Lenin ✆ Shepard Fairey |
Gianfranco La
Grassa |
Da alcuni anni a questa parte, molte mode si sono diffuse all’interno
del movimento operaio italiano (ed europeo); o, per meglio dire, all’interno
delle frange “antirevisioniste” di quest’ultimo. Fra le più importanti
ricordiamo innanzitutto la “moda” trotzkista favorita dalla destalinizzazione revisionista.
Ad un certo punto, però, si è vista l’impossibilità di un ritorno al “vero”
Lenin, interpretato secondo la visuale di Trotzky e ci si è accorti che, in
fondo, pur con tutte le sue deficienze ed errori, lo Stalin era stato il più
corretto interprete del leninismo in quelle determinate circostanze storiche.
Si è allora cominciato a sostenere che, in definitiva, le cosiddette degenerazioni
staliniane erano implicitamente contenute nella concezione leninista del
partito e si è iniziata così la “moda” luxemburghista. Non basterebbe più
passare sul “cadavere” (teorico) di Stalin per tornare al leninismo “puro” ma
sarebbe necessario andare “oltre” Lenin per tornare ad una corretta
interpretazione di Marx (seguendo le indicazioni della Luxemburg appunto).
Naturalmente all’interno di queste mode vi sono delle
varianti; importane è quella di certi “trotzkisti” o “luxemburghisti”
mascherati, i quali affermano – bontà loro! – che a quel tempo Stalin (o,
rispettivamente, Lenin) avevano sostanzialmente ragione,