Bernhard
H. F. Taureck
Quattro
libri su argomenti diversi ma interconnessi. Sul TTIP [Transatlantic
Trade and Investment Partnership] 1 come dernier cri della
globalizzazione 2. Su Piketty come sostenitore di un capitalismo
dinamico 3. Su Polanyi e Nancy Fraser come analisti
dell’emancipazione 4. Sul capitalismo come concetto-base per la comprensione
del nostro mondo politico 5.
Una
premessa. Ogni studio che si occupi anche per via indiretta di Marx
deve rispondere in maniera criticamente differenziata a tre domande,
che lo faccia o meno in maniera consapevole, programmatica o
esplicita. La prima domanda è la seguente: che cosa accade nel modo
in cui viene descritto [da Marx]? La seconda domanda suona: che cosa
viene spiegato con ciò? La terza domanda è: che cosa viene previsto
inmaniera
argomentata?
Alla
prima domanda (che riguarda la descrizione) Marx ha già risposto a
sua volta richiamando fenomeni come la dissoluzione della famiglia,
delle piccole e medie imprese e dello Stato come risultato delle
dinamiche di mercato. Ha risposto inoltre citando il fenomeno
dell’alienazione dell’uomo da se stesso dal momento che è
costretto a lavorare come mezzo per gli altri. A queste risposte di
Marx viene oggi obiettato
il fatto che le piccole e medie imprese continuano senz’altro a
esistere nonostante l’accumulazione del capitale e la produzione di
plusvalore assoluto.
Rispetto alla nozione di alienazione viene
invece rimproverato il fatto che Marx abbia preso le mosse da una
società disciplinare che ai suoi tempi era già da lungo tempo
tramontata. Tuttavia, possiamo a nostra volta obiettare che con la
libertà dagli obblighi di lavoro la descrizione marxiana
dell’alienazione non diventerebbe comunque priva di validità.
Alla
seconda domanda (quella che riguarda la spiegazione) Marx ha risposto
facendo riferimento al’accumulazione originaria in Gran Bretagna, a
una serie di processi dialettici e soffermandosi su nozioni come lo
scambio di valori equivalenti e la teoria delle classi in lotta. Chi
lo critica ricorda invece che l’accumulazione ha avuto luogo in
paesi diversi solo a livello locale e che è proseguita anche quando
Marx pensava che fosse terminata. Nella dialettica marxiana, inoltre,
la forzalavoro rimarrebbe una grandezza dialetticamente invariata. Il
valore verrebbe concepito da Marx in senso oggettivistico, dato che
egli sostiene che vengono scambiati valori sempre equivalenti. Ad
avviso dei critici, la borsa valori sarebbe tuttavia esposta a
processi psicologici estremi,
con il risultato che le operazioni di scambio vengono effettuate
sulla base di valutazioni soggettive spesso irrazionali. Inoltre, le
determinazioni del valore si sono specificate, nel frattempo, anche
in conformità alla prospettiva di una sostenibilità ambientale. In
questo senso, Marx sarebbe stato condizionato da un realismo ingenuo
e sarebbe stato all’oscuro della dipendenza dall’osservatore
delle percezioni e dei giudizi. Infine, sarebbe stato erroneamente
dell’avviso secondo il quale i rapporti di potere possono
esprimersi esclusivamente come antagonismi di classe: il potere,
però, rimarrebbe presente anche dopo l’abolizione di questi
ultimi.
Alla
terza questione (quella relativa alla previsione) Marx ha risposto
facendo ricorso alla legge della caduta tendenziale del saggio di
profitto, che emerge per via della sovrapproduzione e della
concorrenza, con la conseguente riduzione delle vendite, le crisi
commerciali e la conclusiva emancipazione umana. La critica a queste
tesi fa valere il fatto che Marx non disponeva di alcuna teoria della
tecnica, che la tecnologia e il potere possono sopravvivere al
capitalismo e che il capitalismo stesso dà una forma giuridica ai
conflitti di classe e attutisce le crisi (ad esempio, proteggendo la
sfera privata nella società civile: lo Stato sottrae ai cittadini
una parte del loro rischio di vita ma allo stesso tempo richiede ai
lavoratori che si impegnino soltanto come cittadini e non come membri
di una classe sociale determinata).
Nel
complesso, dalle diverse critiche a Marx consegue che l’autore del
Capitale viene certamente falsificato finché viene letto come
un inventario immutabile di teoremi. Allo stesso modo si può però
anche concludere che la lezione di Marx può accompagnare l’ulteriore
sviluppo del capitalismo se le sue osservazioni, spiegazioni e
previsioni vengono lette come qualcosa di elastico, che si estende
tra il falso e il vero e che può essere d’aiuto in linea di
principio e per diversi aspetti in modo appropriato anche senza che
le sue considerazioni divengano infallibili.
Questa
duplice conclusione è riscontrabile in diverse monografie e
introduzioni dei primi anni del XXI secolo, come quelle di Gérard
Bensussan 6, Bernd Ternes 7, Robert Misik 8, Terry Eagleton 9, Pierre
Dardot/Christian Laval 10 e, ultimo ma non meno importante, Domenico
Losurdo 11. Anche uno studio di Axel Honneth 12 si colloca nella scia
di chi intende il socialismo come armonia consolidata tra l’intimità
familiare, lo sviluppo di politiche pubbliche e la riduzione delle
disuguaglianze di reddito e dunque indirettamente nel senso di Marx.
A
loro volta, anche i quattro libri a cui voglio fare qui riferimento
dimostrano in vari modi la persistente validità post-marxista delle
osservazioni, delle spiegazioni e delle previsioni di Marx.
Cominciamo con Die Freihandelsfalle (La trappola del libero
scambio), l’antologia dedicata all’accordo TTIP.
Quando
si è tenuta la manifestazione di Berlino contro il TTIP del 10
ottobre 2015, che ha visto la partecipazione di circa 250.000
manifestanti, era ormai evidente come l’accordo CETA tra il Canada
e gli Stati Uniti fosse già costato centinaia di migliaia e forse un
milione di posti di lavoro da entrambe le parti. La groβe
Koalition al governo in Germania, gli imprenditori o gli articoli
dello “Spiegel Online” sottovalutavano invece ancora i
rischi del TTIP. Ulrich Grillo, Presidente della Confidustria
tedesca, era ad esempio di questa opinione: «Noi europei dobbiamo
avere la volontà di plasmare la globalizzazione. Chi si limita a
bloccare, perde». Grillo si rivolgeva chiaramente a chi non
legge libri come Die Freihandelsfalle: con il pronome «noi»,
infatti, vengono intesi gli imprenditori europei, mentre la
formulazione «avere la volontà di plasmare» si riferisce
chiaramente all’esautorazione degli Stati in favore delle aziende
private. Il «perdere» di cui parlava Grillo è poi acqua per il
mulino dell’oblio. Il libro ricorda infatti come alla fine degli
anni ‘90 il progetto predecessore del TTIP, chiamato MAI, sia
evaporato nel momento in cui i critici della globalizzazione lo hanno
reso di dominio pubblico (p. 74). Anche per quanto riguarda il TTIP,
nell’ottobre del 2015 Wikileaks ha rivelato delle carte tenute sino
a quel momento sotto chiave: con l’accordo previsto, anche i
farmaci poco costosi (generici) sarebbero diventati più cari e
inaccessibili ai pazienti bisognosi. Le analisi di questo notevole
volumetto rimangono perciò attuali, nonostante tutti i nuovi eventi
nel frattempo intervenuti.
Se
guardiamo al suo nome, la globalizzazione avrebbe dovuto essere utile
a tutti. Ma se guardiamo alla cosa stessa, appare chiaro come essa
abbia privilegiato in realtà ben pochi e vada dunque intesa come la
continuazione del colonialismo con altri mezzi e con altre
designazioni. La crisi del 2008 ha rafforzato i ricchi. L’accordo
di libero scambio previsto tra l’UE e gli Stati Uniti ha dimostrato
perciò che i i governi di queste regioni «non hanno imparato
nulla neppure dalla crisi finanziaria» (p. 80). È un esito che
contrasta con quanto è accaduto in Asia e in Sud America, due aree
che «già in passato e da lungo tempo hanno tratto conclusioni
diverse dalle loro crisi regionali e hanno optato per una
regolamentazione più forte dei mercati finanziari».
In
Europa il TTIP sembra invece inevitabile e finiamo così per imporci
da soli ogni sorta di costrizione materiale, mentre coloro che non
sono stati in grado di capire quali regole coercitive siano state
introdotte affinché i mercati possano agire definitivamente al di
fuori di ogni regolamentazione finiranno, come di consueto, per far
udire il loro lamento
a coloro che non hanno letto un libro come questo. Un libro che va
perciò raccomandato con forza. Perché offre un insieme di
informazioni ordinate, oltre ad ammonimenti critici e a un elenco di
alternative formulate da lungo tempo con il nome di Alternative
Trade Mandate.
Tutto
ciò che gli investitori oggi vogliono è una protezione contro le
discriminazioni economiche da parte dei paesi ospitanti. Essi
pretendono perciò garanzie in favore dei beni privati. A questo
desiderio le autrici e gli autori del libro contrappongono invece
l’idea di una tutela dei beni pubblici. I quali comprendono la
protezione della produzione regionale, la tutela dell’ambiente, la
protezione dei mercati del lavoro, i beni pubblici garantiti dallo
Stato, i servizi pubblici che riguardano il cibo, l’acqua, la
salute e l’istruzione.
Si
può notare come una forma di protezione sia richiesta dagli
investitori ma anche dai consumatori. La protezione sembra costituire
oggi il bene che maggiormente viene associato al capitalismo. Sembra
però una novità il fatto che la protezione dal capitalismo debba
essere integrata intendendo il capitalismo stesso come un bene degno
di protezione. È possibile una simile integrazione? Finora il
problema non era stato neppure posto, ma con il TTIP è invece sul
tavolo. Con questo accordo dovrebbe diventare possibile, infatti,
risarcire le aziende per i profitti perduti e a deciderlà sarà
precisamente un tribunale composto da istituzioni private sottratte a
ogni controllo statale. In questa maniera vengono introdotti due
elementi nuovi: il diritto a una ricompensa per le perdite subite e
un esautoramento del potere dello Stato. All’interno di un ordine
statale non può però esserci nessun diritto di realizzare un utile,
come non può esserci un diritto di registrare gli esami andati male
come se fossero stati superati. Una simile protezione del capitalismo
condurrebbe infatti alla cessazione di ogni protezione contro il
capitalismo.
Del
tema della protezione dal capitalismo si occupa il libro di Michael
Brie. È dedicato a tre fenomeni: le dinamiche del capitalismo, la
protezione dal capitalismo e l’emancipazione.
Quando
il capitalismo si afferma, lo Stato o la società devono trovare
oppure inventare forme di protezione che siano in grado di difendere
la maggioranza da quella minoranza che è costituita dagli
imprenditori. Tuttavia, pensare il capitalismo attraverso categorie
che fanno riferimento a una protezione dal capitalismo rimane
comunque una cosa ancora legata al capitalismo stesso e non contiene
in nessuno modo una dimensione che lo oltrepassi. In un confronto
esemplificativo con Karl Polanyi e Nancy Fraser, tornati da alcuni
anni di nuovo attuali, Brie sostiene allora che una dimensione che
oltrepassi i confini del capitalismo non possa significare altro che
l’emancipazione politica.
Emancipazione
politica: non siamo forse qui di fronte a quel residuo utopico del
XIX secolo che non ha da offrire più che una reminiscenza? Ma cosa
succede se lo Stato capitalista, che dispone esclusivamente di una
forma di democrazia «in uscita» (output-democracy), protegge i suoi
cittadini dall’emancipazione politica perché la percepisce come
una minaccia rivoluzionaria nei confronti dell’«oligarchia
liberale» (è in tal modo che Danilo Zolo intende il termine
«democrazia»)? Già nel 1881, del resto, Bismarck aveva inteso la
sua legislazione sociale come una forma di prevenzione contro la
rivoluzione, cosa a cui Brie opportunamente rimanda (p. 26).
Il
libro di Polanyi The Great Transformation. The Political and
Economic Origins of Our Time è apparso di nuovo nel 2001, con
una prefazione di Joseph E. Stiglitz, presso la Beacon Press di
Boston 13. Polanyi riteneva che il lavoro, la terra e il denaro
rappresentassero soltanto merci fittizie e che la loro
commercializzazione dovesse essere regolata. Nella sua prefazione
Stiglitz rimanda al fatto che il mercato auto-regolativo, inteso da
Polanyi come un inganno, potrebbe portare persino a un «capitalismo
della mafia» e a un «sistema politico mafioso». L’esempio della
Russia dopo la dissoluzione dell’Unione Sovietica dimostrerebbe in
questo senso che il mercato non ha affatto migliorato quel paese. E
questo perché mancavano a tale scopo «le infrastrutture legali e
istituzionali necessarie».
I
testi di Nancy Fraser e Karl Polanyi tradotti e ristampati da Brie
sono di valore nestimabile. Le considerazioni di Fraser si possono
ridurre alla frase chiave: «D’ora in avanti non ci sarà più
nessuna protezione sociale senza emancipazione» (p. 114). I
testi di Polanyi ristampati (tra cui un saggio sull’Amleto che ci
fa capire come quel periodo così cupo fosse tuttavia anche carico di
speranze) e la Rosa-Luxemburg-Lecture di Karin Polanyi-Levitt sono
documenti preziosi, che mettono in evidenza il fatto che è il
«common sense» dei cittadini a costituire la «base della politica
in una democrazia» (p 128).
Il
libro di Ralf Krämer Kapitalismus verstehen (Comprendere il
capitalismo) affronta, ricorrendo a un vasto armamentario di concetti
economici di taglio marxista i due problemi principali del
capitalismo contemporaneo: l’economia finanziaria (intesa come
aspettativa di marketing) e la situazione occupazionale. Sia che si
tratti della legge del valore e del plusvalore, sia che si tratti del
fordismo e del post-fordismo, sia che si tratti delle crisi a partire
dal 2008, sia che si tratti di una ristrutturazione sociale del
capitalismo - richiesta da Krämer in luogo del suo superamento –,
tutti questi argomenti vengono trattati in maniera approfondita
quanto lucida. Krämer mostra nei fatti come le concezioni di Karl
Marx e Friedrich Engels, pur risalendo al XIX secolo, rimangano
ancora oggi elastiche. Citazioni efficaci di entrambi i classici
accompagnano quasi continuamente le sue osservazioni.
La
sostituzione del neoliberismo, inteso come l’idea di una
privatizzazione dei beni pubblici, con una ristrutturazione
socioecologica del capitalismo non poteva certamente essere
anticipata da Marx. Ma la pretesa marxiana di un’eredità disposta
a vantaggio delle generazioni future, rimessa in circolazione da
Iring Fetscher, potrebbe essere
formulata come un divieto valido per l’oggi: le generazioni future
non devono trovare una situazione che li costringa a disintossicare
una terra avvelenata. Se noblesse oblige e se il capitalismo è
incapace di obblighi, ci dovrebbero essere regole che lo costringano
finalmente ad assumerne.
Il
libretto su Piketty è di facile lettura e si riassume facilmente.
Piketty constata una condizione r > g (per cui la ricchezza
patrimoniale è maggiore del tasso di crescita economica) e richiede
un’inversione: g > r (la crescita deve essere maggiore della
ricchezza patrimoniale). Per ottenere questa inversione Piketty
propone una tassa sul patrimonio mondiale, che scatterebbe a un
livello patrimoniale determinato. I conservatori sospettano in
Piketty un marxismo nascosto. I critici di sinistra scorgono nella
sua analisi soltanto descrizioni sistemiche che non pongono la
questione della proprietà privata dei mezzi di produzione. Questo
libretto illustra tutti questi aspetti.
Aggiungo
due particolari. In primo luogo, fenomeni come la tendenza del
capitalismo ad acquietarsi sul patrimonio, al godimento del lusso,
al’irrigidimento dello spirito di innovazione erano stati già
osservati nel 1913 da Werner Sombart nel suo studio Der Bourgeois.
Zur Geschichte des modernen Wirtschaftsmenschen14 per l’Italia,
l’Olanda, la Spagna, la Francia e la Gran Bretagna, a differenza di
Germania e Stati Uniti. Marx non aveva notato questa tendenza. In
secondo luogo, Piketty riscopre quella tassazione progressiva che gli
autori del Manifesto del Partito comunista avevano richiesto già nel 1848:
quella misura sulle cui basi soltanto è stata possibile, da allora,
una convivenza in regime capitalistico. Il libretto su Piketty ci
conduce così a un dilemma: se c’è crescita, un collasso ecologico
e le disuguaglianze sociali sembrano inevitabili. Un capitalismo
fondato sul lusso e sui patrimoni conduce invece a disuguaglianze che
non possono essere compensate e all’esclusione dalla politica della
maggioranza dei cittadini.
La discussione e l’elaborazione di questo dilemma sono ancora in
sospeso.
Il
TTIP, Piketty e il quasi-libro di testo di economia politica scritto
da Krämer sono dedicati alle sproporzioni economiche oggi più
evidenti. Sembra trovare conferma la sentenza di Rathenau secondo la
quale l’economia è il nostro destino. I lavori di Polanyi e di
Nancy Fraser ci dicono, invece, che l’economia non è e non deve
essere il nostro destino. Anche Axel Honneth, da parte sua, con
l’espressione “socialismo” vuole intendere l’armonizzarsi
reciproco della sfera privata, della volontà politica e di uno
smantellamento istituzionalizzato delle disparità di reddito. In
questo modo, Marx non viene confinato nei limiti della sua dimensione
storica. Al contrario, il post-marxismo si propone di far confluire
le fonti marxiane, almeno sul piano metodologico, in direzione di
un’armonia post-antropocentrica tra naturalità e cultura.
Quell’armonia al cui avvelenamento il capitalismo lavora con sempre
nuove idee.
Note
∗ Trad.
it. dal tedesco di Teodosio Orlando.
1
Partenariato transatlantico per il commercio e gli investimenti,
N.d.T.
2
Harald Klimenta, Andreas Fisahn et alii: Die Freihandelsfalle.
Transatlantische Industriepolitik ohne Bürgerbeteiligung – das
TTIP, VSA Verlag, Hamburg 2014, pp. 126.
3
Joachim Bischoff e Bernd Müller, Piketty kurz & kritisch. Eine
Flugschrift zum Kapitalismus im 21. Jahrhundert, VSA Verlag, Hamburg
2015, pp. 93.
4
Michael Brie, Polanyi neu entdecken. Das hellblaue Bändchen zu einem
möglichen Dialog von Nancy Fraser & Karl Polanyi, VSA Verlag,
Hamburg 2015, pp. 74.
5
Ralf Krämer, Kapitalismus verstehen. Einführung in die politische
Ökonomie der Gegenwart, VSA, Hamburg 2015, pp. 253.
6
Marx le sortant, Hermann, Paris 2007.
7
Karl Marx: eine Einführung, UTB Verlag, Stutgart 2008.
8
Marx verstehen, Anaconda Verlag, Köln 2012.
9
Why Marx was Right, Yale University Press, London 2011; trad. it.
Perché
Marx
aveva ragione, Roma, Armando 2013.
10
Marx, prénom: Karl, Gallimard, Paris 2012.
11
Più recentemente con La sinistra assente. Crisi, società dello
spettacolo,
guerra,
Carocci, Roma 2014.
12
Die Idee des Sozialismus, Suhrkamp, Berlin 2015; trad. it. L’idea
di
socialismo.
Un sogno necessario, Feltrinelli, Milano 2016 [v. la recensione di
Matteo
Giangrande in questo stesso numero, MS].
13
La grande trasformazione. Le origini economiche e politiche della
nostra
epoca,
introd. di A. Salsano, trad. it. di R. Vigevani, Einaudi, Torino
2010.
14
Il borghese. Lo sviluppo e le fonti dello spirito capitalistico,
trad. it. di H.
Furst,
Guanda, Parma 1994, N.d.T.
http://ojs.uniurb.it/ |