Ernesto Screpanti | Una teoria “marxista” della giustizia
incontra grandi difficoltà a criticare il capitalismo. Per questo bisogna
fuoriuscirne cercando di porre la libertà a fondamento della giustizia. In
questo modo, si evita anche il rischio di un governo universale della ragione
imposto forzosamente.
“Le mie riflessioni
prendono le mosse da una constatazione di fondo: il marxismo è uno
straordinario edificio che, negli ultimi due o tre decenni, ha mostrato tutte
le sue crepe, il suo invecchiamento, le sue difficoltà e le sue aporie.
Perciò se si vuole provare a valorizzare quell’eredità è necessario impegnarsi
in un processo di ricostruzione di lunga lena”. Così Stefano Petrucciani
nel suo ultimo lavoro, ‘A lezione da Marx: Nuove interpretazioni’,
Manifestolibri, Roma 2012, un libro bello e importante.
Ben sapendo che oggi chi si vuole accostare a Marx da
marxista non può limitarsi a rileggerlo ma deve in qualche misura tentare di
riscriverlo, Petrucciani mette in chiaro sin dalla prima pagina qual è lo
spirito del suo approccio: critico, libero e impegnato. Critico, per evitare
ogni forma di dogmatismo e scolasticismo; libero, per trarre profitto dai
contributi più validi della filosofia contemporanea; impegnato, per rendere la
teoria utile nella prassi politica.
Il pensiero comunista post-sessantotto ha modificato
radicalmente i metodi e i temi della teoria critica rispetto ai canoni delle
vecchie scuole di partito ma anche rispetto a quelli del “marxismo
occidentale”, e ha dato vita a due grandi filoni di pensiero altamente
innovativi: il marxismo analitico e il marxismo ermeneutico. Il primo filone
affonda le radici nel contrattualismo e nell’utilitarismo di tradizione
anglosassone, oltre che nel criticismo kantiano – radici che non sono del