9/6/16

La teoria marxiana del valore. Le confutazioni

Karl Marx ✆ Dale Edwin Murray 
Se si legge Marx con le lenti di Ricardo, la sua teoria appare contraddittoria. Occorre invece avere chiara la sua netta rottura con l'economia classica

Ascanio Bernardeschi   /   La difficoltà o l'impossibilità di misurare gli oggetti non implica che essi non esistano o che non siano regolati da determinate leggi. Nella meccanica quantistica, per esempio, secondo il principio di indeterminazione di Heisenberg, è impossibile misurare con precisione, nello stesso istante, sia la posizione che la velocità di una particella. Però la teoria di Marx è stata criticata per via della difficoltà di misurare il lavoro sociale necessario a produrre una merce oppure di stabilire a quanto tempo di lavoro semplice corrisponde un'ora di un lavoro complesso, maggiormente specializzato. È agevole rispondere che per Marx è il mercato a stabilire il tempo lavoro necessario a produrre una merce. Se la misura immanente del valore è il tempo di lavoro, quella “fenomenica esterna” è il denaro, quale rappresentante di ricchezza astratta e quindi di un certo tempo di lavoro. È il mercato che verifica se e in che misura il lavoro prestato è lavoro socialmente necessario. Così pure, Marx non si è mai sognato di cercare di risolvere il “puzzle” [1] della riduzione del lavoro complesso a lavoro semplice, limitandosi casomai a indicare come ciò sia possibile in via teorica. Anche nei suoi esempi numerici, ha quasi sempre utilizzato il denaro come misura del valore. La sua teoria non serve a determinare in vitro il valore delle merci, ma a scoprire le leggi di movimento del modo di produzione capitalistico e metterne a nudo le contraddizioni. Essa deve essere valutata sulla base della sua capacità o meno di raggiungere questo obiettivo e naturalmente sulla base della sua coerenza interna.

El marxismo: su difusión y enseñanza darwinista

Karl Marx & Charles Darwin
Natasha Gómez Velásquez   |   La construcción positiva de la teoría marxista se efectúa a través de la propia praxis revolucionaria. Sin embargo, en Cuba, debemos empezar –o hacerlo paralelamente- por deconstruir el marxismo que se ha enseñado y difundido durante décadas y que –en el mejor de los casos-, permanece a nivel de sentido común en calidad de “conocimien- to” político -uno más, como el de la Física o la Biología. Aunque parezca una tarea escolástica –puesto que debemos ocuparnos hermenéuticamente de los textos y no precisamente (o solo) de la praxis-, hay que volver a empezar. Ese reinicio, debe fundarse en un debate o más bien, en una serie de debates. Hace mucho tiempo, la comunidad académica y científica cubana, se debe a sí misma esa reflexión extraordinaria. Sin embargo, ha de cuidarse que sus premisas no sean -no sigan siendo- apriorísticas. Las de siempre: de carácter esencialmente emocional; basadas en la tradición; el facilismo (lo sabido o lo que se cree saber); las empatías personales; los dogmas; y la norma. Todas estas constituyen actitudes tan interiorizadas, que no las reconocemos como tales y las continuamos reproduciendo. Y, en fin, esas, las confortables premisas de siempre, vigilan que se perpetúe una política de la verdad, que ha negado las condiciones de posibilidad para la existencia y vida de una auténtica intelectualidad marxista.