20/9/13

Marx a lezione da Lucien Goldmann (e viceversa) | Per continuare il dibattito Stefano Petrucciani – Ernesto Screpanti sul fondamento morale del pensiero marxiano

  • All’inizio delle pubblicazioni del “Rasoio di Occam” si è svolto un dibattito fra Stefano Petrucciani ed Ernesto Screpanti intorno al fondamento normativo del pensiero marxiano. In questo articolo, Guido Grassadonio ne riprende alcuni spunti per svolgerli in una diversa direzione.
Guido Grassadonio  |  Per iniziare, provo a riassumere i termini del discorso già fatto da Petrucciani e Screpanti, [Publicados en Ñángara Marx, así: Marx e la giustizia | Risposta a Ernesto Screpanti  y Aporie della giustizia | Marx a lezione da John Rawls] per poi introdurre i miei argomenti. Sia comunque chiaro che  l’atto di riassumere è sempre  interpretazione e riqualificazione dei concetti usati in funzione diversa. Non si rimanga allora stupiti se in qualche punto il mio linguaggio divergerà da quello di Screpanti e Petrucciani.

Il problema posto nel botta e risposta è semplice da spiegare: posta un’innegabile tendenza morale nelle opere di Marx, qual è il fondamento filosofico su cui potere articolare tale tendenza, senza tradire la loro coerenza. Marx voleva essere un pensatore “scientifico”, le cui proposizioni erano meramente descrittive, eppure ha anche fondato un dover essere preciso e fatto ricorso a giudizi morali sul presente abbastanza netti. Come, infatti, può una teoria sullosfruttamento essere solo descrittiva? Chiaramente è anche un giudizio di valore. Ma questo valore come lo fondiamo, mantenendo un rapporto forte col momento descrittivo?

Occorre, allora, indagare il pensiero marxiano come un pensiero anche morale, forzando i limiti voluti dallo stesso Marx. Ora, il tentativo di trovare un fondamento etico possibile in una teoria della giustizia appare quantomeno arduo. Soprattutto perché, a mio parere, tradisce totalmente l’impianto teorico del Moro, che come nota bene Screpanti – ma anche Petrucciani ne è cosciente – è più orientato verso una teoria della libertà di stampo hegeliano. Screpanti ritiene

Marx e la giustizia | Risposta a Ernesto Screpanti

Stefano Petrucciani  |  Prima di lui la critica sociale si reggeva principalmente su un impianto moralistico. Ecco perché Marx ha segnato un progresso enorme nel pensiero cui fanno riferimento le classi subalterne. Ma questo progresso nasconde anche un lato meno positivo: esso occulta il problema della giustificazione, dell’ancoraggio razionale o valoriale della critica e del conflitto.

Sono grato a Ernesto Screpanti per aver esaminato [anche in Ñángara Marx] con tanta accuratezza e con una notevole acribia critica alcune questioni sulle quali ho provato a ragionare in un libro recente che ho intitolato A lezione da Marx. Questo titolo non sta a significare, come si potrebbe pensare, che io voglia rivendicare in modo un po’ acritico un valore imperituro della lezione marxiana. Vuol dire invece qualcosa di completamente diverso, e cioè che, se si ragiona seriamente e criticamente su Marx, si possono imparare moltissime cose, e si ricevono tanti stimoli che possono essere efficacemente fatti reagire anche con le discussioni più aggiornate della teoria sociale e politica del presente. Questo punto emerge perfettamente dalle considerazioni che Screpanti dedica al mio lavoro: Marx può dialogare con Rawls, Harsanyi, Sen e tanti altri, e talvolta può essere anche usato per muovere ad essi delle critiche molto precise. Da questi confronti emerge anche, e la cosa mi pare ben comprensibile, che le riflessioni di Marx sulle questioni della giustizia e della libertà sono molto meno sofisticate e assai meno articolate di quelle che si possono trovare nel grande supermarket del pensiero filosofico-politico contemporaneo. Questo per due ragioni. La prima è che, per fortuna, anche la ricerca teorica e filosofica (come quella scientifica) progredisce, e dunque è inevitabile che, a quasi duecento anni dalla nascita di Marx, l’apparato di concetti e di ragionamenti di cui disponiamo si sia notevolmente incrementato. La seconda ragione è che (su questo punto Screpanti e io concordiamo) Marx non era interessato a uno sviluppo sofisticato e “tecnico” di questi concetti, perché riteneva di avere cose più importanti da fare (studiare le

Aporie della giustizia | Marx a lezione da John Rawls

Ernesto Screpanti  |  Una teoria “marxista” della giustizia incontra grandi difficoltà a criticare il capitalismo. Per questo bisogna fuoriuscirne cercando di porre la libertà a fondamento della giustizia. In questo modo, si evita anche il rischio di un governo universale della ragione imposto forzosamente.

“Le mie riflessioni prendono le mosse da una constatazione di fondo: il marxismo è uno straordinario edificio che, negli ultimi due o tre decenni, ha mostrato tutte le sue crepe, il suo invecchiamento, le sue difficoltà e le sue aporie.  Perciò se si vuole provare a valorizzare quell’eredità è necessario impegnarsi in un processo di ricostruzione di lunga lena”. Così Stefano Petrucciani nel suo ultimo lavoro, ‘A lezione da Marx: Nuove interpretazioni’, Manifestolibri, Roma 2012, un libro bello e importante.

Ben sapendo che oggi chi si vuole accostare a Marx da marxista non può limitarsi a rileggerlo ma deve in qualche misura tentare di riscriverlo, Petrucciani mette in chiaro sin dalla prima pagina qual è lo spirito del suo approccio: critico, libero e impegnato. Critico, per evitare ogni forma di dogmatismo e scolasticismo; libero, per trarre profitto dai contributi più validi della filosofia contemporanea; impegnato, per rendere la teoria utile nella prassi politica.

Il pensiero comunista post-sessantotto ha modificato radicalmente i metodi e i temi della teoria critica rispetto ai canoni delle vecchie scuole di partito ma anche rispetto a quelli del “marxismo occidentale”, e ha dato vita a due grandi filoni di pensiero altamente innovativi: il marxismo analitico e il marxismo ermeneutico. Il primo filone affonda le radici nel contrattualismo e nell’utilitarismo di tradizione anglosassone, oltre che nel criticismo kantiano – radici che non sono del

Marx en miniatura | En el 'New York Tribune' publicó unos 400 artículos

  • Los textos periodísticos que Marx publicó en 1850 pueden ser un apéndice o una puerta de entrada a su obra
Marcelo G. Burello  |  “Las relaciones de Karl Marx con el periodismo nunca fueron fáciles”, comienza diciendo el responsable de esta esmerada selección de artículos del máximo referente del pensamiento de izquierda. Y en efecto, de esas dificultades (mayormente, la censura tenaz y las clausuras permanentes) Marx se nutrió para desarrollar una labor ingente y casi de vanguardia en términos de lucidez analítica y persuasión retórica, como supo hacerlo en el resto de su producción. Esa labor en diarios y revistas se muestra a sus anchas en este bello volumen, cuyo mayor mérito es el de reponer el aspecto menos conocido de quien seguramente ha sido el teórico político más polémico de la historia. Y ese desconocimiento es parcialista no sólo porque supone poner al filósofo siempre por delante del activista, sino porque también ignora la relación directa entre un aspecto y el otro. Bastará recordar que uno de los textos más citados del gran revolucionario alemán, el 18 Brumario de Luis Bonaparte , proviene netamente del periodismo, con toda su apariencia de análisis erudito.

El ordenamiento temático –y no cronológico– de este libro permite organizar la lectura en base a ciertas cuestiones clave, aunque esconde un poco el largo desarrollo del pensamiento marxiano. Este ocultamiento, sin embargo, no es tan gravoso si se considera que, en virtud de ofrecer contribuciones periodísticas de valor, el tomo se acota casi exclusivamente a la década de 1850, que concentra lo mejor del autor en el ámbito de la opinión pública, mostrándolo en plena posesión de sus ideas más radicales y maduras, es decir, el método materialista histórico y la causa comunista. Contra la relativa acotación temporal, por cierto, la compilación se extiende en términos espaciales, pues alberga piezas escritas tanto en alemán como en inglés, y que fueran publicadas, además, a ambos lados del Atlántico, con los ojos puestos en China, India o España. Pues sólo en el

Sobre la respuesta de Rolando Astarita | Plusvalía relativa y ganancias extraordinarias

Karl Marx ✆ Ian James
Miguel Manzanera Salavert  |  Después de haber expuesto mi crítica a su texto – Respuesta al profesor Manzanera Salavert | Sobre plusvalía relativa y ganancias extraordinarias­–  en la página web Ñángara Marx , Rolando Astarita ha respondido asegurando que cometo una serie de errores importantes en mi comprensión de la teoría marxista. Creo que es necesario aclarar algunos conceptos básicos para demostrar que no es cierto. Tal vez pueda haber otras interpretaciones, pero quiero mostrar que mi crítica está bien sustentada, señalando además que algunas de las apreciaciones vertidas en su exposición, no concuerda con la explicación de Marx sobre los mecanismos fundamentales del modo de producción capitalista.

En el punto 1, coincidimos en que la plusvalía absoluta es trabajo impago, en cualquier caso. Pero hay un matiz importante. Dicho con palabras de Marx: Si el plusvalor surge, es únicamente en virtud de un excedente ‘cuantitativo’ de trabajo, en virtud de haberse prolongado la duración del mismo proceso laboral (El capital, Volumen 1, Sección Tercera, Producción del Plusvalor Absoluto, capítulo V, 239, cito por la 9ª edición de la traducción de Pedro Scaron publicada en Siglo XXI). Atendiendo a esta definición, en primer lugar, la plusvalía absoluta no es el aumento de la jornada laboral, sino la jornada laboral aumentada: son horas extras de trabajo que el obrero debe completar para su patrón, es la prolongación de la jornada laboral más allá de lo necesario para cubrir la reposición de la fuerza de trabajo.

Es correcto decir que la plusvalía absoluta aumenta al aumentar la jornada laboral –o en general, con el incremento en el gasto de fuerza de trabajo al aumentar la intensidad del mismo-; y de ese modo se incrementa la tasa de plusvalor, si el valor de la fuerza de trabajo o capital variable continúa siendo igual