28/5/16

Dalla filosofia alla concezione materialistica della storia — Appunti per una introduzione alla concezione materialistica della storia

Karl Marx
✆ Natalia Rizzo 
Antiper   |   Sul rapporto tra marxismo e filosofia sono state scritte intere biblioteche. Il “dilemma” è ricondotto alla questione, posta dai filosofi “di professione”, dell’insufficiente, nascosto, frainteso o addirittura mistificato “statuto filosofico” del marxismo. Nel parlare di marxismo e filosofia si va da chi afferma che il vero problema del marxismo è l’assenza di uno spazio filosofico specifico a chi afferma che un po’ di buona filosofia c’è, ma bisogna disseppellirla da sotto una montagna di deformazioni economicistiche, storicistiche, umanistiche, a chi sostiene che in Marx è posto in modo esauriente il problema filosofico fondamentale. E così via.

Più in generale i filosofi vogliono più filosofia. E' normale: gli economisti vogliono più economia, i sociologi più sociologia, ecc… Raramente si ricorda che una delle acquisizioni fondamentali di Marx consiste proprio nel superamento della divisione disciplinare della conoscenza (si potrebbe dire, della “divisione del lavoro nel campo della conoscenza”) e nell’inaugurazione di un nuovo approccio ai problemi filosofici, economici, storici, sociali, ecc…
«il marxismo non si lascia collocare in nessuno dei comparti tradizionali del sistema delle scienze borghesi, e anche se si intendesse approntare appositamente per esso... un nuovo comparto chiamato sociologia, esso non vi rimarrebbe tranquillamente, ma continuerebbe a uscirne per infilarsi in tutti gli altri. “Economia”, “filosofia”, “storia”, “teoria del diritto e dello Stato”, nessuno di questi comparti è in grado di contenerlo, ma nessuno di essi sarebbe al sicuro dalle sue incursioni se si intendesse collocarlo in un altro» [1].
La maggior parte dei filosofi critica “benevolmente” Marx (chi più chi meno), mentre riserva un trattamento ben diverso al povero Friedrich Engels, “reo” di un supposto scivolamento “positivistico” e della riduzione della filosofia ad epistemologia che naturalmente i filosofi non materialisti – che sono poi la gran parte dei filosofi - vedono letteralmente come fumo negli occhi. La colpa che questi filosofi non possono perdonare ed Engels (e a Marx) è quella di aver sancito la fine della filosofia come principale strumento di conoscenza
«La filosofia intera, nel senso che finora si è dato a questa parola, è finita. Si lascia correre la ‘verità assoluta’ che per questa via e da ogni singolo isolatamente non può essere raggiunta, e si da la caccia, invece, alle verità relative accessibili per la via delle scienze positive e della sintesi dei loro risultati a mezzo del pensiero dialettico. Con Hegel ha fine, in modo generale, la filosofia»  [2].
Al contrario, i filosofi preferiscono lasciar correre le “verità relative accessibili per la via delle scienze positive e della sintesi dei loro risultati a mezzo del pensiero dialettico” per correre dietro a verità più o meno “assolute” raggiunte, ovviamente, nel campo del più puro pensiero e in totale assenza di qualsiasi riscontro pratico.

C'è da dire che la rivendicazione della giovanile rottura con Hegel compiuta da Engels nel suo piccolo saggio [3] è anch'essa a tutti gli effetti un “atto filosofico” e questo vuol dire che esiste ancora uno spazio filosofico.

Il punto è che una conoscenza puramente filosofica, non supportata da altre forme di conoscenza, è una conoscenza che non conosce o che conosce solo in modo parziale ed inefficace.
La rottura con la propria antecedente concezione
Nel 1857, scrivendo l’introduzione a Per la critica dell’economia politica (che uscirà due anni dopo), Marx ricorda il periodo in cui lui ed Engels decisero di scrivere l’Ideologia tedesca
«Decidemmo di mettere in chiaro, in un lavoro comune, il contrasto tra il nostro modo di vedere e la concezione ideologica della filosofia tedesca, di fare i conti, in realtà, con la nostra anteriore coscienza filosofica. Il disegno venne realizzato nella forma di una critica alla filosofia posteriore ad Hegel» [4].
Da questa frase ricaviamo 2 elementi di riflessione. Il primo riguarda il fine (“fare i conti con la nostra anteriore coscienza filosofica”); il secondo riguarda il mezzo - e al tempo stesso l’occasione, lo spunto - (la “critica alla filosofia posteriore ad Hegel”).

Nell'Ideologia Tedesca giunge a maturazione un passaggio decisivo (quella che Althusser definirà un po' enfaticamente una vera e propria “rottura epistemologica” [5]) ovvero la comprensione che la trasformazione della società non può avvenire per effetto di una battaglia delle sole idee e che la base materiale - economica e sociale - è il vero terreno su cui si gioca ogni trasformazione.

E' necessario dunque abbandonare il terreno esclusivamente filosofico (tanto più quello di matrice idealista che fa discendere la realtà da un'Idea che si colloca “a priori”6 rispetto ad essa) per abbracciare il terreno della lotta politica. E' la prima tesi su Feuerbach:
“Il difetto principale di ogni materialismo fino ad oggi, compreso quello di Feuerbach, è che l'oggetto, il reale, il sensibile è concepito solo sotto la forma di oggetto o di intuizione; ma non come attività umana sensibile, come attività pratica, non soggettivamente. E' accaduto quindi che il lato attivo è stato sviluppato dall'idealismo in contrasto col materialismo, ma solo in modo astratto, poiché naturalmente l'idealismo ignora l'attività reale, sensibile come tale. Feuerbach vuole oggetti sensibili realmente distinti dagli oggetti del pensiero; ma egli non concepisce l'attività umana stessa come attività oggettiva. Perciò nell'Essenza del cristianesimo egli considera come schiettamente umano solo il modo di procedere teorico, mentre la pratica è concepita e fissata da lui soltanto nella sua raffigurazione sordidamente giudaica. Pertanto egli non concepisce l'importanza dell'attività "rivoluzionaria", dell'attività pratico-critica” [7]
In realtà gli studi di economia politica di Marx sono già iniziati da tempo (almeno dal primo soggiorno parigino) e hanno portato alla stesura di appunti generalmente noti come Manoscritti parigini del 1844 (successivamente definiti, appunto, “economico-filosofici”). In questi manoscritti Marx ha già maturato la propria idea fondamentale anche se la sua realizzazione pratica (i manoscritti) è ancora largamente influenzata dai temi e dai linguaggi della propria formazione filosofica. Del resto, come scrive Althusser, anche le Tesi su Feuerbach, che costituiscono “l’estremo margine anteriore” della rottura epistemologica di Marx lasciano trasparire “dentro la vecchia coscienza e dentro il vecchio linguaggio, e quindi in formule e in concetti per forza disequilibrati ed equivoci”, “la nuova coscienza teorica”.

Con l’Ideologia tedesca [8] e le Tesi su Feuerbach [9] Marx ed Engels portano a compimento la rottura con la propria antecedente concezione e cominciano ad incamminarsi verso nuova concezione: la concezione materialistica della storia. Ma per comprendere come si arriva a questo passaggio fondamentale è necessario fare alcuni passi indietro.
L'eredità di Hegel
Il rapporto di Marx (ed Engels) con Hegel è un rapporto molto significativo che segue un processo tortuoso: dall’originaria adesione, seppur fugace, si passa infatti ad una prima fase critica e, successivamente, al superamento. Si tratta, come è noto, di un superamento “in senso hegeliano” (aufhebung [10]) ovvero di un superamento-mantenimento basato su una critica dialettica del pensiero di Hegel e dei suoi discepoli “di sinistra”
«Il pensiero di Marx deve essere compreso a partire da quello di Hegel. Senza comprensione filosofica - e non soltanto storica o sistematica - della filosofia di Hegel non vi è profonda comprensione di Marx e del marxismo» [11].
«Il rapporto Hegel-Marx risulta assai complesso e oggetto di divergenti interpretazioni critiche, poiché mentre alcuni studiosi (ad esempio Lukács) hanno sottolineato soprattutto le relazioni di continuità fra i due pensatori, altri (ad esempio Althusser), hanno insistito soprattutto sui nessi di rottura» [12].
Forse è più corretto dire che quello con Hegel è un rapporto che contiene sia elementi di continuità, sia elementi di rottura, e che in definitiva non si interrompe mai
“Le prospettive interpretative emerse grazie alla pubblicazione della nuova edizione storico-critica (MEGA2) aprono nuovi orizzonti - se non altro per quanto riguarda la periodizzazione, come si è visto. Si è definitivamente preso atto dell’esistenza di una stratificazione interna anche per quanto riguarda l’interpretazione di Hegel: si sono individuate sostanzialmente due letture, la prima giovanile, direttamente influenzata dalla sinistra hegeliana e dalla temperie culturale del Vormärz; la seconda risalente al 1857, periodo in cui Marx scrive il primo grande abbozzo complessivo della teoria del modo di produzione capitalistico; Marx asserisce che rileggere la Scienza della logica gli è stato di grande aiuto per quanto riguarda il metodo (cfr. lettera a Engels del 16 gennaio 1857, in Marx, Engels, 1973, pp. 259 s.)” [13]
C'è un passo molto importante della Prefazione alla seconda edizione del Capitale in cui Marx spiega la differenza fondamentale tra la sua dialettica e quella di Hegel (che definisce mistificatrice)
“Per il suo fondamento, il mio metodo dialettico, non solo è differente da quello hegeliano, ma ne è anche direttamente l'opposto. Per Hegel il processo del pensiero, che egli, sotto il nome di Idea, trasforma addirittura in soggetto indipendente, è il demiurgo del reale, mentre il reale non è che il fenomeno esterno del processo del pensiero. Per me, viceversa, l'elemento ideale non è altro che l'elemento materiale trasferito e tradotto nel cervello degli uomini”.
Al tempo stesso, in questa stessa Prefazione Marx dichiara di aver voluto “civettare” con il linguaggio di Hegel nell'esposizione della sua teoria del valore
“Ho criticato il lato mistificatore della dialettica hegeliana quasi trent'anni fa, quando era ancora la moda del giorno. Ma proprio mentre elaboravo il primo volume del Capitale i molesti, presuntuosi e mediocri epigoni che ora dominano nella Germania colta si compiacevano di trattare Hegel come ai tempi di Lessing il bravo Moses Mendelssohn trattava lo Spinoza; come un “cane morto”. Perciò mi sono professato apertamente scolaro di quel grande pensatore, e ho perfino civettato qua e là, nel capitolo sulla teoria del valore, col modo di esprimersi che gli era peculiare. La mistificazione alla quale soggiace la dialettica nelle mani di Hegel non toglie in nessun modo che egli sia stato il primo ad esporre ampiamente e consapevolmente le forme generali del movimento della dialettica stessa. In lui essa è capovolta. Bisogna rovesciarla per scoprire il nocciolo razionale entro il guscio mistico.
Nella sua forma mistificata, la dialettica divenne una moda tedesca, perchè sembra va trasfigurare lo stato di cose esistente. Nella sua forma razionale, la dialettica è scandalo e orrore per la borghesia e pei suoi corifei dottrinari, perchè nella comprensione positiva dello stato di cose esistente include simultaneamente anche la comprensione della negazione di esso, la comprensione del suo necessario tramonto, perché concepisce ogni forma divenuta nel fluire del movimento, quindi anche dal suo lato transeunte, perché nulla la può intimidire ed essa è critica e rivoluzionaria per essenza.” [14]
 Quali sono i meriti principali che Marx riconosce ad Hegel?
«1) per aver concepito l’uomo in un'ottica storica e come risultato della propria attività, ossia come «processo di auto-generazione;
2) per aver sottolineato in tale processo auto-formativo l’importanza del lavoro;
3) per aver inteso tale processo in termini di alienazione e soppressione dell’alienazione;
4) per aver evidenziato «la dialettica della negatività come principio motore e generatore», ossia per aver intuito che la liberazione scaturisce dialetticamente dall’oppressione, in quanto l’unico modo di realizzarsi, per l’uomo, consiste nel negare le condizioni che negano il proprio essere.
Ed i principali limiti?
Tuttavia, sebbene Hegel, in tal modo, abbia colto «l’espressione astratta, logica, speculativa per il movimento della storia», i suoi limiti consistono sostanzialmente:1) nell'aver ridotto l’individuo ad «autocoscienza» o «spirito», mettendo quindi, al posto dell’uomo reale, l’essenza astratta di esso;
2) nell'aver considerato soprattutto il lavoro spirituale e «speculativo», quale si incarna nella figura del filosofo;
3) nell’aver inteso l’alienazione e la dis-alienazione come delle operazioni ideali, che si consumano a livello coscienziale e filosofico e non sul piano pratico;
4) nell'aver identificato l’alienazione con l’oggettivazione del soggetto, non rendendosi conto che ciò che aliena l’individuo non è l'oggettivazione in quanto tale, attuata tramite il lavoro, ma quell’oggettivazione negativa e disumanizzante che è propria del lavoro operaio nella società capitalistica» [15].
Invece
«se l'alienazione economica è un fatto reale, che sta alla base di tutte le altre alienazioni, soprattutto di quella politica e di quella religiosa, l’unico modo per abbatterla, secondo Marx, è l’atto reale, e non puramente pensato, della rivoluzione e dell’instaurazione del socialismo, inteso come “umanismo giunto al proprio compimento”» [16].

***

Negli anni '30 dell'800 Hegel è l'indiscussa autorità intellettuale della Germania e già prima della sua morte si produce una divisione all’interno della sua scuola tra un gruppo “accademicamente autorevole” che sostiene
«...la necessità di una conciliazione sempre più stretta fra religione e filosofia e di uno sviluppo della nota dottrina della coincidenza tra reale e razionale» [17]
ed un gruppo di giovani che
«...sostenevano la non coincidenza tra religione e filosofia, la completa autonomia di quest’ultima nonché il suo diritto a portare l’analisi e la critica in qualsiasi campo del pensiero. In campo politico negavano la razionalità del reale e l’ottimalità dell’ordine esistente, per sostenere invece il diritto-dovere della filosofia di criticare le istituzione politiche e sociali» [18]
In un articolo del 1837 David F. Strauss, che con la sua Vita di Gesù (1835) aveva avuto grande influenza nell’ambiente filosofico tedesco, riprende una dicotomia che era stata introdotta per la prima volta all'epoca della Rivoluzione Francese definendo “destra” gli accademici e “sinistra” i giovani, di cui egli stesso peraltro si considera parte.

Con il poderoso sviluppo industriale degli anni '40 anche in Germania si sviluppano le nuove classi sociali “capitalistiche”, borghesia e proletariato. La “destra” hegeliana si colloca a difesa dell'assolutismo mentre la “sinistra” diviene espressione del liberalismo borghese in ascesa.

Diversamente da quanto avviene in Francia, dove lo scontro è già apertamente politico e il proletariato trova la propria embrionale espressione politica nel “socialismo utopistico” degli Owen, dei Saint-Simon, dei Fourier, dei Proudhon... lo scontro in Germania resta confinato soprattutto al terreno filosofico e lo scontro con l'assolutismo viene portato solo in modo indiretto attraverso l'attacco alla religione che ne costituisce uno dei pilastri culturali.

Nel 1848 Marx sostiene la necessità di un'alleanza tra le istanze proletarie (che dovrebbero essere rappresentate dal nascente movimento comunista) e quelle borghesi-liberali nella realizzazione una rivoluzione democratica contro l'autocrazia. Lo strumento politico di questa alleanza dovrebbe essere un giornale, la Nuova Gazzetta Renana.

Ma la borghesia tedesca, spaventata dalla forza crescente della classe operaia, decide invece di allearsi con l'aristocrazia e non contro, ciò che conduce alla sconfitta della rivoluzione o, per meglio dire, ad una sua versione “bastarda”, in cui il ruolo politico della borghesia viene riconosciuto in alleanza e non in opposizione all'aristocrazia prussiana (la quale ha deciso opportunamente di cedere una parte per non dover cedere tutto). Un importante insegnamento anche per la storia che sarebbe venuta poi.
Il reale e il razionale
Lo scontro politico in Germania, si è detto, si manifesta nella forma dello scontro tra due diverse interpretazioni della filosofia hegeliana. Da un lato l'enfatizzazione del sistema da parte della destra; dall'altro, l'enfatizzazione del metodo da parte della sinistra. In particolare, lo scontro teoretico si concentra dalla nota assunzione di Hegel secondo cui
«Tutto ciò che è reale è razionale e tutto ciò che è razionale è reale».
 Premesso che
“...per Hegel non è il reale in senso empirico - che in tedesco è “realität” - ma è la “wirklichkeit”, cioè la storia effettiva depurata delle nostre proiezioni, che è razionale” [19]
Questo vuol dire che la razionalità del reale, per Hegel, è proprio la razionalità del processo storico così come esso si determina effettivamente, aldilà dei nostri giudizi o delle nostre aspirazioni.

La destra interpreta l’affermazione di Hegel come una sorta di legittimazione per via filosofica dell’assolutismo tedesco e della religione cristiana, ovvero dei due elementi che più di ogni altro caratterizzano la “realtà” tedesca a cavallo tra ‘700 e ‘800.

Engels dirà
«Questa era manifestamente, infatti, l’approvazione di tutto ciò che esiste, la consacrazione filosofica del dispotismo…» [20]
La sinistra, invece, usa Hegel per indirizzare la propria battaglia culturale soprattutto contro la religione (non avendo la forza politica e sociale per puntare direttamente contro lo Stato) e non a caso gli autori giovane-hegeliani si misurano prevalentemente con il terreno teologico.

Aldilà del tentativo di dare ad Hegel addirittura patenti di anti-capitalismo (Preve, Fusaro), la verità è che, nonostante la simpatia mai rinnegata verso alcuni aspetti della Rivoluzione Francese, Hegel non è molto amante delle rivoluzioni e specialmente di quelle più radicali
“Le rivoluzioni liberali in Francia e in Belgio lo riempiono di orrore, ma a Berlino riesce a tenere lontane dall'università tutte le agitazioni politiche: egli si attiene ancora scrupolosamente ai Decreti di Karlsbad, i decreti statali che hanno stabilito lo scioglimento delle corporazioni studentesche, la censura sulla stampa e il controllo sulle università” [21]
Del resto Hegel non fa mistero della sua preferenza verso la Monarchia che, nella forma Costituzionale, considera addirittura l'insuperabile (assoluta) forma istituzionale
“La monarchia costituzionale come meta della storia. - Il perfezionamento dello Stato a monarchia costituzionale è l'opera del mondo moderno, nel quale l'Idea sostanziale ha guadagnato la forma infinita” [22].
Secondo Hegel la monarchia costituzionale è l’unione del principio monarchico, di quello aristocratico e del democratico [*]” [23]
Non è per caso, dunque, che lo Stato prussiano decida di elevare la filosofia di Hegel al rango di “filosofia di stato” facendo in modo che i suoi discepoli di destra assumano la guida di quasi tutte le università tedesche.

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Prima domanda: cosa intende Hegel quando afferma che “il reale è razionale”?

Secondo la “filosofia della storia” hegeliana “la ragione governa il mondo” e la storia del mondo è un percorso ininterrotto di salita dagli stadi più arretrati a quelli più avanzati della razionalità umana, un percorso indirizzato verso il raggiungimento dell'Idea Assoluta.
“L'esposizione più compiuta si trova nelle Lezioni sulla filosofia nella storia, che furono edite da Eduard Gans e dal figlio, Karl Hegel. Hegel afferma una tesi davvero singolare: “La ragione governa il mondo”. E spiega: siccome la storia è opera dello spirito oggettivo, quindi dello stesso Assoluto, e sappiamo che questo non può agire che in modo razionale, ecco la dimostrazione. Anche quando si verifica un male, dice Hegel, si tratta solo di un male transitorio e necessario, perché anch'esso concorre alla realizzazione di un bene maggiore. L'idea di un progresso lineare, tipica dell'illuminismo, viene qui sostituita da quella di un progresso dialettico, che contiene sempre un lato negativo necessario.
“Noi vediamo - scrive Hegel - un enorme quadro di eventi e di azioni, di infinitamente varie formazioni di popoli, stati, individui, in un succedersi instancabile... dappertutto vengono proposti e perseguiti fini... Diffuso su tutti questi eventi e casi noi vediamo un umano agire e soffrire, una realtà nostra dovunque e perciò dovunque una inclinazione o un'avversione del nostro interesse... Talora vediamo il più vasto corpo di un interesse generale procedere con maggiore difficoltà, e disgregarsi lasciato in preda ad infinito complesso di piccoli rapporti; talora vediamo nascere il piccolo da un enorme dispiegamento di forze, e l'enorme da ciò che appariva insignificante... e se una vien meno, ecco che un'altra ne prende il posto”.
Hegel prosegue, asserendo che la prima categoria che impariamo
“osservando la vicenda di individui, popoli e stati, che per un certo tempo esistono... e quindi scompaiono, è la categoria del mutamento”. “A questa categoria del mutamento è però senz'altro connesso anche l'altro motivo, che dalla morte sorge nuova vita”.”.  [24]
 Si potrebbe dire così: la realtà che abbiamo di fronte è sempre razionale e si è realizzata perché non poteva che realizzarsi. E il razionale è bene perché anche quando ci sembra che si manifesti un male in realtà esso prepara un nuovo bene.
“Ciò però che è necessario si rivela in ultima istanza anche come razionale, e applicata allo Stato prussiano di allora la tesi di Hegel significa soltanto: questo Stato è razionale, questo Stato corrisponde alla ragione, nella misura in cui è necessario; e se esso ci appare cattivo e ciò nonostante continua ad esistere, benché sia cattivo, la cattiva qualità del governo trova la sua giustificazione e la sua spiegazione nella corrispondente cattiva qualità dei sudditi. I prussiani d’allora avevano il governo che si meritavano” [25]
Ma il giustificazionismo di Hegel per ciò che esiste proprio in quanto e solo esiste, non si ferma qui e conduce Hegel a stabilire che in ogni guerra vince sempre quello che ha le idee migliori (e quindi è giusto che vinca); così, quella che Marx chiama “ideologia dominante” non domina ideologicamente in quanto ideologia della classe che domina materialmente, ma in quanto “spirito dei tempi” (Zeitgeist), interprete più genuina della realtà storica. Si potrebbe dire che qualsiasi sia l'evoluzione del reale, per Hegel è del tutto indifferente: è sempre l'esito più giusto, l'esito più razionale.

Questo approccio può forse aiutarci a capire come mai molti tedeschi abbiano accettato l'Olocausto senza ribellarsi. Oppure potrebbe indurci a ritenere che l'Olocausto, per proseguire con l'esempio, fu un “male” per gli ebrei degli anni '40 che tuttavia preparò il “bene” per gli ebrei dopo gli anni '40 in quanto costituì il fondamento di quel Grande rimorso occidentale che avrebbe poi condotto alla concessione della Terra Promessa di Israele.

E naturalmente potremmo proseguire dicendo che il bene degli ebrei fu “dialetticamente” il male dei palestinesi a cui la terra fu tolta. E anche dire che se i palestinesi venissero tutti uccisi dagli ebrei questo potrebbe essere visto come un male (soprattutto dai palestinesi), ma anche come un bene (per gli ebrei, che potrebbero stare più comodi nella terra ormai diventata loro). E così via: gli esercizi di dialettica sono ovviamente infiniti.

Si potrebbe infine concludere (qui non più hegelianamente, bensì marxianamente) che in un mondo diviso in classi il bene di una classe è il male dell'altra. E viceversa.

Nella filosofia della storia hegeliana non è la storia ad essere il prodotto degli uomini (secondo il principio che fonda la concezione materialistica della storia); al contrario, secondo la concezione idealistica della storia, sono gli uomini ad essere il prodotto della storia la quale segue un processo di sviluppo segnato fin dall'origine. Anche quando ci appare il contrario, la storia ha una sua propria razionalità e muove, sia pure dialetticamente, verso il progresso, verso la Ragione Assoluta, e questo movimento è fatto anche di contraddizioni che finiscono poi per costituirne il vero motore.

Dal momento che la storia ha già una propria razionalità, non c'è alcun bisogno di introdurre altra razionalità attraverso la nostra prassi. È inutile impegnarsi per modificare l'esistente: sarà la storia a farlo dopo che avrà fatto il suo corso. In termini hegeliani: ciò che oggi non esiste – non è reale – non è razionale (non può che non esistere). Ma magari diventerà reale (e dunque razionale) domani.

Tutto questo potrebbe essere interpretato anche come una variante storicistica dell'imperscrutabilità del “disegno divino”. Se nella classica domanda “perché, se Dio è buono e misericordioso, lascia che bambini innocenti muoiano di fame, malattie e guerre?” e nella classica risposta “il disegno del Signore è imperscrutabile e non possiamo conoscerlo, ma è volto al bene” si sostituisce l'Idea di Hegel a Dio si può tranquillamente procedere con fame, malattie e guerre. Tanto “è un male che prepara il bene”. Per inciso, ci si potrebbe domandare come possiamo dire che il disegno di Dio è volto al bene se non lo conosciamo. Ma fermiamoci qui.

***

Hegel sembra pensare che non esiste una realtà fuori da un io razionale. Addirittura che nulla possa essere reale che non sia razionale, pensabile razionalmente, che non sia Idea
“la filosofia al contrario garantisce il giudizio che nulla è reale se non l'idea.” [26]
Anche se gli assomiglia, non è una posizione “schopenhaueriana” (il mondo non esiste, esistono solo rappresentazioni del mondo, necessariamente “soggettive”). Si tratta in ogni caso di una posizione idealistica che si contrappone alla posizione materialistica adottata da Marx per la quale esiste un reale che è indipendente da noi (diciamo, un oggetto che prescinde dal soggetto che lo pensa) e persino dalla nostra stessa conoscenza della sua esistenza (in fondo, gli atomi esistevano anche quando nessuno sapeva ancora che esistessero).

Un'applicazione della razionalità del reale Hegel la offre a proposito dello Stato vigente del quale intende spiegare la razionalità, più che l'auspicabilità
“Così dunque questo trattato, in quanto contiene la scienza dello stato, dev’essere nient’altro che il tentativo di comprendere e di esporre lo stato come un qualcosa entro di sé razionale. Come scritto filosofico esso non può far altro che essere lontanissimo dal dover costituire uno stato come dev’essere; l’insegnamento che in tale scritto può risiedere, non può tendere ad insegnare allo stato com’esso dev’essere, bensì piuttosto com’esso, l’universo etico, deve venir conosciuto” [27]
Ma Marx la pensa in modo diverso
“Hegel non è da criticare perché descrive l’essenza dello Stato moderno, come essa è, ma perché egli presenta ciò che è, per l’essenza dello Stato. Il fatto che il razionale è reale, ha la sua prova proprio nella contraddizione dell’irrazionale realtà che in ogni luogo è l’opposto di ciò che essa asserisce ed asserisce l’opposto di ciò che essa è” [28].
Metodo e sistema
Nella sua analisi del contributo filosofico di Hegel, Engels evidenzia la contraddizione tra metodo e sistema ovvero il contrasto tra la natura intrinsecamente non dogmatica del metodo e invece la natura dogmatica del sistema filosofico hegeliano
«E ciò pel semplice motivo che egli era costretto a costruire un sistema; e un sistema di filosofia, secondo le esigenze tradizionali, deve conchiudersi con una specie qualunque di verità assoluta» [29]
Hegel, scegliendo di costruire un sistema capace di produrre una “verità assoluta” (l'“Idea assoluta”) finisce per violare il proprio stesso metodo anti-dogmatico nel quale ogni verità (tesi) può e deve essere confutata (antitesi) per addivenire, diciamo così, ad una verità ancora “più vera”.
«Ma alla fine di tutta la filosofia un cosiffatto ritorno al punto di partenza è possibile solo per una via, cioè facendo consistere la fine della storia nel fatto che il genere umano giunge alla conoscenza precisamente di questa idea assoluta, e dichiarando che questa conoscenza dell’idea assoluta è raggiunta nella filosofia hegeliana. Ma con ciò si dichiara verità assoluta tutto il contenuto dogmatico del sistema hegeliano, in contraddizione col suo metodo dialettico, che dissolve ogni elemento dogmatico; in questo modo il lato rivoluzionario viene soffocato da una ipertrofia del lato conservatore. E ciò che vale per la conoscenza filosofica, vale anche per l’attività pratica storica» [30].
Giungendo alla “verità assoluta” Hegel mette fine allo scopo stesso della filosofia che è il perseguimento della sempre maggiore conoscenza della verità. E dunque, anche se può apparire paradossale, è proprio la definizione di un sistema chiuso e completo a produrre una sorta di fine della (storia della) filosofia
 «In tutti i filosofi l’elemento caduco è proprio il “sistema” e precisamente perché emana da un bisogno imperituro dello spirito umano, il bisogno di rimuovere tutte le contraddizioni. Ma rimosse che siano, una volta per sempre, tutte le contraddizioni, siamo arrivati alla cosiddetta verità assoluta, la storia universale è finita, eppure bisogna che essa prosegua, sebbene non le resti più niente da fare; il che è una nuova, insuperabile contraddizione” [31].
“La filosofia intera, nel senso che finora si è dato a questa parola, è finita. Si lascia correre la ‘verità assoluta’ che per questa via e da ogni singolo isolatamente non può essere raggiunta, e si da la caccia, invece, alle verità relative accessibili per la via delle scienze positive e della sintesi dei loro risultati a mezzo del pensiero dialettico. Con Hegel ha fine, in modo generale, la filosofia» [32].
Questo passo spiega i motivi d'odio dei filosofi nei confronti di Friedrich Engels il quale, con una certa qual decisione, decreta il proprio congedo dalla filosofia in quanto strumento principe della conoscenza umana e si dice convinto che lo spazio della filosofia venga ormai a coincidere sostanzialmente con quello dell'epistemologia e con la sintesi, attraverso la dialettica, dei risultati conseguiti dalle scienze positive (economia, antropologia, storia, scienze sociali, scienze naturali, ecc…).

La filosofia è sempre più solo uno degli strumenti del sapere dell'uomo; spesso, neppure il più importante. Si tratta certamente di un passaggio radicale che forse può essere letto in modo più morbido tenendo conto di alcuni elementi:
— La ricerca della verità non può realizzare il proprio obbiettivo attraverso la sola speculazione filosofica, ma è indispensabile l'apporto sempre più decisivo delle conoscenze scientifiche.— La verità assolute esistono, come pensa Hegel, ma sono spesso irraggiungibili e devono essere pensate come asintoti ai quali tendere progressivamente attraverso verità relative sempre più accurate.— A differenza del sistema hegeliano, in cui il raggiungimento dell'Idea Assoluta costituisce necessariamente la fine della storia (e soprattutto della filosofia, che avendo ormai raggiunto il suo obbiettivo non avrebbe più nulla da fare), con la concezione materialistica la storia non finisce mai.
La nottola di Minerva
Per Hegel, la filosofia ha solo la funzione di analizzare, comprendere e giustificare (alla luce della razionalità del reale) ciò che è già avvenuto e non di prefigurare ciò che ancora non è avvenuto
«Del resto, a dire anche una parola sulla dottrina di come dev’essere il mondo, la filosofia arriva sempre troppo tardi. Come pensiero del mondo, essa appare per la prima volta nel tempo, dopo che la realtà ha compiuto il suo processo di formazione ed è bell’e fatta. Questo, che il concetto insegna, la storia mostra, appunto, necessario: che, cioè, prima l’ideale appare di contro al reale, nella maturità della realtà, e poi esso costruisce questo mondo medesimo, colto nella sostanza di esso, in forma di regno intellettuale. Quando la filosofia dipinge a chiaroscuro, allora un aspetto della vita è invecchiato, e, dal chiaroscuro, esso non si lascia ringiovanire, ma soltanto riconoscere: la nottola di Minerva inizia il suo volo sul far del crepuscolo» [33].
Per Hegel la filosofia arriva alla “fine della giornata”, quando la realtà del giorno ha già avuto corso. E quindi la funzione della filosofia non può essere quella di indirizzare le cose del mondo, ma solo quella di ricapitolare gli insegnamenti che l'evoluzione del reale ci consegna, di interpretare il mondo.
«Paragonando la filosofia alla civetta di Minerva Hegel intende sottolineare che la filosofia non può dire qualcosa di astratto sul futuro, perché è piuttosto un soppesare ed un riflettere su quello che c’è, su quanto ci proviene dal passato. La filosofia è quindi un tentativo di impadronirsi della situazione storica, di far propria la situazione sociale, culturale che è ora diventata la nostra. Ma questo non significa però che non possiamo dire assolutamente nulla sul futuro, anche perché nel presente ci sono tensioni che richiedono una soluzione, ci sono difficoltà che già offrono prospettive di soluzione e quindi a partire dal presente possiamo già avanzare delle congetture sul futuro, anche se è poi impossibile passare dalla supposizione ancora oscura ad una visione concettuale precisa e distinta dell’avvenire» [34].
Dunque si tratta solo di spiegare lo sviluppo del reale evidenziandone la razionalità, non certo di trasformarlo.
«Una volta appurato che la realtà è ragione, e che tutto ciò che avviene è razionale, si tratta di stabilire qual è il compito della filosofia. Hegel lo riscontra nel semplice prendere atto della realtà quale è, e non deve prefiggersi di trasformare la realtà, come dirà Marx. La filosofia, essendo la più alta e compiuta manifestazione dell’Assoluto, non può essere presente in ogni stadio del pensiero umano, ma solo alla fine del percorso, quando la realtà è già compiuta e non vi è più nulla da trasformare. Ecco dunque che la filosofia altro non deve se non giustificare perché la realtà è strutturata in questo modo, e dimostrarne la razionalità, elaborandone i concetti. La filosofia secondo Hegel è la "nottola di Minerva" che scende sul mondo a giorno fatto e da senso a ciò che è stato» [35].
Difficile misurare una differenza più radicale con la prima delle tesi su Feuerbach
«I filosofi hanno solo interpretato il mondo in modi diversi; si tratta però di mutarlo» [36].
La critica della “critica critica” e Feuerbach
Dopo una prima fase Marx ed Engels cominciano a distaccarsi dall'approccio giovane-hegeliano e attraverso una serie di passaggi sempre più precisi (e attraverso alcuni testi fondamentali come la Sacra famiglia, l’articolo sulla Questione ebraica, la seconda e la terza parte dell’Ideologia tedesca) consumano il proprio distacco non solo da Hegel o da qualcuna delle sue scuole, ma dall'intera impostazione idealistica.

Il punto di svolta è l'apparizione sulla scena filosofica dell'Essenza del cristianesimo di Ludvig Feuerbach.

È nota la grande influenza esercitata da Feuerbach su Marx, Engels ed altri ambienti dell’intellettualità tedesca
«Allora apparve l’Essenza del cristianesimo di Feuerbach. D’un colpo essa ridusse in polvere la contraddizione, rimettendo sul trono senza preamboli il materialismo. La natura esiste indi­pendentemente da ogni filosofia; essa è la base sulla quale siamo cresciuti noi uomini, che siamo pure prodotti della natura; oltre alla natura e agli uomini, non esiste nulla, e gli esseri più elevati che ha creato la nostra fantasia religiosa sono soltanto il riflesso fantastico del nostro proprio essere. L’incanto era rotto; il «sistema» era spezzato e gettato in un canto; la contraddizione era rimossa, in quanto esistente soltanto nell’immaginazione. Bisogna aver provato direttamente l’azione liberatrice di questo libro, per farsi un’idea di essa. L’entusiasmo fu generale: in un momento diventammo tutti feuerbachiani. Con quale entusiasmo Marx salutasse la nuova concezione e quanto ne fosse influenzato, - malgrado tutte le riserve critiche, - lo si può vedere leggendo La sacra famiglia» [37].
Ma ben presto anche la concezione materialistica di Feuerbach si rivelerà troppo angusta.

Inizia così un percorso di critica che si concluderà nel biennio 1846-47 con la stesura dell’Ideologia tedesca e delle Tesi su Feuerbach. Quello che si completa non è un “semplice” distacco da una particolare concezione filosofica (idealismo hegeliano o materialismo feuerbachiano); è, piuttosto, il definitivo abbandono della metafisica e il definitivo distacco dalla filosofia intesa come suprema via per il raggiungimento della verità
«La questione se al pensiero umano appartenga una verità oggettiva non è una questione teorica, ma pratica. È nell’attività pratica che l’uomo deve dimostrare la verità, cioè la realtà e il potere, il carattere terreno del suo pensiero. La disputa sulla realtà o non-realtà di un pensiero che si isoli dalla pratica è una questione puramente scolastica» [38].
Anni dopo Engels dirà:
«In entrambi i casi il materialismo moderno è essenzialmente dialettico e non ha più bisogno di una filosofia che stia al di sopra delle altre scienze. Dal momento in cui si esige da ciascuna scienza particolare che essa si renda conto della sua posizione nel nesso complessivo delle cose e della conoscenza delle cose, ogni scienza particolare che abbia per oggetto il nesso complessivo diventa superflua. Ciò che quindi resta ancora in piedi, autonomamente, di tutta quanta la filosofia che si è avuta sino ad ora è la dottrina del pensiero e delle sue leggi, cioè la logica formale e la dialettica. Tutto il resto si risolve nella scienza positiva della natura e della storia» [39]
Era inevitabile che una conclusione di questo tipo (“Tutto il resto si risolve nella scienza positiva della natura e della storia”) dovesse suscitare molte accuse, specialmente di positivismo.

Ed effettivamente Engels mostra di avere una grande fiducia nelle scienze. Per lui, nel momento in cui le discipline scientifiche incorporano un contenuto filosofico (nel senso che sono portate a interrogare sé stesse in merito ai propri fondamenti epistemologici e nel senso che sono portate a collocarsi rispetto al “nesso complessivo delle cose e della conoscenza”) una filosofia come disciplina a sé stante finisce per perdere di senso.

L'adozione di un approccio materialistico e dialettico diventa il fondamento di una nuova filosofia della storia: posto che le idee sono il prodotto della realtà la storia delle idee viene ricondotta, sia pure a livello macroscopico, alla storia del modo in cui gli uomini hanno riprodotto la propria esistenza ovvero alla storia dei modi di produzione e riproduzione dell’esistenza umana.
«Gli ideologi idealisti ritengono che le idee, la morale, la religione, la filosofia… abbiano una esistenza e uno sviluppo indipendenti dalle condizioni di vita materiali, e che possano influire in misura determinante sulla storia. In realtà la produzione delle idee è direttamente intrecciata all’attività materiale e alle relazioni materiali degli uomini, delle quali le idee non sono che una emanazione più o meno immediata.
…ogni concezione puramente ideologica, che non si renda conto dei presupposti reali da cui è determinata, non può far altro che muoversi inconsapevolmente sulla base di quei presupposti che vengono quindi accettati e giustificati» [40].
«La concezione materialistica della storia deve invece risalire aldilà di tutte le interpretazioni ideologiche e di tutte le forme politiche e giuridiche che si sono avute finora e assumere come suoi presupposti gli individui storici, non individui astratti o ideali, che vivono in società e in condizioni di esistenza di volta in volta determinate. Gli uomini producono innanzitutto la loro vita materiale.
… L’ambiente crea l’uomo nella stessa misura in cui l’uomo crea l’ambiente…
… tutte queste lotte pratiche e ideologhe non sono altro che le forme illusorie nelle quali vengono condotte le lotte reali delle diverse classi» [41].
Ecco allora che diventa chiaro il “rovesciamento di Hegel” di cui si è tante volte parlato. Non sono le idee che producono la realtà, ma è la realtà che produce le idee. E questa produzione non avviene “in vitro”, ma all'interno di ben precise esperienze di carattere sociale e culturale.
“I presupposti da cui muoviamo non sono arbitrari, non sono dogmi. Sono presupposti reali, dai quali si può astrarre solo nell’immaginazione. Essi sono gli individui reali, la loro azione e le loro condizioni materiali di vita, tanto quelle che essi hanno trovato già esistenti quanto quelle prodotte dalla loro stessa azione. Si possono distinguere gli uomini dagli animali per la coscienza, per la religione, per tutto ciò che si vuole; ma essi cominciarono a distinguersi dagli animali allorché cominciarono a produrre i loro mezzi di sussistenza, un progresso che è condizionato dalla loro organizzazione fisica. Producendo i loro mezzi di sussistenza, gli uomini producono indirettamente la stessa loro vita materiale. Individui determinati che svolgono un’attività produttiva secondo un modo determinato entrano in questi determinati rapporti sociali e politici”.
“L’insieme di questi rapporti di produzione costituisce la struttura economica della società, ossia la base reale sulla quale si eleva una sovrastruttura giuridica e politica e alla quale corrispondono determinate forme sociali della coscienza. La produzione delle idee, delle rappresentazioni, della coscienza, è direttamente intrecciata all’attività materiale degli uomini, linguaggio della vita reale. Finora gli uomini si sono sempre fatti idee false intorno a se stessi, intorno a ciò che essi sono o devono essere. In base alle loro idee, essi hanno regolato i loro rapporti. I parti della loro testa sono diventati più forti di loro. Come non si può giudicare un uomo dall’idea che egli ha di se stesso, così non si può giudicare un’epoca di sconvolgimento dalla coscienza che essa ha di se stessa; occorre invece spiegare questa coscienza con le contraddizioni della vita materiale, con il conflitto esistente tra le forze produttive della società e i rapporti di produzione. D’altronde è del tutto indifferente quel che la coscienza si mette a fare per conto suo: questi tre momenti – la forza produttiva, la situazione sociale e la coscienza – possono e debbono entrare in contraddizione tra di loro” [42]
Note
[1] Karl Korsch, Marxismo e filosofia, Sugar, Milano, 1968, pagina 87. Cit. in Nicola Abbagnano, Storia della filosofia, Vol. 3, Cap.10, Marx.
[2] Friedrich Engels, Ludovico Feuerbach e il punto di approdo della filosofia classica tedesca, Autoproduzioni, 2013, pag. 9. http://www.filosofia.it/images/download/ebook/Engels_su_Feuerbach1888.pdf
[3] Il Ludovico Feuerbach.
[4] Karl Marx, Introduzione del 1857 a Per la critica dell’economia politica.
[5] Louis Althusser, Per Marx, Mimesis, 2008, pag. 33: “Che cosa ne è della filosofia marxista? Ha teoricamente diritto all’esistenza? E se esiste il diritto, come definirne la specificità? Nella pratica questo problema essenziale si trovava inserito in un problema apparentemente storico, ma in realtà teorico: il problema della lettura e dell’interpretazione delle opere giovanili di Marx. Non è un caso se sembrò indispensabile sottoporre a un esame critico serio questi testi famosi, che erano stati sbandierati e utilizzati da tutti, questi testi apertamente filosofici in cui avevamo creduto, più o meno spontaneamente, di leggere la filosofia di Marx in persona. Porre il problema della filosofia marxista e della sua specificità a proposito delle opere giovanili di Marx significava per forza porre il problema dei rapporti tra Marx e le filosofie che egli aveva adottato o attraversato, quelle di Hegel e di Feuerbach, vale a dire porre il problema della sua differenza. Fu appunto lo studio delle opere giovanili di Marx a spingermi inizialmente alla lettura di Feuerbach e alla pubblicazione dei suoi testi teorici più importanti del periodo 1839-45... La medesima ragione doveva poi condurmi per forza di cose a studiare, nel particolare dei loro rispettivi concetti, la natura dei rapporti tra la filosofia di Hegel e la filosofia di Marx. Il problema della differenza specifica della filosofia marxista assunse così una forma tale da chiedersi se esisteva o no, nello sviluppo intellettuale marxiano, una rottura epistemologica tale che segnasse il sorgere di una nuova concezione della filosofia, e il problema correlativo del punto preciso di questa rottura. Nel campo di questo problema, lo studio delle opere giovanili di Marx assunse un’importanza teorica (esistenza della rottura?) e storica (luogo della rottura?) decisive. È chiaro che, per asserire l’esistenza di una rottura e definire il luogo, non poteva trattarsi di accettare, se non come dichiarazione da dimostrare, invalidare o confermare, la famosa frase in cui Marx afferma questa rottura (“fare i conti con la nostra anteriore coscienza filosofica”) collocandola così nel 1845 in corrispondenza dell’Ideologia tedesca. Per provare i titoli di validità di questa dichiarazione c’era bisogno di una teoria e di un metodo: c’era bisogno di applicare a Marx stesso i concetti teorici marxistici in cui può venire pensata in generale la realtà delle formazioni teoriche (ideologia, filosofia, scienza). Senza la teoria di una storia delle formazioni teoriche, non si potrebbe in effetti cogliere e definire la differenza specifica che distingue due formazioni teoriche diverse. A questo scopo, ho creduto di poter riprendere da Jacques Martin il concetto di problematica per designare l’unità specifica di una formazione teorica e di conseguenza fissare il luogo di questa differenza specifica, e da Gaston Bachelard il concetto di “rottura epistemologica” per significare il mutamento avvenuto nella problematica teorica, contemporaneo alla fondazione di una disciplina scientifica. Che fosse necessario costruire un concetto e prenderne a prestito un altro, non implica affatto che questi due concetti fossero arbitrari o estranei a Marx; al contrario, anzi, si può dimostrare che sono presenti e operanti nel pensiero scientifico marxiano, anche se la loro presenza resta il più delle volte allo stato pratico. Con questi due concetti mi ero concesso quel minimo di teoria indispensabile a consentire un’analisi pertinente del processo di trasformazione teorica del giovane Marx e a giungere a una qualche conclusione precisa. Mi sia consentito riepilogare qui, in forma estremamente sommaria, alcuni risultati di uno studio che si protrasse lunghi anni e di cui i testi che pubblico sono soltanto testimonianze parziali.
1) Una “rottura epistemologica” senza equivoci è chiaramente presente nell’opera di Marx, laddove Marx stesso la colloca, nell’opera non pubblicata mentre era ancora in vita, che costituisce la critica della sua antica coscienza filosofica (ideologica): L’ideologia tedesca. LeTesi su Feuerbach, che non sono che poche frasi, segnano l’estremo margine anteriore di questa rottura, il punto in cui, dentro la vecchia coscienza e dentro il vecchio linguaggio, e quindi in formule e in concetti per forza disequilibrati ed equivoci, traspare già la nuova coscienza teorica.
2) Questa “rottura epistemologica” riguarda congiuntamente due discipline teoriche distinte. Creando la teoria della storia (materialismo storico) Marx, con un unico e medesimo gesto, aveva rotto con la sua coscienza filosofica ideologica anteriore e gettato le basi di una nuova filosofia (materialismo dialettico). Riprendo appositamente la terminologia consacrata dall’uso (materialismo storico, materialismo dialettico), per designare in una sola rottura questa duplice creazione”.
[6] A priori, proprio in senso kantiano, ovvero a prescindere dall'esperienza.
[7] Karl Marx, Tesi su Feuerbach, I, 1846.
[8] Scritta nel 1846 e pubblicata nel 1932, come i Manoscritti del ‘44.
[9] Scritte nel marzo 1845 e pubblicate nel 1886 da Engels nella rivista di Kautsky, Neue Zeit.
[10] Cfr. Dizionario di Filosofia, Treccani, Aufhebung: “Con questo termine Hegel esprime il carattere peculiare del processo dialettico, il quale «nega», «supera» un momento, una categoria, ecc., e, al tempo stesso, lo «eleva» e «conserva» in un ulteriore momento, in un’ulteriore categoria, che quindi ne è l’inveramento e il completamento. La negazione dialettica di un momento ne annulla dunque soltanto l’immediatezza, e in effetti lo riafferma e lo compie in un grado superiore di svolgimento”.
[11] Kostas Axelos, Marx pensatore della tecnica, Sugar, Milano 1963, pagina 433. Cit. in Nicola Abbagnano, Storia della filosofia, Vol.3, Cap.10 “Marx”, 3. La critica al “misticismo logico” di Hegel.
[12] Nicola Abbagnano, Storia della filosofia, Vol. III, Cap.10, “Marx”, 3. La critica al “misticismo logico” di Hegel.
[13] Roberto Fineschi, Marx e Hegel, Carocci, 2006, pag. 17.
[14] Karl Marx, Il Capitale, Editori Riuniti, 1980, Pag.44.
[15] Nicola Abbagnano, Storia della filosofia, Vol. III, Cap.10, “Marx”, 5. La critica dell’economia borghese e la problematica dell’alienazione.
[16] Nicola Abbagnano, Storia della filosofia, Vol. III, Cap.10, “Marx”, 5. La critica dell’economia borghese e la problematica dell’alienazione.
[17] Sergio Moravia, Introduzione a Marx. Scritti filosofici giovanili, pag. XIV, Fabbri editore.
[18] Ibidem.
[19] Remo Bodei, Hegel e la dialettica, Il caffé filosofico, 0:47:01
[20] Friedrich Engels, Ludovico Feuerbach e il punto di approdo della filosofia classica tedesca, in Marx-Engels, Opere scelte, pag. 1105, Editori Riuniti.
[21] Diego Fusaro, Hegel. Cronologia della vita e delle opere, www.filosofico.net.
[22] Hegel, Lineamenti di filosofia del Diritto, III Eticità, III Stato, Bompiani, 2006, pag. 463.
[*] Riferimento a Montesquieu: virtù principio della democrazia, moderazione dell’aristocrazia, onore della monarchia feudale. (pp. 467-469).
[23] Sintesi dei Lineamenti della Filosofia del Diritto di Hegel, A cura di Carla Maria Fabiani, www.filosofico.net
[24] Renzo Grassano, Hegel. Lo Stato e la storia universale, filosofico.net.
[25] Friedrich Engels, Ludovico Feuerbach e il punto di approdo della filosofia classica tedesca.
[26] G.W.F. Hegel, Lineamenti di filosofia del diritto, Prefazione, Laterza, 1974, pag. 17.
[27] G.W.F. Hegel, Lineamenti di filosofia del diritto, a cura di G. Marini, Roma-Bari 2001 (1999), pag. 15. (cit. in Carla Maria Fabiani, Der Pöbel in Hegel, www.dialetticaefilosofia.it, 2007).
[28] K. Marx, Critica del diritto statuale hegeliano, trad., cura e commentario di R. Finelli e F.S. Trincia, Roma 1983, pag. 136. (cit. in Carla Maria Fabiani, Der Pöbel in Hegel, www.dialetticaefilosofia.it, 2007).
[29] Friedrich Engels, op.cit..
[30] Friedrich Engels, op.cit..
[31] Friedrich Engels, op.cit..
[32] Friedrich Engels, op.cit..
[33] Hegel, Lineamenti di filosofia del diritto, Laterza, Bari, 1965, pagg. 14-17.
[34] Adriaan Theodor Peperzak, La filosofia del diritto di G.W.F. Hegel, Enciclopedia multimediale delle scienze filosofiche, http://www.emsf.rai.it/scripts/interviste.asp?d=255
[35] Il pensiero di Hegel, Wikipedia
[36] Karl Marx, XI tesi su Feuerbach.
[37] Friedrich Engels, Ludovico Feuerbach e il punto di approdo della filosofia classica tedesca, Autoproduzioni, 2004
[38] Karl Marx, Tesi su Feuerbach, II.
[39] Friedrich Engels, Antidühring in Marx-Engels, Opere scelte, Editori Riuniti, Roma, 1969, pagg. 998-999
[40] Marx-Engels, La concezione materialistica della storia, Editori Riuniti, pag. 23.
[41] Ibidem, pag.24.
[42] Marxpedia.wikidot.com, Karl Marx, Friedrich Engels, da Ideologia tedesca (1846), I, passim, e da Prefazione a Per la critica dell’economia politica (1859)
http://www.antiper.org/
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