9/10/13

Sulla concezione leninista del partito, oggi

Lenin ✆ Shepard Fairey
Gianfranco La Grassa  |  Da alcuni anni a questa parte, molte mode si sono diffuse all’interno del movimento operaio italiano (ed europeo); o, per meglio dire, all’interno delle frange “antirevisioniste” di quest’ultimo. Fra le più importanti ricordiamo innanzitutto la “moda” trotzkista favorita dalla destalinizzazione revisionista. Ad un certo punto, però, si è vista l’impossibilità di un ritorno al “vero” Lenin, interpretato secondo la visuale di Trotzky e ci si è accorti che, in fondo, pur con tutte le sue deficienze ed errori, lo Stalin era stato il più corretto interprete del leninismo in quelle determinate circostanze storiche. Si è allora cominciato a sostenere che, in definitiva, le cosiddette degenerazioni staliniane erano implicitamente contenute nella concezione leninista del partito e si è iniziata così la “moda” luxemburghista. Non basterebbe più passare sul “cadavere” (teorico) di Stalin per tornare al leninismo “puro” ma sarebbe necessario andare “oltre” Lenin per tornare ad una corretta interpretazione di Marx (seguendo le indicazioni della Luxemburg appunto).

Naturalmente all’interno di queste mode vi sono delle varianti; importane è quella di certi “trotzkisti” o “luxemburghisti” mascherati, i quali affermano – bontà loro! – che a quel tempo Stalin (o, rispettivamente, Lenin) avevano sostanzialmente ragione,
ma che oggi acquistano totale validità le tesi di Trotzky o, rispettivamente, della Luxemburg. Questi ultimi in poche parole, sarebbero stati antiveggenti; avrebbero commesso soltanto il piccolo errore di essere teoricamente troppo avanzati rispetto alla pratica arretrata di quella certa situazione storica. C’è da augurarsi soltanto che, venendosi in seguito a dimostrare l’impossibilità di mettere Lenin contro Marx, non si decida di vita ad una nuova “moda”, “superando” Marx e sostenendo la validità attuale di un Bakunin o di un Proudhon o altri (e del resto siamo sicuri che qualcuno non abbia già iniziato tale tentativo?). Ci sembra evidente che è necessario avere pazienza, infinita pazienza con questi facitori di sempre nuove mode, anche perché non si può negare che i marxisti-leninisti abbiano molte colpe al loro passivo. Infatti più che indignarsi per l’offesa arrecata ai loro “idoli” non hanno fatto; o hanno generalmente fatto molto poco con un gran numero di citazioni dai “sacri” testi che – di per sé – non sono in grado di far fare molti passi in avanti.