Endnotes
Karl Marx ✆ Ken Mafli |
Ora, l’economia politica ha bensí analizzato, seppure in modo incompleto, il valore, la grandezza di valore, e il contenuto nascosto in tali forme. Ma non si è nemmeno posto il quesito: perché questo contenuto assume quella forma? Perché, dunque, il lavoro si rappresenta nel valore, e la misura del lavoro mediante la sua durata temporale si rappresenta nella grandezza di valore del prodotto del lavoro? Formule che portano scritta in fronte la loro appartenenza ad una formazione sociale in cui il processo di produzione asservisce gli uomini invece di esserne dominato, valgono per la loro coscienza borghese come ovvia necessità naturale quanto lo stesso lavoro produttivo.2
Nonostante affermazioni del genere da parte di Marx, la
connessione tra forma valore e feticismo — il rovesciamento perverso
all’interno del quale gli uomini sono dominati dai risultati della loro stessa
attività — non ha avuto un gran ruolo nell’interpretazione del Capitale fino al 1960. Al contrario, alcune interpretazioni del «pensiero economico
di Marx» hanno enfatizzato l’idea, in apparenza semplice, contenuta nei primi
due paragrafi del primo capitolo del Capitale,
dove il lavoro è riconosciuto come fonte del valore delle merci. Gli ultimi due
paragrafi del capitolo — sulla forma valore e il feticismo — venivano
generalmente intesi come un modo piú o meno complicato di descrivere il mercato
e venivano quindi letti frettolosamente. Di conseguenza non venne approfondito
il modo attento con cui Marx distinse la propria concezione dall’economia
politica classica di Ricardo.3
Quando i marxisti si sono occupati della teoria del valore
lavoro, l’hanno fatto secondo l’aspetto quantitativo della sostanza e grandezza
del valore piuttosto che da quello qualitativo della forma del valore. Contro
la rivoluzione neoclassica nell’economia borghese, che aveva rinnegato la
teoria del valore lavoro, i marxisti cercarono di riaffermare la posizione
classica secondo cui il lavoro è la sostanza del valore e il valore è il lavoro
incorporato nel prodotto. Proprio come l’economia politica classica, i marxisti
non afferrarono la peculiarità del processo di riduzione sociale necessario
affinché grandezze incommensurabili possano venire comparate.
Anch’essi quindi non posero la questione del perché il
lavoro appare nella forma valore del suo prodotto e quale tipo di lavoro possa
apparire in questo modo. Tuttavia, secondo le indicazioni di Marx, è solo
capendo la complessità della forma valore che si possono capire le forme
successive del denaro e del capitale o il modo in cui l’attività umana assume
la forma dell’accumulazione di capitale.
Per Marx, la forma valore è l’espressione del carattere
duplice del lavoro nel capitalismo: da una parte lavoro concreto che si
manifesta nel valore d’uso della merce e dall’altra lavoro astratto che si
manifesta nella forma valore. Nonostante il lavoro astratto sia una
caratteristica storicamente specifica del capitalismo, il mancato
raggiungimento di un’adeguata distinzione di questi due aspetti del lavoro
conduce a considerare la forma valore come espressione del semplice e naturale
lavoro umano in quanto tale. Il lavoro come contenuto o sostanza del valore era
inteso come lavoro fisiologico, come qualcosa di indipendente dalla sua forma
sociale. In questo senso la sostanza è intesa come qualcosa che risiede
naturalmente nell’oggetto, ma per Marx il lavoro astratto e il valore sono
qualcosa di piú complesso. Il valore è una relazione o un processo che si
dispiega e si mantiene attraverso forme differenti — in un determinato momento
come denaro, poi come merce necessaria al processo di produzione (merce forza
lavoro compresa), successivamente come merce-prodotto, e poi ancora come denaro
— anche se mantiene sempre una relazione con la merce quando è denaro e
viceversa. Per Marx dunque, il valore non è né l’incarnazione del lavoro nella
merce e nemmeno una sostanza immobile. È piuttosto una relazione o un processo
che domina coloro che lo mettono in moto: una sostanza che è allo stesso tempo
soggetto. Tuttavia nella tradizione marxista ortodossa non si comprendeva che
il «lavoro astratto» è una forma socialmente e storicamente determinata di una
parte dell’attività umana, che implica la trasformazione degli esseri umani in
fattore per l’incremento senza limiti di questa attività e la conversione dei
suoi risultati in un fine in sé. Comprendere il valore come una forma
semplicemente imposta (dalla proprietà privata dei mezzi di produzione) su un
contenuto di base non problematico in sé stesso andò di pari passo con una
visione del socialismo inteso essenzialmente come una versione a direzione
statale di quella stessa divisione industriale del lavoro che però nel
capitalismo viene organizzata dal mercato. In questa visione il lavoro,
governato dal mercato nel capitalismo, diventerebbe nel socialismo il principio
cosciente di organizzazione della società.
Un’importante eccezione alla tradizionale mancanza di
attenzione del marxismo per la forma valore e il feticismo fu rappresentata
dall’economista russo Isaac Rubin. In un pionieristico lavoro svolto negli anni
’20, ha riconosciuto che
la teoria del feticismo è anzi la base dell’intero sistema economico di Marx, e in particolare della sua teoria del valore,4
e che il lavoro astratto in quanto contenuto del lavoro non
è
un in sé a cui si aggiunga dal di fuori la forma; ma è piuttosto il contenuto stesso che, nel corso del proprio sviluppo, si dà la forma già latente in esso.5
Ma il lavoro di Rubin, occultato in Russia, rimase piú o
meno sconosciuto. Per l’ortodossia (ovvero «l’economia politica marxista») il
fatto che la critica borghese vedesse in Marx essenzialmente un seguace di
Ricardo non era da mettere in discussione. Piuttosto egli veniva difeso proprio
su questa base, come colui che aveva corretto e messo in ordine il
riconoscimento di Ricardo del lavoro come contenuto del valore e del tempo di
lavoro come sua grandezza, e aggiunto ad esso solo una teoria dello
sfruttamento definibile come «ricardiana di sinistra».
In questa visione il lavoro esiste quasi naturalmente nel
prodotto, e lo sfruttamento è visto come un problema di distribuzione di quel
prodotto — per questo la «soluzione» al capitalismo è intesa come un
riorientamento della distribuzione in favore dei lavoratori, operata da questi
tramite lo stato o altri mezzi. Se si concepisce lo sfruttamento come
sottrazione di una porzione del prodotto sociale da parte di una classe
dominante parassitaria allora il socialismo non deve modificare sostanzialmente
la forma della produzione di merci, ma può semplicemente prenderne possesso,
eliminare la classe parassitaria e distribuire il prodotto equamente.
Un retroterra comune
La mancata considerazione della forma e del feticismo nella
lettura del Capitale ha
iniziato ad essere seriamente messa in discussione solo dalla metà degli anni
’60 — in parte grazie ad una riscoperta di Rubin — in un numero di approcci
etichettati in momenti diversi come «teoria della forma valore». Il dibattito
sulle sottigliezze della forma valore, su questioni di metodo, sulla questione
del rapporto tra Marx e Hegel e cosí via, emersero allora, contemporaneamente
alla teoria della comunizzazione. Sia la teoria della forma valore sia la
comunizzazione sono l’espressione di un’insoddisfazione per le comuni interpretazioni
di Marx e quindi di un rifiuto del marxismo «ortodosso» o «tradizionale». Per
noi c’è un’implicita convergenza tra la teoria della forma valore e la teoria
della comunizzazione, a tal punto che entrambe si possono influenzare
reciprocamente in modo positivo. Analizzeremo qui i parallelismi storici tra
queste due tendenze e i loro punti di convergenza.
Tra la metà degli anni ’60 e la fine degli anni ’70 il
capitalismo a livello mondiale era caratterizzato da intense lotte di classe e
movimenti sociali radicali: dalle rivolte urbane negli USA agli scioperi
insurrezionali in Polonia, passando dai movimenti studenteschi e la «ribellione
giovanile» alla caduta di governi eletti democraticamente o meno in seguito
alle agitazioni dei lavoratori. Consolidate relazioni sul posto di lavoro
venivano ora messe in discussione, cosí come la famiglia, le questioni di
genere e la sessualità, la salute mentale, e il rapporto tra uomo e natura, in
un clima di generale contestazione che attraversava tutta la società. Collegato
a queste lotte, il boom postbellico terminò in una crisi di accumulazione di
capitale con inflazione alta e disoccupazione crescente. A molti il superamento
del capitalismo e delle sue pseudoalternative dell’est sembrava essere
all’ordine del giorno.
La comparsa sia del marxismo critico caratteristico della
teoria della forma valore sia della teoria della comunizzazione trovavano i
loro presupposti in queste lotte e nelle speranze rivoluzionarie da esse
generate. Nello stesso modo in cui le due tendenze emersero in contemporanea,
cosí tramontarono insieme all’ondata di lotte che le aveva prodotte. La crisi
dell’accumulazione degli anni ’70, invece di condurre ad un’intensificazione
delle lotte e al loro sviluppo in una direzione rivoluzionaria, provocò
piuttosto una ristrutturazione radicale del capitalismo durante la quale i
movimenti e le aspettative rivoluzionarie a loro collegati vennero globalmente
sconfitti. Questa ristrutturazione portò alla relativa eclissi di queste
discussioni. Cosí come la discussione sulla comunizzazione emerse in Francia
nei primi anni ’70, per poi affievolirsi negli anni ’80 e primi ’90 e infine
riapparire di nuovo recentemente [...].
Comunizzazione
Non l’unità degli uomini viventi e attivi con le condizioni naturali inorganiche del loro ricambio con la natura, e di conseguenza la loro appropriazione della natura, bensí la separazione di queste condizioni inorganiche dell’esistenza umana da questa esistenza attiva, una separazione che è posta compiutamente solo nel rapporto tra lavoro salariato e capitale, ha bisogno di una spiegazione ovvero è il risultato di un processo storico.6
La teoria della comunizzazione comparve come critica di
varie concezioni della rivoluzione ereditate sia dalla Seconda che dalla Terza
Internazionale, cosí come anche dalle tendenze dissidenti e dalle opposizioni.
L’esperienza del fallimento della rivoluzione nella prima metà del 20° secolo
sembrava porre come questione fondamentale il sapere se i lavoratori potevano o
dovevano esercitare il loro potere attraverso lo stato e il partito (Leninismo,
Sinistra Comunista Italiana) o organizzandosi sul posto di lavoro
(anarcosindacalismo, Sinistra Comunista Tedesco-Olandese). Da una parte alcuni
sostennero che fu l’assenza del partito — o del tipo giusto di partito — che
condusse al mancato successo rivoluzionario in Germania, Italia o Spagna, dall’altra
parte altri dissero che fu proprio il partito, e la concezione «statista» e
«politica» della rivoluzione, che fallí in Russia e che giocò un ruolo negativo
anche altrove.
Coloro che svilupparono la teoria della comunizzazione si
rifiutarono di interpretare la rivoluzione in termini di forme di
organizzazione, e al contrario tentarono di concepire la rivoluzione in termini
di contenuto. La comunizzazione presupponeva il rifiuto della visione della
rivoluzione come di un evento in cui i lavoratori prendono il potere seguito da
un periodo di transizione: veniva invece concepita come un movimento
caratterizzato dall’adozione di misure comuniste immediate (come ad esempio la
distribuzione di beni) non solo per il pregio intrinseco a tali misure, ma anche
come mezzo di distruzione delle basi materiali della controrivoluzione. Se,
dopo una rivoluzione, la borghesia viene espropriata ma i lavoratori continuano
a produrre in aziende separate, dipendendo dal rapporto con quel posto di
lavoro per la propria sussistenza, e continuano a commerciare con altre
aziende, rimanendo in poche parole dei lavoratori, a quel punto che il
cambiamento sia autoorganizzato dai lavoratori o diretto centralmente da uno
«stato operaio» conta poco: il contenuto capitalistico rimane, e prima o dopo
il ruolo distinto o la funzione del capitalista risorgerà. Al contrario, la
rivoluzione come movimento comunizzatore distruggerebbe — smettendo di
costituirle e riprodurle — tutte le categorie capitalistiche: scambio, denaro,
merce, l’esistenza di aziende separate tra loro, lo stato e — piú
fondamentalmente — il lavoro salariato e la stessa classe lavoratrice.
Perciò la teoria della comunizzazione sorse in parte dal
riconoscimento che opporre al modello partito-stato leninista un differente set
di forme organizzative — consigli democratici, antiautoritari — non avrebbe
portato alla radice del problema. In parte, questo nuovo modo di pensare alla
rivoluzione sorse dalle caratteristiche e dalle forme della lotta di classe che
uscí allo scoperto in quel periodo — come il sabotaggio, l’assenteismo e altre
forme di rifiuto del lavoro — e da movimenti sociali esterni al luogo di
lavoro, i quali negavano l’affermazione del lavoro e dell’identità operaia come
base della rivoluzione. Un grande sprone allo sviluppo della nozione di
comunizzazione fu il lavoro dell’Internazionale Situazionista (IS) che, con la
propria prospettiva di una rivoluzione totale basata sulla trasformazione della
vita quotidiana, aveva percepito e teorizzato i nuovi bisogni espressi nelle
lotte, e che venne poi riconosciuta come miglior anticipazione ed espressione
dello spirito del ’68 francese.
Ma se il concetto di comunizzazione fu in un senso il
prodotto delle lotte e degli sviluppi del tempo, la capacità dell’ambiente
francese di esprimerlo fu inseparabile da un ritorno a Marx, e in particolare
la scoperta e la diffusione di un «Marx sconosciuto» presente in testi come i Grundrisse e i Risultati del processo immediato di
produzione (da qui in poi Risultati).
Prima che questi testi fossero resi disponibili nei tardi anni ’60, l’IS e
altri critici del marxismo ortodosso tendevano ad attingere ad esempio dal
giovane Marx dei Manoscritti
economico-filosofici del 1844. Anche nel caso dell’IS e della Scuola di Francoforte,
dove pure c’era un uso della teoria del feticismo e della reificazione presa
dal Capitale, questo era mediato
tramite Lukacs, e non era il prodotto di un’appropriazione dettagliata dei tre
volumi del Capitale. Perciò la
critica matura dell’economia politica come un tutto unico tendeva ad essere
lasciata nelle mani del marxismo tradizionale. Come abbiamo già indicato,
all’interno dell’interpretazione positivistica, la rilevanza della descrizione
di Marx del suo stesso lavoro come una critica dell’economia politica e
l’importanza della forma valore e del feticismo vennero quasi del tutto
tralasciate. Testi nuovamente disponibili come i Grundrisse erosero le letture tradizionali e permisero di
riconoscere la radicalità della critica matura.
Attraverso la loro marginale relazione con il marxismo
ortodosso, coloro che si identificavano con la critica della Sinistra Comunista
del bolscevismo e di ciò che avvenne in Russia erano in una buona posizione per
leggere i testi di Marx nuovamente disponibili.
Jacques Camatte e la rivista Invariance
Molto importante nel contesto francese fu Jacques Camatte e
la rivista Invariance che
apparve la prima volta nel 1968. Oltre ad aver espresso un’apertura
dell’eredità della tradizione della Sinistra bordighista italiana sia
all’esperienza della Sinistra tedesco-olandese che alle lotte attuali del
tempo, Invariance fu la
sede di una nuova lettura di Marx. L’ex collaboratore di Camatte, Roger
Dangeville, tradusse i Grundrisse e
i Risultati in francese — mettendo i bastoni tra le ruote
all’interpretazione di Marx antihegeliana di Althusser dominante in Francia. In
Invariance Camatte pubblicò un
importante commento a questi testi.7
Il testo di Camatte ebbe per la Francia post ’68 un ruolo
simile a quello avuto nello stesso periodo da Genesi e struttura del Capitale di Marx di Rosdolsky per le
discussioni in Germania.8Entrambi
ricorrono abbondantemente alle citazioni per introdurre ed esplorare il
significato dei testi marxiani che erano largamente sconosciuti all’epoca.
Rosdolsky offre uno studio esauriente dei Grundrisse, mentre il resoconto meno sistematico di Camatte attinge
da altri manoscritti di Marx, in particolare i Risultati. Nonostante
Camatte riconosca i meriti del libro di Rosdolsky,9 una
differenza sta nel fatto che mentre Rosdolsky in ultima analisi riduce i Grundrisse a una mera preparazione
per il Capitale, Camatte è piú
in sintonia con il modo in cui questo e gli altri manoscritti del Capitale vanno al di là
dell’interpretazione che i marxisti hanno ricavato dal lavoro piú maturo.
Camatte riconobbe che i differenti modi in cui Marx introdusse e sviluppò la
categoria di valore nelle varie versioni della critica dell’economia politica
hanno un significato che va al di là del progressivo miglioramento dell’esposizione.
Alcune delle prime analisi espongono aspetti come l’autonomizzazione del
valore, la definizione del capitale come valore in processo e l’importanza
della categoria di sussunzione, in una forma piú chiara rispetto alle versioni
pubblicate. Nella lettura da parte di Camatte dei testi nuovamente disponibili
troviamo il riconoscimento del fatto che le implicazioni della critica
dell’economia politica marxiana erano di gran lunga piú radicali di quanto non
avesse creduto l’interpretazione positivista ad opera del marxismo.10
Nel lavoro di Camatte c’è un’affascinante rottura con i
presupposti marxisti tradizionali, una rottura che spicca nettamente nel contrasto
tra il suo commento originale di metà anni ’60 e le note da lui aggiunte nei
primi anni ’70. Mentre il commento antecedente è alle prese con la classica
teoria marxista della transizione, nelle note posteriori gli assunti di questa
teoria vengono respinti.11 Cosí
Camatte conclude le sue note del 1970 con un appello alla comunizzazione:
Dal momento che la quasi totalità degli uomini si leva contro il capitale e contro il lavoro, si tratta di una lotta contro il capitale e contemporaneamente contro il lavoro, come due aspetti della stessa realtà. In altri termini, il proletariato deve lottare contro il proprio dominio al fine di potersi negare in quanto classe e, dunque, distruggere sia il capitale sia le classi. Una volta conseguita la vittoria — su scala mondiale — la classe universale che si è realmente formata nel corso dell’ampio processo che ha preceduto la rivoluzione stessa, nella lotta contro il capitale (formazione del partito secondo Marx), che si è trasformata psicologicamente e ha trasformato a sua volta la società, non può che scomparire giacché diventa l’umanità stessa. Non ci sono piú gruppi al di fuori di essa. Soltanto allora il comunismo può svilupparsi liberamente. Non c’è piú da realizzare nessun comunismo inferiore e la fase di dittatura del proletariato si riduce alla lotta per la distruzione della società capitalistica, del potere del capitale.12
Frammenti e manoscritti
Per la maggior parte dei teorici posteriori della
comunizzazione, gli scritti di Marx precedentemente non disponibili divennero
testi fondamentali. La traduzione dei Grundrisse e
del suo famoso «frammento sulle macchine» influenzò direttamente il
ragionamento originale di Gilles Dauvé sulla comunizzazione.13 In
questo frammento Marx descrive come il capitale, nel suo impulso ad aumentare
la grandezza del pluslavoro, riduca il tempo di lavoro necessario al minimo
attraverso l’applicazione massiccia della scienza e delle conoscenze alla
produzione. Questo genera la possibilità dell’appropriazione da parte di tutti
di quel sistema alienato di conoscenza, permettendo la riappropriazione del
tempo di pluslavoro come tempo disponibile. Il comunismo è perciò inteso non
nei termini di una nuova distribuzione della stessa tipologia di ricchezza
fondata sul tempo di lavoro, ma come fondato su una nuova forma di ricchezza
misurata sul tempo disponibile.14 Il
comunismo non è altro che una nuova relazione con il tempo, o addirittura un
altro tipo di tempo. Per Dauvé, attraverso questa attenzione sul tempo, Marx
sottintende una rottura radicale tra capitalismo e comunismo che «esclude
l’ipotesi di qualsiasi via gradualistica al comunismo attraverso la
progressiva distruzione della legge del valore» e dimostra pertanto
l’inadeguatezza dell’alternativa consigliarista e democratica al leninismo.15
I primi manoscritti mostravano inoltre una concezione piú
radicale della rivoluzione, ad un piú fondamentale livello ontologico. I
manoscritti rivelano che per Marx la critica dell’economia politica chiama in
questione la divisione tra soggettività e oggettività, cosa significhi essere
un individuo e ciò in cui consiste o meno il nostro stesso essere. Per Marx
queste questioni ontologiche sono essenzialmente sociali. Egli considerò che
gli economisti politici erano piú o meno riusciti a chiarire le categorie che
definivano le forme sociali di vita nel capitalismo. Ma mentre la borghesia
tendeva a presentare queste come necessità astoriche, Marx le riconobbe in
quanto forme storicamente specifiche della relazione tra gli uomini e tra gli
uomini e la natura. Il fatto che l’attività umana sia mediata da relazioni
sociali tra cose imprime alla soggettività umana un carattere atomizzato e
senza oggetto. L’esperienza individuale nel capitalismo è pura soggettività,
con tutta l’oggettività esistente contro di essa sotto forma di capitale:
La separazione della proprietà dal lavoro si presenta come legge necessaria di questo scambio tra capitale e lavoro. Il lavoro posto come il non — capitale in quanto tale è 1) lavoro non oggettivato, negativamente concepito [...] separato da tutti i mezzi e gli oggetti di lavoro, dalla sua intera oggettività. È il lavoro vivo esistente come astrazione da questi momenti della sua effettiva realtà (e altre-sí come non valore); questa completa spoliazione, pura esistenza soggettiva, priva di ogni oggettività del lavoro. È il lavoro come miseria assoluta: la miseria non come privazione, ma come completa esclusione della ricchezza oggettiva. [...] 2) È lavoro non oggettivato, non valore, concepito positivamente, o negatività riferentesi a se stessa […]. È il lavoro non come oggetto, ma come attività non come valore esso stesso, ma come sorgente viva del valore. [...] Non è affatto una contraddizione dunque affermare che il lavoro per un lato è la miseria assoluta come oggetto, per l’altro è la possibilità generale della ricchezza come soggetto e come attività o piuttosto i due lati di questa tesi del tutto contraddittoria si condizionano reciprocamente e derivano dalla natura del lavoro, giacché questo, come antitesi, come esistenza antitetica del capitale, è il presupposto dal capitale, e d’altra parte presuppone da parte sua il capitale.16 […]
Il dibattito in Germania
La nuova appropriazione di Marx dalla quale è sorta la
prospettiva della comunizzazione fu parte di un processo molto piú vasto di
riappropriazione e sviluppo di letture radicali di Marx. Dopo la rivoluzione
ungherese del 1956, il comunismo ufficiale perse l’egemonia sul dissenso e
sull’interpretazione di Marx nei paesi occidentali. Mentre Marx aveva detto
«dubitate di tutto», il marxismo ortodosso o tradizionale tendeva a presentarsi
come una visione del mondo unitaria con una risposta per ogni questione. Aveva
una filosofia onnicomprensiva (il «materialismo dialettico»), una visione
meccanicistica della storia (il «materialismo storico») e il proprio pensiero
economico (l’«economia politica marxista»).17 Questi
pilastri della versione ufficiale del marxismo furono messi in discussione
attraverso un ritorno allo spirito critico di Marx, che ricordava da vicino il
modo in cui una generazione precedente di marxisti critici era fiorita nel
periodo immediatamente successivo alla rivoluzione russa.18
La rivitalizzazione della teoria marxiana in quel periodo,
cosí come negli anni ’20, comportò una rottura dalla visione del marxismo come
un sistema positivo di conoscenza e un rinnovo del riconoscimento della sua
dimensione critica — un passaggio nel quale la relazione di Marx con Hegel fu
nuovamente messa in questione. Da metà anni ’60, il rifiuto delle
interpretazioni generalmente accettate di Marx iniziò ad estendersi al Capitale, il suo lavoro centrale. Nuove
letture attinsero a precedenti manoscritti della critica dell’economia
politica, ed erano interessate non solo ai risultati a cui Marx giunse, ma
anche al metodo utilizzato per arrivarvi. Il Capitale venne in Francia riletto in modo strutturalista, in
Italia Tronti e l’operaismo vi si dedicarono «dal punto di vista
della classe operaia» e in Germania sorse una Neue Marx-Lektüre («nuova lettura di Marx»).
La lingua tedesca dette alla Neue Marx-Lektüre un chiaro vantaggio sullo studio di Marx
rispetto ad altri paesi. Questi nuovi testi del «Marx sconosciuto» generalmente
divennero disponibili e conosciuti prima in tedesco che nelle altre lingue, e
non si presentavano problemi legati alla traduzione.19 Inoltre,
la grande risorsa culturale che Marx usò nella critica dell’economia politica —
l’idealismo classico tedesco — non era soggetta agli stessi problemi di
ricezione che il pensiero hegeliano aveva in altri paesi. Cosí, mentre in
Italia e in Francia le nuove letture di Marx tendevano ad avere una forte
impronta antihegeliana in reazione a precedenti fascinazioni per l’hegelismo e
contro il «marxismo hegeliano», le discussioni in Germania furono capaci di
sviluppare un quadro piú sfumato e informato del vincolo Hegel-Marx.
Fondamentalmente si resero conto che, nella descrizione della struttura logica
della totalità reale delle relazioni sociali capitalistiche nel Capitale, Marx era in debito non tanto
con la concezione hegeliana di una dialettica storica, ma con la dialettica
sistematica della Logica. Il
nuovo marxismo critico (a volte spregiativamente chiamato Kapitallogik)
aveva di conseguenza meno in comune con il precedente marxismo critico di
Lukacs e Korsch che con quello di Rubin e Pašukanis. La Neue Marx-Lektüre non fu una scuola
omogenea ma un approccio critico con all’interno accese discussioni e vere
divergenze tra interlocutori che nondimeno condividevano una certa direzione.
Il contesto politico in cui sorsero i dibattiti tedeschi fu
l’ascesa di un movimento studentesco radicale. Il movimento aveva due poli: uno
tradizionale, alle volte collegato con lo Stato della Germania dell’est e con
un orientamento marxista ortodosso verso il movimento operaio, e un piú forte
polo antiautoritario influenzato dalla teoria critica della scuola di
Francoforte, in modo particolare dalla sua dimensione psicoanalitica, che
offriva una spiegazione al perché i lavoratori sembravano disinteressati alla
rivoluzione.20 Grazie,
e non in piccola parte, all’influenza della scuola di Francoforte, il movimento
studentesco tedesco ottenne rapidamente fama per la sofisticatezza teorica dei
suoi dibattiti. La visione, ma anche l’instabilità e l’ambivalenza, del polo
antiautoritario trovarono espressione nella traiettoria del suo leader
carismatico Rudi Dutschke. Nel 1966, influenzato fortemente da Korsch, decretò
anacronistica «la teoria dei due stadi» della rivoluzione comunista e «del
tutto discutibile per noi» dal momento che
pospone l’emancipazione reale della classe lavoratrice nel futuro e considera la presa del potere statale borghese da parte del proletariato come di primaria importanza per la rivoluzione sociale.21
Ma coniò anche lo slogan «lunga marcia nelle istituzioni»
che divenne la ragion d’essere del partito tedesco dei Verdi (a cui lui aderí,
insieme all’altro leader antiautoritario Daniel Cohn-Bendit). Oggi è la
riformista e del tutto statista Die Linke (il partito di sinistra in
Germania) che si identifica piú fortemente con la sua eredità politica. Una
figura piú importante dal punto di vista teorico all’interno della SDS fu Hans
Jürgen Krahl, in modo particolare dopo che spararono a Dutschke. Krahl era uno
studente di Adorno e portò molti dei concetti chiave delle «teoria critica» nel
movimento, ma era anche un attivista (in un episodio tristemente famoso, Adorno
denunciò alla polizia Krahl e i suoi compagni quando occuparono uno degli
edifici dell’Istituto) e mantenne un orientamento ancorato al proletariato e
alla lotta di classe.22Nonostante
la Scuola di Francoforte, dedicandosi a questioni di psicoanalisi, cultura e
filosofia, avesse in gran parte abbandonato lo studio della critica marxiana
dell’economia politica nelle mani dei marxisti, furono Krahl e altri studenti
di Adorno — Hans George Backhaus, Helmut Reichelt — che diedero inizio alla Neue Marx-Lektüre.
Cosí, mentre a rendere aperto il milieu «comunizzatore»
alla radicalità dei nuovi testi marxiani fu il background nel comunismo dei
consigli e in altre posizioni della sinistra comunista critiche del
bolscevismo, in Germania — dove queste tendenze erano state distrutte nel
periodo nazista23 —
fu Adorno e la scuola di Francoforte a giocare un ruolo in qualche modo
equivalente. Sia il comunismo dei consigli che la scuola di Francoforte si
svilupparono a partire dalla riflessione circa il fallimento della rivoluzione
tedesca nel 1918–1919. Mentre la relazione del consigliarismo con la
rivoluzione tedesca è piú immediato, Sohn-Rethel, parlando della scuola di
Francoforte e di pensatori vicini come Lukàcs e Bloch, cattura con
un’espressione paradossale la loro relazione piú complessa con quel periodo:
lo sviluppo moderno del pensiero marxista in Germania, di cui testimonia ad esempio la scuola di Francoforte, deriva da impulsi di allora, e quindi, in un certo senso, dipende dalla struttura teoretica ed ideologica della mancata rivoluzione tedesca24
Sebbene distaccata da qualsiasi ambiente proletario, la
scuola di Francoforte aveva provato a mantenere vivo un marxismo critico ed
emancipatore contro il suo sviluppo come ideologia apologetica per
l’accumulazione statale in Russia. L’affinità con il comunismo dei consigli è
piú evidente nei primi testi come Lo
stato autoritario di Horkheimer, che gli studenti antiautoritari
pubblicarono con la disapprovazione dello stesso Horkheimer, divenuto col tempo
piuttosto conservatore. Ciononostante, una critica radicale della società
rimane al centro dei testi meno immediatamente politici di Adorno come quelli
degli anni ’50 e ’60 e forse proprio per il fatto di evitare la logica
dell’efficacia politica immediata. Mentre «l’ultrasinistra» ha provato a
mantenere viva la promessa emancipatrice della teoria marxista contro gli
sviluppi concreti del movimento dei lavoratori enfatizzando l’autonomia contro
la rappresentazione e le istituzioni della classe lavoratrice, la scuola di
Francoforte ha provato a fare lo stesso, paradossalmente allontanandosi dalla
lotta di classe immediata e dalle «questioni economiche».
Questo fece sí che la riappropriazione radicale di Marx
negli anni ’60 in Germania assunse necessariamente la forma al contempo di una
continuazione e di una rottura con la tradizione della scuola di Francoforte.
L’intersezione tra una sensibilità ispirata dalla scuola di Francoforte e
l’attenzione per lo studio approfondito della critica dell’economia politica da
essi evitata, viene espressa da un aneddoto su Backhaus. Secondo Reichelt,
l’origine del programma della Neue
Marx-Lektüre può essere individuata nel momento in cui Backhaus,
mentre era in un alloggio per studenti a Francoforte, incappò accidentalmente
in una prima edizione del Capitale,25 all’epoca
molto rara. Notò che le differenze con la seconda edizione balzavano
immediatamente all’occhio, ma anche che questo fu possibile esclusivamente
perché egli seguí le lezioni di Adorno sulla teoria dialettica della società,
per cui:
Se Adorno non avesse ripetutamente presentato l’idea di un «concetto nella realtà stessa», di un vero universale che può essere individuato nell’astrazione dello scambio, senza le sue domande sulla costituzione delle categorie e la loro relazione interna con l’economia politica, e senza la sua concezione di una struttura oggettiva che è diventata autonoma, questo testo sarebbe rimasto silenzioso — semplicemente come lo fu per i già (allora!) cento anni di discussione sulla teoria del valore di Marx.26
I dibattiti sulla nuova lettura del Capitale iniziarono realmente dopo
il 1968. Le questioni che portarono allo scoperto, che vennero generalmente
affrontate solamente anni dopo e spesso in maniera meno profonda all’interno di
discussioni in altre lingue, riguardavano: il carattere del metodo marxiano e
la validità della sua interpretazione engelsiana; la relazione tra lo sviluppo
dialettico delle categorie nel Capitale e
la dialettica hegeliana; il significato degli aspetti non completati del
programma di Marx per la sua critica; l’importanza del termine critica e la
differenza tra la teoria del valore di Marx e quella delle economia politica
classica; la natura dell’astrazione nel concetto marxiano di lavoro astratto e
nella critica dell’economia politica in generale.
Nonostante il loro carattere spesso filologico e astratto,
ai dibattiti sulla nuova lettura del Capitale veniva
attribuita un’importanza politica nell’attrito tra il polo antiautoritario e
quello tradizionale all’interno del movimento studentesco, dove il secondo
sosteneva che la cornice del marxismo ortodosso necessitava solo di essere
aggiornata e aggiustata.27 La Neue Marx-Lektüre mise in
discussione questo progetto di un’ortodossia rinnovata schierandosi niente meno
che per una ricostruzione fondamentale della critica dell’economia politica.28
Al tempo, la visione dominante del metodo di lavoro
utilizzato nel Capitale era
una variante di quello logico-storico proposto da Engels in testi come la sua
recensione del 1859 del Contributo ad una
critica dell’economia politica di Marx e la sua prefazione e
integrazione al terzo volume del Capitale.
In questa visione, la progressione delle categorie del Capitale segue da vicino il loro
reale sviluppo storico, cosí che i primi capitoli del Capitale sono intesi come descrizione del periodo
precapitalistico di «produzione semplice di merci» quando la «legge del valore»
avrebbe agito in un modo puro. Nei dibattiti in Germania e successivamente a
livello internazionale, l’autorità di Engels — cosí come quella del marxismo
tradizionale che da essa derivava — venne del tutto messa in discussione. La Neue Marx-Lektüre affermava che né
l’interpretazione di Engels, né una delle sue modifiche proposte,29 diedero
giustizia al movimento che stava dietro l’ordine e lo sviluppo delle categorie
nel Capitale. Piú che un
avanzamento da un stadio non capitalistico, o un ipotetico modello
semplificato, di semplice produzione di merci verso uno stadio avanzato, o un
modello piú complesso, della produzione capitalistica di merci, il movimento
nel Capitale doveva venire
inteso come presentazione della totalità capitalistica fin dall’inizio,
muovendo dall’astratto al concreto. In The
Logical Structure of Marx’s Concept of Capital (La struttura logica
del concetto di capitale in Marx), Helmut Reichelt sviluppò un concetto che,
sotto diverse forme, è ora basilare per i teorici della dialettica sistematica:
ossia che la «logica del concetto di capitale» in quanto processo
autodeterminato corrisponda all’andare al di là di se stesso del concetto nella Logica di Hegel.30 Secondo
questa visione il mondo del capitale può essere visto come oggettivamente
idealista: per esempio la merce è una «cosa sensibilmente sovrasensibile».31 La
dialettica della forma valore dimostra come, partendo dalla piú semplice forma
merce, gli aspetti materiali e concreti del processo della vita sociale sono
dominati dalle astratte e ideali forme sociali del valore. Per Marx, come
Reichelt nota:
Il capitale è concepito come un continuo cambiamento di forme, nel quale il valore d’uso è costantemente integrato e allo stesso tempo espulso. In questo processo, anche il valore d’uso, assume la forma di un oggetto eternamente evanescente. Ma questa scomparsa continuamente rinnovata dell’oggetto è la condizione per la perpetuazione del valore stesso — è attraverso il cambio di forme costantemente rinnovato che si conserva l’unità immediata di valore e valore d’uso. Ciò che dunque viene a costituirsi è un mondo capovolto nel quale il sensibile nel suo senso piú vasto — come valore d’uso, lavoro, scambio con la natura — è degradato a mezzo della auto riproduzione di un processo astratto che sottostà all’intero mondo oggettivo in continuo cambiamento. […] L’intero mondo sensibile degli esseri umani che riproducono se stessi attraverso il soddisfacimento dei propri bisogni e il lavoro è, pezzo per pezzo, risucchiato in questo processo, nel quale tutte le attività sono «in sé stesse capovolte». Sono tutte nella loro apparenza evanescente, immediatamente il loro opposto, la persistenza del generale.32
Questo è il capovolgimento ontologico, la possessione della
vita materiale da parte del capitale. È ciò che Camatte comprese nel suo
riconoscimento dell’importanza della comprensione del capitale in quanto valore
in processo e come sussunzione. Se non c’è valore d’uso che non sia nella forma
di valore nella società capitalistica, se valore e capitale costituiscono una
potente, totalizzante forma di socializzazione che modella ogni aspetto della
vita quotidiana, il loro superamento non è una questione di semplice
sostituzione dei meccanismi del mercato attraverso un controllo statale o
l’autogestione dei lavoratori di queste forme, ma richiede la trasformazione
radicale di ogni sfera della vita. Per contrasto, la concezione tradizionale
del marxismo derivata da Engels — secondo cui la legge del valore preesisteva
al capitalismo — creò una separazione tra la teoria del mercato e del valore e
quella del plusvalore e dello sfruttamento e cosí facendo creò la possibilità
di idee come la legge del valore socialista, una forma di denaro socialista, un
«mercato socialista» e cosí via.
Un Marx incompleto?
Parte della natura dogmatica del marxismo ortodosso
consisteva nel considerare i lavori di Marx come un sistema completo al quale
si doveva aggiungere solamente l’analisi storica degli stadi successivi del
capitalismo, come l’imperialismo. La scoperta dei manoscritti e del piano di
lavoro per la critica dell’economia politica dimostrò che il Capitale era incompleto, non solo
nel senso che i volumi due e tre, e le Teorie
sul plusvalore, non sono stati terminati da Marx e sono stati redatti
rispettivamente da Engels e Kautsky,33 ma
anche che questi costituivano solo il primo di sei libri pianificati, insieme
ai libri sulla proprietà della terra, il lavoro salariato, lo stato, il
commercio estero, e «Il mercato mondiale e le crisi.»34 Il
riconoscimento del fatto che ciò che esiste è solo un frammento del progetto di
Marx fu di grandissima importanza, poiché implicò una visione della teoria
marxiana come progetto radicalmente aperto e diede inizio allo sviluppo di aree
di indagine che vennero a malapena toccate dallo stesso Marx. Il cosiddetto
dibattito sullo stato e il dibattito sul mercato mondiale furono tentativi di
sviluppare alcune di quelle aree che Marx stesso non trattò sistematicamente
nel Capitale.35
Attingendo al pionieristico lavoro di Pašukanis, i
partecipanti al dibattito sulla derivazione dello stato intesero la separazione
tra «sfera economica» e «sfera politica» come caratteristica peculiare della
dominazione capitalistica. L’implicazione fu che — lontana dal dar vita ad
un’economia socialista e uno stato dei lavoratori, come nel marxismo
tradizionale — la rivoluzione dovrebbe essere concepita come distruzione sia
della «sfera economica» che dello «stato». Nonostante l’aspetto astratto, e
alle volte scolastico, di questi dibattiti, si inizia in questo modo a vedere
come il ritorno critico a Marx, sulla base delle lotte dei tardi anni ’60 in
Germania, ebbe implicazioni specifiche e radicali per la concezione del
superamento del modo di produzione capitalistico.
Questo è ugualmente vero per il centrale concetto marxiano
di lavoro astratto per come è concepito nei dibattiti tedeschi sul valore.
Mentre nella scienza sociale borghese, e nella forma dominante del marxismo,
l’astrazione è un fatto mentale, Marx affermò che nel capitalismo era presente
una forma differente di astrazione: «astrazione reale» o «pratica» che le
persone mettono in atto nello scambio senza nemmeno rendersene conto. Come
indica l’aneddoto di Reichelt su Backhaus, fu l’idea di Adorno di un concetto
oggettivo nella vita sociale capitalistica ad ispirare l’approccio
caratteristico della Neue
Marx-Lektüre alla critica marxiana dell’economia politica. Questa idea
di Adorno e la sua nozione di «pensiero dell’identità» sono state a loro volta
ispirate dalle idee che Alfred Sohn-Rethel gli comunicò negli anni ’30. Il
dibattito in Germania avanzò cosí in seguito alla pubblicazione, avvenuta nel
1970, di queste idee nel libro di Sohn-Rethel Lavoro manuale e lavoro intellettuale.36 In
questo lavoro Sohn-Rethel identifica l’astrazione dall’uso che si dà nel
processo di scambio come la radice non solo dello strano tipo di sintesi
sociale nella società della merce, ma proprio dell’esistenza del ragionamento
concettuale astratto e dell’esperienza dell’intelletto indipendente. La tesi di
Sohn-Rethel è che il «soggetto trascendentale» teorizzato esplicitamente da
Kant non è altro che un’espressione teoretica e allo stesso tempo cieca
dell’unità o identità della cose costituite attraverso lo scambio. Tali idee,
insieme a quelle di Pašukanis su come il «soggetto legale» e la merce siano
storicamente coprodotte, fanno parte di un periodo di disamina critica in cui
tutti gli aspetti della vita, incluso il nostro senso di soggettività interna e
la coscienza, vennero concepite come forme determinate dal capitale e dal
valore.
Per Marx l’esempio piú calzante di «astrazione reale» è la
forma denaro del valore, e probabilmente il contributo piú longevo del
dibattito tedesco consiste nello sviluppo di una «teoria monetaria del valore»
lungo la via già tracciata da Rubin. In un passaggio importante della prima
edizione del Capitale Marx
descrive il denaro come un’astrazione che perversamente prende un’esistenza nel
mondo reale in maniera indipendente dalle sue particolarità —
È come se a fianco e al di là di leoni, tigri, conigli e tutti gli altri animali reali… esistesse in aggiunta anche l’animale, l’incarnazione indipendente dell’intero regno animale.37
I prodotti del lavoro privato devono essere scambiati con
queste rappresentazioni concrete di lavoro astratto affinché la loro validità
sociale possa essere realizzata in pratica. Cosí un’astrazione, piú che essere
un prodotto del pensiero, esiste nel mondo come un oggetto dotato di
oggettività sociale di fronte al quale tutto si deve inchinare.
Il marxismo tradizionale non diede importanza a questo
dibattito, e seguí generalmente Ricardo e gli economisti borghesi nel vedere il
denaro come un semplice mezzo per facilitare lo scambio di valori-merce
preesistenti. Al contrario il dibattito tedesco notò lo strano tipo di
oggettività del valore — che non fa parte di nessuna merce particolare, ma
esiste solo nella relazione delle equivalenze tra una merce e la totalità delle
altre merci — un qualcosa che può essere generato solo attraverso il denaro.
Questo ruolo del denaro in una società mercantile generalizzata influisce
sull’esperienza dello stesso lavoro vivo. Dal momento che il lavoro è
semplicemente un’attività svolta per il denaro, il tipo di lavoro svolto non ha
importanza ed è casuale. Il legame organico che esisteva in società precedenti
tra individui particolari e specifiche forme di lavoro è spezzata. Un soggetto
capace di muoversi indifferentemente tra diverse forme di lavoro si è formato:
Qui, dunque, l’astrazione della categoria «lavoro», il «lavoro in generale», il lavoro sans phrase, che è il punto di partenza dell’economia moderna, diviene per la prima volta praticamente vera. Cosi l’astrazione piú semplice che l’economia moderna pone al vertice e che esprime una relazione antichissima e valida per tutte le forme di società, si presenta tuttavia praticamente vera in questa astrazione solo come categoria della società moderna.38
Il lavoro astratto, quindi, in quanto astrazione pratica è
una forma di lavoro fondamentalmente capitalistica, un prodotto della riduzione
di tutte le attività all’attività astratta finalizzata al generare denaro.
Nella visione tradizionale, il superamento del modo capitalistico di produzione
non necessita di abolire il lavoro astratto: il lavoro astratto, secondo questa
visione, è una astrazione generica, una verità generale e transtorica
sottostante l’apparenza della forma mercantile nel modo di produzione
capitalistico. Questa verità risplenderebbe nel socialismo, dopo avere
eliminato il ruolo parassitario dei capitalisti e aver rimpiazzato
l’organizzazione anarchica del mercato del lavoro sociale con la pianificazione
statale. Da un punto di vista critico, il marxismo tradizionale aveva
trasformato delle forme e leggi capitalistiche in generali leggi storiche: in
aree relativamente arretrate come la Russia, dove il marxismo diventò
l’ideologia di uno sviluppo industriale a guida statale, il Capitale divenne una sorta di «manuale
delle istruzioni». Al contrario, per i teorici della forma valore, la teoria
del valore di Marx, in quanto teoria monetaria del valore, non
è una teoria circa la distribuzione della ricchezza sociale, ma piuttosto una teoria della costituzione della totalità sociale sotto i dettami della produzione capitalistica della merce.39
La questione venne dunque spostata dalla distribuzione al
superamento della forma del lavoro, della ricchezza e del modo di produzione
stesso.
In diversi paesi, alle volte grazie alla conoscenza dei
dibattiti tedeschi ma anche indipendentemente, ispirati da testi come i Grundrisse e i Saggi di
Rubin, sorsero questioni simili a cui vennero trovate simili risposte. Per
esempio, l’importanza della forma valore venne ripresa da Jaques Ranciere,
allora seguace di Althusser. Althusser aveva correttamente identificato la
completa rottura con il terreno teoretico di Ricardo e dell’economia politica
classica ma fu incapace di identificare l’analisi della forma valore come
centrale per questa rottura, perché la rifiutò a causa del suo «hegelismo».
Ranciere, ad ogni modo, notò che ciò che
distingue radicalmente Marx dalla teoria economica classica è l’analisi della forma valore della merce (o della forma merce del prodotto del lavoro).40
Questo riconoscimento fu fatto proprio anche da un altro
antihegeliano, Colletti,41 e
alimentò un dibattito in Italia iniziato da lui stesso e Napoleoni,42 che
giunse a conclusioni vicine a quelle dei teorici della forma valore. Nel
dibattito anglofono, dove pochissimo del dibattito tedesco venne tradotto fino
alla fine degli anni ’70, Rubin ebbe una grande importanza.43Nella
Conferenza degli economisti socialisti, un forum centrale per queste
discussioni, ci fu un acceso conflitto tra la teoria del valore basata sul
lavoro sociale astratto e ispirata da Rubin e una piú tradizionalista teoria
del valore basata sul lavoro incarnato. Quelli del primo gruppo si diressero
verso una teoria monetaria del valore, come nelle discussioni tedesche, ma la Logica di Hegel venne discussa troppo
poco e la sua rilevanza troppo poco apprezzata per comprendere la relazione
sistematica delle categorie nel Capitale.44 In
assenza di una traduzione di Reichelt e Backhaus, i pochi anglofoni che
seguirono i tedeschi nell’intento di ricostruire il Capitale,45 la
scuola di Konstanz-Sydney, identificata come «value-form school» (scuola della
forma valore), veniva vista dalla maggior parte dei partecipanti come
eccessivamente estrema. È una caratteristica della dialettica sistematica, per
come è emersa recentemente, quella di avere al centro della discussione le
suggestioni del bisogno di una ricostruzione piú radicale.
(Anti)Politica della teoria del valore
La rilevanza critica della teoria della forma valore
consiste nel mettere in questione qualsiasi concezione politica basata
sull’affermazione del proletariato in quanto produttore di valore. Riconosce il
lavoro di Marx come una critica essenzialmente negativa della società
capitalista. Attraverso la ricostruzione della dialettica marxiana della forma
valore, dimostra come il processo della vita sociale venga sussunto, o
determinato nella sua forma, dalla forma valore. Ciò che caratterizza tale
«determinazione della forma» è una perversa priorità della forma sul contenuto.
Il lavoro non preesiste semplicemente alla sua oggettivizzazione nella merce
capitalista come terreno positivo da liberare nel socialismo o nel comunismo
attraverso la modificazione della sua espressione formale. Piuttosto, in modo
fondamentale, il valore, in quanto primaria mediazione sociale, preesiste e di
conseguenza ha il dominio sul lavoro. Come argomenta Chris Arthur:
Al livello piú profondo, il fallimento della tradizione che usa il modello della «simple commodity produ?ion», consiste nel focalizzarsi sull’individuo umano come origine delle relazioni del valore, piú che vedere l’attività umana come oggettivamente inscritta nella forma valore… Ad ogni modo, in verità, la legge del valore è imposta alle persone attraverso l’efficacia di un sistema con il capitale al suo cuore, il capitale che subordina la produzione di merci è l’obbiettivo della valorizzazione ed è il vero soggetto (identificato in quanto tale da Marx) che ci affronta.46
Mentre sembra vero e politicamente efficace47 dire
che noi produciamo capitale con il nostro lavoro, è in realtà piú corretto dire
(in un mondo che è veramente sottosopra) che noi, in quanto soggetti del
lavoro, siamo prodotti dal capitale. Il tempo di lavoro socialmente necessario
è la misura del valore solo perché la forma valore pone il lavoro come suo
contenuto. In una società non piú dominata da forme alienate, non piú
organizzata attorno l’autoespan-sione di ricchezza astratta, l’ossessione per
il lavoro che caratterizza il modo capitalistico di produzione scomparirà.48 Con
la scomparsa del valore, il lavoro astratto scompare in quanto categoria. La
riproduzione degli individui e i loro bisogni diventano il vero fine in sé.
Senza le categorie di valore, lavoro astratto e salario, il «lavoro» cessa di
avere il suo ruolo sistematico come determinato dalla primaria mediazione
sociale: il valore.
Questo è il motivo per cui la teoria della forma valore, per
quanto riguarda la nozione di rivoluzione che muove da essa, è orientata nella
stessa direzione della comunizzazione. Il superamento delle relazioni sociali
capitalistiche non può comprendere una semplice «liberazione del lavoro»;
piuttosto, l’unica «via di uscita» è la soppressione del valore stesso, della
forma valore che pone il lavoro astratto come misura della ricchezza. La
comunizzazione è la distruzione della forma merce e la simultanea fondazione di
relazioni sociali immediate tra gli individui. Del valore, inteso come forma
totalitaria della mediazione sociale, non ce ne si può sbarazzare solo a metà.
Il fatto che pochi teorici della forma valore hanno
esplicitamente dedotto queste radicali conclusioni politiche dal loro lavoro è
del tutto irrilevante: queste conclusioni politiche (o antipolitiche) radicali
sono per noi le implicazioni logiche dell’analisi.
Un ritorno a Marx?
Il riconoscimento da parte della teoria della forma valore
del «nocciolo nascosto» della marxiana critica dell’economia politica potrebbe
suggerire che già nel 1867 Marx comprese il valore come una forma totalizzante
di mediazione sociale da superare in blocco. In questo senso il marxismo, con
la sua storia dell’affermazione del lavoro e l’identificazione con
«l’accumulazione socialista» a guida statale, potrebbe essere visto come una
storia del fraintendimento di Marx. La lettura corretta, che punta ad una
negazione radicale del valore è stata, secondo questo punto di vista, in
qualche modo mancata. Ad ogni modo, se la teoria marxiana della forma valore
implicava la comunizzazione nella moderna accezione, allora era un’implicazione
che lo stesso Marx evidentemente non scorse.
Infatti, l’atteggiamento di Marx verso l’importanza della
sua teoria del valore fu ambivalente. Da una parte Marx insistette
sull’importanza «scientifica», ma in reazione alle difficoltà che i suoi
lettori ebbero nel comprendere le sue sottigliezze sembrò voler venire a
compromessi su di essa per il bene della ricezione del resto del proprio
lavoro.49 Oltre
a voler volgarizzare il suo lavoro e «nascondere il suo metodo», permise ad
Engels (che come abbiamo visto fu uno di quelli che ebbero difficoltà su questo
aspetto del lavoro del proprio amico) di scrivere varie recensioni in cui
l’analisi del valore e del denaro veniva minimizzata in modo da non «ridurre
l’argomento principale». Sembra che Marx ebbe questa posizione:
La teoria del valore è il prerequisito logico della sua teoria della produzione capitalista, ma non è indispensabile per la comprensione di ciò che questa seguente teoria significhi, e specialmente cosa sia la critica della produzione capitalista. Il dibattito marxista negli ultimi anni ha adottato questa presunta attitudine marxiana (cfr. anche il consiglio di Marx alla signora Kugelmann)50 in ogni direzione ponendo il problema se la teoria marxiana del valore è necessaria per la teoria marxiana dello sfruttamento di classe.51
Marx sembrò accettare che una lettura piú o meno ricardiana
di sinistra del suo lavoro potesse essere adeguata per le necessità del
movimento dei lavoratori. I suoi scritti politici supponevano che una potente
classe lavoratrice, unendosi attorno un’identità di classe sempre piú omogenea,
avrebbe semplicemente esteso, tramite i suoi sindacati e i suoi partiti, le sue
lotte quotidiane in un superamento rivoluzionario della società capitalistica.
Contro Lassalle e il marxismo socialdemocratico dei suoi tempi, Marx scrisse la
caustica Critica del Programma di
Gotha nella quale ne attaccò fortemente le posizioni a favore del
lavoro e gli assunti incoerenti in materia di politica economica. Ma non pensò
fosse necessario pubblicarlo. E in piú le idee che propone anche nella Critica (che
venne poi pubblicata da Engels) non sono per niente prive di problematiche.
Includono una teoria della transizione nella quale il diritto borghese
continuerebbe a prevalere nella distribuzione attraverso l’uso di buoni lavoro
e in cui la descrizione del «primo stadio del socialismo» è molto piú vicino al
capitalismo di quanto lo sia al piú attraente secondo stadio, ma senza spiegare
il meccanismo secondo cui il primo evolve nel secondo.52
Sarebbe sbagliato suggerire che i dibattiti tedeschi
ignorarono la distanza tra la posizione radicale che molti di loro stavano
deducendo o sviluppando a partire dalla critica marxiana e la politica dello
stesso Marx. Nei tardi anni ’70 un modo significativo in cui questa questione
iniziò ad essere compresa fu nei termini di una differenza tra un «Marx
esoterico» con una critica radicale del valore in quanto forma di una
mediazione sociale totalizzante e un «Marx essoterico» in sintonia e in
appoggio degli obbiettivi del movimento dei lavoratori del suo tempo.53 Il
Marx essoterico veniva inteso come se fosse basato su una lettura sbagliata del
potenziale radicale del proletariato del 19° secolo. Una forte tendenza nel
contesto tedesco divenne quella di rifiutare il Marx essoterico in favore del
Marx esoterico. L’idea di Marx del capitale come soggetto automatico e
inconscio rimpiazzò l’idea, che anche lui sembrò avere, di un proletariato come
soggetto della storia. La lotta di classe non viene negata in questa visione ma
vista come «immanente al sistema» — come qualcosa che si muove attraverso le
categorie — e l’abolizione delle categorie viene ricercata altrove. Secondo questa
visione Marx semplicemente sbagliò a identificarsi con il movimento dei
lavoratori, che con il senno di poi ci ha dimostrato essere un movimento per
l’emancipazione all’interno della società capitalistica e non il movimento di
abolizione di quella società. Questa tendenza è esemplificata dai gruppi della
«critica del valore» Krisis e Exit. Nonostante non usi la
distinzione esoterico/essoterico, Moishe Postone, che ha sviluppato il suo
pensiero a Francoforte nel primi anni ’70, argomenta essenzialmente in favore
dello stesso tipo di posizione. In Time,
Labor and Social Domination (Tempo,
lavoro e dominazione sociale) vede Marx offrire una «critica del lavoro nel
capitalismo» (il Marx esoterico) piuttosto che, come nel marxismo tradizionale,
una «critica dal punto di vista del lavoro» (il Marx essoterico). È
interessante rivelare che a parte il fatto di aver tolto l’attenzione dalla
classe, Postone è piú esplicito della maggior parte dei marxisti accademici
della forma valore nel dedurre le conclusioni dalla sua teoria che in termini
politici lo posiziona nell’ultrasinistra o addirittura in accordo con le tesi
della comunizzazione.54 […]
Note