9/10/13

Sulla concezione leninista del partito, oggi

Lenin ✆ Shepard Fairey
Gianfranco La Grassa  |  Da alcuni anni a questa parte, molte mode si sono diffuse all’interno del movimento operaio italiano (ed europeo); o, per meglio dire, all’interno delle frange “antirevisioniste” di quest’ultimo. Fra le più importanti ricordiamo innanzitutto la “moda” trotzkista favorita dalla destalinizzazione revisionista. Ad un certo punto, però, si è vista l’impossibilità di un ritorno al “vero” Lenin, interpretato secondo la visuale di Trotzky e ci si è accorti che, in fondo, pur con tutte le sue deficienze ed errori, lo Stalin era stato il più corretto interprete del leninismo in quelle determinate circostanze storiche. Si è allora cominciato a sostenere che, in definitiva, le cosiddette degenerazioni staliniane erano implicitamente contenute nella concezione leninista del partito e si è iniziata così la “moda” luxemburghista. Non basterebbe più passare sul “cadavere” (teorico) di Stalin per tornare al leninismo “puro” ma sarebbe necessario andare “oltre” Lenin per tornare ad una corretta interpretazione di Marx (seguendo le indicazioni della Luxemburg appunto).

Naturalmente all’interno di queste mode vi sono delle varianti; importane è quella di certi “trotzkisti” o “luxemburghisti” mascherati, i quali affermano – bontà loro! – che a quel tempo Stalin (o, rispettivamente, Lenin) avevano sostanzialmente ragione,

Il capitalismo oggi | Risposta a Toni Negri

  • Vi proponiamo un estratto dal libro di Alain Badiou "Il risveglio della storia. Filosofia delle nuove rivolte mondiali" in cui il filosofo francese rispondendo alle critiche di Toni Negri traccia un profilo dell'attuale fase del capitalismo
Alain Badiou ✆ Jorge Ledo
Alain Badiou  |  Mi si rimprovera spesso, anche nel «gruppo» dei miei potenziali compagni di fede politica, di non tener conto delle caratteristiche del capitalismo contemporaneo, e di non proporne un’«analisi marxista». Di conseguenza per me il comunismo sarebbe soltanto un’idea campata in aria, e io in definitiva sarei soltanto un idealista senza rapporti con la realtà. Per di più, non sarei nemmeno attento alle sorprendenti trasformazioni del capitalismo, trasformazioni che autorizzano a parlare, con aria da intenditori, di un «capitalismo postmoderno».

Antonio Negri, per esempio, durante una conferenza internazionale sull’idea di comunismo – ero e sono molto contento di avervi preso parte – mi ha pubblicamente assunto quale esempio di tutti quelli che pretendono di essere comunisti senza neanche essere marxisti. In sostanza, gli ho risposto che era sempre meglio che pretendere di essere marxisti senza essere nemmeno comunisti. Considerando il fatto che, per l’opinione corrente, il marxismo consiste nell’accordare un ruolo determinante all’economia e alle contraddizioni sociali che ne derivano, chi, oggi, non è «marxista»? I nostri padroni, che, non appena la Borsa comincia a traballare o i tassi di crescita ad abbassarsi, tremano e si riuniscono col favore della notte, sono tutti «marxisti». Provate invece a mettere sotto

La crisi di Keynes

John Maynard Keynes
✆ Graziano Origa
Antonio Pagliarone  |  Un amico mi ha segnalato l’articolo di Vladimiro Giacchè La crisi di Karl | Lo spettro della bolla che si aggira per la realtà apparso sul Manifesto del 2 Ottobre dandomene copia e pregandomi di fare delle annotazioni. Innanzitutto ha ragione Giacchè nel sottolineare che l’attuale crash economico su scala globale pur apparendo come una crisi finanziaria va spiegato andando a riprendere le categorie marxiane, senza alcun vincolo ideologico. Occorre precisare però che lo stesso Giacchè cade in errore quando considera che l’origine della crisi stia nella “sovrapproduzione” a causa dell’eccesso di credito che avrebbe spinto il capitale produttivo ad andare al di là dei suoi limiti proprio perché ha a disposizione eccessi di capitale per investimenti produttivi da una parte ed eccessi di disponibilità monetaria per incentivare il consumo, tesi che si trova abbastanza diffusamente anche presso osservatori ed economisti che hanno resuscitato il keynesismo. Secondo Giacchè quindi, citando un breve passaggio di Marx, vi sarebbe una correlazione diretta tra andamento del credito e sovrapproduzione ma non ce lo dimostra empiricamente. Il problema invece sta nel fatto che il modo di produzione capitalistico ha subito delle radicali modificazioni nel corso degli ultimi quartant’anni (dopo la famosa crisi della metà degli anni 70) e la crisi attuale non è altro che il prodotto di una dinamica di lungo periodo del saggio del profitto poiché sta proprio nella possibilità di conseguire profitti l’aspetto fondamentale del modo di produzione capitalistico. A tale proposito riporto un passo di un mio intervento sulle teorie delle crisi che uscirà in una prossima pubblicazione:

El valor de uso en el marxismo de Bolívar Echeverría

Foto: Bolívar Echeverría
Jaime Ortega Reyna  |  El presente texto busca dar un seguimiento del desarrollo que ha tenido el concepto de valor de uso, primero en la tradición del marxismo occidental. Posteriormente se analizará el aporte latinoamericano que se expresa muy puntualmente en la obra de Bolívar Echeverría. El concepto de valor de uso en dicho autor supone una particular lectura de El Capital de Marx, así como la utilización de conceptos poco comunes en la tradición marxista. De igual forma ubica planos no sólo en el ámbito de la economía, sino también en el discurso de la modernidad, la política y la cultura.

Con el presente texto buscamos dar cuenta de la situación que guarda el desarrollo del concepto de valor de uso en el marxismo contemporáneo. En un primer apartado se describe brevemente un estado de la cuestión: las vicisitudes de su enunciación, recepción y desarrollo. Interesa destacar la ambivalencia que provocó el concepto, mientras que algunas tradiciones lo consideraron superfluo, otras encontraron una posibilidad heurística y política en su utilización. Esto en lo que respecta al marxismo occidental, con especial énfasis en la obra del marxista italiano Toni Negri, pero donde trataremos de ubicar su obra en una perspectiva más amplia, tanto en términos históricos como geográficos. Posteriormente pasamos a describir los principales aportes al respecto del filósofo ecuatoriano-mexicano Bolívar Echeverría, objeto central de nuestra investigación. Es, desde nuestra perspectiva, el que más ha intentado problematizar y desarrollar el concepto de valor de uso, a través de una lectura muy particular de El Capital. Considero válida la anotación que hace Carlos Oliva entorno a que: “La obra de Bolívar Echeverría tiene como eje interno el estudio del uso o la utilidad que damos a las cosas en nuestro proceso de socialización. A partir de este índice, desarrolla un montaje que supone, por detrás del uso, la existencia de una forma natural.” (Oliva en prensa: 138).