- All’inizio delle pubblicazioni del “Rasoio di Occam” si è svolto un dibattito fra Stefano Petrucciani ed Ernesto Screpanti intorno al fondamento normativo del pensiero marxiano. In questo articolo, Guido Grassadonio ne riprende alcuni spunti per svolgerli in una diversa direzione.
Guido Grassadonio | Per
iniziare, provo a riassumere i termini del discorso già fatto da Petrucciani e
Screpanti,
[Publicados en Ñángara Marx, así: Marx
e la giustizia | Risposta a Ernesto Screpanti y Aporie
della giustizia | Marx a lezione da John Rawls] per poi introdurre i
miei argomenti. Sia comunque chiaro che l’atto di riassumere è
sempre interpretazione e riqualificazione dei concetti usati in funzione
diversa. Non si rimanga allora stupiti se in qualche punto il mio linguaggio
divergerà da quello di Screpanti e Petrucciani.
Il problema posto nel botta e risposta è semplice da
spiegare: posta un’innegabile tendenza morale nelle opere di Marx, qual è il
fondamento filosofico su cui potere articolare tale tendenza, senza tradire la
loro coerenza. Marx voleva essere un pensatore “scientifico”, le cui
proposizioni erano meramente descrittive, eppure ha anche fondato un dover
essere preciso e fatto ricorso a giudizi morali sul presente abbastanza
netti. Come, infatti, può una teoria sullosfruttamento essere solo
descrittiva? Chiaramente è anche un giudizio di valore. Ma questo valore come
lo fondiamo, mantenendo un rapporto forte col momento descrittivo?
Occorre, allora, indagare il pensiero marxiano come un
pensiero anche morale, forzando i limiti voluti dallo stesso Marx. Ora, il
tentativo di trovare un fondamento etico possibile in una teoria della
giustizia appare quantomeno arduo. Soprattutto perché, a mio parere, tradisce totalmente
l’impianto teorico del Moro, che come nota bene Screpanti – ma anche
Petrucciani ne è cosciente – è più orientato verso una teoria della libertà di
stampo hegeliano. Screpanti ritiene