sociale e isolamento: sviluppo impetuoso dei
rapporti sociali ed esistenza di una struttura di indifferenza costituiscono le
due facce di una stessa medaglia. Così la ripresa della definizione
aristotelica dell’uomo come zoon politikon viene riarticolata a
partire dall’elemento appena ricordato. Si rivela però necessaria un’ulteriore
problematizzazione, derivante dall’idea secondo cui l’uomo “kann sich
vereinzeln”: l’isolamento costituisce una condanna, in quanto sussunzione a una gesellschaftliche
Macht che è anche fremde Gewalt, ma anche una potenzialità:
d’altronde, il verbo können sta ad indicare anche una dimensione
potenziale. L’isolamento presuppone una certa indipendenza, impensabile
all’interno degli assetti precapitalistici. La frase sopra citata può venir
tradotta anche nel seguente modo: “l’uomo può valere come singolo”, può
singolarizzarsi, a partire da una certa situazione sociale e politica ma senza
risultare riducibile a essa.
L’individuo, in quanto dotato di indipendenza, e la società,
in quanto nesso complesso di relazioni, costituiscono un “portato” del
capitalismo, nel carattere espansivo di tali elementi e anche nel loro volto
“spettrale”: infatti il capitalismo piega gli individui alla loro funzione
sociale, individuandoli secondo il possesso del denaro, “vera comunità”, e
quindi fondando il dominio politico sull’apparente libertà del lavoro. Così è
possibile parlare di società in senso stretto solo con il capitalismo, quando
la merce è diventata la forma generale di organizzazione e l’attività che
produce merci è divenuta dominante. Il sistema capitalistico, in quanto fondato
sulla produzione per la produzione e non per il consumo, richiede agli
individui un’astrazione che Marx definisce come astrazione dai particolari
valori d’uso, bisogni e interessi. La produzione come elemento-chiave si
dispiega fino in fondo solo con il sistema capitalistico, dal momento che i
mezzi di produzione si sono storicizzati e si sono già storicizzati e
spersonalizzati anche i rapporti di proprietà. E’ lo stesso sviluppo
capitalistico che tende a subordinare ogni rapporto politico al rapporto
sociale, e ogni rapporto sociale al rapporto di produzione. Il
capitalismo rappresenta il primo modo di produzione integralmente sociale, nel
senso insieme espansivo e spettrale del termine, all’interno del quale la
centralità del “sociale” si configura come l’altra “faccia” della serialità
individuale.
Comunque sia, costitutivo del capitale, come rapporto
sociale e non cosa, è un antagonismo strutturale, dal momento che sia la
forza-lavoro sia i singoli capitalisti tendono a sottrarsi alla costrizione del
rapporto: la prima affermando politicamente la propria libertà in quanto
autonomia, i secondi sostenendo il primato naturale della cosa. Tale
ordinamento si configura come il momento fondamentale di un processo di
astrazione, basato sulla sussunzione delle precedenti forme lavorative e delle
corrispondenti forme associative. Il capitalismo, proprio in quanto fondato sul
rapporto sociale, si carica di una forte politicità: la società, connessa al
sistema capitalistico, “piega” i singoli al loro ruolo, e quindi li individua
sulla base del possesso di denaro, basando così la “schiavitù” politica sulla
”libertà apparente” del lavoro. Come emerge anche dalla tematizzazione dei Grundrisse,
la classe in senso proprio rappresenta un segno distintivo del sistema
capitalistico. In ogni caso, anche se individuassimo rapporti di classe prima
del capitalismo, dovremmo rilevare che l’esistenza di un’opposizione di classe
nelle forme precapitalistiche non aveva mai eroso l’unità uomo-terra: solo con
il capitalismo tale unità è stata distrutta. La lotta di classe, anche se
talvolta sembra diversamente (si pensi al Manifesto), costituisce un
elemento specifico del sistema capitalistico, e la prima lotta di classe in
senso stretto, per Marx, è la “rivoluzione brutta” del giugno 1848 in Francia.
La rivoluzione industriale crea quei ceti operai che nel 1848 fanno la loro
vera prima comparsa come soggetto rivoluzionario: nel XIX secolo la “nuova
Rivoluzione francese” non potrà che configurarsi come una “rivoluzione sociale”
(Le lotte di classe in Francia). Così l’antagonismo costituisce una
condizione decisiva del sistema capitalistico, con le sue contraddizioni
specifiche. Il denaro viene così a determinare una dissimmetria fra gli
individui, solo apparentemente uguali. Il discorso marxiano appare radicalmente
critico sia nei confronti della concezione liberale, fondata
sull’identificazione fra libertà e proprietà privata, sia nei confronti degli
ideologi socialisti (come Proudhon), che ritenevano ingenuamente di poter
separare “il lato buono” e il “lato cattivo” di tale processo: non si tratta di
accettare e valorizzare la libertà capitalistica, e, allo stesso tempo, di
eliminare la cogenza del potere oggettivo rappresentato dal denaro. Ma “nella
società borghese il lavoratore, ad esempio, non ha un’esistenza oggettiva,
esiste solo soggettivamente (subjektiv); ma la cosa che gli si contrappone è
ora diventata la vera comunità (das wahre Gemeinwesen), che egli cerca di far
sua e dalla quale invece viene ingoiato”[57]. Per Marx l’Arbeiter si
configura come pura soggettività secondo una temporalità lacerata e secondo una
dissimmetria fra le classi, provocata dal denaro, “vera comunità”. Cruciale è
tale “spaccatura in due” della società (l’uno si divide in due), rispetto alla
quale Marx fa propria la parte della “soggettività senza oggetto” dell’Arbeiter,
della classe operaia, nella sua negazione “pratica” di tutto ciò che è
funzionale al sistema.
Alla base del discorso si trova, in contrapposizione a quel
“lavoro morto” che è il capitale, la tensione soggettiva del lavoro vivo, in
quanto valore d’uso della forza-lavoro. Il singolo operaio deve vendere quella
merce peculiare che è la forza-lavoro, che nel Capitale viene
concepita come potenza, dynamis, e quindi definita come “insieme delle
attitudini (Fähigkeit) fisiche e intellettuali che esistono nella corporeità,
ossia nella personalità vivente d’un uomo”[58]. Nel momento in cui si vende
qualcosa che esiste solo come possibilità, esso non può essere staccato dalla
corporeità del lavoratore: “Nella misura in cui deve essere presente
temporalmente, come lavoro vivo, esso può esserlo soltanto come soggetto vivo (lebendiges
Subjekt), in cui esiste come capacità (Fähigkeit), come possibilità (Möglichkeit);
perciò come operaio. L’unico valore d’uso perciò che può costituire opposizione
al capitale è il lavoro”[59]. Emerge la duplicità del discorso: per un verso,
la forza-lavoro è finalizzata alla valorizzazione del capitale, per l’altro,
costituisce una possibile opposizione dirompente al capitale. Al riguardo è
necessaria una precisazione: l’interpretazione politica della classe, fin qui
delineata, non implica l’idea dell’immediatezza della lotta. Come aveva
sottolineato Sartre, “[…] la classe operaia non può mai esprimersi interamente
come soggetto politico attivo: ci saranno sempre delle zone o delle regioni o
frange che […] resteranno serializzate, massificate, estranee a una presa di
coscienza. Un residuo c’è sempre”[60]. Ritorna la questione del rapporto
complesso, non di mera deduzione, fra critica dell’economia politica e
politica. E gli individui che formano la classe, per utilizzare una
terminologia lacaniana, insieme “sono parlati” e “parlano”, sono agiti e agiscono.
Ci si trova di fronte a una produzione di soggettività, intendendo il genitivo
sia come genitivo soggettivo sia come genitivo oggettivo, sulla base di una
lettura irriducibile sia a soggettivismo sia a oggettivismo. Il processo di
valorizzazione del capitale produce le figure soggettive del capitalista e
dell’operaio salariato, ma al tempo stesso non appare logicamente possibile a
prescindere da queste figure. In ogni caso, tali considerazioni sulla
forza-lavoro (Arbeitskraft), termine usato nel Capitale, o, per usare la
terminologia dei Grundrisse, sulla capacità di lavoro (Arbeitsvermögen),
mettono in risalto che il lavoratore si rivela come “soggetto vivo (lebendiges
Subjekt), in cui esiste come capacità (Fähigkeit), come possibilità (Möglichkeit)”.
La nozione di potenzialità, concepita nel senso di dynamis, permette di
intendere le singolarità operaie nella loro connessione con le condizioni in
cui si trovano, e quindi anche in una condizione di sfruttamento, ma nello
stesso tempo nella loro eccentricità rispetto a tale scenario, dal momento che esiste
un’eccedenza, rappresentata dalla corporeità vivente del lavoratore, che non
può mai essere completamente “catturata” dal capitale. E la plasticità della
forza-lavoro permette anche di andare al di là dell’individualità del singolo
lavoratore, sulla base di una ”forza di massa” irriducibile a somma dei singoli
componenti. La società, sottesa al modo di produzione capitalistico, nella sua
struttura duale possiede un’instabilità essenziale, a causa non solo delle sue
contraddizioni interne, ma anche delle insorgenze soggettive, che ne minano
costantemente la compattezza. Non esiste uno sviluppo autonomo autoreferenziale
del capitale rispetto alle lotte.
In ogni caso, per Marx il superamento dello “stato di cose
presente” non può venir riconosciuto né nell’unità superiore dello Stato, né
nella società come elemento da contrapporre allo Stato. Il tentativo marxiano
risiede nel destituire l’opposizione (o la reciproca implicazione) di società
civile e Stato. Tra l’altro, al riguardo andrebbero riattivate alcune
osservazioni gramsciane dei Quaderni del carcere, che rimarcano la
centralità dell’elemento dello Stato per la riproduzione dello sfruttamento
capitalistico. In tal senso, è necessario riflettere anche sulla
compenetrazione fra società e Stato. Marx appare comunque lontanissimo dagli
ideologi socialisti: il superamento della separazione “sociale”-“politico” non
avviene attraverso un’ipostatizzazione del “sociale”, ma attraverso una
radicale destrutturazione di tale antitesi. Il comunismo può venir interpretato
come tentativo di accumunare, contro lo sfruttamento insito nella
configurazione del lavoro nel sistema capitalistico, le singolarità operaie. Il
comunismo non è sic et simpliciter egualitarismo, configurandosi come
differenziazione delle individualità, irriducibile a piatta uniformità, o alla
serialità della fabbrica, dal momento che “essere lavoratore produttivo
non è una fortuna, ma una disgrazia”[61].
Così dalle prime opere marxiane, fino ad arrivare al Capitale e
agli ultimi scritti storico-politici, si verifica una destrutturazione
dell’elemento della società, nel suo radicamento nella dinamica del lavoro.
L’intera Critica del Programma di Gotha, poi, è sorretta dal rilievo sulla
necessità di una discontinuità nei confronti non di questo o di quell’assetto,
ma della struttura stessa della società borghese, che è fondata sul rapporto
salariale: è interessante rilevare che, in tale testo, Marx adopera sia
l’espressione bürgerliche Gesellschaft sia l’espressione kapitalistische
Gesellschaft[62], per denotare quella situazione nella quale l’Arbeiter “deve
essere, in tutte le condizioni di società e di civiltà, schiavo degli altri
uomini che si sono resi proprietari delle condizioni materiali del lavoro”[63]. Poi
un’esemplificazione storica rilevante, negli anni ’70, è rappresentata dalla
Comune di Parigi, “forma politica infine scoperta con cui compiere
l’emancipazione economica del lavoro”[64]: tale “governo della classe operaia”
mette in forma l’emancipazione sociale. Non si tratta più di ragionare
semplicemente in termini di presa del potere (le leggi del rapporto
capitalistico sono più durature delle sue forme politiche), ma in termini di
distruzione dello Stato-macchina. La Comune non si configurava come uno Stato
nel senso proprio della parola, mettendo in discussione le istituzioni statali
e non reggendosi su un sistema rappresentativo: tutti gli amministratori devono
essere eleggibili e costantemente sottoposti al controllo popolare. In ogni caso,
occorre rimarcare che la Comune viene definita come “repubblica sociale”, e qui
l’aggettivo “sociale” si trova in una posizione di confine: da un lato, esso
viene sottoposto a critica, in quanto si tratta della socialità capitalistica
(d’altronde, la stessa cooperazione è la forma generale della produzione
capitalistica), per l’altro, costituisce un’opposizione a tale logica. Non si
tratta di interpretare la Comune né come un modello filosofico-politico né come
un modello costituzionale, ma come la forma specifica in cui Marx individuò, in
quel contesto determinato, una materializzazione della dittatura del
proletariato, nella sua internità e nella sua esternità rispetto a ciò che
viene sottoposto a critica. D’altronde, non esiste una politica marxista altra
rispetto a quella che sorge dal movimento storico stesso: qui ritorna la
questione della non omologia tra pensiero e realtà come costitutiva del
pensiero marxiano.
Comunque sia, al di là della tentazione problematica, che
talvolta riaffiora anche negli ultimi scritti marxiani, di dare vita a una
piena trasparenza dei rapporti, l’aspetto decisivo è costituito dal tentativo
di intendere il “comunismo”, la “comunità reale”, l’”associazione di uomini
liberi”, il “regno della libertà”, in radicale distonia rispetto alla
compenetrazione fra dimensione sociale e indifferenza. Occorre precisare che in
Marx non è presente una differenziazione chiara ed univoca dei concetti, e
quindi, ad esempio, la nozione di Gesellschaft viene adoperata anche
per indicare la società comunista (e non solo quella borghese): in questo
senso, trapassa nei concetti di Verein e di Assoziation. Anche
se il termine Gesellschaft viene utilizzato anche per connotare il
comunismo, lo sforzo marxiano consiste nel dare vita a una destituzione della
società, in quanto la società è quella funebre del capitale, cosicché società
civile e Stato, nella loro interdipendenza e anche nella loro separazione (si
pensi all’idea dello “Stato-macchina”), vengono sottoposte a una critica
radicale. Poi, come sottolineato in precedenza, la nozione di Gemeinschaft,
molto presente nell’Ideologia tedesca, in seguito verrà abbandonata, in
quanto troppo sottoposta al rischio di venire ipostatizzatizzata in una scheinbare
Gemeinschaft, fondata sulla spoliazione individuale. Per denotare la dimensione
comune può venir adoperato, piuttosto, il termine Gemeinwesen, con il suo
dinamismo, con la sua connessione con un agire che accumuna gli individui, nel
suo configurarsi come “campo di forze” non immediatamente componibili. Engels,
in una lettera a Bebel del 1875, rimarcò proprio l’importanza dell’utilizzo del
termine “Gemeinwesen, una buona vecchia parola tedesca che può fare molto bene
le veci del termine francese commune”[65]. Ci si trova di fronte alla
destrutturazione di ogni contrapposizione fra individualismo e organicismo,
sulla base di un continuo “scambio” fra l’individuale e il collettivo, scambio
che deve essere interpretato a partire da una pratica di trasformazione. In
questo scenario, si rivela importante il riferimento al termine Gemeinwesen,
che può mettere in risalto, del comunismo, il carattere di dimensione comune
nella sua apertura e quindi nella sua irriducibilità a una specifica Gemeinschaft,
comunità, che inevitabilmente si presenta come la perimetrazione di un
territorio, secondo un meccanismo di disciplinamento.
Il comunismo si configura, però, non solo come movimento, ma
anche come organizzazione. Citando un celebre passo contenuto nel primo libro
delCapitale, si tratta di “un’associazione (Verein) di uomini liberi che
lavorino con mezzi di produzione comuni e spendano coscientemente le loro molte
forze-lavoro individuali come una sola forza-lavoro sociale”[66], e che quindi
danno vita a un controllo cosciente della produzione secondo un piano. Per
definire il comunismo come organizzazione, viene adoperato il termine Verein,
associazione, unione, e non Gemeinschaft. Il limite del discorso è
costituito dal fatto che il termine “associazione” possiede un carattere
abbastanza generico e indeterminato, e in tal senso risulta elusivo in merito
alla questione delle strutture autoritative presenti, e alla modalità con cui
vengono regolati i rapporti fra gli individui. Ma il termine “associazione”,
pur con il rischio indicato, risponde a un’esigenza molto forte in Marx,
consistente nel concepire il comunismo, per riprendere il Manifesto del
partito comunista, come un’associazione (Assoziation) in cui “il libero
sviluppo di ciascuno è condizione del libero sviluppo di tutti”[67], a
testimonianza della centralità della questione individuale. NelManifesto si
adoperava il termine Assoziation, molto simile al termine Verein,
utilizzato nel Capitale, connotando un’associazione, più che una
comunità in senso stretto. L’elemento dell’associazione, più che
l’elemento della comunità, permette di mantenere aperto il rapporto fra
dimensione individuale e dimensione collettiva, senza asservire la dimensione
individuale a una dimensione collettiva “onnicomprensiva”, una sorta di
Leviatano. Per riprendere il passo del Manifesto, il “ciascuno” è
condizione di possibilità del “tutti”. Non a caso, nel terzo libro del Capitale il
comunismo viene definito come “regno della libertà”: forte è la tensione verso
la libertà, ovviamente concepita in modo radicalmente diverso che nel
liberalismo, e quindi rompendo il nesso fra libertà e proprietà privata. In
ogni caso, pur con alcuni limiti (basti pensare, ad esempio, al troppo facile
andamento dialettico nel passaggio dal regno della necessità al regno della
libertà), il tentativo è di dare vita a una cooperazione fra singolarità,
tenendo insieme il carattere antagonistico del movimento e la consapevolezza
della necessità di un’istituzione, in cui siano presenti assetti autoritativi,
ma non secondo una gerarchia staticamente definita, e in cui l’“agire in comune
(gemeinsam handeln)”[68] dei lavoratori non venga neutralizzato. In questo
discorso il “sociale” viene sottoposto a una fortissima tensione, venendo
insieme destrutturato e riarticolato, portando l’emancipazione all’interno del
rapporto di produzione. Così è possibile riattivare, in rapporto al comunismo,
l’idea dell’uomo come zoon politikon, come animale sociale, sulla base
della riarticolazione marxiana di tale elemento. Nell’”associazione di uomini liberi”,
l’uomo, in quanto zoon politikon, può valere come singolo, facendosi
carico del proprio agire, non in distonia con l’agire collettivo.
[1] Cfr. Louis
Althusser, Per Marx (1965), trad. it. a cura di C. Luporini, Editori
Riuniti, Roma 1967.
[2] Cfr. Luca Basso, Socialità e isolamento: la
singolarità in Marx, Carocci, Roma 2008.
[3] Cfr. Maurizio Ricciardi, La società come
ordine. Storia e teoria politica dei concetti sociali, Eum, Macerata 2010.
[4] Cfr.
Reinhart Koselleck, Futuro passato. Per una semantica dei tempi storici (1979),
trad. it. di A. M. Solmi, Marietti, Genova 1986, pp. 55-72.
[5] Karl
Marx, Kritik des Hegel’schen Staatsrechts (1843, post. 1927), in K.
Marx-F. Engels, Werke (d’ora in avanti, MEW), 1, Dietz
Verlag, Berlin 1961, pp. 203-333: 284-285, trad. it. a cura di R. Finelli-F. S.
Trincia, Critica del diritto statuale hegeliano, Edizioni dell’Ateneo,
Roma 1983, pp. 41-239: 160-161.
[6] Cfr. Roberto Finelli-Francesco Saverio Trincia, Commentario,
in K. Marx, Critica del diritto statuale hegeliano, cit., pp. 241-695, in
part. pp. 521-551.
[7] Cfr., ad es., Roman Schnur, Individualismo e
assolutismo (1963), trad. it. di E. Castrucci, Giuffré, Milano 1979.
[8] Alexis de Tocqueville, La democrazia in
America (1835-1840), trad. it. a cura di G. Candeloro, Rizzoli, Milano
19992, Padre seconda, cap. II, p. 515.
[9] Id., L’antico regime e la rivoluzione (1856),
trad. it. a cura di G. Candeloro, Rizzoli, Milano 20065, Libro II, cap. IX, pp.
135-136.
[10] Karl Marx, Zur Judenfrage, in
“Deutsch-Französische Jahrbücher”, 1844, in MEW, 1, 1961, pp. 347-377:
367-368, trad. it. a cura di M. Tomba, La questione ebraica, in B. Bauer,
K. Marx, La questione ebraica, il Manifestolibri, Roma 2004, pp. 173-206:
196.
[11] Cfr.
Karl Marx, Thesen über Feuerbach (1845), in MEW, 3, 1962, pp.
5-7: 6, trad. it. a cura di F. Codino, Tesi su Feuerbach, in K. Marx-F. Engels, Opere,
V, 1845-1846, Editori Riuniti, Roma 1972, pp. 3-5: 4. Balibar valorizza,
riattivando la tematizzazione simondoniana, l’elemento del “transindividuale”
come costitutivo del discorso marxiano, al di là di individualismo e organicismo
(o olismo): Etienne Balibar, La filosofia di Marx (1993), trad. it.
di A. Catone, manifestolibri, Roma 1994, p. 36.
[12] Karl
Marx- Friedrich Engels, Die Deutsche Ideologie. Kritik der neuesten
Philosophie in ihren Repräsentanten Feuerbach, B. Bauer und Stirner, und des
deutschen Sozialismus in seinen verschiedenen Propheten (1845-1846, pubbl.
post. 1932) (d’ora in avanti, DI), in MEW, 3, 1962, p. 36, trad. it.
di F. Codino, L’ ideologia tedesca. Critica della più recente
filosofia tedesca nei suoi rappresentanti Feuerbach, B. Bauer e Stirner, e del
socialismo tedesco nei suoi vari profeti, Editori Riuniti, Roma (19939), p. 65.
[13] Ivi,
p. 194, trad. it., p. 195.
[14] Ivi,
p. 36, trad. it., p. 26.
[15] Ivi,
p. 36, trad. it., p. 66.
[16] Cfr. Hans-Jürgen Krahl, Attualità della
rivoluzione. Teoria critica e capitalismo maturo (1971), trad. it. di S.
De Waal, manifestolibri, Roma 1998, pp. 158-159.
[17] Karl
Marx-Friedrich Engels, Die heilige Familie, oder Kritik der kritischen
Kritik. Gegen Bruno Bauer und Konsorten (1845), in MEW,
2, 1962, pp. 3-323: 123, trad. it. a cura di A. Scarponi, La Sacra famiglia,
ovvero Critica della critica critica. Contro Bruno Bauer e soci, in Opere,
IV, 1844-1845, Editori Riuniti, Roma 1972, pp. 3-234: 130.
[18] Friedrich
Engels, Die Lage der arbeitenden Klasse in England (1844), in MEW,
2, pp. 227-506: 306, trad. it. a cura di A. Scarponi, La situazione della
classe operaia in Inghilterra, in K. Marx-F. Engels, Opere complete, IV,
Editori Riuniti, Roma 1972, pp. 235-514: 310.
[19] DI,
pp. 74-75, trad. it., pp. 54-55.
[20] Ivi,
p. 66, trad. it., p. 62
[21] Cfr.
Manfred Riedel, Gesellschaft-Gemeinschaft, in O. Brunner-W. Conze-R.
Koselleck (hrsg. von), Geschichtliche Grundbegriffe. Historisches Lexikon
zur politisch-sozialen Sprache in Deutschland, Klett-Cotta, Stuttgart 19943,
Band 2, pp. 801-862.
[22] DI,
p. 34, trad. it., p. 24.
[23] Ivi,
p. 229, trad. it., pp. 229-230.
[24] Ivi,
p. 194, trad. it., p. 195.
[25] Ivi,
p. 364, trad. it., p. 368.
[26] Ivi,
p. 208, trad. it., p. 208.
[27] Karl Marx, Misère de la philosophie. Réponse
à la philosophie de la misère de Proudhon (1847, post. 1885), in MEW,
4, 1959, pp. 63-182: 122-123, trad. it. di F. Rodano,Miseria della filosofia. Risposta
alla “Filosofia della miseria” del signor Proudhon, Editori Riuniti, Roma 19932,
p. 61.
[28] DI,
p. 75, trad. it., p. 54.
[29] Cfr. Claude Lefort, Le forme della storia.
Saggi di antropologia politica (1978), trad. it. di B. Aledda e P.
Montanari, il Ponte, Bologna 2005, in part. pp. 204-205.
[30] DI, p. 54, trad. it., p. 54.
[31] Sul carattere intrinsecamente politico della
classe rimane decisivo il riferimento all’operaismo, pur nella varietà delle
sue declinazioni. Si veda Mario Tronti, Operai e capitale, (1966),
Einaudi, Torino 19802, p. 188, che sottolinea che la teoria della
rivoluzione è interamente contenuta nella definizione politica di classe
operaia; in relazione aiGrundrisse: Antonio Negri, Marx oltre Marx (1977),
manifestolibri, Roma 1998. Sulla differenza fra tale concezione e la lettura
althusseriana in merito al rapporto fra critica dell’economia politica e
politica: Luca Basso, Critica dell’economia politica e politica. Fra Althusser e Marx, in “Spazio
filosofico”, 1, 2013, pp. 119-125.
[32] Cfr. DI,
pp. 74-75, trad. it., p. 57.
[33] Ivi,
pp. 424-425, trad. it., p. 430.
[34] Ivi,
p. 246, trad. it., p. 245.
[35] Cfr. Etienne Balibar, Cinque saggi di
materialismo storico (1974), trad. it. di C. Mancina, De Donato, Bari
1976, pp. 67-103.
[36] Karl
Marx, Das Kapital. Kritik der politischen Ökonomie. Erster Band. Buch
I: Der Produktionsprozeß des Kapitals (1867, 1890), (d’ora in avanti, K),
in MEW, 23, 1962, pp. 19-20, trad. it. a cura di D. Cantimori, Il
capitale. Critica dell’economia politica. Libro primo. Il processo di
produzione del capitale, Editori Riuniti, Roma 19915, pp. 38-39.
[37] Einleitung,
in Marx, Grundrisse der Kritik der politischen Ökonomie (Rohentwurf) (1857-1858,
post. 1941) (d’ora in avanti, G), in MEW, 42, 1983, p. 19,
trad. it. di E. Grillo,Lineamenti fondamentali della critica dell’economia
politica, La Nuova Italia, Firenze 19973, I, pp. 3-4.
[38] Ivi,
p. 39, trad. it., pp. 32-33.
[39] Ivi,
p. 41, trad. it., p. 35.
[40] G,
p. 384, trad. it., II, pp. 95-96.
[41] Ivi,
p. 91, trad. it., I, p. 97.
[42] Ivi,
p. 395, trad. it., II, p. 111.
[43] K,
I, p. 16, trad. it., p. 34.
[44] G,
p. 323, trad. it., pp. 11-12.
[45] Cfr. Ivi, p. 383, trad. it., p. 95: “[…] un
[…] presupposto (del capitale) è la separazione (Trennung) del lavoro
libero dalle condizioni oggettive della sua realizzazione – ossia dal mezzo di
lavoro e dal materiale di lavoro. Abbiamo, dunque, prima di tutto, il distacco del
lavoratore dalla terra quale suo laboratorio naturale, quindi la dissoluzione
tanto della piccola proprietà fondiaria libera quanto della proprietà fondiaria
collettiva basata sulla comunità orientale”.
[46] Ivi,
p. 189, trad. it., p. 242.
[47] K,
I, p. 66, trad. it., p. 104.
[48] G,
pp. 89-90, trad. it., I, pp. 96-97.
[49] Ivi,
pp. 96-97, trad. it., I, pp. 106-107.
[50] Ivi,
pp. 90-91, trad. it., I, pp. 97-98.
[51] Ivi,
p. 149, trad. it., I, p. 183.
[52] Sul rapporto fra dimensione economica e dimensione
giuridica rimane decisiva la riflessione di Pašukanis: Evgenij Bronislavovič
Pašukanis, La teoria generale del diritto e il marxismo (19273),
trad. it. a cura di U. Cerroni, De Donato, Bari 1975.
[53] G,
p. 173, trad. it., I, p. 218.
[54] Karl
Marx, Ökonomisch-philosophische Manuskripte aus dem Jahre 1844 (1844,
pubbl. post. 1932), in MEW, 40, 1985, pp. 465-588: 538-539, trad.
it. a cura di N. Bobbio,Manoscritti economico-filosofici, Einaudi, Torino 1968,
pp. 114-115.
[55] Einleitung,
in G, p. 20, trad. it., I, p. 5.
[56] K,
I, p. 346, trad. it., p. 368.
[57] G,
p. 404, trad. it., II, pp. 123-124.
[58] K,
I, p. 181, trad. it., p. 200. Cfr. P. Virno, Il ricordo del
presente. Saggio sul tempo
storico, Bollati Boringhieri, Torino 1999, pp. 119-141.
[59] G,
pp. 197-198, trad. it., I, p. 251-252.
[60] Cfr.
Jean-Paul Sartre, Masse, spontaneità, partito (1969), trad. it. a
cura di R. Kirchmayr, in J.-P. Sartre, L’universale singolare. Saggi
filosofici e politici 1965-1973, Mimesis, Milano 2009, pp. 175-191: 179.
[61] K,
I, p. 532, trad. it. mod., p. 556.
[62] Karl
Marx, Kritik des Gothaer Programms (1875, post. 1891), in MEW,
19, 1962, pp. 11-32: 28, trad. it. di P. Togliatti, Critica del programma
di Gotha, Editori Riuniti, Roma 1976 (19902), pp. 29-30.
[63] Ivi,
p. 15, trad. it., p. 8.
[64] Id., The Civil War in France, First
Draft (1871), in Marx-Engels-Gesamtausgabe (MEGA), I, 22,
März-November 1871, Text und Apparat, Dietz Verlag, Berlin 1978, p. 142, trad.
it. a cura di M. Vanzulli, in Marx e Engels, Opere, XXII, luglio
1870-ottobre 1871, La Città del Sole-Editori Riuniti, Napoli 2008, p. 299.
[65] Friedrich
Engels a August Bebel, 18-28/03/1875, in MEW, 34, 1966, p. 129, trad. it.
di A. Montefusco, K. Marx-F. Engels, Inventare l’ignoto. Testi e
corrispondenze sulla Comune di Parigi, Edizioni Alegre, Roma 2011 p. 249. Sulla
rilevanza della dimensione comune: Luca Basso, Agire in comune.
Antropologia e politica nell’ultimo Marx, ombre corte, Verona 2012.
[66] K, I, p. 92, trad. it., p. 110.
[67] Karl Marx- Friedrich Engels, Manifest der
kommunistischen Partei (1848), in MEW, 4, 1959, pp. 459-493: 482,
trad. it. a cura di E. Cantimori Mezzomonti, Manifesto del partito
comunista, Laterza, Roma-Bari 1994, p. 121.
[68] K,
I, p. 770, trad. it., p. 805.