Karl Marx ✆ Dale Edwin Murray |
◆ Se si legge Marx
con le lenti di Ricardo, la sua teoria appare contraddittoria. Occorre invece
avere chiara la sua netta rottura con l'economia classica
Ascanio Bernardeschi / La difficoltà o l'impossibilità di
misurare gli oggetti non implica che essi non esistano o che non siano regolati
da determinate leggi. Nella meccanica quantistica, per esempio, secondo il
principio di indeterminazione di Heisenberg, è impossibile misurare con
precisione, nello stesso istante, sia la posizione che la velocità di una
particella. Però la teoria di Marx è stata criticata per via della difficoltà
di misurare il lavoro sociale necessario a produrre una merce oppure di
stabilire a quanto tempo di lavoro semplice corrisponde un'ora di un lavoro
complesso, maggiormente specializzato. È agevole rispondere che per Marx è il
mercato a stabilire il tempo lavoro necessario a produrre una merce. Se la
misura immanente del valore è il tempo di lavoro, quella “fenomenica esterna” è
il denaro, quale rappresentante di ricchezza astratta e quindi di un certo
tempo di lavoro. È il mercato che verifica se e in che misura il lavoro
prestato è lavoro socialmente necessario. Così pure, Marx non si è mai sognato
di cercare di risolvere il “puzzle” [1] della riduzione del lavoro complesso a
lavoro semplice, limitandosi casomai a indicare come ciò sia possibile in via
teorica. Anche nei suoi esempi numerici, ha quasi sempre utilizzato il denaro
come misura del valore. La sua teoria non serve a determinare in
vitro il valore delle merci, ma a scoprire le leggi di movimento del modo
di produzione capitalistico e metterne a nudo le contraddizioni. Essa deve
essere valutata sulla base della sua capacità o meno di raggiungere questo
obiettivo e naturalmente sulla base della sua coerenza interna.
Le critiche più diffuse all'impianto teorico marxiano, si
riferiscono invece a una presunta contraddizione fra il primo e il terzo libro
del Capitale, fra i valori e i prezzi
di produzione. I secondi sarebbero derivati in maniera erronea, o non sarebbero
affatto derivabili, dai primi.
Appena due anni dopo la pubblicazione da parte di Engels del
terzo libro del Capitale, un
economista austriaco, Eugen von Böhm-Bawerk, denunciò tale contraddizione [2].
A lui parve che. nell'avanzamento dell'analisi di Marx, con l'introduzione dei
prezzi di produzione, fosse superata, la teoria esposta nel primo libro. Il
povero Eugen non sapeva che la stesura dei manoscritti pubblicati da Engels
come terzo libro era anteriore alla redazione per la stampa del primo libro,
scritto quindi quando Marx conosceva già gli sviluppi della sua analisi sulla
concorrenza, sul saggio di profitto e sulla trasformazione. Se insistette a
parlare di valore, evidentemente non considerava questa idea superata.
Il '900 fu invece caratterizzato da obiezioni di carattere
logico. A dare involontariamente manforte a queste critiche fu un notissimo
scritto [3] dell'economista italiano Piero Sraffa, noto anche per il suo
profondo legame di amicizia con Antonio Gramsci. Con questo libro si intendeva
esplicitamente porre le basi per una critica agli economisti marginalisti
fornendo, attraverso uno schema matematico formalmente assai rigoroso, una
spiegazione dei prezzi che, come in Ricardo, fosse basata su elementi
oggettivi, quali i costi di produzione, e non sulla psicologia e sulle
preferenze dei capitalisti, dei consumatori ecc. Traendo ispirazione da
precedenti lavori di economisti russi, utilizzò un sistema di equazioni lineari
in cui i coefficienti erano dati dalla tecnica (quantità di merci che
figuravano negli “input” di capitale come mezzi di produzione e “beni-salario”
e quantità dei prodotti risultanti, o “output”). I prodotti sono merci dello
stesso tipo e prezzo di quelle impiegate nella produzione. Le incognite sono
quindi questi prezzi identici per gli input e per gli output e il saggio del
profitto. Il sistema è risolvibile purché venga scelta come numerario una
merce, per esempio l'oro, e quindi tutti gli altri prezzi siano espressi in
termini di questa. In tal modo il numero di incognite (prezzi di n-1 merci e il
saggio del profitto) è pari al numero delle equazioni (una per ogni prodotto).
La determinazione simultanea dei prezzi dimostrerebbe che è impossibile attribuire
una produttività marginale e una conseguente remunerazione ai fattori
produttivi senza conoscerne prima il rispettivo valore.
Il titolo dell'opera allude al fatto che la soluzione
richiede di conoscere solo le quantità di merci immesse nel processo produttivo
e di quelle che ne escono. Anche i profitti risultano dal “sovrappiù” di merci prodotte rispetto a quelle immesse nel
ciclo produttivo. È vero che nella stessa opera si mostra come saggio del
profitto e salario varino in direzione opposta (aumentando l'uno diminuisce
l'altro e viceversa e quindi si riconosce l'esistenza di interessi di classe
contrapposti) e che viene mostrato un metodo per ricostruire, partendo dai
coefficienti tecnici, le quantità di lavoro attuale e passato necessarie alla
produzione, ma rimane il fatto che conoscere dette quantità non è
indispensabile per determinare prezzi e saggio del profitto o, come ci si
esprime in sede accademica, il sistema dei valori-lavoro (espressione mai usata
da Marx!) è “ridondante”, rispetto alle informazioni di cui abbiamo bisogno.
Inoltre, la critica rivolta agli economisti marginalisti pare perfettamente
cucita su misura anche nei confronti di Marx: il prezzo di costo è conoscibile
solo dopo la trasformazione e quindi non può essere il dato di partenza. Marx
ne era talmente consapevole che ebbe a scrivere: “un errore è sempre possibile quando, in una determinata sfera di
produzione, il prezzo di costo della merce viene identificato col valore dei
mezzi di produzione in essa consumati. L'indagine […] non richiede che ci si
addentri in un esame più particolareggiato di questo punto” [4]. Questa
frase è stata dai più interpretata come un'ammissione da parte dell'autore
dell'imprecisione del proprio procedimento e una sottovalutazione delle
relative conseguenze. Pur essendo il manoscritto solo un abbozzo, anche in
altri passi precedenti quello qui riportato si insiste sul fatto che gli
elementi del capitale costante e variabile, debbono essere considerati, nel
procedimento di trasformazione, in termini di prezzi.
Per anni, tuttavia, le repliche alle confutazioni impostate
sulla base del sistema di Sraffa, nel frattempo divenuto un oggetto che ha
fatto “scuola”, sono state deboli e interne alla logica di quel lavoro e
inoltre concentrate sugli aspetti quantitativi della faccenda perdendo di vista
la ricchezza delle determinazioni qualitative della teoria marxiana e la sua
rottura con l'economia classica.
Non c'è spazio qui per riportare la vasta letteratura dei
tentativi di salvare qualcosa della teoria di Marx su quelle basi. Sta di fatto
che su di essi è stata posta una pietra tombale dal premio Nobel dell'economia
Paul Samuleson [5], il quale, ben conscio che nel sistema sraffiano i prezzi
sono determinati indipendentemente dai valori, si è fatto beffe di simili
tentativi proclamando: “(1) scriviamo le
relazioni di valore; (2) prendiamo una gomma e cancelliamole; (3) finalmente
scriviamo le relazioni di prezzo, completando così il cosiddetto processo di
trasformazione".
La procedura marxiana è corretta solo se il saggio generale
del profitto (rapporto fra plusvalore sociale complessivo e capitale
complessivo impiegato) calcolato prima della trasformazione dei valori in
prezzi di produzione corrisponde a quello calcolato ex post. Dopo la
trasformazione debbono quindi realizzarsi, a livello aggregato per l'intero
sistema economico, le seguenti identità: 1) tra plusvalore e profitto; 2) tra
il valore del capitale impiegato e il corrispondente costo in termini di prezzi
dei mezzi di produzione e della forza lavoro; 3) come conseguenza di 1) e 2)
tra il prodotto lordo misurato in termini di valore e quello misurato in
termini di prezzi. A questo proposito è stato dimostrato [6] che la somma del
valore totale dei prodotti solo per caso può eguagliare la somma dei loro
prezzi. Così come non tornano le somme degli elementi aggregati del capitale e
le relative composizioni di valore. Pertanto il saggio generale di profitto
calcolato in termini di valore è diverso da quello calcolato in termini di
prezzo e di conseguenza non è possibile determinarlo partendo dal sistema dei
valori. La stessa grandezza del plusvalore cambia qualora si passi da un
sistema di valutazione all'altro in quanto il salario monetario differisce di
norma dal lavoro sociale contenuto nei mezzi di sussistenza dei lavoratori e
pertanto anche l'eccedenza, il lavoro non pagato, cambia. Tutto questo, sempre
vedendo le cose con le lenti di Sraffa/Ricardo, le cui conseguenze sono
micidiali anche nei confronti della legge della caduta tendenziale del saggio
del profitto. Infatti su quella base è stato dimostrato che le innovazioni
tecnologiche determinano un aumento del saggio del profitto e non una caduta.
Senza smarrirci nelle complesse dimostrazioni matematiche di questo teorema,
tale esito è intuitivo. I prezzi sono determinati dalle quantità fisiche degli
input, a prescindere dal tempo di lavoro, e quindi il saggio del profitto
deriva dal confronto fra il sovrappiù di merci prodotto e le merci consumate
nella produzione. Le innovazioni sono introducibili vantaggiosamente solo se
consentono di produrre una certa merce riducendo le quantità dei fattori
produttivi occorrenti o di produrne una quantità maggiore a parità di impiego
di tali fattori. Quindi aumenta il sovrappiù per unità di capitale impiegato,
qualsiasi ne sia la composizione, cioè il saggio del profitto.
Da qualche decennio, grazie anche ai nuovi studi filologici
nell'ambito della MEGA2 [7], sono apparse nuove interpretazioni del sistema
marxiano [8] che, pur differenziandosi tra di loro per aspetti non secondari,
sembrano convergere nel considerare il prezzo di costo che il capitalista
sostiene come determinato da: a) il valore del capitale variabile, inteso come
tempo di lavoro rappresentato dal denaro occorrente per retribuire i lavoratori
che coincide con il costo sul mercato dei mezzi di sussistenza dei lavoratori;
e b) dal valore del capitale costante, corrispondente ugualmente al tempo di
lavoro contenuto negli esborsi di denaro necessari per acquisire sul mercato,
ai loro prezzi, i mezzi di produzione. Per Marx infatti il processo di
produzione è concatenato con il processo di circolazione del capitale,
D-M...P...M'-D'. Si parte quindi da un esborso di denaro e si termina con la
realizzazione di una maggiore somma di denaro. La trasformazione dei valori
degli elementi del capitale in prezzi di produzione è già avvenuta nell'ambito
del precedente ciclo produttivo, visto che per acquisire tali fattori debbo
andare la mercato e sborsare una somma di denaro corrispondente ai loro prezzi.
Quel denaro rappresenta una determinata quantità di tempo di lavoro sociale
astratto. Aggiungendo al valore del capitale costante così definito il tempo di
lavoro impiegato nella produzione ottengo il valore complessivo del prodotto.
Il plusvalore è dato dalla differenza fra il tempo di lavoro prestato e quello
rappresentato dai salari monetari. In questo modo posso determinare a priori il
saggio generale del profitto e determinare i nuovi prezzi di produzione
applicando tale margine al prezzo di costo (denominazione non
casuale!).
Questo modo di procedere supera il dualismo fra sistema dei
prezzi e dei valori, in quanto il valore del capitale è definito in termini di
prezzi monetari. Per questo i fautori di un simile approccio parlano di Single
System. Tuttavia fra di essi non c'è piena concordanza di vedute in quanto
alcuni di essi, tra cui Duncan Foley e Fred Moseley, continuano a ritenere che
anche il valore degli elementi del capitale debba essere determinato
simultaneamente al prezzo dei prodotti, mentre altri, tra cui Alan Freeman,
Guglielmo Carchedi e Andrew Kliman, considerano il valore del capitale un dato
storico, risultante dai precedenti cicli produttivi, che pertanto non ha
necessità e non deve essere determinato insieme ai prezzi di produzione dei
nuovi prodotti.
L'approccio simultaneo vine giustificato dalla necessità che
i prezzi debbano riflettere anche il costo di riproduzione del capitale, cioè
il costo che le imprese debbono sostenere per rinnovare le rispettive dotazioni
di fattori produttivi al fine di avviare un nuovo processo produttivo. Così
però non si superano alcuni dei problemi incontrati utilizzando il modello
sraffiano. Per l'altra scuola, una simile procedura esclude dall'analisi il
fattore tempo e il fatto che gli esborsi effettivi sostenuti dai capitalisti
sono misurati in termini di prezzi provenienti dal passato e non di prezzi
risultanti alla fine del ciclo produttivo. Quest'ultima tesi, che rappresenta
anche una rottura più risoluta col modello di Sraffa, è denominata Temporal Single System Interpretation
(Tssi). Si può dimostrare che, perdurando nel tempo una situazione statica
di costanza della tecnica, i risultati dei due approcci convergerebbero. È
cruciale invece il diverso modo di trattare la realtà dinamica del modo di
produzione capitalistico.
Per finire c'è da segnalare che numerose ricerche empiriche
[9] convergono nel rilevare una forte correlazione fra i prezzi di mercato e i
valori marxiani i quali spiegano efficacemente i movimenti dei prezzi, al netto
di una componente di disturbo rappresentata dalle oscillazioni di mercato.
Sempre l'evidenza empirica ci dice che pur tra oscillazioni importanti e di
lunga durata, il saggio del profitto ha teso nei secoli a diminuire. Perché si
verifichi questo stato di cose costituisce un mistero per la “scienza
economica” ortodossa.
Note
[1] Il termine è stato utilizzato da un economista che è
andato per la maggiore anche negli ambienti dell'ultrasinistra, salvo poi
approdare ad altri lidi, Gianfranco La Grassa. Il suo esplicito abbandono della
legge del valore lo ha portato a ridurre il modo di produzione capitalistico a
un generico modo di dominio, a negare il ruolo cruciale dell'accumulazione di
ricchezza astratta e della disponibilità dei mezzi di produzione, conseguentemente
del conflitto tra capitale e lavoro. Cfr G. La Grassa, Fuori della
corrente. Decostruzione-ricostruzione di una teoria critica del capitalismo,
Ed. Unicopli, Milano 2002 e Gli
strateghi del capitale. Una teoria del conflitto oltre Marx e Lenin, Ed. Manifestolibri,
2005.
[2] E. von Böhm-Bawerk, Karl Marx and the Close of His System (1896).
[3] P. Sraffa, Produzione
di merci a mezzo di merci. Premesse a una critica della teoria economica, Einaudi
1960.
[4] Il Capitale,
Libro III, già citato nei precedenti articoli, pag. 206.
[5] P. Samuelson, The
Transformation from Marxian Values to Competitive Prices: A Process of
Rejection and Replacement, 1970
[6] Per esempio da Ian Steedman, Marx dopo Sraffa, Editori Riuniti, 1987.
[7] Si tratta della nuova edizione critiche delle opere di
Marx e di Engels di cui ha trattato tral'altro Roberto Fineschi in un'intervista
a questo giornale.
[8] Una rassegna delle diverse posizioni è contenuta negli
atti del seminario internazionale sul III volume del Capitale, tenutosi dal 15 al 17 dicembre 1994 all'Università di
Bergamo, Marxian Economics a
Rappraisal Essays on Volume III of Capital, Macmillian Press 1998. Una
rassegna delle posizioni aderenti alla TSSI è presente invece nel volume a cura
di A. Freeman e G. Carchedi, Marx
and Non-equilibrium Economics, Edward Elgar Publishing Company, 1996. Per
chi non ha dimestichezza con la lingua inglese consigliamo la rassegna a cura
di Luciano Vasapollo, Un vecchio
falso problema. La trasformazione dei valori in prezzi nel capitale di Marx,
Media Print Edizioni, Roma 2002.
[9] Tra questi ricordiamo quelle di A. Shaikh, E. Ochoa, P.
Cockshot e P. Cottrell. Il contributo di Ochoa è disponibile anche in italiano
nel volume Prezzi, valori e saggio
del profitto. Problemi di teorie economica marxista oggi (atti convegno del
20/3/88 organizzato dal CITEP e da Centro K.Marx), Ed. Vicolo del Pavone, 1989.
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