"No hay porvenir sin Marx. Sin la memoria y sin la herencia de Marx: en todo caso de un cierto Marx: de su genio, de al menos uno de sus espíritus. Pues ésta será nuestra hipótesis o más bien nuestra toma de partido: hay más de uno, debe haber más de uno." — Jacques Derrida

"Los hombres hacen su propia historia, pero no la hacen a su libre arbitrio, bajo circunstancias elegidas por ellos mismos, sino bajo aquellas circunstancias con que se encuentran directamente, que existen y les han sido legadas por el pasado. La tradición de todas las generaciones muertas oprime como una pesadilla el cerebro de los vivos. Y cuando éstos aparentan dedicarse precisamente a transformarse y a transformar las cosas, a crear algo nunca visto, en estas épocas de crisis revolucionaria es precisamente cuando conjuran temerosos en su auxilio los espíritus del pasado, toman prestados sus nombres, sus consignas de guerra, su ropaje, para, con este disfraz de vejez venerable y este lenguaje prestado, representar la nueva escena de la historia universal" Karl Marx

6/10/14

Marx, il capitalismo e le cause delle sue crisi

Karl Marx ✆ A.d. 
Moreno Pasquinelli   |   E’ vero che il mercato, il denaro, la speculazione e l’usura sono nati prima del capitalismo, che anzi quest’ultimo si è potuto affermare proprio grazie ad essi, ma questo non vuol dire che i diversi sistemi sociali (schiavista, asiatico, feudale, capitalistico) si equivalgano. Col sopravvento del capitalismo, certo, queste forme restano, ma mutano di segno e natura, e mutano la relazione fra loro. Il capitalismo le sussume in un nuovo modo di produzione, le subordina a nuovi rapporti di produzione, le aggancia a nuove forze produttive.  «Il capitale è costituito dai mezzi di produzione monopolizzati da una parte determinata della società, dai prodotti e dalle condizioni di attività della forza-lavoro, resi autonomi nei confronti della forza-lavoro vivente, che vengono mediante questa contrapposizione personificati nel Capitale. Questo è costituito non soltanto dai prodotti dei lavoratori trasformati in potenze autonome, dai prodotti come dominatori e compratori dei loro produttori, ma anche dalle forze sociali (…) che si contrappongono ad essi come qualità del loro prodotto» [K. Marx, Il capitale, Volume III]
Cos’è ciò che in prima battuta distingue il capitalismo dai modi di produzione che l’hanno preceduto e dai sistemi sociali ad essi corrispondenti? Che in tutti i sistemi precedenti, principalmente agrari, era destinato agli scambi, al mercato, solo il surplus, l’eccedenza creata dal processo lavorativo [s'intende per surplus ciò la quota di beni prodotta da una comunità e che eccede la sussistenza; Ndr], essendo essi principalmente basati su un’economia di sussistenza e dunque volti all’autoproduzione e all’autoconsumo. In seconda battuta contraddistingue i sistemi sociali pre-capitalistici il fatto che il guadagno ottenuto dalla vendita di questa eccedenza era sì appropriata dalle classi dominanti, ma giusto per il loro consumo improduttivo [non assumeva dunque la forma di capitale; Ndr].
« Quali che siano le forme sociali della produzione, lavoratori e mezzi di produzione restano sempre suoi fattori ma gli uni e gli altri sono tali soltanto in potenza nel loro stato di reciproca separazione. Perché in generale si possa produrre essi si debbono unire. Il modo particolare nel quale viene realizzata questa unione distingue le varie epoche economiche della struttura della società». [K. Marx, Il capitale Volume II]

Repetita juvant: l’economia monetaria è comune ad ogni produzione di merci e il prodotto prende la forma di merce nei più diversi organismi sociali di produzione.

La grande svolta che si ha con l’avvento del modo capitalistico di produzione è che esso trasforma in merce non solo l’eccedenza (surplus), ma tutto ciò che risulta dal processo lavorativo (si produce quindi non più per l’autoconsumo quanto per il mercato e i beni diventano merci). Diventa infine merce la forza-lavoro stessa. In secondo luogo, la classe che detiene i mezzi di produzione e pone questi in movimento grazie all’acquisto della merce forza-lavoro, contrariamente alle vecchie classi dominanti, non consuma improduttivamente il surplus, ma lo getta nel mercato come capitale che deve nuovamente valorizzarsi.

La presenza di denaro circolante non attesta dunque che siamo in presenza di capitalismo, occorre che esso acquisisca la funzione di capitale, che diventi capitale monetario, e che questo diventi a sua volta capitale produttivo, destinato cioè a produrre plusvalore su una scala sempre più ampia. Per dirla con Marx: 
«Ogni volta che viene esercitata la produzione di merci viene contemporaneamente esercitato lo sfruttamento della forza-lavoro; ma soltanto la produzione capitalistica di merci diviene un modo di sfruttamento che fa epoca, il quale nel suo successivo sviluppo storico attraverso l’organizzazione del processo lavorativo e il gigantesco progresso della tecnica, sovverte l’intera struttura economica della società e si lascia enormemente indietro tutte le epoche precedenti». (K. Marx, Ibidem)

Il capitale industriale (o "operante") come unica fonte di plusvalore

Vero è che fare denaro, non l’utilità dei prodotti, è pur sempre principio e scopo del capitale, ma dal momento che questo denaro passa in un processo produttivo creatore di un plusvalore cristallizzato in merci destinate ad essere vendute, esso subisce una metamorfosi, cambia pelle e funzione. Ilcapitale monetario non è dunque denaro qualsivoglia, non è solo denaro che si trasforma in più denaro (ad esempio l’usura o il prestito a interesse); è denaro destinato a diventare capitale produttivo di plusvalore, ad essere investito nel processo lavorativo per sfornare merci su una scala sempre più estesa, che così agendo stimola un incessante sviluppo delle forze produttive sociali, materiali e cosiddette “immateriali”.

Non è che se io presto cento euro e domani ottengo un interesse di dieci euro, allora io ho il capitalismo, e non ho capitalismo per la semplice ragione che io non ho consumato (investito) inmaniera produttiva i miei cento euro, ma in maniera improduttiva. Alla fine ho ottenuto una plusvalenza, un profitto a interesse, ma non ho creato plusvalore. Anche per il capitalista il fine è certo quello di ottenere l’eccedenza più alta possibile rispetto alla somma iniziale investita, lo distingue la maniera con cui ottiene l'eccedenza, il fatto che tratta quella somma iniziale comecapitale, che cioè consuma il denaro non solo come mero denaro ma come capitale monetario, lo spende in maniera produttiva (creativa di plusvalore), lo consuma in mezzi di produzione e forza-lavoro, per riconvertirlo nuovamente in capitale addizionale. Quelli che Marx chiamava “consumo produttivo” e “riproduzione allargata”.

C’è un passaggio decisivo sempre nel secondo volume de Il Capitale, che non solo ci aiuterà a comprendere a pieno il pensiero di Marx (la sua teoria del valore), ma ad entrare nel cuore della questione che stiamo discutendo, se cioè il capitalismo-casinò, ovvero la iper-finanziarizzazione che il capitalismo occidentale ha conosciuto dagli anni ’70 in qua, sia o non sia un passaggio qualitativo rispetto all’epoca precedente.

E’ una citazione lunga ma ne vale senz’altro la pena:
«Il capitale industriale è l’unico modo di essere del capitale in cui funzione del capitale non sia soltanto l’appropriazione di plusvalore, rispettivamente di plusprodotto, ma contemporaneamente la sua creazione. Esso è perciò la condizione del carattere capitalistico della produzione: la sua esistenza implica quella dell’antagonismo di classe fra capitalisti e operai salariati. Nella misura in cui esso si impadronisce della produzione sociale, vengono sovvertite la tecnica e l’organizzazione sociale del processo lavorativo, e con ciò il tipo economico-storico della società. Le altre specie di capitale comparse prima di esso entro condizioni sociali di produzione passate o declinanti non solo vengono ad esso subordinate e mutate nel meccanismo delle loro funzioni in maniera ad esso corrispondente, ma si muovono oramai soltanto sul [nuovo] fondamento.Capitale monetario e capitale-merce, in quanto con le loro funzioni compaiono accanto al capitale industriale come depositari di branche proprie, sono modi di esistenza oramai soltanto per la divisione del lavoro, resi autonomi e sviluppati in senso unilaterale, differenti forme di funzione che il capitale industriale ora assume, e che ora abbandona entro la sfera della circolazione». [K. Marx, Ibidem.] 

In altre parole: 
(a) Il capitale industriale —per capitale industriale Marx non intende solo quello delle fabbriche, ma pure quello impiegato in agricoltura, in genere tutto il capitale produttivo, ovvero quello che crea plusvalore, che fa incontrare mezzi di produzione e forza-lavoro salariata— non è soltanto la forma fondamentale del modo capitalistico di produzione, ma “l’unico suo modo d’essere” che crei plusvalore, la condizione essenziale senza cui non avremmo capitalismo dispiegato o meglio una struttura sociale a capitalismo dominante;  
(b) solo dal momento che il capitale industriale si impadronisce della produzione sociale (espropriando i produttori sia dai mezzi per produrre che dal prodotto del lavoro) abbiamo che lalegge del valore (creazione di plusvalore grazie allo sfruttamento della forza-lavoro) diventa dominante;  
(c) per questo il capitalismo industriale è dunque per eccellenza la forma che contiene l’antagonismo di classe fra capitalisti e operai salariati;  
(d) date queste condizioni merce e denaro diventano capitale-merce e capitale monetario, due forme che il capitale industriale sussume a subordina a sé nell’ambito della circolazione, circuito che il capitale deve compiere per potersi auto-valorizzare.«Ciò è qualcosa di assai differente dalla produzione e anche dalla produzione di merci, il cui scopo è l’esistenza dei produttori; una sostituzione di merci con merci, condizionata così da produzione di plusvalore, è qualcosa di completamente diverso da quel che è in sé uno scambio di prodotti, mediato solo dal denaro. Così invece viene intesa la cosa da parte degli economisti, a dimostrazione che non è possibile una sovrapproduzione». [K. Marx, Ibidem]

Le crisi capitalistiche

La qual cosa ci spinge dentro al discorso della crisi, più precisamente delle crisi generali di sovrapproduzione, che mentre l’economia borghese esclude in linea di principio era invece per Marx la destinazione obbligata del processo capitalistico di valorizzazione.

Vediamo. Il ciclo del capitale produttivo (industriale) si compie a patto che il plusvalore contenuto solo in potenza nella merce si materializzi in atto, e ciò avviene a due condizioni: che le merci create nel processo lavorativo e quindi incapsulanti plusvalore, siano vendute integralmente e al loro valore effettivo (ovvero ad un prezzo che riconsegni non solo il valore anticipato dal capitale ma pure il plusvalore), e che il denaro ricavato dalla vendita delle merci non giaccia ozioso ma sia reimpiegato nell’acquisto di mezzi di produzione e della forza lavoro consumati nel processo produttivo. Se questo flusso si interrompe, se le merci non vengono vendute o vengono vendute al di sotto del loro valore, il ciclo si spezza, abbiamo il corto circuito, si manifesta la crisi (disovrapproduzione).

Non basta dunque, al capitale produttivo (industriale), produrre merci, per quanto elevata possa essere la quantità di plusvalore in esse potenzialmente contenuto. Queste devono essere vendute, e questo implica che la produzione è un momento (mediano) del ciclo di rotazione del capitale. Allora abbiamo che dev’esserci un’armonia funzionale, una stretta complementarietà (rotazione) tra le tre forme o modalità del capitale monetario, del capitale produttivo e del capitale-merce.

Si noti, en passant, che quest’armonia, per Marx, è l’eccezione non la norma, in quanto queste tre forme o modalità corrispondono, nella gran parte dei casi a tre entità diverse e in competizione fra loro. Ognuna di esse, fermo restando che solo il capitale industriale (produttivo) crea plusvalore, combatte per accaparrarsi pro domo sua la quota più alta di plusvalore. In fase di vacche grasse, di saggi crescenti di plusvalore, i tre ladroni non hanno difficoltà a spartirsi il bottino. Nei momenti di vacche magre, quando il capitale industriale subisce suo malgrado una caduta del saggio di profitto, quando cioè la riproduzione allargata si interrompe, la lotta tra i ladroni diventa senza esclusione di colpi. Ciò che contribuisce ad inceppare il ciclo virtuoso.

Diamo per l’ultima, ma decisiva volta, la parola a Marx:
«Finché il prodotto viene venduto, dal punto di vista del produttore, tutto segue il suo corso regolare. Il ciclo di valore del capitale che egli rappresenta, non viene interrotto. E se questo processo è allargato —ciò che implica allargato consumo produttivo dei mezzi di produzione— questa riproduzione del capitale può essere accompagnata da allargato consumo individuale (domanda) dei lavoratori, poiché esso è introdotto e mediato dal consumo produttivo. Così la produzione di plusvalore e con essa anche il consumo individuale del capitalista può crescere, l’intero processo di produzione trovarsi nelle condizioni più fiorenti, e tuttavia una gran parte delle merci essere entrata solo in apparenza nel consumo, in realtà invece giacere invenduta nelle mani dei rivenditori, e di fatto dunque trovarsi ancora sul mercato. Flusso di merci segue flusso di merci, e finalmente viene alla luce il fatto che il flusso precedente solo in apparenza è stato inghiottito dal consumo.I capitali-merce si contendono reciprocamente il loro posto sul mercato. Per vendere gli ultimi arrivati vendono al di sotto del loro prezzo. I flussi precedenti non sono stati ancora resi liquidi, mentre scadono i termini di pagamento. I loro possessori devono dichiararsi insolventi, ovvero vendere a qualunque prezzo per pagare».

E a dissipare ogni possibile equivoco sottoconsumistico che fraintenda la sovrapproduzione, ovvero che consideri quest’ultima come determinata non dalla spinta del capitale a fabbricare merci su scala sempre più ampia senza alcun riguardo per i “limiti del mercato” (offerta) ma, appunto, a causa dei “limiti del mercato” (domanda), Marx conclude:
«Questa vendita non ha assolutamente nulla a che fare con lo stato reale della domanda. Essa ha a che fare soltanto con la domanda di pagamento, con l’assoluta necessità di trasformare la merce in denaro. Allora scoppia la crisi. Essa diventa visibile non nell’immediata diminuzione della domanda di consumo, della domanda per il consumo individuale, ma nella diminuzione dello scambio di capitale con capitale, del processo di riproduzione del capitale» [K. Marx, Ibidem]

Con l’inceppamento del ciclo della riproduzione allargata, il capitale non riesce più a valorizzarsi (realizzare il plusvalore), anzi, si svalorizza, abbiamo così disinvestimento e crisi di sovrapproduzione, il crollo del valore del capitale e dei mezzi di produzione, l'espulsione della forza-lavoro e l'aumento dell’esercito industriale di riserva. 
«E una tautologia dire che le crisi provengono dalla mancanza di un consumo in grado di pagare o di consumatori in grado di pagare. Il sistema capitalistico non conosce altre specie di consumo all’infuori del consumo pagante, eccettuate quelle sub forma pauperis o quelle del “mariuolo”. Il fatto che le merci siano invendibili non significa altro se non che non si sono trovati compratori in grado di pagare, cioè consumatori (sia che le merci in ultima istanza vengano comprate per consumo produttivo [si intendono qui i mezzi di produzione e i salari, Nda] oppure individuale». (K. Marx, Il Capitale, II)

E qui siamo all’oggi, anzi a ieri.

L’iper-finanziarizzazione come concausa della decadenza del capitalismo occidentale

Il capitalismo mondiale ha conosciuto dopo la seconda guerra mondiale, durante quello che è stato definito “periodo d’oro”, ben 16 recessioni, considerando quella in corso, iniziata nel 2008.

Nel grafico accanto, che tiene conto del periodo 1960-2008, saltano agli occhi le quattro più recenti e grandi recessioni a carattere globale. Come si può vedere, malgrado le riprese ad esse succedute, la curva della crescita economica mondiale è andata scendendo costantemente. In altre parole i cicli di ripresa non hanno riguadagnato ciò che nelle recessioni era andato perduto. È di straordinaria importanza segnalare che la tendenza alla de-crescita è stata costante malgrado tre basilari fattori di contrasto: (a) i forti tassi di crescita prima delle “Tigri asiatiche”, (b) poi della Cina, dell’India, del Brasile e (c) la tanto decantata “revolution technology” degli anni ‘90.

Siamo in presenza di una curva tendenziale, causata anzitutto dall’effetto di trascinamento del declino del capitale dell’Occidente, una curva che esprime un processo storico epocale, quello della decadenza del capitalismo (imperialista) occidentale, che è stato per quattro secoli il motore del capitalismo mondiale.

Volendo spiegare le cause che soggiacciono a questa decadenza e alle sue recessioni intermittenti bisogna distinguere quelle che stanno a monte e quelle che stanno a valle. L’impianto categoriale marxista è fondamentale per capire quelle che stanno a monte, un po’ meno quelle che stanno a valle, poiché attengono appunto al capitalismo-casinò venuto avanti negli ultimi quaranta anni.

Marx ci aiuta a comprendere la crisi come crisi di sovrapproduzione, ovvero le difficoltà del capitale a realizzare un adeguato saggio di profittoSovrapproduzione caduta del saggio di profittodeterminano le recessioni e sono la causa a monte della tendenza al declino (sulla legge della caduta tendenziale abbiamo espresso i nostri giudizi critici nel primo convegno sulla crisi del giugno 2009 ("
La teoria marxista e il collasso dell'economia capitalistica").

Marx, a ragione, segnalava che esse sarebbero state sempre più frequenti e gravi, e se non sono state ancor più devastanti è stato solo grazie al ruolo di supplenza dello Stato (Keynesismo), alla rapina imperialistica ai danni dei paesi della periferia o sottosviluppati (imperialismo), al ruolo collaborativo del lavoro salariato (opportunismo), e all’aumento della produttività del lavoro (accrescimento del plusvalore relativo) e grazie ad accorgimenti quali il Just in time, il toyotismo, ilWorld Class Manifactoring, la robotica, ecc.,

Tuttavia, per tornare al tema e all’oggi, questa difficoltà del capitale produttivo (industriale) occidentale a creare plusvalore crescente (accumulazione e riproduzione allargata), ha causato i due fenomeni di dimensioni colossali che contraddistinguono la cosiddetta “globalizzazione”: (a) la fuga del capitale dalla sfera della produzione materiale, dal consumo produttivo, per dirigersi verso la speculazione finanziaria e l’economia improduttiva e (b) l’esodo dei capitali nei luoghi a più alta creazione di plusvalore (leggi tasso di sfruttamento e bassi costi della forza-lavoro), ovvero dall’Occidente verso Oriente il tutto a conferma della teoria del valore di Marx, che solo il lavoro vivocrea plusvalore).

Marx, per quanto nel Terzo volume si fosse soffermato sulla funzione decisiva del credito, delle borse e delle banche, sul capitale produttivo d’interesse e sulla rendita, era ben lungi dall’immaginare il fenomeno della iper-finanziarizzazione, il sopravvento del capitale speculativo su quello industriale, che si sarebbe insomma capovolto il rango tra i due, che il capitale improduttivo avrebbe soggiogato quello produttivo, succhiandogli come una sanguisuga gran parte del suo plusvalore, che la borghesia sarebbe diventata in larga parte una classe rentier e parassitaria. Marx lo aveva  intuito e segnalato quando affermava che la borghesia avrebbe cessato di svolgere un funzione sviluppista per dedicarsi alla speculazione finanziaria, ma riteneva che prima che questo processo fosse giunto al culmine, il proletariato avrebbe prima preso in mano le redini della storia.
«Questa eccedenza delle esportazioni sulle importazioni spiega perché il cambio è favorevole all'Inghilterra. D'altra parte, poiché l'eccedenza di esportazioni è pagata in oro, una larga parte del capitale britannico resta inutilizzata e va ad accrescere le riserve nelle banche. Le banche, come anche i privati, danno la caccia a qualsiasi mezzo di investimento di questo capitale inutilizzato. Di qui la grande disponibilità di capitale finanziario e il basso tasso di interesse. Il tasso di sconto per il cambio di prima classe va da 1, 3/4 al due per cento. Ora, se si consulta qualsiasi storia del commercio, per esempio la «History of Prices» di Tooke, si nota che la coincidenza di questi sintomi - accumulazione eccezionale di riserve auree nelle casse della Banca d'Inghilterra, eccedenza delle esportazioni sulle importazioni, tasso di cambio favorevole, abbondanza di capitale disponibile e basso tasso d'interesse - inaugura regolarmente nel ciclo commerciale la fase in cui la prosperità si trasforma in parossismo, la fase in cui immancabilmente da una parte si ha una massa eccessiva di capitali destinata all'importazione e dall'altra parte folli speculazioni su ogni sorta di seducenti bolle di sapone. Ma questo stadio parossistico non è altro che il prodromo della catastrofe. Il parossismo rappresenta l'acme della prosperità; non produce la crisi ma ne provoca lo scoppio.So molto bene che gli stregoni ufficiali dell'economia inglese considereranno questa opinione come eccessivamente eterodossa. Ma, quando mai, sin dai tempi di «Prosperity Robinson» *, di quel famoso cancelliere dello scacchiere che nel 1825, alla vigilia dell'esplosione della crisi, inaugurò il parlamento profetizzando un'era di immensa e incrollabile prosperità, quando mai questi ottimisti borghesi hanno previsto o preconizzato una crisi? Non c'è stato periodo di prosperità in cui essi non abbiano approfittato dell'occasione per dimostrare che questa volta la medaglia non aveva rovescio, che questa volta il fato era vinto. E il giorno in cui la crisi scoppiava, si atteggiavano a innocenti e si sfogavano contro il mondo commerciale ed industriale con banalità moralistiche, accusandolo di mancanza di previdenza e di prudenza».[K. Marx. Pauperismo e libero scambio. La crisi commerciale incombente. (1852)]
Così non è stato. Lenin invece, nel suo "Imperialismo. Stadio supremo del capitalismo", si era avvicinato, e di molto, ad intuire come sarebbero andate le cose.

Per tornare a noi. Come già la crisi del 1929 aveva mostrato, esiste una stretta correlazione tra la sfera finanziario-speculativa e quella produttivo-industriale. Questa correlazione si spiega facilmente perché non c’è tra capitale industriale, capitale monetario, capitale produttivo d’interesse, rendita e credito, alcuna muraglia cinese. Abbiamo piuttosto un sistema di vasi comunicanti, visto che qui siamo in presenza di sfere e settori di quello che Marx definiva unico capitale complessivo sociale. Solo dei somari, e ce ne sono in circolazione, possono ancora pensare che i trilioni di dollari che ogni giorno si muovono nelle borse e più ancora Over the counter (fuori dai circuiti ufficiali borsistici e quindi senza alcuna regola), che le enormi masse di denaro che viaggiano in tempo reale sulle reti telematiche pilotate da algoritmi, le spaventose quantità di debito e di moneta circolante; solo dei somari, dicevamo, possono ritenere che siano tutta una roba “sovrastrutturale” e virtuale rispetto alla struttura e alla “economia reale”, che i crack e le "bolle" finanziarie siano addirittura salutari al capitalismo (destructive creation).

Tutte le ultime grandi recessioni sono state invece scatenate da crack relativi alle sfere della finanza, della circolazione monetaria e del debito. Quella degli inizi degli anni ’70, quella degli inizi degli anni ’80, a maggior ragione quella degli inizi degli anni ’90 (collasso dei junks bond e esplosione del debito pubblico giapponese). Quella del 1999-2002 (crollo finanziario delle tigri e poi la bolla delle DotCom). Infine l’ultima, esplosa con lo scoppio della "bolla" dei mutui sub-prime che ha portato al fallimento della più granda banca statunitense come Lehman Brothers.

Il tutto a conferma di quanto da noi affermato al recente 
Seminario di Vienna “Capitalismo o Socialismo”:
«Il processo di finanziarizzazione consiste essenzialmente nel fatto che il capitale, giunto al suo massimo punto di espansione nel periodo keynesiano, con l’ausilio determinante del potere politico imperiale nordamericano da Nixon in poi, per diverse cause (tra cui l’avanzata delle lotte operaie e dei popoli oppressi, la concorrenza forsennata tra monopoli, il declino dei tassi di plusvalore) è stato spinto ad orientarsi verso la speculazione (denaro che riconsegna più denaro) senza passare per un ciclo produttivo di plusvalore che implica investimenti produttivi, accumulazione di capitale e quindi sviluppo delle forze produttive materiali. In termini marxiani, inceppatasi la “riproduzione allargata”, il capitale, che per sua natura cerca anzitutto profitto, ha finito per scegliere le modalità speculativo-finanziarie per ottenerlo. Abbiamo che in Occidente il capitale monetario fa fatica a convertirsi in capitale produttivo, che l’eccedenza ottenuta nel processo di produzione, invece di essere riconvertita in plusvalore, preferisce ottenere plusvalenza monetaria nei mercati finanziari, del debito e delle valute. Siccome capitale produttivo è solo quel capitale che crea sì profitto ma solo in quanto crea plusvalore su scala sempre più ampia, abbiamo che il capitale è diventato appunto anzitutto speculativo e improduttivo. I settori produttivi che resistono sono quelli in cui il ciclo di valorizzazione è sempre più breve (a danno di investimenti che hanno periodi lunghi di remunerazione) e quelli rivolti al mercato dei beni di consumo (che infatti hanno generalmente tempi brevi).
Ciò ha indotto profonde trasformazioni sia per quanto attiene alla composizione delle due classi fondamentali e alle loro relazioni reciproche, che alla composizione della società tutta. Alla crescita abnorme del capitale improduttivo (e dei settori rentier della borghesia) ha corrisposto necessariamente l’aumento del lavoro improduttivo. Ha infine causato la definitiva sussunzione dello Stato e della sfera del politico, nella forma della loro privatizzazione da parte degli organismi e dei consorzi speculativi transnazionali (sotto le mentite e ingannevoli spoglie dell’osservanza delle “regole del mercato”, nel frattempo brutalmente manipolate dai pescecani della speculazione).
Un simile modello sistemico è per sua natura parassitario, instabile e destinato a passare, nel contesto della fine della crescita e dell’opulenza, da un crack all’altro, senza la possibilità (salvo un redde rationem bellico) di potere invertire il corso decadente, producendo nuove e inedite tensioni sociali all’interno stesso delle roccaforti imperialistiche, e dunque il ritorno al centro della scena della necessità di una rottura rivoluzionaria e della fuoriuscita dal capitalismo».

Ciò ha indotto profonde trasformazioni sia per quanto attiene alla composizione delle due classi fondamentali e alle loro relazioni reciproche, che alla composizione della società tutta. Alla crescita abnorme del capitale improduttivo (e dei settori rentier della borghesia) ha corrisposto necessariamente l’aumento del lavoro improduttivo. Ha infine causato la definitiva sussunzione dello Stato e della sfera del politico, nella forma della loro privatizzazione da parte degli organismi e dei consorzi speculativi transnazionali (sotto le mentite e ingannevoli spoglie dell’osservanza delle “regole del mercato”, nel frattempo brutalmente manipolate dai pescecani della speculazione).
Un simile modello sistemico è per sua natura parassitario, instabile e destinato a passare, nel contesto della fine della crescita e dell’opulenza, da un crack all’altro, senza la possibilità (salvo un redde rationem bellico) di potere invertire il corso decadente, producendo nuove e inedite tensioni sociali all’interno stesso delle roccaforti imperialistiche, e dunque il ritorno al centro della scena della necessità di una rottura rivoluzionaria e della fuoriuscita dal capitalismo».

◆ El que busca, encuentra...

Todo lo sólido se desvanece en el aire; todo lo sagrado es profano, y los hombres, al fin, se ven forzados a considerar serenamente sus condiciones de existencia y sus relaciones recíprocasKarl Marx

Not@s sobre Marx, marxismo, socialismo y la Revolución 2.0

— Notas notables
Cecilia Feijoo: Apuntes sobre el Concepto de Revolución Burguesa en Karl Marx — Red Diario Digital
Moishe Postone: Il compito della teoria critica oggi: Ripensare la critica del capitalismo e dei suoi futuri — Blackblog Franco Senia
Pierre-Yves Quiviger: Marx ou l'élimination des inégalités par la révolution — Le Point
Hernán Ouviña: Indigenizar el marxismo — La Tinta
Emmanuel Laurentin: Les historiens américains et Karl Marx — France Culture
Adèle Van Reeth: Le Capital de Karl Marx: La fabrique de la plus-value — France Culture
Manuel Martínez Llaneza: Reproches a Marx acerca de El Capital (Bajo la égida de Friedrich Engels) — Rebelión
Victoria Herrera: Marx y la historia — Buzos
Alejandro F. Gutiérrez Carmona: La vigencia del pensamiento marxista — Alianza Tex
Víctor Arrogante: El Capital y las aspiraciones de la clase trabajadora — Nueva Tribuna
Mauricio Mejía: Karl Marx, el poeta de la mercancía — El Financiero
Emmanuel Laurentin: Karl Marx à Paris: 1843-1845 — France Culture
Jacinto Valdés-Dapena Vivanco: La teoría marxista del Che Guevara — Bohemia
Aldo Casas: El marxismo como herramienta para la lucha — La necesidad de la formación en la militancia — La Tinta
Evald Vasiliévich Iliénkov: La dialéctica de lo abstracto y lo concreto en El Capital de Marx — Templando el Acero
Vincent Présumey: Suivi des écrits de Karl Marx / 1837-1848 - Part I, Part II, Part III & Part IV — Mediapart
Roman Rosdolky: Marx ésotérique et Marx exotérique — Palim Psao
Lepotier: Marx, Marxisme, Cui bono? — Bella Ciao
Andrea Vitale: La critica di Pareto a Marx: una abborracciatura — Operai e Teoria
Annelie Buntenbach: Marx provides us with a glimpse behind the scenes of capitalism — Marx 200
Antoni Puig Solé: La Ley del Valor y la ecología en Marx — Lo que somos
Vladimiro Giacché: Note sui significati di "Libertà" nei Lineamenti di Filosofia del Diritto di Hegel — Il Comunista
Salvador López Arnal: Manuel Sacristán (1925-1985) como renovador de las tradiciones emancipatorias — Rebelión
Paúl Ravelo Cabrera: Marx, Derrida, el Gesto Político y la supercapitalización mundial — Scribb
Dino Greco: In difesa del marxismo — Sollevazione
Alberto Quiñónez: Arte, praxis y materialismo histórico — Rebelión
Josefina L. Martínez: Feminismo & Socialismo marxista - Eleanor Marx, la cuestión de la mujer y el socialismo — Rebelión
John Bellamy Foster: Marx y la fractura en el metabolismo universal de la naturaleza — Scribb
José Manuel Bermudo Ávila: Concepto de Praxis en el joven Marx — Scribb
Carlos Oliva Mendoza: Adolfo Sánchez Vázquez: ¿marxismo radical o crítica romántica? — InfoLibre
Bernardo Coronel: ¿El marxismo es una ciencia? — La Haine
Sylvain Rakotoarison: Le capitalisme selon Karl Marx — Agora Vox

— Notas y comentarios sobre El Capital
António Ferraz: Os 150 anos do livro ‘O Capital’, de Karl Marx — Correio do Minho
Horacio Tarcus: Traductores y editores de la “Biblia del Proletariado” - Parte I & Parte II — Memoria
Emmanuel Laurentin: Le Capital, toujours utile pour penser la question économique et sociale? — France Culture
J.M. González Lara: 150 años de El Capital — Vanguardia
Roberto Giardina: Il Capitale di Marx ha 150 anni — Italia Oggi
Alejandro Cifuentes: El Capital de Marx en el siglo XXI — Voz
Marcela Gutiérrez Bobadilla: El Capital, de Karl Marx, celebra 150 años de su edición en Londres — Notimex
Mario Robles Roberto Escorcia Romo: Algunas reflexiones sobre la vigencia e importancia del Tomo I de El Capital — Memoria
Antoni Puig Solé: El Capital de Marx celebra su 150° aniversario — Lo que Somos
Jorge Vilches: El Capital: el libro de nunca acabar — La Razón
Carla de Mello: A 150 años de El Capital, la monumental obra de Karl Marx — Juventud Socialista del Uruguay
Rodolfo Bueno: El Capital cumple 150 años — Rebelión
Diego Guerrero: El Capital de Marx y el capitalismo actual: 150 años más cerca — Público
José Sarrión Andaluz & Salvador López Arnal: Primera edición de El Capital de Karl Marx, la obra de una vida — Rebelión
Sebastián Zarricueta: El Capital de Karl Marx: 150 años — 80°
Marcello Musto: La durezza del 'Capitale' — Il Manifesto
Esteban Mercatante: El valor de El Capital de Karl Marx en el siglo XXI — Izquierda Diario
Michael Roberts: La desigualdad a 150 años de El Capital de Karl Marx — Izquierda Diario
Ricardo Bada: El Capital en sus 150 años — Nexos
Christoph Driessen: ¿Tenía Marx razón? Se cumplen 150 años de edición de El Capital — El Mundo
Juan Losa: La profecía de Marx cumple 150 años — Público
John Saldarriaga: El Capital, 150 años en el estante — El Colombiano
Katia Schaer: Il y a 150 ans, Karl Marx publiait ‘Le Capital’, écrit majeur du 20e siècle — RTS Culture
Manuel Bello Hernández: El Capital de Karl Marx, cumple 150 años de su primera edición — NotiMex
Ismaël Dupont: Marx et Engels: les vies extravagantes et chagrines des deux théoriciens du communisme! — Le Chiffon Rouge
Jérôme Skalski: Lire Le Capital, un appel au possible du XXIe siècle - L’Humanité
Sebastiano Isaia: Il Capitale secondo Vilfredo Pareto — Nostromo

— Notas y reportajes de actualidad
Román Casado: Marx, Engels, Beatles, ese es el ritmo de Vltava — Radio Praga
María Gómez De Montis: El Manifiesto Comunista nació en la Grand Place — Erasmus en Flandes
Enrique Semo: 1991: ¿Por qué se derrumbó la URSS? — Memoria
Michel Husson: Marx, un économiste du XIXe siècle? A propos de la biographie de Jonathan Sperber — A L’Encontre
César Rendueles: Todos los Marx que hay en Marx — El País
Alice Pairo: Karl Marx, Dubaï et House of cards: la Session de rattrapage — France Culture
Sebastián Raza: Marxismo cultural: una teoría conspirativa de la derecha — La República
Samuel Jaramillo: De nuevo Marx, pero un Marx Nuevo — Universidad Externado de Colombia
Sergio Abraham Méndez Moissen: Karl Marx: El capítulo XXIV de El Capital y el “descubrimiento” de América — La Izquierda Diario
Joseph Daher: El marxismo, la primavera árabe y el fundamentalismo islámico — Viento Sur
Francisco Jaime: Marxismo: ¿salvación a través de la revolución? — El Siglo de Torreón
Michel Husson: Marx, Piketty et Aghion sur la productivité — A l’encontre
Guido Fernández Parmo: El día que Marx vio The Matrix — Unión de Trabajadores de Prensa de Buenos Aires
Cest: Karl Marx y sus "Cuadernos de París" toman vida con ilustraciones de Maguma — El Periódico
Leopoldo Moscoso: 'Das Kapital': reloading... — Público
Laura "Xiwe" Santillan: La lucha mapuche, la autodeterminación y el marxismo — La Izquierda Diario
José de María Romero Barea: Hölderlin ha leído a Marx y no lo olvida — Revista de Letras
Ismaël Dupont: Marx et Engels: les vies extravagantes et chagrines des deux théoriciens du communisme! — Le Chiffon Rouge Morlai
Francisco Cabrillo: Cómo Marx cambió el curso de la historia — Expansión
El “Dragón Rojo”, en Manchester: Cierran el histórico pub donde Marx y Engels charlaban "entre copa y copa" — BigNews Tonight
Marc Sala: El capitalismo se come al bar donde Marx y Engels debatían sobre comunismo — El Español

— Notas sobre debates, entrevistas y eventos
Fabrizio Mejía Madrid: Conmemoran aniversario de la muerte de Lenin en Rusia — Proceso
Segundo Congreso Mundial sobre Marxismo tendrá lugar en Beijing — Xinhua
Debate entre Andrew Kliman & Fred Moseley — Tiempos Críticos
David McNally & Sue Ferguson: “Social Reproduction Beyond Intersectionality: An Interview” — Marxismo Crítico
Gustavo Hernández Sánchez: “Edward Palmer Thompson es un autor que sí supo dar un giro copernicano a los estudios marxistas” — Rebelión
Alberto Maldonado: Michael Heinrich en Bogotá: El Capital de Marx es el misil más terrible lanzado contra la burguesía — Palabras al Margen
Leonardo Cazes: En memoria de Itsván Mészáros — Rebelión (Publicada en O Globo)
Entrevista con István Mészáros realizada por la revista persa Naghd’ (Kritik), el 02-06-1998: “Para ir Más allá del Capital” — Marxismo Crítico
Rosa Nassif: “El Che no fue solo un hombre de acción sino un gran teórico marxista” Agencia de Informaciones Mercosur AIM
Entrevista a Juan Geymonat: Por un marxismo sin citas a Marx — Hemisferio Izquierdo
Juliana Gonçalves: "El Capital no es una biblia ni un libro de recetas", dice José Paulo Netto [Português ] — Brasil de Fato
Entrevista a Michael Heinrich: El Capital: una obra colosal “para desenmascarar un sistema completo de falsas percepciones” — Viento Sur
Alejandro Katz & Mariano Schuster: Marx ha vuelto: 150 años de El Capital. Entrevista a Horacio Tarcus — La Vanguardia
Salvador López Arnal: Entrevista a Gustavo Hernández Sánchez sobre "La tradición marxista y la encrucijada postmoderna" — Rebelión
Jorge L. Acanda: "Hace falta una lectura de Marx que hunda raíces en las fuentes originarias del pensamiento de Marx" — La Linea de Fuego

— Notas sobre Lenin y la Revolución de Octubre
Guillermo Almeyra: Qué fue la Revolución Rusa — La Jornada
Jorge Figueroa: Dos revoluciones que cambiaron el mundo y el arte — La Gaceta
Gilberto López y Rivas: La revolución socialista de 1917 y la cuestión nacional y colonial — La Jornada
Aldo Agosti: Repensar la Revolución Rusa — Memoria
Toni Negri: Lenin: Dalla teoria alla pratica — Euronomade
Entretien avec Tariq Ali: L’héritage de Vladimir Lénine — Contretemps
Andrea Catone: La Rivoluzione d’Ottobre e il Movimento Socialista Mondiale in una prospettiva storica — Marx XXI
Michael Löwy: De la Revolución de Octubre al Ecocomunismo del Siglo XXI — Herramienta
Serge Halimi: Il secolo di Lenin — Rifondazione Comunista
Víctor Arrogante: La Gran Revolución de octubre — El Plural
Luis Bilbao: El mundo a un siglo de la Revolución de Octubre — Rebelión
Samir Amin: La Revolución de Octubre cien años después — El Viejo Topo
Luis Fernando Valdés-López: Revolución rusa, 100 años después — Portaluz
Ester Kandel: El centenario de la Revolución de octubre — Kaos en la Red
Daniel Gaido: Come fare la rivoluzione senza prendere il potere...a luglio — PalermoGrad
Eugenio del Río: Repensando la experiencia soviética — Ctxt
Pablo Stancanelli: Presentación el Atlas de la Revolución rusa - Pan, paz, tierra... libertad — Le Monde Diplomatique
Gabriel Quirici: La Revolución Rusa desafió a la izquierda, al marxismo y al capitalismo [Audio] — Del Sol

— Notas sobre la película “El joven Karl Marx”, del cineasta haitiano Raoul Peck
Eduardo Mackenzie:"Le jeune Karl Marx ", le film le plus récent du réalisateur Raoul Peck vient de sortir en France — Dreuz
Minou Petrovski: Pourquoi Raoul Peck, cinéaste haïtien, s’intéresse-t-il à la jeunesse de Karl Marx en 2017? — HuffPost
Antônio Lima Jûnior: [Resenha] O jovem Karl Marx – Raoul Peck (2017) — Fundaçâo Dinarco Reis
La película "El joven Karl Marx" llegará a los cines en el 2017 — Amistad Hispano-Soviética
Boris Lefebvre: "Le jeune Karl Marx": de la rencontre avec Engels au Manifeste — Révolution Pernamente

— Notas sobre el maestro István Mészáros, recientemente fallecido
Matteo Bifone: Oltre Il Capitale. Verso una teoria della transizione, a cura di R. Mapelli — Materialismo Storico
Gabriel Vargas Lozano, Hillel Ticktin: István Mészáros: pensar la alienación y la crisis del capitalismo — SinPermiso
Carmen Bohórquez: István Mészáros, ahora y siempre — Red 58
István Mészáros: Reflexiones sobre la Nueva Internacional — Rebelión
Ricardo Antunes: Sobre "Más allá del capital", de István Mészáros — Herramienta
Francisco Farina: Hasta la Victoria: István Mészáros — Marcha
István Mészáros in memoriam : Capitalism and Ecological Destruction — Climate & Capitalism.us