Maurice Merleau-Ponty ✆ A.d. |
Quella sera Albert Camus, incredulo lettore del fresco saggio merleaupontiano, rovesciò tutto il suo sgomento sull’amico Maurice: ai suoi occhi, da quelle macchie d’inchiostro emerge, pericolosa, la giustificazione dei processi di Mosca degli anni Trenta2, e dunque della violenza del regime comunista russo in nome della rivoluzione. Di qui la rottura fra i due.
Il problema che li divide è pertanto incentrato sull’uso della violenza in politica: è questa necessaria? E se fosse l’unico modo per raggiungere l’agognato stadio finale della Storia – il comunismo vero e proprio –, ottenuto il quale, la violenza stessa potrà assurgere a vago ricordo, a preistoria? Ma per chi non crede al comunismo? Per chi, come Camus, ritiene completamente
Diversa traiettoria, anche se infine convergente a quella camusiana, sarà invece quella di Merleau-Ponty.
Merleau-Ponty, in consonanza con la tortuosità del suo pensiero filosofico, non allacciò mai facili rapporti col marxismo. Fu questa una liaison che potrebbe, grosso modo, constare di due fasi, prima e seconda parte dell’“avventura dialettica” dell’accademico francese. Fino al 1950 circa incontriamo un Merleau-Ponty pensieroso, sospeso, non soddisfatto della critica anti-comunista, quasi fiducioso della parentela tra pensiero e azione. Questa prima fase, di cui sono testimoni Humanisme et terreur e i saggi politici contenuti in Sens et non-sens5, segna una sua “collaborazione” col Partito Comunista francese (sostenuta assieme agli amici de Les Temps Modernes), volta ad interpretare il marxismo alla luce della “nuova” filosofia esistenzialista. Egli stesso, richiamando gli scritti d’impostazione umanistica del giovane Marx 6, assunse il compito di un’originale reinterpretazione del marxismo ormai snaturato da un’impostazione oggettivistica e scientista. Si può considerare questo primo atteggiamento come un “marxismo d’attesa”, nel senso d’un rinnovo della fiducia nel comunismo in attesa dei fatti:
Il marxismo ha due buoni motivi per beneficiare di una proroga. Il primo, del tutto soggettivo, è che esso è l’unico umanismo che osi sviluppare le proprie conseguenze. Ma, per ciò stesso, emerge subito il secondo motivo, questa volta oggettivo. Poiché in nessun luogo del mondo si realizza il potere del proletariato, si conclude che il marxismo è superato dai fatti, che il problema non si pone più, o che “oggi nessuno è più marxista.7
Se essere comunisti è impossibile, lo è anche essere anticomunisti. Questa, in estrema sintesi, la posizione del filosofo dei tempi di Humanisme et terreur. Di qui il suo atteggiamento da temporeggiatore, denominato in seguito – come ricordato poco sopra – “marxismo d’attesa”.
Ma è da ricordare anzitutto la sua originale interpretazione della dottrina marxista, giacché egli non vede in essa, diversamente dall’“esegesi classica”, una logica assoluta della Storia, bensì soltanto un “semi-determinismo”: «Per il marxismo […] la determinazione storica degli effetti in base alle cause passa dalla coscienza umana, e ne risulta che gli uomini fanno la loro storia, sebbene non la facciano nell’indifferenza e senza motivi.»10 E riprendendo questo “semi-determinismo” della Storia, ascrivibile alla libertà umana, nel saggio Autour du marxisme del 1945 di Sens et non-sens, il filosofo francese sembra rivolgersi direttamente a Camus – e ai “pacifisti di turno” – criticandone la posizione:
Se l’alternativa è quella fra socialismo e caos, l’imprudenza sta dalla parte di coloro che contribuiscono ad aggravare il caos con il pretesto che la rivoluzione è un rischio. Ricondotto all’essenziale, il marxismo non è una filosofia ottimista, è solo l’idea che un’altra storia è possibile, che non c’è destino, che l’esistenza dell’uomo è aperta. È il risoluto tentativo di quel futuro di cui nessuno al mondo né fuori dal mondo sa se sarà né che cosa sarà.11
Humanisme et terreur e dei saggi di Sens et non-sens troviamo i sintomi del graduale cambiamento della posizione “d’attesa” del pensatore verso una negazione della concreta attuabilità del comunismo. I dubbi inerenti ai fatti storici concreti, riguardanti la situazione russa, e quindi il dubbio che la rivoluzione comunista abbia creato una nuova classe dirigente che non riesca a compiere il passo che porterebbe la società sovietica al comunismo finale, quello ambito, si fanno sentire già in questa prima fase.
Ciononostante – mantenendoci ancora nella fase iniziale di questa ambigua liaison – nella sua reinterpretazione del marxismo, Merleau-Ponty individua in Marx i caratteri propri d’una filosofia esistenziale: se il Filosofo abbandonasse l’illusione di contemplare la totalità della Storia compiuta e si ponesse sullo stesso piano degli altri uomini, cosciente di esser partecipe di essa stessa, dinanzi ad un avvenire da compiere, allora la filosofia si realizzerebbe sopprimendosi come filosofia separata; «Questo pensiero concreto, che Marx chiama critica per distinguerla dalla filosofia speculativa, è quanto altri propongono con il nome di filosofia esistenziale.»15 Il tema della filosofia esistenziale è l’esistenza intesa come «Un’attività data a se medesima in una situazione naturale e storica»16. Il soggetto, ricondotto alla sua realtà umana, «Pensa secondo la sua situazione, forma le sue categorie a contatto della sua esperienza, e modifica tale situazione e tale esperienza con il senso che trova loro.»17 La particolarità propria di questo soggetto è il non esser più solo, non più una coscienza in generale o un essere per sé, ma a contatto con altre coscienze situate come esso nella realtà. Dunque da qui si arriverà direttamente al concetto di intersoggettività, lungi dal considerar l’uomo come un mero prodotto dell’ambiente o come legislatore assoluto, ma inteso «Come un prodotto-produttore, come il luogo in cui la necessità può virare in libertà concreta.»18
Il legame tra esistenzialismo e marxismo inaugurato da Merleau-Ponty caratterizzerà profondamente la cultura filosofica successiva. Da ricordare in special modo l’influenza dell’accademico parigino su Jean-Paul Sartre20 per il quale esistenzialismo e marxismo mirano entrambi alla comprensione della realtà umana sostenendosi l’un l’altro. Egli loda il marxismo affermando che «Ciò che ha fatto la [sua] forza e la [sua] ricchezza […] è l’essere stato il tentativo più radicale d’illuminare il processo storico nella sua totalità», ed è per questo che «[Il marxismo] rimane […] la filosofia del nostro tempo: è insuperabile perché le circostanze che l’hanno generato non sono ancora superate. I nostri pensieri, quali che siano, non possono formarsi che su questo humus; devono contenersi nella struttura che esso fornisce loro o perdersi nel vuoto o retrocedere.»21
In ogni caso Sartre, pur lodando la capacità del marxismo d‘illuminare il processo storico, criticherà il «conservatorismo burocratico» sovietico; ragion per cui anche nel pensiero sartriano può ravvisarsi un certo scarto tra teoria marxista e pratica comunista.
Inoltre, reagendo alle critiche rivolte al marxismo che vedono quest’ultimo come una riduzione dei fenomeni culturali a fenomeni economici, Merleau-Ponty sosterrà invece la grandezza di questa dottrina nell’aver trattato i fenomeni culturali ed economici come due aspetti astratti di un unico processo22. «La vita economica è il sostegno storico delle strutture mentali», e quindi la morale non acquisirà esistenza storica fino a quando non si incarnerà nelle relazioni economiche proprie di una società. «Nessun progresso nell’ordine della cultura, nessun passo storico è possibile senza un certo assetto dell’economia che ne è come lo schema e il simbolo materiale.»23
Una dottrina politica che ponga preliminarmente tutte queste condizioni sarà inevitabilmente, per Merleau-Ponty, una dottrina da non scartare a priori, da considerare e, soprattutto, da verificare, ma senz’altro la più adatta, tra quelle fin’ora teorizzate, a produrre un senso che possa migliorare la situazione storico-sociale.
La divergenza tra Merleau-Ponty e Camus trova le sue fondamenta nella differente concezione del realismo politico dei due, e – come già si è inteso – da un diverso modo d’intendere la Storia.
Humanisme et terreur si prefigge il compito di considerare il problema della rivoluzione comunista purificato da pregiudizi, ed in particolar modo da quel pregiudizio liberale che depreca a priori l’uso della violenza in politica. Merleau-Ponty vuol valutare le reali potenzialità del marxismo mettendole a confronto coi risultati storici, e, soltanto alla fine di un’analisi ben calibrata, assumere una posizione stabile a livello politico.
Sebbene nemmeno Humanisme et terreur riesca a nascondere i dubbi del filosofo24 – gli stessi che, divenuti amare certezze, contribuiranno successivamente al netto distanziamento tra Merleau-Ponty e comunismo (ideale e storico)25 –, quest’opera rappresenta, nonostante tutto, una difesa del marxismo: essa infatti ritiene ancor valido ed attuabile il messaggio umanistico del giovane Marx, almeno finché la Storia non avrà dimostrato il contrario. Dunque si tratta qui di una valutazione sull’interpretazione sovietica, incarnata nella Storia, delle dottrine di Marx, considerando valide, per ora, le istanze dello stesso Marx – anche se, come si è ricordato poco sopra, propria di Merleau-Ponty è quella interpretazione storicista del marxismo come “semi-determinismo”, il quale potrebbe anche non portare ad alcuna sintesi finale.
In ogni modo Humanisme et terreur testimonia l’impegno di Merleau-Ponty a non screditare ciò che di buono, a parer suo, ancora può scaturire dall’insegnamento marxista.
È necessario pertanto assumere come criterio l’orientamento della Storia a partire da uno sguardo universalistico lasciando da parte quello liberaldemocratico: «Ogni discussione che si collochi nella prospettiva liberale manca il problema, perché questo problema si pone a proposito di un paese che ha fatto una rivoluzione e che pretende di proseguirla, mentre il liberalismo esclude l’ipotesi rivoluzionaria.»26 Per Merleau-Ponty il vero senso dei processi di Mosca – il punto chiave della divergenza con Camus – riguarda i diversi usi della violenza in politica; e questo sarà comprensibile soltanto al rivoluzionario. Il marxismo, dunque, utilizzerebbe la violenza esclusivamente per giungere a quello stadio finale della Storia in cui sarà dispiegato il comunismo definitivo, nel quale ad esser abolita, oltre alla classe dirigente, sarà la violenza stessa. L’uomo diverrà per l’uomo l’essere supremo e tutto ciò che è stato fatto per il conseguimento di tal fine acquisterà un senso reale e intelligibile. La violenza attuata dal comunismo non è, e non può essere, fine a se stessa. Scopo della rivoluzione non è quello di destituire la classe dirigente capitalista sostituendole quella proletaria, ma eliminare l’istituzione stessa di classe dirigente. Ed è evidente che questo anelito non potrebbe essere concretamente raggiunto attraverso un movimento diplomatico. La violenza sarà uno di quegli ineluttabili mezzi che il comunismo dovrà attuare, in situazioni limite, per compiere la Storia.
Dunque per Merleau-Ponty la violenza del movimento comunista sovietico non può ch’esser giudicata che alla luce di questi presupposti. È inevitabile che dal di fuori, dal punto di vista liberale, l’utilizzo di questa sia deprecato a priori, ma ciò che, secondo il Merleau-Ponty identificandosi nel rivoluzionario, è ancor più inevitabile è l’emergere della violenza in politica e nella concretezza della vita: «Quando si ha la sventura o la fortuna di vivere un’epoca, uno di quei momenti in cui le fondamenta tradizionali di una nazione o di una società si disgregano, e in cui, volente o nolente, l’uomo deve ricostruire da se stesso i rapporti umani, allora la libertà di ognuno minaccia di morte quella degli altri, e la violenza riappare.»27 Per cui gli individui compromessi nella rivoluzione saranno gli unici consapevoli della possibilità dell’emergere nella Storia di quelle situazioni limite che potranno svelare quel che è collocato dietro la legalità codificata nelle carte costituzionali. La rivoluzione è una di queste situazioni limite, è uno stato d’eccezione. Ovviamente lo stesso regime capitalista non esita ad utilizzare la violenza per conseguire i propri fini e mantenere l’ordine e la stabilità del proprio sistema. Motivo per cui la violenza “provvisoria” e “occasionale” comunista può qui apparire sotto un’altra luce.
Dunque, essendo il bolscevismo l’intento marxista di fondare una società senza classi, nella quale l’uomo sarà per l’uomo l’essere supremo, in cui l’unico principio a prevalere sarà appunto l’egualitarismo e di conseguenza anche la violenza troverà la sua fine, sembrerebbe giustificato ad utilizzare la violenza per imporre la sua linea; e così anche i processi di Mosca troverebbero le loro valide attenuanti.
Ma qui è fondamentale ricordare quel “semi-determinismo” che caratterizza la reinterpretazione merleaupontiana del marxismo. La tesi di Merleau-Ponty è ben più articolata e non sembra voler semplicemente santificare il successo in politica: «non abbiamo mai detto che ogni politica che riesce è buona. Abbiamo detto che, per essere buona, una politica deve riuscire.»28 Egli cerca di mantenersi distante sia da un certo cinismo – identificazione di verità e azione per cui il successo politico può esser ottenuto in qualunque modo – che dall’utopismo – ideale per definizione irraggiungibile nella concretezza storica. È in quest’ultimo che Albert collocò Maurice: se si crede nel marxismo, anche solo un po’, si cade nel mondo delle profezie.
Di certo la posizione di Merleau-Ponty appare piuttosto ambigua e necessiterà di un ripensamento. Infatti questa ambiguità sarà presto abbandonata per una posizione più stabile ma nettamente diffidente nei confronti dell’attualità del marxismo.
Altre considerazioni di Merleau-Ponty in merito all’umanismo marxista emergeranno dalle pagine della Note sur Machiavel (contenuta in Signes) del 1949. Qui vi è un vero e proprio parallelismo tra due teorici politici: Niccolò Machiavelli e Karl Marx. Quest’ultimo nel finire della Nota sarà paragonato al primo ed eletto a suo degno successore:
L’unico umanesimo serio è quello che attende, attraverso il mondo, l’effettivo riconoscimento dell’uomo da parte dell’uomo: esso non potrebbe quindi precedere il momento in cui l’umanità si crea i mezzi di comunicazione e di comunione. Oggi questi mezzi esistono, e il problema di un umanesimo reale posto da Machiavelli, è stato ripreso cent’anni fa da Marx.29
Merleau-Ponty elegge la virtù apologizzata da Machiavelli come punto focale dell’umanismo contemporaneo. Una virtù che vada oltre i principi astratti e oltre ogni morale. Il problema dei principi è che possono essere piegati a ogni fine, e Machiavelli può essere considerato prototipo di un umanismo radicale proprio se lo si guarda come colui che negò il valore ideale dei principi per incarnarli nella Storia. Ed è questa la visione di Merleau-Ponty. «Machiavelli aveva ragione: è necessario avere dei valori, ma questo non basta, e fermarsi qui è perfino pericoloso: finché non si sia deciso chi avrà la missione di difenderli nella lotta storica, non si è fatto nulla.»30Da queste ultime riflessioni si può delineare ancor meglio la posizione del realismo politico di Merleau-Ponty, lontana dal moralismo, che non ha valore in quanto suscettibile di qualsiasi corruzione, e lontano dal cinismo, che darebbe valore solo al successo politico. Ed il successo non coincide con la virtù. Quest’ultima – tornando all’esempio di Machiavelli – consiste nel «Concepire una impresa storica alla quale tutti possano aderire […] Questa virtù non è esposta ai capovolgimenti propri del politico moraleggiante, perché ci insedia di colpo nella relazione con l’altro che egli ignora.»31
L’evoluzione storica, ritenuta da Merleau-Ponty unica vera giudice della possibilità d’attuazione concreta e proficua del marxismo, continuò a non vedere frutti. Il bolscevismo non proseguì nel programma razionale della dottrina marxista, non arrivò ad alcuno stadio finale, e soprattutto intensificò i suoi atti di violenza. E nel corso degli anni, di conseguenza, anche la posizione di Merleau-Ponty subì una virata considerevole distaccandosi gradualmente da esso. Sempre più difficile divenne esprimere un giudizio positivo sulla realtà sovietica – fiera ereditiera delle dottrine marxiste – alla luce del fallimento del leninismo nell’istituire un potere rivoluzionario: «Non c’è socialismo quando un cittadino su venti è in campo di deportazione. Qui non serve a nulla rispondere che ogni rivoluzione ha i suoi traditori, o che la lotta di classe non è finita con l’insurrezione […] Queste risposte non sono valide se si tratta di un ventesimo della popolazione […] e se ciò accade a più di trent’anni dalla Rivoluzione.»32
Lungi dall’accettare il dogmatismo marxista anche prima degli ultimi avvenimenti storici, Merleau-Ponty – ne Les aventures de la dialectique del 1955 – attraverso una vigorosa rivalutazione della negatività storica, ridimensionerà il suo pensiero attorno al marxismo, abbandonando definitivamente la sua posizione d’attesa. Alla base di queste nuove considerazioni ha dunque un ruolo d’estrema importanza lo scioglimento del concetto di negatività applicato al reale, già presente, in qualche modo, nella precedente filosofia di Merleau-Ponty, sebbene non ancora pienamente espresso. Il suo pensiero politico si evolverà di pari passo con il ripensamento, grazie ad una più approfondita indagine su quel che comporta la negatività, del concetto di Natura. Parlare di negatività significa parlare di una Natura dinamica, in continua evoluzione, caratterizzata dalla dialettica interno-esterno, ossia dall’interazione fondamentale tra gli esseri viventi e l’ambiente. La Natura – e gli esseri viventi in generale, la vita – manterrebbe quindi quello stato di parzialità, di indeterminatezza, di sintesi tra necessità e casualità. È qualcosa che si sviluppa, che è destinato a svilupparsi ma che può anche non farlo. E il modo in cui si caratterizzerà il suo specifico sviluppo dipenderà dalle sue capacità di rapportarsi con ciò che le sta attorno e con l’aspetto storico caratteristico di quel momento.
La rivoluzione si autodefinisce come potere determinato, ma non considerando il problema della negatività storica, e quindi dell’altro, della negatività che l’altro implica, non può pretendere di rappresentare la verità politica giacché in questi termini un potere che sia rivoluzionario ma determinato sfocerebbe solo in contraddizioni. Una rivoluzione che si professa generatrice di una nuova umanità senza classi in cui l’uomo sarà per l’uomo l’essere supremo non può non tener conto dell’intersoggettività e dell’altro. Per Merleau-Ponty non c’è verità che non sia nella relazione, non c’è senso che non emerga da una soggettività che si relaziona con l’altro e col suo ambiente. E soprattutto non può esistere un movimento razionale della Storia, costretta nel concreto a confrontarsi costantemente con il caso.