Karl Marx ✆ Lisman |
◆ Analizziamo in
particolare la critica di Marx al materialismo naturalistico di Feuerbach, che
pure aveva profondamente influenzato la sua presa di distanza critica
dall’idealismo della sinistra hegeliana. Il superamento dialettico della
filosofia di Feuerbach è alla base dell’elaborazione della filosofia della
prassi e del materialismo storico, due aspetti decisivi del marxismo.
Renato Caputo
Nel 1845 Marx pubblica con Engels La sacra famiglia, inaugurando un
sodalizio intellettuale che durerà 40 anni fino alla sua morte. Contro
l’idealismo speculativo o lo spiritualismo della sinistra hegeliana, Marx ed
Engels si battono per un umanesimo reale. Mentre Hegel, pur muovendo
idealisticamente dal pensiero astratto, in molti luoghi della sua filosofia
aveva descritto in modo realistico i rapporti fra gli uomini, i giovani
hegeliani hanno, secondo Marx ed Engels, finito con il radicalizzare proprio
gli aspetti idealistici della filosofia hegeliana.
Sempre nel 1845, costretto a trovare rifugio a Bruxelles,
Marx scrive le 11 Tesi su Feuerbach pubblicate
postume, in cui prende le distanze dalle conclusioni della riflessione
filosofica di quest’ultimo, sostenendo che non è sufficiente individuare nella
vita terrena l’origine dell’alienazione religiosa. In effetti, a parere di
Marx, se si vuole veramente eliminare quest’ultima occorre trasformare
radicalmente quella vita terrena, quella realtà socio-economica che rende
necessaria l’evasione degli oppressi in un paradiso artificiale in cui non ci
sarà posto per miseria e sfruttamento.
Inoltre Marx sviluppa una critica a Feuerbach dal punto di
vista gnoseologico, in quanto quest’ultimo aveva posto come centrale per la
conoscenza l’intuizione sensibile di contro al razionalismo della tradizione
idealistica, ma non aveva colto l’aspetto realmente essenziale, ovvero
l’importanza dell’attività pratica per l’attività teoretica, cosa che invece,
sebbene in modo astratto, aveva compreso Hegel. Il problema della verità, della
validità del pensiero, infatti, secondo Marx si risolve solo in sede pratica:
solo la prassi può decidere della validità delle teorie formulate in termini
astratti dalla nostra mente.
Marx critica, infine, la concezione di Feuerbach improntata
a un materialismo naturalistico secondo la quale gli uomini sarebbero il
prodotto dell’ambiente in cui vivono e dell’educazione che ricevono. In tale
modo si finisce con il dimenticare che in realtà “sono proprio gli uomini che
modificano l’ambiente e che l’educatore stesso deve essere educato”. Dunque
l’uomo non può mai essere considerato, come sulla scorta di Feuerbach farà in
seguito il positivismo, un semplice prodotto passivo dell’ambiente sociale in
cui è cresciuto.
Tanto più che l’uomo preso in considerazione da Feuerbach
resta sempre l’individuo singolo, perciò l’idea di umanità di quest’ultimo è
astorica. In realtà l’uomo non è mai, sottolinea di contro Marx, qualcosa di
astratto e isolato, non può essere concepito naturalisticamente come prodotto
della specie, ma è determinato dall’insieme dei rapporti sociali, così come la
sua essenza non è data una volta per tutte, ma è un prodotto storico. Dunque
Marx, al contrario dell’idealismo, considera l’uomo innanzitutto come un ente
materiale, naturale, ma a differenza del naturalismo di Feuerbach non considera
la natura umana un qualcosa di dato, di determinabile una volta per tutte.
Perciò Marx sottolinea l’importanza della prassi contro il
materialismo di Feuerbach che riduce l’uomo a un essere puramente naturale, o
un esistente semplicemente determinato dalle circostanze. Proprio perciò,
nell’undicesima celeberrima Tesi su
Feuerbach, sottolinea la nuova concezione della filosofia di cui si fa
portatore: sino a ora “i filosofi hanno
solo interpretato in modo diverso il mondo, si tratta di mutarlo”.
In altri termini, bisogna abbandonare l’attitudine contemplativa della
filosofia tradizionale, ma si trattava di far emergere in sede teoretica le
contraddizioni dell’esistente per procedere a una sua razionalizzazione in
ambito pratico, storico e politico.
Nel 1845 Marx lavora con Engels a L’ideologia tedesca, opera lasciata incompleta e pubblicata solo
negli anni Trenta in URSS. Quest’opera è importante in particolare in quanto
contiene la prima esposizione della concezione
materialistica della storia, da cui Marx ed Engels sviluppano la critica,
per loro definitiva, alla filosofia giovane hegeliana all’interno della quale
si erano formati.
La storia, nella prospettiva del materialismo storico, ha
inizio quando gli uomini divengono in grado di produrre autonomamente i propri
mezzi di sussistenza e a ciò è necessariamente subordinata l’elaborazione delle
idee; “non è – in effetti – la coscienza degli uomini che determina il loro
essere, ma al contrario è il loro essere sociale che determina la loro
coscienza” sottolineano Marx ed Engles. Dal momento che la produzione
spirituale dell’uomo è condizionata dalla sua produzione materiale, non vi può
essere, osservano i due, una storia autonoma dell’arte, della religione, della
filosofia, che pretenda di poter astratte dai contesti storici e sociali in cui
si sono venute a sviluppare. Rispetto alla struttura economica di una società
la sfera giuridica, politica, culturale, religiosa appartengono a quella sfera
delle sovrastrutture
che a partire da essa si viene elaborando. Tanto meno, insistono Marx ed
Engels, è possibile discettate di coscienza umana e uomo in astratto, come
fanno tanto gli idealisti quanto lo stesso Feuerbach, in quanto esistono solo
individui storicamente determinati, che costruiscono la loro vita in condizioni
economiche date e stabiliscono perciò su questa base materiale i rapporti
sociali che inevitabilmente li condizionano influenzandone il modo di pensare e
comportarsi.
Al contrario, la concezione idealistica che Marx ed Engels
intendono criticare individua il motore dello sviluppo storico nelle ideologie,
nelle lotte di religione, nella politica, ovvero nelle scelte dei capi di
Stato. Invece per il materialismo storico la storia ha come proprio fondamento
l’auto-produzione dei mezzi per soddisfare i bisogni materiali degli uomini. La
loro soddisfazione ingenera nuovi e più raffinati bisogni e la ricerca e creazione
di strumenti sempre più elaborati per soddisfarli. Tale autoproduzione della
vita umana implica un rapporto con la natura e con gli altri uomini, sulla base
del quale si sviluppano un certo tipo di linguaggio e di coscienza individuale
e sociale.
La storia si sviluppa attraverso lo sviluppo delle forze
produttive della società umana, grazie alla crescente divisione del lavoro, che
ha come proprio fondamento la divisione fra il lavoro manuale e mentale, il
lavoro intellettuale. Da tale distinzione originaria ha origine la
distribuzione ineguale del lavoro e dei suoi prodotti sulla base della
divisione della società in classi diverse e con interessi contrastanti. Dai
conflitti sociali che su tali basi inevitabilmente si producono, che per Marx
ed Engels costituiscono il motore stesso dello sviluppo storico, sorge lo Stato
con lo scopo di controllare e tutelare i rapporti sociali e di proprietà
vigenti, fondati sull’ineguale divisione dei carichi di lavoro e dei suoi
prodotti. Questi ultimi, sebbene siano sempre più il risultato di un lavoro
sociale e cooperativo tendono a essere appropriati in modo sempre più
privatistico.
Tanto più che secondo Marx ed Engels ogni società sinora
esistita è caratterizzata fondamentalmente dal nesso dialettico fra lo sviluppo
delle forze produttive e il modo in cui è organizzata socialmente la
produzione. Perciò gli individui e i rapporti sociali fra di essi sono
influenzati dallo sviluppo delle forze produttive e influiscono a loro volta su
tale sviluppo, sulla base di un rapporto di azione reciproca. In un primo
momento i rapporti sociali saranno regolati in modo da favorire l’ulteriore
sviluppo delle forze produttive e, tuttavia, dopo un lasso di tempo più o meno
ampio finiranno inevitabilmente per non favorirlo più, anzi tenderanno a
ostacolarlo. In tal modo, giunte a un certo grado del loro sviluppo, le forze produttive entrano
necessariamente in una crescente contraddizione con i rapporti fra le classi sociali esistenti, in quanto questi ultimi
impediscono l’ulteriore sviluppo economico e sociale.
Sulla base di tale contraddizione oggettiva, fondamento
delle crisi economiche e sociali, sorge l’esigenza di un nuovo modo di
produzione, maggiormente razionale e in grado di rilanciare lo sviluppo
economico, ovvero l’elaborazione di un più evoluto e libero insieme sociale,
altrimenti si corre il rischio che l’intera società precipiti in un’epoca
oscurantista. Dalla società antica, fondata sulla schiavitù, si ha dapprima il
precipitare in un’epoca di barbarie durante l’Alto Medioevo, poi si ha un nuovo
sviluppo con il perfezionamento del modo di produzione feudale dalla cui
successiva crisi comincia la lunga elaborazione storica della società
capitalistica, dalla civiltà comunale sino alla sua piena affermazione con la
rivoluzione industriale e politica attraverso cui la borghesia è divenuta la
classe dominante e dirigente.
Nel modo capitalistico di produzione gli individui sono
certamente maggiormente liberi rispetto alle società schiavistiche e servili
precedenti, caratterizzate da una rigida gerarchia sociale, anche in quanto
sono meno vincolati alla famiglia e alla comunità di provenienza. Al contempo,
però, sono sempre più subordinati alle regole economiche della società
capitalista, che non riescono più a controllare. Allo stesso modo, lo sviluppo
della società capitalista consente un eccezionale sviluppo delle forze
produttive, anche se esse finiscono progressivamente sotto il controllo di una
minoranza sempre più ristretta. Ciò rende necessaria la lotta per
l’affermazione di una società maggiormente razionale ed egualitaria come quella
socialista, in cui l’espropriazione dei grandi proprietari che monopolizzano i
mezzi di produzione consentirà all’uomo di tornare a riassumere il controllo
sui rapporti di produzione modificandoli in modo tale da rilanciare la
produzione e garantire una più giusta e razionale partizione dei suoi frutti.
Negli anni seguenti Marx diviene con Engels il principale
punto di riferimento teorico della Lega dei comunisti e approfondisce
il proprio studio critico dell’economia politica borghese. Nel 1847 scrive Miseria della filosofia, in cui porta
avanti una dura polemica contro la Filosofia
della miseria di Proudohn, un socialista utopista piccolo-borghese
annoverato fra i fondatori dell'anarchismo. A parere di Marx, Proudhon maschera
la propria scarsa conoscenza dell’economia con il ricorso a vuote formule
hegeliane, che tendono a naturalizzare, destoricizzandoli, i rapporti sociali
di produzione su cui si fonda la società borghese.