8/2/16

Le undici tesi su Feuerbach di Marx, secondo Ernst Bloch

Karl Marx ✆ David Levine 
«Per la prima volta lo spirito è diventato tanto potente, finalmente capisce quello che è diventato; proprio perché si è spogliato della sua natura precedente, spesso falsamente sublime. Perché lo spirito è diventato un canto veramente politico, e finalmente è uscito dal passato e dal contemplato per farsi al presente. Per di più al presente di quell’epoca che non ammetteva lo spirito come etere, ma che lo utilizzava come potere materiale» Ernst Bloch, Il principio speranza.
Ernst Bloch ✆ David Levine

Nicola Boidi    |    Ernst Bloch, il fenomenologo delle passioni di attesa – tra cui emerge come la più potente di tutte la speranza– il filosofo dello spirito dell’utopia concreta, individua nell’opera del giovane Marx nel suo complesso, con incastonata al centro come sua gemma le Undici Tesi su Feuerbach, quella che egli definisce «una nuova differente pulsione di pensiero», «una nuova differente direzione per la filosofia» rispetto a tutta la tradizione precedente. In che cosa consiste questa nuova pulsione filosofica? In quella che Bloch «scolpisce» con le seguenti parole: «Per la prima volta lo spirito è diventato tanto potente, finalmente capisce quello che è diventato; proprio perché si è spogliato della sua natura precedente, spesso falsamente sublime. Perché lo spirito è diventato un canto veramente politico, e finalmente è uscito dal passato e dal contemplato per farsi al presente. Per di più al presente di quell’epoca che non ammetteva lo spirito come etere , ma che lo utilizzava come potere materiale».

Al di là tale formulazione poetica, ispirata, «medianica», il compito nuovo e inaudito che Bloch vede assegnare dal giovane Marx alla filosofia, la nuova natura di «canto finalmente politico» che la filosofia assume, è riassunta in modo paradigmatico dalla celebre Tesi 11 su Feuerbach: « I filosofi hanno solo diversamente interpretato il mondo, ma si tratta di trasformarlo».
Tanto si è detto, scritto, interpretato e anche ingenuamente o intenzionalmente frainteso su questa celeberrima Tesi 11 e sulla distinzione e sulla precisa relazione da essa intesa tra il ruolo della teoria e quello della prassi. Essa è la parola d’ordine, il cardine su cui ruota l’intero complesso dottrinario sintetizzato dalle Tesi su Feuerbach. Ma perché si esca da qualsiasi genere di ambiguità, di fraintendimento o strumentalizzazione di quella tesi finale e riassuntiva, ed essa assuma tutto il suo valore di luminoso «punto archimedeo» dell’intera filosofia marxiana, è necessario arrivarvi per gradi, non saltando nessuno degli stadi intermedi dei temi filosofici centrali sviluppati dalle altre dieci tesi, tesi riassumibili e raggruppabili secondo quei nuclei tematici.

Innanzitutto il gruppo «gnoseologico» relativo a «intuizione e attività» (Tesi in sequenza 5, 1, 3); poi il gruppo «antropologico-storico» che riguarda «l’autoalienazione, la sua causa reale e il vero materialismo (storico-dialettico)» (Tesi 4,6,7,9,10); in terzo luogo il gruppo riassuntivo « teoria-prassi», che riguarda la «prova e la riprova» (Tesi 2,8) ; infine appunto la Tesi più importante, la parola d’ordine «per cui gli spiriti cessano di essere nient’altro che spiriti» (Tesi 11). Manifestamente Bloch non ritiene di dover seguire l’ordine meramente numerico delle tesi, ma di raggrupparle e metterle in sequenza logica secondo i nuclei tematici testé annunciati.

In ogni gruppo si parte dall’iniziale tesi feuerbachiana (la Tesi 5 del rifiuto del pensiero astratto «universalistico» in favore dell’intuizione sensibile «singolare», nel primo gruppo; la Tesi 4 sul rifiuto dell’autoalienazione umana nella religione in vista della sua «naturalità», nel secondo gruppo; la Tesi 2, sull’autosufficienza della prova o dimostrazione teorica, nel terzo gruppo) per poi superarla in direzione del materialismo storico e dialettico. Le tesi inaugurali dei rispettivi gruppi, le tesi propriamente feuerbachiane, sono dunque solo un preannuncio del primo elemento fondamentale della dialettica materialistica (a sua volta modellata sul principio di negazione determinata della dialettica hegeliana).

Karl Marx & Ernst Bloch
Perchè Marx incentra la sua riflessione sulla filosofia di Feuerbach? Perché, risponde Bloch, Marx riconosce che l’antropologia filosofica di Feuerbach costituisce la premessa necessaria per l’elaborazione materialistica dell’umano come radice di tutte le cose sociali. Il materialismo feuerbachiano dell’uomo come anche, allo stesso tempo, «oggetto sensibile», viene a costituire l’anello intermedio di congiunzione tra il materialismo meramente meccanico, scientifico e naturalistico, e il materialismo storico-dialettico, novella filosofia di Marx (senza di esso non sarebbe stato possibile quel passaggio).

Il materialismo antropologico di Feuerbach introduce al passaggio al materialismo storico ma non compie l’intero tragitto. Questo perché la concretizzazione dell’umano da parte di Feuerbach, il suo insistere sul rapporto sociale dell’uomo con l’uomo, sull’intersoggettività, quale principio fondamentale di qualsivoglia filosofia, non esita però negli uomini effettivamente esistenti, socialmente agenti, involti in rapporti effettivi tra di loro e con la natura (per quanto mediata sia quest’ultima dal ricambio organico con il lavoro). Solo un tale esito eviterebbe che l’antropologia filosofica creasse una permanente scissione tra materialismo e storia.

Solo se il ritorno dal «cielo» dello «Spirito assoluto» di Hegel al mondo dell’intuizione sensibile, postulata da Feuerbach, non poneva quest’ultima come un comportamento puramente ricettivo e passivo da parte del soggetto ma implicava la sua interazione, l’intervenire, già a livello di quell’atto di esperienza immediata, di un attività «elaboratrice» con tutto il suo portato di stratificazione sociale e storica da parte del soggetto stesso, allora quell’atto intuitivo poteva essere restituito alla sua verità.

Ugualmente solo se il superamento dell’ autoalienazione umana nella religione puntava alla reintegrazione di una «naturalità umana» che deve prima riconoscere e superare in sé altre autoalienazioni via via più fondamentali – l’alienazione nei rapporti sociali, e poi nel sistema statuale delle istituzioni politiche, per giungere infine al nucleo economico, la «roccia primigenia» del processo di alienazione – allora si riconoscerà la natura umana innanzitutto, storicamente, da rintracciare in un insieme mutevole di rapporti sociali e di classi tra di loro antagoniste.

Infine, solo se l’attività teorica di pensiero non viene unicamente, in modo nominalistico, screditata come astratta e «cattiva» produzione di universali che mistifica e nasconde l’autentico atto veritativo del singolare dell’ intuizione sensibile (inconsapevolmente astratta dallo stesso Feuerbach) ma viene invece resa consapevole di essere in mediazione dialettica (reciproca) tanto con l’atto ricettivo dell’esperienza sensibile (l’intuizione appunto) che con la sua necessaria messa alla prova nella prassi,nella dimostrazione di conseguenze pratiche, allora l’antropologia filosofica non sarà più astratta ma raggiungerà quella nuova, inaudita configurazione ricercata dal giovane Marx : il materialismo storico e dialettico.

La tesi 11 diventerà allora il coronamento supremo, lo svelamento della meta suprema ricercata dall’ intero ordito della riflessione e dell’analisi critica sviluppata da Marx non solo con le precedenti dieci tesi ma con l’intero complesso delle sue opere di quegli anni: La sacra Famiglia, La critica alla filosofia del diritto hegeliana, I Manoscritti filosofico-economici del 1844. Sullo sfondo di questa prima compiuta elaborazione della dottrina del materialismo storico e dialettico, di quella che può essere definita la filosofia dialettica soggetto-oggetto, teoria-prassi, non vi sono solo le opere giovanili di Marx, ma anche naturalmente gli elementi fondamentali della tradizione umanistica del XIX secolo, elementi di cui il pensiero marxiano aspirava ad essere sintesi suprema e elaborazione massima: l’idealismo tedesco, l’economia politica inglese e il socialismo utopistico francese .

In particolare l’idealismo critico e oggettivo di Hegel viene individuato da Marx come la filosofia in cui l’origine dello spirito o autocoscienza soggettiva (l’Io penso quale acme della ricerca speculativa di verità metafisica, l’essenza soggettiva, dell’intero idealismo così come già della precedente tradizione razionalistica) viene rivelata nel processo di lavoro dell’uomo, nel lavoro come autentica essenza dell’uomo.

Nella hegeliana Fenomenologia dello Spirito il desiderio soggettivo sovrano è costretto ad alienarsi nell’elaborazione dell’oggetto da esso concupito, a differire la sua pulsione dell’assimilazione dell’oggetto a sé o di sé all’oggetto (la fusione o l’annientamento del suo oggetto), per potere tramite questo differimento infine goderne. Questo processo assume storicamente (e socialmente) la figura dialettica del Signore e del Servo, al quale ultimo è demandata la lavorazione dell’oggetto per conto del Signore. In questo processo di alienazione/elaborazione si forma l’autocoscienza individuale e il desiderio trova la sua mediazione con il lavoro intellettuale o razionale. Questo perché lo spirito, nell’intenzione di Hegel, non rimanga meramente soggettivo e diventi anche oggettivo, ossia assoluto. Ma una volta avviato questo processo di estraniazione o alienazione nell’oggettività, esso non si lascia più ricondurre a una padronanza e sovranità assoluta della soggettività, e lo spirito diventato assoluto e oggettivo diventa critico di sé stesso, agente del non-spirito, «uno spirito altro», quello indagato da Marx e di cui fa ricognizione Bloch.

Il lavoro e il lavoratore appunto come leva e motore della Storia. A questo perenne processo di alienazione (o «uscita dal Sè » come lo chiama Hegel) e del suo superamento (o «ritorno a Sè») ormai solo parziale e transitorio, Hegel dà il nome di procedimento dialettico basato sul principio di negazione determinata o negazione dialettica, «la negazione della negazione»: a una immediata ricezione empirica dell’oggetto, la sua «posizione», solo apparentemente immediata e concreta, ma in realtà astratta, segue la sua riflessione o negazione astratta; ma questa prima negazione, nel suo carattere astratto, radicale ed «eccessivo», deve essere a sua volta negata per restituire giustizia all’oggetto originario dell’esperienza che viene salvato o recuperato sotto forma di rammemorazione dell’ iniziale atto esperienziale, ormai emendato del suo carattere eccessivo e astratto.

Questo movimento ternario è considerato da Hegel il processo necessario e inevitabile di formazione del pensiero, che si costituisce attraverso la progressiva liberazione da due allucinazioni dell’oggetto, e più specificatamente da un ‘allucinazione esperienziale e da una «contro-allucinazione» intellettuale, per giungere infine all’oggetto «concreto» (concretum, ossia «concresciuto» o«stratificato») della verità.

La legge che guida tale processo di pensiero è dunque quella della negatività. Se questo è il modello dell’essenza della coscienza coincidente con la sua processualità o perenne processo di formazione (l’autocoscienza o spirito è «coscienza al lavoro») Hegel però, pur esibendo un massimo grado di estraniazione speculativa nel suo procedimento di logica dialettica (paradigmatico in tal senso il secondo libro della Scienza della Logica, La Logica dell’Essenza) fa spesso solo mostra di alienarsi alla concretezza dell’oggetto, alla sua elaborazione, in cui l’attività umana rimane meramente spirituale o intellettuale. Manca qui la considerazione dell’attività lavorativa umana materiale, riconducibile ai concreti processi storici economici e sociali, a quel rapporto interclassista delle forme dei rapporti e mezzi di produzione.

Già nei Manoscritti economico -filosofici del 1844 e nella coeva Sacra Famiglia Marx riconosce invece due fondamentali evidenze: 1) che l’operaio stesso (oggi diremmo il lavoratore tanto dipendente che autonomo) è un capitale, una merce, ossia la negazione dell’universale natura umana alla Feuerbach; 2) che il capitalismo è la causa prima di questa alienazione suprema ed estrema.

Si tratta dunque di una «natura» umana storicamente basata su una società classista e sull’antagonismo di classe.

L’alienazione capitalistica è totalitaria, ma differentemente orientata e accolta: tra i proprietari dei mezzi di produzione e di conseguenza dei rapporti di lavoro (tanto i mezzi di lavoro materiali quanto gli attuali mezzi meramente simbolici quali i titoli finanziari speculativi, i «derivati strutturati»)– gli« sfruttatori» – l’autoalienazione è il suo potere, la sua condizione di agio e sicurezza, di autoconferma; tra i proletari, gli «sfruttati» (proprietari unicamente della propria forza lavoro, fisica o intellettuale, e non di mezzi materiali e/o , oggi, anche finanziari, o comunque in misura modesta) l’autoalienazione causa la loro manifesta disumanizzazione sia materiale che spirituale o morale, ed è percepita come tale, ed è quindi condizione di totale spossessamento.

La Sacra Famiglia, manifestando l’economia di mercato capitalistica quale causa di tale suprema forma di alienazione, ha fondato la concezione del materialismo storico e dialettico e il socialismo scientifico. Il punto di vista del proletariato ha modellato l’umanesimo di Marx, e il suo superamento di Feuerbach. L’idealismo dialettico di Hegel è servito a Marx proprio per recepire criticamente l’antropologia filosofica di Feuerbach.

L’economia politica inglese gli è invece servita per sviluppare criticamente le concezioni hegeliane di metodo dialettico, di alienazione e di formazione della coscienza soggettiva dal processo di lavoro, portandole da un piano puramente spirituale e intellettuale agli effettivi processi materiali economici e delle relazioni sociali tra gli individui. Infine il socialismo utopistico dei francesi Sant Simon, Fourier e Proudhon ha avuto la funzione in Marx di aprire una prospettiva alternativa tanto al fatalismo della concezione della Storia di Hegel che alla visione «armonicistica» dell’economia, della società e della Storia, degli economisti classici britannici.

Nella sua suprema sintesi Marx ha sostanzialmente «giocato» gli uni contro gli altri tutti e tre gli elementi fondamentali di tale eredità umanistica , recependoli tutti senza mai adottare la prospettiva di alcuno fino in fondo. L’antropologia filosofica di Feuerbach, da parte sua ha svolto il ruolo di relais, di connettore di tutte queste prospettive, a un tempo in posizione più avanzata rispetto ad esse, e lacunevole o difettosa nei loro confronti.

Feuerbach diventa così quel ponte necessario per approdare al materialismo storico e dialettico. Da qui Le Undici tesi su Feuerbach di Marx. E se la meta ultima doveva essere la Tesi 11, con la sua complessa e delicata nuova configurazione del rapporto tra teoria e prassi, solo passando attraverso una critica immanente dei temi filosofici generali di Feuerbach, temi affrontati in sequenza in quei raggruppamenti di tesi, quel traguardo e la sottesa fondazione del nuovo materialismo umanistico di Marx potevano profilarsi all’orizzonte. Il primo tema (e il suo relativo gruppo di tesi) che incontreremo la prossima volta sarà: «Intuizione e attività» (gruppo «gnoseologico», Tesi 5, 1, 3).


L’intuizione è anche attività (Tesi 5, 1 & 3)
«Feuerbach, non soddisfatto del pensiero astratto, vuole l’intuizione; ma egli non concepisce la sensibilità come prassi umana sensibile»Karl Marx, Tesi 5
Ernest Bloch ✆ Masih Basiri 
Nell’interpretazione di Ernst Bloch, come abbiamo visto, le prime dieci Tesi su Feuerbach del giovane Marx costituiscono una sorta d’introduzione generale alla tesi finale , la Tesi 11: «I filosofi hanno solo diversamente interpretato il mondo, ma si tratta di trasformarlo». Perché quell’ultima Tesi sia correttamente recepita non come l’indicazione di una mera « filosofia della prassi » né tanto meno della pura dottrina di un pragmatismo che liquida ogni sorta di filosofia ( ogni ruolo dell’attività teoretica) ma l’indicazione di una nuova relazione dialettica tra teoria e prassi, di una filosofia dialettica soggetto-oggetto, è necessario attraversare analiticamente e criticamente i temi filosofici generali, nodi-cardine dell’antropologia filosofica di Feuerbach che sono individuati da Marx nelle sue tesi. Quei temi filosofici non sono raggruppati nelle tesi marxiane secondo una stretta corrispondenza al loro ordinamento numerico.

Il primo tema filosofico e relativo raggruppamento (« gruppo gnoseologico», Tesi 5, 1, 3) che Bloch incontra è :« l’intuizione e l’ attività». Non seguendo il mero ordine numerico delle Tesi Bloch pone in testa al tema la Tesi 5, quale tesi di ricapitolazione:
«Feuerbach, non soddisfatto del pensiero astratto, vuole l’intuizione; ma egli non concepisce la sensibilità come prassi umana sensibile».
Nella prima parte dell’affermazione Marx riconosce a Feuerbach il merito del volere che sia l’intuizione sensibile il fondamento e atto primo del pensare, che non vi possa essere conoscenza materialistica della realtà che non proceda da essa e non dal mero concetto (« il pensiero astratto » ) che è invece derivato da essa. Nella seconda parte della frase però Marx rimprovera Feuerbach di limitarsi a concepire tale atto primo e fondativo del pensare – l’intuizione sensibile – in modo meramente passivo, come una mera« posizione del godimento », come direbbe lo psicanalista Jacques Lacan, in cui non avviene alcuna azione ma una mera contemplazione dell’oggetto. Manca in Feuerbach la considerazione della sensibilità anche come pratica umana sensibile. Tale riconoscimento, e contrario, in chiave critica, avviene già in Hegel, quando definisce l’ immediata impressione sensibile – l’opinione– il più astratto, e cioè più mediato, degli atti del processo della conoscenza, e tale « lezione hegeliana» è ben presente nel giudizio di Marx.

Alla formulazione estremamente sintetica della Tesi 5 Marx aveva fatto precedere una argomentazione più articolata del tema nella Tesi 1:
« Il principale difetto di ogni materialismo fino ad oggi, compreso quello di Feuerbach, è che l’oggetto (Gegestand,« ciò che sta di fronte») il reale, il sensibile è concepito solo sotto la forma dell’obietto(Objekt,«ciò che è proiettato fuori dal soggetto »)o dell’intuizione; ma non come attività umana sensibile , come prassi, non soggettivamente. E’ accaduto quindi che il lato attivo è stato sviluppato, in modo astratto e in contrasto con il materialismo, dall’idealismo che naturalmente ignora l’attività reale, sensibile come tale. Feuerbach vuole oggetti sensibili realmente distinti dagli oggetti del pensiero; ma non concepisce l’attività umana stessa come attività oggettiva. Perciò nell’Essenza del Cristianesimo egli considera come schiettamente umano solo il modo di procedere teorico, mentre la prassi è concepita e fissata da lui soltanto nella sua raffigurazione sordidamente giudaica. Pertanto egli non comprende l’importanza dell’attività “rivoluzionaria”, dell’attività “pratico-critica”».
La Tesi 1 ribadisce e articola maggiormente il concetto marxiano secondo cui il fattore attività umana è già dirimente all’interno della conoscenza sensibile, che è «immediata » nel senso preciso di fondamentale e iniziale. La sensibilità come base effettiva della conoscenza non coincide affatto con l’intuizione contemplativa. Il concetto di attività è sì un concetto di origine idealistica ma di quell’idealismo specifico della società borghese, in cui la classe dominante vede o vorrebbe vedere sé stessa in attività, dunque al lavoro. E questo accade solo nella società del sistema economico capitalista, l’unica in cui il lavoro, o l’apparenza del lavoro intorno alla classe dominante, non è più una vergogna ma anzi diventa un segno d’onore. Ciò per la necessità delle forze produttive che si scatenano con lo scopo del profitto  (e con lo scopo calvinista di scrutare nei segni della riuscita attività professionale nel mondo l’elezione divina, la propria individuale predestinazione alla grazia, come direbbe Max Weber) . L’ideologia della classe dominante della società capitalistica, a differenza delle precedenti società, è l’ideologia dell’imprenditore, del borghese, del cosiddetto homo faber.

Mentre l’idealismo antico e tutta la tradizione del materialismo della scienza della natura – da Democrito allo stesso Feuerbach – concepiscono l’atto intuitivo come semplicemente passivo, ricettivo, «oggettivo», l’idealismo moderno ( l’idealismo tedesco) si mostra in posizione più avanzata concependo l’intuizione anche come attività o interazione soggettiva, come «elaborazione». Ciò accade in modo compiuto in Hegel , attraverso il suo metodo dialettico, e in modo paradossale e ancora inconsapevole, nella sua Dialettica Trascendentale, in Kant.

Però l’idealismo tedesco, come sottolinea la Tesi 1, conosce il lavoro, la poiesis o produzione, solo in termini puramente spirituali, di gnoseologia dell’esperienza del soggetto, come lavoro astratto e intellettuale, ( unicamente come atto creativo o ideativo, conoscitivo in tal senso) e non anche materiale, di divisione sociale tra lavoro intellettuale e manuale , economico-politico, come farà compiutamente solo Marx. Nella Tesi 1 Marx combina insieme i due suggerimenti : quello di Feuerbach di tornare alla concretezza dell’atto esperienziale dell’intuizione sensibile o materiale, e quello di Hegel di considerare ogni atto, anche quello ricettivo o intuitivo di un oggetto, non come immediato ma mediato,«concreto» nel senso dello stratificato storicamente( è il suggerimento di sviluppare una «coscienza allegorica» dell’«oggetto concreto o concresciuto» – concretum – «stratificato processualmente», direbbe Theodor Adorno).

L’invito hegeliano a considerare la natura mediata dell’esperienza induce poi ad assumere nell’analisi della realtà quel principio di negazione determinata o« negazione della negazione », che guiderà la sua «dialettica perenne», come accennavamo l’altra volta. L’emergere del modello della precedentemente disprezzata, tanto a livello intellettuale che materiale, attività lavorativa– a partire dal razionalismo sei-settecentesco e poi soprattutto nell’idealismo tedesco, entrambi derivanti dall’affermazione della moderna società borghese – soppianta o costituisce comunque il controcanto di quella concezione tradizionale, tanto idealistica che materialistica, di mera teoria o contemplazione dell’oggetto della conoscenza. In quelle tradizioni è assente tanto il pathos della«produzione razionale» (del lavoro dell’intelletto) che quello della reciproca produzione dialettica soggetto-oggetto, teoria-prassi.

Perché poi il concetto di «produzione razionale » trapassi dal mero meccanicismo matematico degli oggetti e dei corpi del razionalismo cartesiano e del «materialismo progredito» di T.Hobbes alla concreta forma storica del lavoro designata dall’Economia politica ,per cui la produzione razionale diventa la forma produttrice di processo storico, deve intervenire la dinamica del concetto gnoseologico di lavoro, sia pure storico-idealistico, nella Fenomenologia dello Spirito di Hegel.

E’ la celebre poiesis o alienazione del desiderio soggettivo del Signore nella sua elaborazione o « differimento del suo godimento» da parte del Servo. Si tratta di un pathos della «produzione -alienazione» notevolmente superiore a quello razionalistico della seicentesca età della manifattura, di un Cartesio, Spinoza o Leibniz. E’ proprio il Marx dei Manoscritti economico-filosofici del 1844 che esalta la grandezza della Fenomenologia nel fatto che essa «coglie l’essenza del lavoro e concepisce l’uomo oggettivo, l’uomo verace perché uomo reale, come risultato del suo proprio lavoro». Il Marx giovane rimprovera a tutto il materialismo a lui precedente la mancanza del rapporto perennemente oscillante tra soggetto e oggetto, il perenne rapporto dialettico hegeliano che si chiama lavoro.

La celebrazione borghese del lavoro e dell’operosità ( di matrice calvinista) è però agli occhi di Marx ideologica perché essa comunica una parvenza del lavoro, non è l’operosità completa e giusta che può provenire non dall’imprenditore ma solo dal contadino, dall’artigiano o dall’operaio salariato. L’imprenditore invece rappresenta unicamente quel modello di lavoro che è valorizzazione dello scambio della merce sul «libero mercato» della domanda e dell’offerta, un processo e un rapporto economici astratti e reificati, che determinano un rapporto nuovamente passivo, esteriore e astratto ( nel ruolo di lavoratore o produttore in genere, e di consumatore) . Di questa astrazione e reificazione dei rapporti economici potremmo individuare come loro attuale forma estrema e sublimata la compra-vendita di titoli finanziari nei mercati borsistici e, sopratutto, al di fuori dei mercati regolati.

Per motivi opposti, né l’idealismo, che trasfigura tale concetto borghese astratto di lavoro, né tanto meno il materialismo antropologico di Feuerbach, che segue il modello tradizionale del materialismo scientifico della natura, conoscono la reale attività sensibile. Infatti pur ricercando oggetti reali invece di pensieri reificati o astratti, Feuerbach esclude da questa ricerca di realtà i fenomeni dell’attività umana storicamente data ( gli oggetti economici, politici, sociali , culturali, etc.). Egli assume a modello dell’intuizione reale sensibile il processo di esperienza e conoscenza delle scienze naturali (fisica, chimica, biologia), ma senza considerare che anche queste «scienze pure» ricevono i loro fini e i loro materiali unicamente dall’applicazione tecnologica delle scoperte scientifiche (da una loro retroazione) nell’attività pratica- economica dell’industria e del commercio.

Questa base ( o «struttura») materiale dell’economia capitalistica è la condizione mediatrice generale, la mediazione dell’intero mondo sensibile esistente al presente.

Questo avrebbe dovuto suggerire a Marx, opinione di chi scrive, che anche il modello scientifico è un modello di comprensione reificata della realtà, mediato dalle leggi dell’economia capitalistica, e che di conseguenza la sua teoria del materialismo storico e dialettico non poteva modellarsi a «scienza del socialismo» ma a filosofia dialettica che accoglie a un tempo i procedimenti, contenuti e risultati delle ricerche e indagini scientifiche e li critica nella loro inevitabile natura alienata o reificata. Se venisse a mancare tale base della struttura capitalistica, a Feuerbach non solo il mondo naturale risulterebbe enormemente cambiato, ma addirittura gli verrebbe a mancare completamente il mondo umano, anzi la sua stessa facoltà intuitiva e infine la sua stessa esistenza. Se è vero che la natura esiste da prima dell’uomo, essa però non è la natura in cui si trova a vivere Feuerbach, quella natura che oggi non si trova più da nessuna parte (la natura oggi è storicamente o antropologicamente mediata).

Non è un caso che la Tesi 3 celebri il valore centrale del lavoro umano nel mondo reale dato, in opposizione tanto a Feuerbach che ai futuri «marxisti volgari»:
«La dottrina materialistica, secondo la quale gli uomini sono prodotti delle circostanze e dell’educazione, dimentica che sono proprio gli uomini che modificano le circostanze e che l’educatore stesso deve essere educato. Essa è perciò costretta a separare la società in due parti, una delle quali sta al di sopra dell’altra. La coincidenza nel variare delle circostanze dell’attività umana, o autotrasformazione, può essere concepita o compresa razionalmente solo come prassi rivoluzionaria».
In particolare Bloch osserva come questa Tesi si scagli contro due principi presuntamente oggettivistici e aprioristici che sono condivisi da entrambe le posizioni: 1) il concetto di «datità», emblema della scuola empiristica di pensiero , concetto cardine dell’oggettività materialistica; 2) il concetto della priorità dell’essere sulla coscienza, concetto esasperato in maniera meccanicistica contro ogni iniziativa soggettiva( e ripreso, a scopi di polemica politica, dalla gnoseologia di «materialismo oggettivo» che Lenin sviluppa in Materialismo ed Empiriocriticismo ) .

1) Il «dato» già solo nel suo significato implica un interlocutore o soggetto a cui è dato, proprio quello che il concetto positivistico vorrebbe escludere dal suo presuntamente puro orizzonte oggettivo. Ciò significa che non solo ogni dato è mediato dalla struttura soggettiva ma inoltre che nel mondo umano non esiste dato empirico esperienzale, cosiddetto « immediato», che non sia mediato e «prodotto elaborato» da tale mondo e dalla sua stratificazione storica .Se il dato non è per niente semplice ma il risultato di processi elaboratori precedenti, tanto manifesti o consci , quanto inconsci, allora si rivela l’apriorità dei processi economici e (tecnologici-industriali) su ogni esperienza e conoscenza, tanto individuale che istituzionale.

2) Il concetto della priorità dell’essere sulla coscienza, da parte sua, incappa nella sua esagerazione in due differenti contesti: A) sul piano gnoseologico, quando afferma l’indipendenza dell’esistenza del mondo esterno dalla coscienza umana; B) sul piano storico, quando pone la priorità della base materiale rispetto allo spirito.
a) Sul piano gnoseologico: Feuerbach estrapola una sua specifica esagerazione da quell’affermata indipendenza dell’essere, equiparandola all’indipendenza dell’essere dal lavoro umano. Solo se al contrario si riconosce la necessaria mediazione tra l’esperienza del mondo esterno e il processo lavorativo dell’uomo – argomenta Marx – si può affermare definitivamente l’indipendenza e l’oggettività (sia pure spuria) di questo mondo esterno o essere rispetto alla coscienza. La stessa attività intellettuale della coscienza è parte di quel lavoro «mediatore». A sua volta il lavoro o l’ attività umana – tanto intellettuale che manuale – è oggettiva, non cade al di fuori del mondo esterno, così come non vi cade la mediazione soggetto- oggetto nel suo accadere. Il mondo esterno esiste indipendentemente dalla coscienza soltanto perché esso non si manifesta né come puramente oggettivo né come puramente soggettivo.Esso al contrario manifesta la mediazione reciproca tra soggetto e oggetto in modo tale che l’essere determina sì ovunque la coscienza ma non l’essere naturale generico alla Feuerbach né l’essere essenziale, ontologico, altrettanto generico, alla Heidegger, ma quell’essere storicamente decisivo, e cioè l’«essere economico» , il quale contiene a sua volta una quantità straordinaria di coscienza oggettiva (di «spirito oggettivo»). Invece per Feuerbach l’essere preordinato alla coscienza è naturale e preumano («pre-istorico»). 
b) Sul piano storico: l’esagerazione della priorità della base materiale rispetto allo spirito viene contestata dalla Tesi 3 secondo cui la base materiale – il modo umano di produzione, lo scambio lavorativo con la natura(«il ricambio organico con la natura»), gli stessi rapporti di produzione ( la legge del valore di libero scambio della merce sul mercato della domanda e dell’offerta) – tutto ciò è dotato di autocoscienza, di carattere soggettivo,«metafisico» o «spirituale»( questo argomento sarà potentemente sviluppato soprattutto a partire dal Capitale). Ciò non vale solo per la società borghese perché in ogni società umana la base materiale oggettiva ( struttura) dei processi produttivi è riattivata dalla sovrastruttura della coscienza soggettiva. In questo rapporto tra essere economico e coscienza, il riconoscimento della priorità dell’essere economico non dà soddisfazione al materialismo volgare ma al contrario dà alla coscienza soggettiva umana il posto più reale tra le condizioni o i fattori del mondo esterno che essa contribuisce a creare( il posto del feticismo della merce e del suo valore di scambio nella società borghese) .
Nell’affermare che le circostanze – dei processi storici o delle condizioni naturali – fanno gli uomini tanto quanto gli uomini facciano esse, il giovane Marx combatte contemporaneamente una guerra su due fronti: 1) contro la teoria meccanicistica dell’ambiente che finisce nel fatalismo dell’essere, da una parte; 2) contro la teoria idealistica del soggetto assoluto, dall’altra parte. Marx riconosce che il mutamento delle circostanze può avvenire solo in riferimento a quella conformità oggettiva alle leggi che vincola anche il fattore soggettivo e l’attività.( non si tratta di un soggetto liberamente o arbitrariamente agente).

L’interazione tra uomini e circostanze e la mediazione soggetto-oggetto si mostrano pertanto perennemente reciproche, perennemente dialettiche. Se l’ordine consequenziale circostanza -uomo viene privilegiato da Marx rispetto a quello contrario, però esso è articolato in modo tale che l’uomo e la sua attività restano sempre l’elemento specifico della base materiale della storia, ne rappresentano la radice e di conseguenza anche la rovesciabilità.. Perfino l’idea teorica diventa per Marx una forza materiale quando s’impadronisce delle masse (ma lo può fare anche in forma rovesciata e perversa , come testimonia lo stesso Marx a partire dal 18 Brumaio) e a maggior ragione è una forza materiale il mutamento tecnico( scientifico-industriale) e politico delle circostanze, e ugualmente lo è il fattore soggettivo inteso in questo inequivocabile( cioè dialettico) modo interno al mondo materiale.

L’ultimo sviluppo alla Tesi 3 lo dà Il capitale che attribuisce con estrema decisione l’uomo alla natura, ma una natura a sua volta implicante uno sviluppo della forza lavorativa già elevato (una natura già fortemente mediata dalla società e dal processo storico). Qui l’attività umana autocosciente diventa la parte più importante della natura, in qualità di prassi che rovescia proprio alla base l’essere materiale, il quale a sua volta condiziona in maniera primaria la coscienza che la segue. Per Marx la comprensione del fattore lavorativo,la relazione soggetto-oggetto vivente che è l’uomo che lavora è fondamentale per comprendere la priorità dell’essere oggettivo, il suo non essere affatto un factum brutum né una datità, ma la leva e il motore della storia.

La priorità di una natura implementata dal lavoro umano, «storicizzata», non fu mai considerata o percepita da Feuerbach. La storia non è di conseguenza presente nel suo materialismo puramente passivo, contemplativo, e questo impedisce a Feuerbach di superare il limite della pura teoresi. Pur ponendo il pathos umano al centro della sua critica della religione (l’unica critica da lui sviluppata), egli non lo sviluppa in maniera conseguente e adeguata nel rapporto con l’oggetto che rimane distaccato, aristocratico, meramente contemplativo. Per lui la prassi è solo un affare volgare: «La concezione pratica è una concezione impura, contaminata dall’egoismo».

E’ a questa incomprensione dell’essere oggettivo che Marx contrappone la sua mediazione con il meglio dell’intuizione attiva,il pathos dell’attività rivoluzionaria, «pratico-critica». L’incomprensione della vera natura dell’essere oggettivo porterà poi Feuerbach a non cogliere la vera causa dell’ autoalienazione dell’uomo, di cui la religione è solo un epifenomeno, e gli sbarrerà la strada al vero materialismo, non quello antropologico ma storico-dialettico. Su questo tema, come vedremo la prossima volta, s’incentrerà l’interpretazione di Bloch con il secondo raggruppamento di tesi: «gruppo antropologico-storico» (Tesi 4, 6, 7, 9, 10).


Dall’autoalienazione al vero materialismo o vero umanesimo (Tesi 4, 6, 7, 9 & 10)
«L’humanum dunque non si trova dovunque in ogni società “come universalità interna, muta , che leghi molti individui solo naturalmente”, non si trova affatto in una qualche universalità presente, piuttosto si trova in un difficile processo…. quanto più scientifico è il socialismo , tanto più concretamente esso ha al centro la preoccupazione per l’uomo, e come meta il superamento reale della sua autoalienazione»Ernst Bloch, Il principio speranza
Ernst Bloch ✆ Tullio Pericoli 
La seconda stazione sul cammino delle Tesi che, nell’interpretazione di Ernst Bloch, deve portare la riflessione alla comprensione della meta finale dell’Undicesima Tesi–«I filosofi hanno solo diversamente interpretato il mondo, ma si tratta di trasformarlo » – è quella che si sofferma sul tema e si pone l’interrogativo di quale sia l’autentica essenza dell’umano. La risposta a tale quesito che accomuna Feuerbach e Marx, è che l’umano innanzitutto non è dato nell’ esperienza immediata, mentre si danno immediatamente solo le forme o espressioni della sua auto-alienazione, dell’ estraniarsi dell’uomo da questa sua natura. Nel giudizio di Marx Feuerbach però, con la sua antropologia filosofica, coglie solo la prima e più superficiale di queste forme : il sentimento, credo e dottrina della religione, il sovrannaturale o trascendente come autoalienazione dell’uomo nell’immaginario celeste. Secondo Feuerbach la trascendenza dell’uomo ha la sua origine nelle profondità della fantasia di desiderio, per cui la divinità è il desiderio dell’uomo trasformato in ente reale. Marx annota che Feuerbach non ha compreso che una volta terminato questo lavoro resta ancora da fare la cosa più importante. Non a caso la prima delle Tesi riunite da Bloch nel « gruppo antropologico-storico», la Tesi 4, osserva:
«Feuerbach prende le mosse dall’ auto-estraneazione religiosa, dalla duplicazione del mondo in un mondo religioso e in un mondo terreno. Il suo lavoro consiste nel risolvere il mondo religioso nella sua base mondana. Ma il fatto che la base mondana si distacchi da sé stessa e si costruisca nelle nuvole, come un regno fisso e indipendente, è da spiegarsi soltanto con l’auto-dissociazione e con l’auto-contradditorietà di questa base mondana. Questa base deve essere perciò dapprima compresa nella sua contraddizione e poi rivoluzionata praticamente rimuovendone la contraddizione. Pertanto, dopo che, per esempio, la famiglia terrena è stata scoperta come il segreto della sacra famiglia, è proprio la prima a dover essere criticata e dissolta praticamente».
Dunque per Marx l’autoalienazione dell’uomo non si risolve svelandola semplicemente nella sua proiezione religiosa; il suo superamento non consiste nell’accogliere ingenuamente e acriticamente l’espressione di desiderio dell’interiorità dell’individuo come l’indubitabile centro e nocciolo della sua umanità, ma semmai come il fondo «oscuro, inumano» («pulsionale» direbbero all’unisono Freud e Lacan) che vi giace sepolto al suo interno. Il fatto che Feuerbach riconosca che la struttura profonda, desiderante dell’individuo umano, si scinda o si estranei dalla sua base mondana proiettandosi in una dimensione celeste, deve consequenzialmente portare a disincantare il suo ultimo feticcio – la natura umana ultima e individuale della sensibilità, del desiderio e del sentimento – poiché attribuire l’essenza umana alla struttura desiderante dell’individuo non fa altro che costituire un dualismo tra un individuo astratto e un genere umano altrettanto astratto, una polarizzazione o scissione tra desiderio e ragione che Feuerbach chiama uomo.

Marx rafforza tale concetto e lo esplica ulteriormente nella Tesi 6:
«Feuerbach risolve l’essenza religiosa nell’essenza umana. Ma l’essenza umana non è un’astrazione immanente all’individuo singolo. Nella sua realtà essa è l’insieme dei rapporti sociali. Feuerbach, che non si addentra nella critica di questa essenza reale, è perciò costretto: 1) a fare astrazione dal corso della storia, a fissare il sentimento religioso per sé e a presupporre un ‘individuo umano astratto, isolato; 2) per lui, perciò l’essenza umana può essere concepita solo come genere, come universalità interna, muta, che leghi molti individui naturalmente»
L’umano non si trova ovunque in ogni società (non nella nostra società globalizzata del ventunesimo secolo) come fosse un’ «universalità interna, muta, che leghi molti individui solo naturalmente », ma si conquista soltanto attraverso un difficile processo che per Marx coincide con il comunismo. L’essenza reale dell’uomo è « l’insieme dei rapporti sociali», è «intersoggettività» come hanno appreso tutti coloro che si sono formati alla scuola di Hegel. Anche la polarità individuo-genere umano, presunto fondamento « disalienato» e riconciliato con la propria identità, deve invece a sua volta essere superata per ricercare la alienazione più profonda e originaria nella natura intersoggettiva, sociale e storica, della coscienza individuale stessa.

Osserva Bloch che la più antica ispirazione storico-culturale di questo astratto dualismo tra individuo e genere umano Feuerbach la riceve dalla dottrina dello stoicismo antico: nell’età ellenistica il filosofo si ritira dalla dimensione pubblica della polis nella dimensione privata dell’individuo e allo stesso tempo «vagheggia» al polo opposto di un astratto genere umano, al di sopra di tutte le società e nazioni, quale unico universale sui singoli individui, quale luogo dell’opinione comune e della ragione retta in tutti i popoli e in tutte le epoche. Il genere umano universale diventa allora la casa umana comune inserita nella casa del mondo , anch’essa comune e buona. Questa umanità universale non è solo nostalgia della comunità politica scomparsa, ma per metà corrisponde all’opportuna ideologia della pax romana, dell’impero romano cosmopolitico, e per metà invece a una fratellanza umana d’individui diventati saggi.

Il secondo riferimento storico-culturale per «la filosofia umanistica » di Feuerbach è il modello del citoyen borghese della moderna società capitalistica, il modello della generalità dei diritti umani borghesi che s’incarnano nella figura astratta del cittadino. Le sue radici moderne vanno ricercate nelle dottrine neo stoiche tardo cinquecentesche di Grotius e Lipsius , nelle dottrine gius-naturalistiche, nel citoyen rousseuiano della Rivoluzione francese e nel pathos di un ‘umanità o un genere umano morale, proprio del pensiero di Kant. In questo modello moderno del genere umano o della cittadinanza universale (la dicotomia tra l’homme e le cityoen della Dichiarazione dei diritti della prima convenzione rivoluzionaria) determinanti sono le sue premesse formali imposte o dettate dall’economia capitalistica di mercato, ed esso assomiglia all’antico stoicismo nell’affermare una società atomizzata in individui e nell’elevare al di sopra di essa un ideale astratto di umanità e di natura umana.

Proprio questa umanità astratta in relazione antinomica o dualistica con il concetto d’individuo (dualismo riassumibile nel concetto cristiano di «persona») viene resa bersaglio critico da Marx. La critica all’umanesimo di Feuerbach non è mossa in Marx da un disprezzo in generale del concetto di umanità ma al contrario – come dimostrano le Tesi 7, 9, e 10 – è indirizzata alla ricerca di un umanesimo reale, l’«umanesimo socialista », come preludio all’orizzonte «proletario-rivoluzionario», alla creazione del «materialismo storico-dialettico»:
Tesi 7: «Perciò Feuerbach non vede che il “sentimento religioso” è anch’esso un prodotto sociale e che l’individuo astratto, che egli analizza, in realtà appartiene a una determinata forma sociale».
Tesi 9: «Il punto più alto cui giunge il materialismo intuitivo, cioè il materialismo che non concepisce la sensibilità come attività pratica, è l’intuizione dei singoli individui nella società borghese». 
Tesi 10: «Il punto di vista del vecchio materialismo è la società borghese; il punto di vista del nuovo materialismo è la società umana o l’umanità sociale».
Nella concezione di Marx è la prospettiva nuova del proletariato che per prima colloca il valore dell’umanesimo al suo giusto posto. Se il socialismo vuole farsi scienza esso non può avere come suo oggetto se non l’uomo, e come sua meta il superamento reale della sua auto-alienazione, reale perché opposto all’astratta consacrazione del genere umano affermata da Feuerbach. Conseguenza di quel modello gnoseologico condiviso da Feuerbach e dal corpus delle scienze positive o specialistiche, il suo concetto di sensibilità puramente passiva e non anche pratica( come abbiamo visto la volta scorsa) porta il materialismo intuitivo, a cui appartiene anche l’antropologia filosofica di Feuerbach, a intuire e a rappresentarsi gli individui singoli posti nel contesto della società e lo porta direttamente a identificarsi con quella barriera di classe che sbarra la strada all’attività rivoluzionaria che è di natura storica e sociale.

In queste tesi Marx ribadisce che l’alienazione umana va scrutata e indagata più a fondo del fondamento genericamente antropologico individuale posto da Feuerbach, va colta nei processi sociali e storici che l’originano, che determinano quella scissione o dualismo tra desiderio e ragione che in essa si manifesta, poiché per primi sono proprio i rapporti sociali ad essere scissi in due classi fondamentali : sfruttatori e sfruttati( oggi diremmo più propriamente in « estrattori di ricchezze» ed « estratti» ). Questo principio fondamentale del mondo e dell’alienazione del soggetto, come legge di processo sociale, è un al di qua ancora più prossimo dell’ al di qua antropologico di Feuerbach. (In attesa che Marx perdesse ogni fondamento nel suo stesso porlo come è nella cifra speculativa della dialettica hegeliana, ossia nell’accettare la condizione universale di alienazione, però «riconoscendola» come tale nella sua accettazione).

Nel porre nella Tesi 4 la «famiglia terrena » come fondamento auto-contraddittorio e in sé alienato della«famiglia celeste » Marx acquisisce anche per conto di Feuerbach lo sguardo dialettico, argomentando che solo lo sviluppo di una critica radicale dei rapporti che sono alla base del cielo, di una critica della loro miseria e delle loro contraddizioni e della loro falsa immaginaria soluzione di tali contraddizioni, consente di raggiungere uno stato in cui non si ha più bisogno di illusioni ingannevoli o surrogatorie. La famiglia terrena deve essere scoperta come mistero di quella celeste, risalendo nell’indagine fino a quella «scienza dell’arcano» economico-materialistica matura. Di conseguenza l’analisi dell’ autoalienazione religiosa, per essere veramente radicale, oltrepassa le ideologie per andare al ruolo più vicino dello Stato,e da qui a quello vicinissimo dell’economia politica( della legge o principio del valore di scambio) per raggiungere solo a questo punto quell’antropologia reale agognata ma non conquistata da Feuerbach.

Questa tesi troverà conferma nel seguente passo del Capitale:
«… di fatto è molto più facile trovare mediante l’analisi il nocciolo terreno delle nebulose religiose che, viceversa, dedurre dalle situazioni reali di vita, che di volta in volta si presentano, le loro forme incielate. Quest’ultimo è l’unico metodo materialistico e quindi scientifico. I difetti del materialismo astrattamente modellato sulle scienze naturali (da quello empiristico-positivistico a quello neopositivistico-logico-matematico), che esclude il processo storico, si vedono già nelle concezioni astratte e ideologiche dei suoi portavoce appena si arrischiano al di là della loro specialità».
Feuerbach aveva avvallato questa dicotomia definendosi materialista all’indietro (rivolto alla base naturale) e idealista in avanti (riguardo all’etica e alla filosofia della religione). L’impacciato finale idealismo in Feuerbach è l’esito di questa dicotomia in lui tra materialismo da una parte, e la società, la storia e la dialettica dall’altra parte. Conseguentemente la religione, o i contenuti religiosi , da lui non criticati socialmente ma solo dedotti antropologicamente, non sono confutati nella loro sostanza ma semplicemente tolti dalla loro collocazione in una trascendenza.

Annota Bloch che questa stessa riduzione feuerbachiana dei contenuti religiosi a un dissipamento della ricchezza umana dell’ al di qua risulta problematica se confrontata con la profondità dell’umanità o , viceversa, con l’umanità della profondità dell’arte carica di religiosità di Giotto, Grunewald o Bach. Feuerbach riduce tutto questo a teologia sentimentale liberamente religiosa. Inoltre nel suo vuoto idealismo egli conserva tutti gli attributi di Dio come virtù in sé, separati dal Dio dei cieli: la misericordia, l’amore, l’onnipotenza, il far miracoli, l’esaudire preghiere, sono divini senza Dio Padre. L’unico passaggio che avviene è quello dal regno dei cieli a una certa religione astratta, con le virtù reificate della «base naturale». Non viene sviluppata in questo modo l’eredità umana della religione – quale l’intendeva Feuerbach – ma si conserva semplicemente una religione a prezzi scontati, un filisteismo dei costumi, dell’etica.

Il marxismo si propone invece come un materialismo in avanti (dell’avvenire), pienezza del materialismo senza un cielo mal disincantato da ricondurre sulla terra. Il materialismo storico-dialettico intende essere la spiegazione veramente totale del mondo in base a sé stesso, che pone anche la trasformazione (e non solo più l’interpretazione) del mondo a partire da sè stesso, in un superamento delle sofferenze che non ha nulla a che a fare con una altra vita oltre la morte.

Manca ancora un passo perché il materialismo antropologico « revisionato» di Feuerbach conquisti lo status di nuovo materialismo storico e dialettico , di nuovo umanesimo, e disveli tutte le potenzialità della «parola d ‘ordine» della Tesi 11, della filosofia dialettica teoria- prassi: il passo in cui l’attività teorica di pensiero non si manifesta solo più come astratta e «cattiva » produzione di universali ma acquisisce invece coscienza di essere in mediazione dialettica( reciproca) tanto con l’atto ricettivo,«singolare», dell’intuizione sensibile, che con la sua necessaria messa alla prova nella prassi,nella dimostrazione di conseguenze pratiche. E’ quello che vedremo la prossima volta.


L’intuizione è anche attività (Tesi 2 & 8)
«Per Marx…teoria e prassi oscillano costantemente. Poiché entrambe oscillano alternativamente e reciprocamente l’una nell’altra, la prassi presuppone la teoria, così come essa stessa abbisogna di e partorisce una nuova teoria per il procedere di una nuova prassi. Il pensiero concreto non è mai stato valutato più altamente di qui, dove è diventato la luce per l’azione, e mai l’azione è stata valutata più altamente di qui, dove è divenuta il coronamento della verità»Ernst Bloch, Il principio Speranza.
Ernest Bloch ✆ Hans Neubert
Marx, contrariamente alla communis opinio, proprio perché non lo ritiene indipendente, di per sé autosufficiente, pone il pensiero al vertice della realtà, sul suo massimo gradino. E’ questo il tema che Ernst Bloch intende dimostrare, raggruppando le Tesi 2 e 8 su Feuerbach nel«Gruppo teoria e prassi: prova e controprova ». Se il pensiero, la teoria, deve essere in rapporto con la verità, il rapporto tra i due – tra il pensiero e la verità – non può identificarsi o «ridursi» a un rapporto interno alla teoria, né, dall’altra parte, coincidere con una prassi subordinata al comando di un intuizione sensibile meramente passiva, oggettiva, «cieca ».

Proprio in quanto Marx concepisce la verità come rapporto teoria-prassi, come la loro dialettica, egli intende fare del pensiero l’«idea filosofica» che non punta affatto al « cattivo universale», all’astratto a cui lo aveva relegato nella sua concezione Feuerbach. Per Feuerbach il pensiero distoglierebbe dal singolo dell’intuizione sensibile, ne sarebbe, nominalisticamente, una semplice,«scialba» o debole copia sotto forma di concetto generale o « universale». Per Marx al contrario il pensiero inteso quale processo o «campo di forze» (come lo definirebbe Theodor Adorno) punta a disvelare il nesso mediato ed essenziale del fenomeno, quell’ intreccio che nel fenomeno è ancora imprigionato nella mera sensibilità. Sotto tale specie il pensiero si presenta come concreto (concretus, «concresciuto», « stratificato su sé stesso») mentre Feuerbach lo ammetteva solo come astratto; Marx (e già Hegel prima di lui) dimostra che viceversa la sensibilità priva di pensiero,«purificata» da esso, è essa astratta.

Il pensiero deve sì ricondurre all’intuizione sensibile, per dimostrarsi sulla base di essa dopo averla compenetrata, ma in questo movimento l’intuizione non è ormai più affatto quella passiva e immediata celebrata da Feuerbach. La teoria si dimostra o comprova la sua verità solo se disvela la natura mediata dell’intuizione sensibile, solo in quella realtà sensibile che è stata elaborata dalla teoria e in questo modo è diventata « la cosa per noi». Ma questa infine è la realtà sensibile della prassi mediata dalla teoria, conseguita dalla teoria. L’intuizione sensibile è solo la fase incipiente del pensiero (Il questo e la mia opinione, «la prima e più astratta delle determinazioni dell’esperienza » secondo Hegel); nella sua funzione completamente dispiegata il pensiero si dimostra invece attività critica, penetrante, aprente o rivelatrice, e la migliore dimostrazione è la prova pratica di questa decifrazione. Ogni verità è verità per qualcosa e non c’è né nessuna che sia fine a sé stessa, se non come autoinganno o rimuginio; ugualmente non c’è una dimostrazione o prova completa di una verità a partire da sé stessa che resti totalmente teorica (che non sia dialettica teoria -prassi): non c’è nessuna possibile prova completa e teoreticamente immanente o totalmente deducibile dalle premesse teoriche.

Fa eccezione a questa legge unicamente la verità matematica, ma si tratta di un eccezione parziale e limitata. Infatti solo in matematica si può dare un dimostrazione o deduzione puramente teorica, ma anche questa deduzione si dimostra solo una prova parziale di tipo specifico poiché non va oltre la mera «coerenza interna», l’«esattezza logico-consequenziale». L’esattezza matematica non è ancora verità, che è da parte sua o riproduzione della realtà o potere d’intervenire nella realtà nella misura in cui si conoscono i suoi principi attivi e le sue leggi. Solo il rapporto teoria -prassi può dispiegare una verità oggettiva.

La Tesi 2 sintetizza il concetto:
«La questione se al pensiero umano spetti una verità oggettiva , non è questione teoretica bensì una questione pratica.. Nella prassi l’uomo deve provare la verità, cioè la realtà e il potere (che è) il carattere immanente del suo pensiero. La disputa sulla realtà o non realtà del pensiero isolato dalla prassi è una questione meramente scolastica».
Sottolinea Bloch che nel suo modo di porre il rapporto teoria -prassi la Tesi 2 è completamente creativa e nuova (già insieme alla dialettica hegeliana e ad alcuni elementi fondamentali dell’idealismo tedesco), e che, confrontata con questa novità, la filosofia precedente pare effettivamente scolastica . In che senso? Principalmente e sostanzialmente nel senso che tanto nella tradizione filosofica antica che nella sua eredità moderna l’attività, genericamente intesa, non era stata portata a riflessione. Nella gnoseologia antica e medievale (principalmente aristoteliche) si era escluso qualsiasi rapporto tra la praxis aristotelica ( la prassi etico-politica) e la poiesis( l’attività produttiva). Nella gnoseologia razionalista e poi idealista (con l’eccezione di Hegel) della prima età borghese si affermava solo un ‘attività astratta non veramente mediata con il suo oggetto (solo una gnoseologia e un ‘etica formaliste – ad es. la filosofia kantiana – che non consideravano il processo sociale ed economico: cioè il lavoro).

Tanto nell’epoca antica o feudale del disprezzo del lavoro quanto nell’epoca dell’ethos borghese (calvinista) del lavoro (senza la sua concretezza) la prassi sia politica che tecnica valeva al massimo come applicazione della teoria. Non, come sottolinea Bloch, 
«come conferma della teoria, cioè della sua concretezza, come nel caso di Marx, non come rifunzionalizzazione e trasformazione della chiave in leva, né della vera riproduzione in intervento potente sull’essere».
 Con la Tesi 2, osserva ancora Bloch:
«il pensiero giusto è finalmente una cosa sola con l’azione giusta. In esso l’attività , e con ciò un atteggiamento partigiano, è insita fin da principio, e perciò riemerge alla fine come conclusione vera (connotata dalla decisione, n.d.r.)».
La novità del rapporto teoria-prassi in Marx si staglia nitida se messa a confronto proprio con quelle scuole precedenti di pensiero in cui pure una parte della teoria era già rivolta alla prassi, a un compito pratico-sociale. Infatti anche in questi casi la teoria semplicemente«si degnava » di diventare applicazione per la prassi, così come l’idea«tollerava» il proprio utilizzo, continuando entrambe a vivere una loro vita astratta non mediata dalla prassi. E’ un esempio fulgido in tal senso il metodo scientifico di Francesco Bacone, passato alla storia come il campione di un dichiarato utilitarismo pratico-borghese dell’età moderna. Anche il suo metodo che presenta un procedimento induttivo, che si propone come un esperimento metodicamente finalizzato, ugualmente non affida la prova o la dimostrazione alla prassi, ma fa di quest’ultima solo un prodotto o una conseguenza della verità, semplicemente la sua ricompensa, e non il suo criterio ultimo e la sua dimostrazione. Nonostante le sue celebri parole d’ordine –«sapere è potere», «la scienza deve diventare ars inveniendi ( arte dell’invenzione )» ,«il sapere non può essere puramente teoretico o contemplativo»– ugualmente Bacone conserva la scienza come autarchica, rivoluzionabile solo nel metodo.

«Scolastiche» nella concezione del rapporto teoria -prassi risultano poi agli occhi di Bloch due altre scuole della filosofia moderna, la prima appena precedente l’opera di Marx – l’idealismo classico tedesco– la seconda a lui coeva , la cosiddetta filosofia« critica » o«dell’azione» della sinistra hegeliana. Tra gli idealisti tedeschi è Fichte che si distingue per la sua concezione dell’«atto » che dimostra forza e rigore in punti importanti sul piano politico e nazionale, ma che poi finisce per diventare un «atto» etereo, non finalizzato al miglioramento del mondo oggettivo o del«Non Io» mediante la sua elaborazione, ma semplicemente al suo oltrepassamento. Con questa prassi « nemica del mondo » si dimostra solo il punto di partenza soggettivo, già predeterminato, dell’idealismo fichtiano dell’Io, e non una verità oggettiva che si forma progressivamente con il mondo e grazie al mondo.

Vi è tra le file degli idealisti tedeschi però una cospicua eccezione, senza la quale Marx non avrebbe potuto formulare la sua filosofia dialettica-teoria prassi. E’ infatti Hegel colui che giunge più vicino all’intuizione di un criterio della prassi e questo in due stadi tra di loro ravvicinati.

1) In un primo stadio Hegel supera il suo giovanile accostamento tra la praxis etico-politica di Aristotele e la sostanza spinoziana, e confronta la praxis con il concetto di lavoro – poiesis o «produzione» – concetto ispiratogli dallo studio dell’economia politica( il suo commento andato perduto al Trattato di economia dello Stuart); dal loro confronto ricava il concetto di« auto-alienazione » del soggetto che giunge a formulare nei suoi corsi jenesi di Filosofia dello Spirito( 1803-4; 1805-6).

2) In un secondo stadio immediatamente successivo, Hegel esplica tale formulazione nella celebre dialettica Signore -Servo, desiderio-lavoro, nel quarto capitolo della Fenomenologia dello Spirito (1807). Inoltre nella sua Psicologia (Enciclopedia delle scienze filosofiche in compendio) Hegel produce un passaggio dallo «spirito teoretico» (intuizione, rappresentazione, riflessione o pensiero) all’antitetico «spirito pratico» (sentimento, volontà istintuale, felicità) – quasi con un’ inversione rispetto alla Fenomenologia dal lavoro intellettuale al desiderio da esso« raffrenato» e «differito» nel suo appagamento immediato – dalla quale antitesi per sintesi deve risultare lo «spirito libero». Questa sintesi si proclama quale volontà conoscentesi, volontà che sa e pensa sé stessa, e che infine nello«Stato razionale» vuole quello che sa e sa quello che vuole.

Già nella Scienza della Logica Hegel afferma la superiorità dell’«idea pratica» sull’«idea del conoscere considerato» (contemplato o teorico) in quanto al bene pratico spetterebbe «non soltanto la dignità dell’universale, ma anche quella dell’ assolutamente reale». Osserva Lenin in Quaderni Filosofici che tutto questo avviene «nel capitolo L’idea del conoscere…il che significa indubbiamente che la pratica costituisce per Hegel un anello nell’analisi del processo della conoscenza. Marx quindi si ricollega direttamente a Hegel quando introduce il criterio della pratica nella teoria della conoscenza: vedi le Tesi su Feuerbach». Ma Hegel, tanto alla fine della sua Scienza della Logica che della sua Fenomenologia, o nella chiusa della sua Enciclopedia delle scienze filosofiche in compendio, riconduce il mondo, (l’oggetto, la sostanza) nel soggetto quasi come Fichte; ne consegue che non è infine la prassi ma l’interiorizzazione, la contemplazione, a coronare la verità, «la scienza del sapere che si manifesta» e nient’altro( per cui allo Spirito assoluto «soltanto dal calice di questo regno degli spiriti spumeggia fino a lui la sua infinità». Fenomenologia dello Spirito).

Inoltre secondo la celebre affermazione di Hegel nella Prefazione alla Filosofia del diritto:
«la filosofia arriva sempre troppo tardi. Come pensiero del mondo essa appare la prima volta nel tempo, dopo che la realtà ha compiuto il suo processo di formazione ed è bell’ e fatta». In tutti questi contesti, rileva Bloch, « il pensatore della chiusa circolarità, il residuato dell’immutabile ed eterno presente, hanno vinto in Hegel il pensatore del processo dialettico con la sua cripto-prassi» (agiscono qui le ascendenze luterane della sua formazione).
L’altro modello filosofico d’interpretazione del rapporto teoria-prassi , coevo al giovane Marx, è costituito dalla cosiddetta sinistra hegeliana.

Paradossalmente la cosiddetta «arma della critica» o «filosofia dell’azione» di questa «scolastica» di pensiero si rivela in realtà essere semplicemente una regressione dall’idealismo oggettivo di Hegel a quello soggettivo di Fichte, e dunque assai più distante dalla filosofia della prassi marxiana rispetto al criptomaterialismo hegeliano.

Un pensatore che introduce a queste filosofie dell’azione hegeliane di sinistra, assai meno noto degli altri esponenti di questa scuola, è Cieszkowsky, con il suo scritto Prolegomeni all’ istoriosofia del 1838, in cui pone la necessità di utilizzare la filosofia per cambiare il mondo. Quello che però in questo saggio si vorrebbe presentare quale manifesto di un’indagine razionale della tendenza della storia – perché la storia del mondo venga formata non da azioni istintuali ma consapevoli,perché la volontà venga portata alla stessa altezza a cui la ragione era stata portata da Hegel( a una ragion pratica o volontà razionale della legge morale), perché si affermi una prassi non solo pre-teoretica ma anche post-teoretica – nelle sue opere successive rimane allo stato di mera dichiarazione privo di conseguenze. In questi scritti l’interesse di Cieszkowsky per il futuro diventa sempre più irrazionale e oscuro, un’attività concepita come rifiuto della ragione e come « intuizione attiva», che trasforma la sua volontà di futuro, come dice Bloch, in una«teosofia dell’amen nella chiesa ortodossa».

A parte Feuerbach la più nota filosofia dell’azione degli hegeliani di sinistra è quella di Bruno Bauer, che nelle sue parole deve portare alla formulazione di un « giudizio universale» assolutamente oggettivo sulla realtà, ma contro le sue intenzioni, osserva Marx nell’Ideologia tedesca, finisce per dimostrarsi la più soggettiva di tutte. Costretta dalla reazione dello Stato prussiano autoritario l’arma teorica della critica di Bauer, la sua «critica critica» come la definisce Marx, si sviluppa unicamente come una battaglia tra pensieri, una prassi come un art pour l’art dello spirito. Tale filosofia dell’azione si ripiega in un individualismo egocentrico che disprezza le masse; la «critica critica» s’involve totalmente all’interno del processo dell’autocoscienza, il cui agire tende a staccarsi dall’attività sociale e a ridursi a una riforma della coscienza morale. Agli occhi di Marx il difetto più grosso della« filosofia dell’azione» di Bauer è che essa si presenta totalmente sprovvista di un’elaborata teoria economica, abissalmente distante da qualsivoglia progetto o prospettiva sulla tendenza storica dialetticamente compresa.

Per il giovane Marx non ci sono dubbi che lo scopo della sua filosofia sia una prassi rivoluzionaria che vede come suo protagonista il proletariato, una prassi accompagnata da un ‘elaborazione teorica «fecondata» dalla dialettica hegeliana. Nel prendere le distanze e nello svelare criticamente la natura « scolastica» della concezione del rapporto tra teoria e prassi in queste filosofie, con il complesso delle sue opere giovanili e con la formulazione sintetica della Tesi 2 , Marx differenzia nettamente la sua concezione di quel rapporto, in cui il pensiero o « l’idea filosofica» è appunto quel«campo di forze» che s’intreccia e media con la fenomenicità, con l’atto di esperienza dell’intuizione sensibile, puntando a disvelarne tutta la sua natura mediata , stratificata dai processi storici( economico-sociali, politico-giuridici, scientifici e generalmente culturali), a penetrarne criticamente e a rivelarne la sua autentica essenza dialettica.

Teoria e prassi, per Marx, non possono che oscillare costantemente e alternativamente tra di loro (ossia tramite il passaggio continuo tra i due poli estremi), per cui la prassi presuppone la teoria e a sua volta necessita di generare da sé una nuova teoria da cui procederà una nuova prassi. Come annota Bloch:
«il pensiero concreto non è mai stato valutato più altamente di qui, dove è diventato luce per l’azione, e mai l’azione è stata valutata più altamente di qui , dove è divenuta il coronamento della verità».
Osserva ancora Bloch che una giusta combinazione tra teoria e prassi in vista di un pensiero e un sapere veritativi, ossia filosoficamente fecondi, non coincide con una posizione « neutrale » sulla realtà, ma la prassi in quel rapporto prende posizione, è«partigiana» dell’amore per le vittime e dell’odio per gli sfruttatori o persecutori. Ma quell’amore e quell’odio devono presentarsi come razionali, ossia temperati da un ‘oggettiva, lucida visione e analisi della realtà, accompagnati da una conoscenza oggettiva e razionale.

L’amore per l’uomo teorizzato da Feurbach, il suo celebre generico rapporto sentimentale tra Io e Tu, è invece esattamente l’opposto di quell’amore intellettuale e per la giustizia sociale di cui ci parla Marx. Quello che Marx definisce il« socialismo sentimentale» di Feuerbach elude ogni conoscenza sociale e si ripiega sui meri individui e sul loro rapporto eternamente struggente. Per Marx si tratta di una sorta di tradimento farisaico che lascia beatamente stare le cose così come stanno, una prassi sentimentale da ultima linea che paralizza l’autentica azione verso cui esso vorrebbe volgersi,e finisce per essere un astratto e declamatorio amore per gli uomini che non vuole cambiare il mondo perché volga al meglio ma eternarlo al male. Quel generico«socialismo dell’amore » proclamato da Feuerbach diventa la caricatura di sé stesso, un socialismo che esclude ogni durezza nella persecuzione dell’ingiustizia, e include ogni lassismo nella lotta di classe; esso si volge in una filantropia che incontra gli interessi dell’economia capitalistica.

Contro questo tipo di amore che si perde in frasi sentimentali da cui non viene eliminata alcuna situazione effettiva e fattuale,e infiacchisce l’uomo con l’enorme pappa sentimentale con cui lo ciba, Marx ed Engels scrivono in Circolare contro H. Kriege, seguace di Feuerbach:
«… Dunque la necessità dà forza all’uomo (la costrizione); chi è costretto a cavarsela, lo fa realmente. E perciò le effettive condizioni di questo mondo, la cruda opposizione, nella società odierna tra capitale e lavoro, borghesia e proletariato,quali si rivelano nel modo più sviluppato nel tessuto industriale, sono l’altra più potente e spumeggiante fonte della concezione socialista del mondo , dell’esigenza di riforme sociali….Questa ferrea necessità assicura diffusione e seguaci attivi agli sforzi socialisti, e mediante la trasformazione delle attuali situazioni e relazioni aprirà la strada alle riforme socialiste più di tutto l’amore che arde in tutti i cuori sensibili del mondo».
Ancora una volta Feuerbach è solo una premessa, un passaggio da superare perché, in questo caso, dal suo generico amore per l’uomo si giunga a un chiarito e consapevole amore per gli sfruttati e per la conoscenza del reale, quali principi agenti indispensabili al socialismo. Osserva Bloch, e potremmo tranquillamente ancora farlo anche noi insieme a lui, che oggi l’amore informe e mistico non può più presentarsi come«idealismo in avanti», «progressivo», quale nella sua pienezza del cuore in una certa misura poteva ancora pretendere di essere al tempo di Feuerbach, ma è diventato filisteismo ipocrita, mal disincantato, liberamente religioso. I misteri delle odierne profondissime chiacchere, nemmeno più idealistiche ( prodromi degli odierni misticismo e spiritualismo new age) fanno del cuore un covo di delinquenti e un nulla di cui la borghesia si serve.

Lo afferma con forza la Tesi 8 su Feuerbach: «Tutti i misteri che trascinano la teoria verso il misticismo trovano la loro soluzione razionale nella prassi umana e nella soluzione razionale di questa prassi» (soluzione razionale della prassi resa nel frattempo impraticabile o assai problematica dall’affermarsi di un debordante dominio del principio della pulsione di morte al di là del principio del piacere, direbbero adue voci Freud e Lacan).

Annota in ogni caso Bloch che esistono due specie diverse di misteri: quelli relativi al non compreso in quanto chiarito, l’aporetico, la giungla delle contraddizioni non comprese della realtà; e quelli detti misticismi veri e propri, che sono idolatria dell’oscuro (dell’esoterico) per amore dell’oscuro. Ma anche semplici cose non svelate, il loro carattere nebuloso, possono sedurre al misticismo; appunto per questo la soluzione umana è qui unicamente la prassi razionale e la soluzione razionale è unicamente la prassi umana che non si attiene alla giungla.

L’amore autentico di cui ci parla Marx (e Bloch con lui) è il concreto amore che prende parte, che si fa partigiano, legato a sua volta a una contrapposta polarità d’odio altrettanto concreta  (a una volontà di«negazione determinata dell’esistente», potremmo hegelianamente dire). Senza la parzialità del punto di vista rivoluzionario di classe c’è soltanto idealismo regressivo invece che prassi progressista. Senza il primato della riflessione o ragione fino al punto estremo, ci sono solo i misteri della soluzione invece che la soluzione dei misteri.

Feurbach scrive La filosofia dell’avvenire, ma secondo Marx nella conclusione della sua etica mancano tanto la filosofia che l’avvenire, mentre la teoria marxiana che si coniuga dialetticamente con la prassi aspira essa stessa ad essere concreta o materiale filosofia del futuro. Tutti gli elementi filosofici sono ormai radunati perché Bloch, e noi con lui, rifletta sulla parola d’ordine lanciata da Marx nella conclusiva Tesi 11 –«I filosofi fin’ora hanno solo diversamente interpretato il mondo, ma si tratta di trasformarlo» – come vedremo la prossima volta.


La parola d’ordine della Tesi 11
«I filosofi fin’ora hanno solo diversamente interpretato il mondo, ma si tratta di trasformarlo» (Tesi 11)
Friedrich Engels, Karl Marx & Ludwig Feuerbach
Ernst Bloch vede le prime dieci Tesi su Feuerbach di Marx come un unico avvicinamento e preparazione alla parola d’ordine formulata nella conclusiva Tesi 11: «I filosofi hanno solo diversamente interpretato il mondo, ma si tratta di trasformarlo». Qual’è il senso di tale parola d’ordine? E’ doveroso premettere che le Undici tesi su Feuerbach furono scritte da Marx nel 1845 come una sorta di memorandum non destinato alla pubblicazione (furono pubblicate postume solo nel 1888 da Engels) e destinato a costituire una sorta di fonte d’ ispirazione perenne. Questo determina la loro natura di aforismi (pensieri brevi) che o abbozzano un giudizio critico, o sono icastiche, o pronunciano una parola d’ordine com’è il caso preclaro della Tesi 11.

La loro natura aforistica le predispone ad un’interpretazione ambigua, ambivalente, e ciò vale al massimo grado proprio per la Tesi finale, come ha dimostrato la storia della sua interpretazione dal momento in cui Engels pubblicò le Undici Tesi fino ad oggi. Ed è esattamente per questo motivo, per «disambiguare» il significato della Tesi 11, e dimostrare che le precedenti dieci tesi vanno lette come un’adeguata preparazione intellettuale e filosofica alla sua parola d’ordine, che Ernst Bloch in Il principio Speranza ha svolto un’articolata e ricchissima trattazione dei temi filosofici generali sotto cui raggruppa le Tesi, come abbiamo cercato di presentare nelle« puntate» precedenti.  La questione cruciale e decisiva da «sviscerare » è che teoria e prassi vanno comprese e approfondite nel loro significato, che ad ognuna di loro va assegnato il ruolo e il posto esatti nel processo dell’esperienza e della conoscenza, senza sopraffazione ideologica e strumentale di ognuna da parte dell’altra. La parola d’ordine della Tesi 11 secondo Bloch non invita alla liquidazione di ogni attività teoretica , di ogni filosofia, ma a una nuova pulsione filosofica, a una«filosofia della prassi», anzi a una dialettica tra teoria e prassi, tra soggetto e oggetto, in cui l’attività filosofica o teoretica non scompare affatto ma semmai si carica di un nuovo significato, si approfondisce, si potenzia.

Ne segue la necessità di –nel cosiddetto tema gnoseologico delle Tesi 5,1,3– cogliere la necessaria mediazione tra quello che Feuerbach considera il fondamento primo di ogni atto di pensiero e conoscenza, l’intuizione sensibile o esperienza immediata del soggetto, e un’attività intellettuale insita in essa, una stratificazione pregressa tra ricezione/passione e azione che in Hegel non è altro che la dialettica tra desiderio e lavoro, tra la sua pulsione di appagamento e il differimento o raffrenamento del suo godimento nella sua elaborazione intellettuale. Ma il fatto che Hegel ponga tale dialettica sotto il rapporto sociale e storico tra il Signore che vuole godere dell’oggetto della natura e il Servo che lo lavora e lo appresta per conto suo, già indica che si tratta tanto di una dialettica interna all’individuo che «transindividuale», interindividuale o intersoggettiva. Se, come osserva Marx, l’insegnamento di Hegel è che «l’essere o la natura dell’uomo è il prodotto del suo proprio lavoro», allora la costituzione dell’autocoscienza o soggettività va ricondotta agli«interindividuali» rapporti sociali, in cui si va a fondo della natura storica del concetto di lavoro quale divisione sociale tra lavoro intellettuale e manuale, un portato del processo storico e delle sue successive e diverse configurazioni di società e di rapporti sociali.

A questo primo accenno all’alternativa marxiana al materialismo ancora meramente sensualistico, passivo e oggettivo formulato da Feuerbach, segue che il riconoscimento feuerbachiano che la natura umana non è data immediatamente ma si presenta «autoalienata» nelle proiezioni immaginative e fantastiche della religione,« rovesciata» e proiettata fuori di sé nel cielo trascendente della divinità, non può arrestarsi a questo stadio fenomenico e superficiale di alienazione («estraniazione») dell’individuo ma deve necessariamente approfondirsi nella rilevazione di altre alienazioni via via più fondamentali: l’alienazione nei rapporti sociali, e poi nel sistema statuale delle istituzioni politiche, per giungere infine al nucleo economico dell’ alienazione nei rapporti e processi di produzione.  Questo delinea il tema « antropologico-storico» che Ernst Bloch individua nel gruppo di Tesi 4, 6, 7, 9, 10. Gruppo« gnoseologico» e Gruppo«antropologico storico» avviano il pensiero di Marx a quella nuova, inaudita filosofia che si chiamerà «materialismo storico e dialettico», attraverso un procedimento di« critica immanente» e «negazione determinata» o negazione dialettica dei principi dell’antropologia filosofica di Feuerbach, due dettami interamente in spirito hegeliano.

E’ ancora necessario un passo, urge ancora un elemento, perché un vero umanesimo, una vera antropologia filosofica si delinei compiutamente e squaderni la formulazione della Tesi 11 quale centro luminoso del pensiero. Accanto alla mediazione intuizione-attività e alla determinazione della vera fonte dell’autoalienazione, bisogna che entrambi, teoria e prassi giungano al loro punto di «equilibrio instabile», al loro luogo di « oscillazione perenne», per cui la ricerca della verità non può che darsi nella dialettica perennis tra teoria e prassi. E’ il tema filosofico «Teoria e prassi, prova e controprova» trattato nelle Tesi 2,8.  Il pensiero o l’idea filosofica, intesa come «campo di forze» (in perenne tensione tra di loro, come l’intenderebbe Theodor Adorno) intende svelare il nesso mediato ed essenziale del fenomeno, quell’intreccio che nel fenomeno è ancora imprigionato nella mera sensibilità. In tal guisa il pensiero si presenta come « concreto», (concretus, ossia quale una«concrezione», una concentrazione e stratificazione sull’oggetto ricercato).

Teoria e prassi«tralucono» o«scintillano» di verità solo in questa loro tensione reciproca, in cui la verità né si riduce a un rapporto interno alla teoria né coincide con una prassi subordinata a un intuizione sensibile meramente passiva, oggettiva e cieca. Nella prassi sensibile mediata e conseguita dalla teoria il pensiero invece, diventato finalmente concreto, dispiega completamente la sua funzione di attività critica e penetrante o rivelatrice in rapporto al suo oggetto. In questa oscillazione (passaggio per gli estremi) continua tra teoria e prassi la prassi presuppone la teoria e a sua volta necessita di generare da sé una nuova teoria da cui procederà una nuova prassi.

La ricapitolazione dell’itinere compiuto da Bloch nelle prime dieci Tesi non è superfluo né ridondante se immediatamente illumina il fatto che il significato della parola d’ordine della Tesi 11 – «si tratta non solo più di comprenderlo e interpretarlo, ma anche di trasformare il mondo» – allontana da sé due modelli di pragmatismo che storicamente si sono dimostrati letali per la dialettica teoria -prassi marxiana.

Il primo è il pragmatismo positivista capitalistico-borghese, di stampo anglosassone. Questo modello concepisce la verità come utilizzo «affaristico» delle idee, come loro strumentalizzazione. Qui solo se una verità è indirizzata a un successo pratico, allora essa è riconosciuta come tale. Se l’opera che inizialmente ha dato il titolo al modello – Pragmatism di Henry James – ancora intendeva un pensiero logicamente umanistico, i suoi sviluppi ulteriori però, osserva Bloch, hanno manifestato la vera anima di tale dottrina, l’ultimo agnosticismo di una società ormai priva di ogni volontà di verità (di ogni genuino spirito filosofico). A questo hanno contribuito le vicende di due guerre mondiali, per cui questo pragmatismo non si è più neppure preoccupato di sbandierare strumentalmente la ricerca della verità, e questo ha preparato il terreno al suo ultimo stadio: al totale, infame pragmatismo dei nazisti. Forgiato in questo lavacro il modello della razionalità strumentale da allora in poi ha fatto sì che le idee fluttuassero e cambiassero come le quotazioni delle azioni in borsa (potremmo dire che oggi le conseguenze ultime del pragmatismo si presentano come la verità del capitalismo finanziario e della sua ricerca del massimo profitto, la sua legge di estrazione del valore).

Questa specie di pragmatismo poté essere confuso con una teoria-prassi , mentre in realtà si trattava di una celebrazione della pura razionalità strumentale ammantata di teoria. Anche qui, osserva beffardamente Bloch,«si volle fare della prassi suprema il concreto coronamento della verità o sua riprova quale “trasformazione del mondo”».

La seconda specie o modello di pragmatismo che ha danneggiato gravemente la teoria-prassi marxiana, è quello che si è presentato come il suo parente più prossimo, anzi come il suo erede in discendenza diretta: il pragmatismo dell’ortodossia marxista- leninista e la sua famigerata codificazione nella Diamat stalinista. Pur con maggior cautela rispetto alla condanna del pragmatismo borghese-capitalistico Bloch ugualmente lo boccia quale modello gnoseologico e conseguente prassi politica. Tale gnoseologia prende corpo nel saggio del 1908 Materialismo ed empiriocriticismo; il suo autore, Lenin, per motivi di polemica e tattica politica riduce la dialettica materialistica marxiana a mera teoria del rispecchiamento in cui la coscienza soggettiva diventa il semplice registratore passivo dei fatti oggettivi, il riproduttore delle immagini provenienti dagli oggetti della conoscenza. Come annota in modo acuto T. W. Adorno in Dialettica Negativa la gnoseologia leninista nega la necessità della riflessione critica soggettiva dell’oggettività, il fatto che se il soggetto si limita a rispecchiare l’oggetto, necessariamente lo manca, poiché questo si dischiude solo a una risposta attiva, a un di più da parte del soggetto.

Adorno evidenzia come l’oggetto della teoria non sia un immediato materiale di cui questa possa riprodurre in immagine la copia ma che invece la conoscenza pensa o« idea» i suoi oggetti mentre si media con essi, e questo a maggior ragione per oggetti radicalmente mediati quali sono quelli dei processi sociali. Nell’oggetto sociale si è trasferito, come sua legge dinamica, il fatto che la realtà moderna e contemporanea non è data intuitivamente ma è in sé funzionale , intrinsecamente astratta, e non consente una coscienza meramente rispecchiante ossia irriflessiva.

Il rovesciamento meramente materialistico della dialettica hegeliana (non corrispondente al metodo marxiano di dialettica tra soggetto e oggetto), la storicità dei principi etici subordinati alla lotta di classe e la convergenza delle «leggi dell’evoluzione» in fisica (Helmholtz) in biologia (Darwin) e in economia politica (Marx) corrispondono alla linea direttrice tracciata da Lenin con la sua gnoseologia del rispecchiamento. Il successivo dibattito interno alla filosofia sovietica che fa seguito a tale dottrina, tra « dialettici » e «meccanicisti », viene troncato d’imperio dal segretario del partito sovietico Stalin che nell’ opuscolo Materialismo dialettico e materialismo storico (1937) identifica il materialismo dialettico con il marxismo-leninismo e lo codifica in una serie di «leggi della dialettica» a fondamento delle scienze specialistiche e in particolare della scienza della storia. Tali leggi della dialettica diventano anche il garante a priori della conformità delle scienze particolari alla «concezione del mondo proletaria» – Questa dottrina leninista-stalinista viene denominata in forma abbreviata Diamat (dal russo Dialekticesky Materialzm).

La coazione e compressione del ruolo della teoria scientifica e filosofica in questo sistema di pensiero produce quel modello di pragmatismo sovietico che Bloch definisce l’istupidimento di una dialettica teoria-prassi che trascura tutta la ricchezza della teoria marxista insieme all’appropriazione critica dell’eredità culturale che vi è contenuta. Questo accade poiché quella dottrina trascura completamente il ruolo fondamentale nell’elaborazione teorica del fattore soggettivo della riflessione, del ragionamento, dell’analisi, dell’interpretazione e dell’intuizione. Osserva Bloch: «l’essenza luminosa della complicata teoria marxista viene da questi praticisti trascinata nella propria privata ignoranza e nel risentimento che a quest’ultima facilmente si accompagna».

Per far prendere le distanze alla parola d’ordine della Tesi 11 da questa «Scilla e Cariddi» del pragmatismo, tra capitalismo e sovietismo, Bloch ribadisce che per Marx un pensiero non è vero perché è utile, ma è utile perché è vero. La prassi politica concreta non può fare un passo senza avere preso informazioni economiche, giuridiche, sociologiche, psicanalitiche, scientifico-tecnologiche e culturali da una teoria che si dimostri la più progredita, che sia sul fronte più avanzato del progresso delle conoscenze.

Annota Bloch che il socialismo ha bisogno di buoni teorici e di buone teorie, non riducibili a schematizzazioni e semplificazioni della realtà con cui si confrontano. I più grandi pensatori della prassi sono nemici del pragmatismo proprio perché fedeli testimoni della verità. Il trionfo filosofico della Tesi 11 non può essere confuso con un ‘abdicazione della filosofia (del desiderio perenne e inestinguibile della ricerca di verità e della sua connessa e continua attività di riflessione e critica della realtà). Lo sviluppo di una conoscenza attiva o viceversa di una prassi sorvegliata dalla ragione consente alla ragione stessa di vigilare sull’ umano viaggio di ritorno all’irrazionale che si manifesti come l’irrazionale barbarico della distruzione della ragione (al modo del pensiero ontologico di Heidegger) o come l’irrazionale stupido dell’ignoranza della ragione presente nella Diamat sovietica.

Qual’è dunque, nell’interpretazione di Bloch, la distinzione tra una filosofia «viziosa » e una filosofia «virtuosa» che Marx intenderebbe affermare con quella Tesi 11, a sua volta formulazione sintetica dell’intero complesso delle Tesi? Agli occhi di Marx viziosa è quella filosofia che si limita o si è limitata ad interpretare il mondo, a contemplarlo, senza impegnarsi seriamente a volgere tale interpretazione verso un’ attività di trasformazione del mondo. Qui Marx in particolare attacca quello specifico genere di filosofia contemplativa che si accontenta di lasciare le cose così come stanno, anzi di pretendere di cambiarle solo con un libro, mentre il mondo stesso non se ne accorge per nulla. Questo tipo di pensiero così ben organizzato, che«risiede nella propria riserva», annota Bloch, sarebbe disturbato da ogni autentico passo verso la realtà esterna, così come lo sarebbe la vita privata di pensieri inventati.

Rientrano in tal novero speculativo anche quelle opere filosofiche che pur cercando un’aderenza assoluta alla realtà oggettiva, spesso si appagano e si compiacciono contemplativamente di stare nel loro circoscritto nesso raggiunto nel processo dell’opera, al punto di temere una trasformazione del mondo rappresentato derivante da esse stesse. Infatti in quel caso l’opera, anche se si pone come prodromo del futuro, non potrebbe più librarsi in modo autarchico tra le diverse epoche. Queste filosofie che si appagano di una mera contemplazione della realtà sarebbero secondo Marx inconsapevolmente spinte e condizionate a tale posizione da una barriera di classe.

Bersaglio polemico dell’argomentazione di Marx è , come già visto la volta scorsa, in particolare la scuola filosofica degli epigoni di Hegel, considerata da lui come «non filosofia». Nell’Ideologia Tedesca Marx polemizza in modo particolarmente duro con costoro: «Bisogna “mettere in disparte la filosofia”, bisogna balzarne fuori e mettersi, come uomo comune, a studiare la realtà, e per fare questo esiste un immenso materiale, anche letterario, naturalmente sconosciuto ai filosofi; se poi un bel giorno ci si ritrova dinanzi gente come Kulhmann o Stirner ci si accorge di averli lasciati da lungo tempo dietro o sotto di sé. La filosofia e lo studio del mondo reale stanno in rapporto tra di loro come l’onanismo e l’amore sessuale».

L’invettiva è dunque rivolta alle «fanfaronate filosofiche », non certo alla filosofia hegeliana o ad altre grandi filosofie del passato, per quanto contemplative potessero essere. Marx riconosce che al concreto Hegel, il più dotto enciclopedista dall’epoca di Aristotele, non può essere rinfacciata una «mancanza nello studio del mondo reale». Di questa eredità di filosofia reale e creativa Marx ne parla in maniera completamente diversa.

Da ciò che è stato detto fin’ora, in questa come nelle precedenti esposizioni, emerge in maniera evidente un rapporto complesso da parte di Marx nei confronti della tradizione filosofica, rapporto che a sua volta configura via via sempre di più i lineamenti della sua dialettica soggetto-oggetto, teoria-prassi. La giovanile Per la critica della filosofia del diritto di Hegel dà già delle indicazioni importanti in tale senso. Qui Marx assume un doppio atteggiamento nei confronti della filosofia: 1) Da una parte sostiene che la filosofia non può essere soppressa senza essere realizzata; 2) dall’altra parte la filosofia non può venire realizzata senza essere soppressa.

1) Il primo atteggiamento pone a bersaglio il cosiddetto «partito dei pratici»:
«A ragione perciò il partito politico pratico in Germania esige la negazione della filosofia. Il suo torto non consiste in tale esigenza ma nel fermarsi ad essa senza seriamente soddisfarla né poterla soddisfare. Esso crede di compiere quella negazione voltando le spalle alla filosofia e col capo rivolto altrove, mormorando con disapprovazione contro di essa qualche frase ingiuriosa e banale. La ristrettezza del suo orizzonte non annovera la filosofia neppure nella cerchia della realtà tedesca, o addirittura vaneggia che sia al di sotto della prassi tedesca e delle teorie che la servono. Voi pretendete ci si riallacci a germi reali di vita, ma dimenticate che il germe reale di vita del popolo tedesco fino ad oggi ha germogliato solo dentro il suo cervello. In una parola : voi non potete sopprimere la filosofia senza realizzarla»
2) La seconda affermazione se la prende con il partito dei teorici:
«Lo stesso torto, ma invertendo i fattori, lo ha commesso il partito politico teorico, che prende le mosse appunto dalla filosofia. Nella lotta odierna, esso ha visto unicamente la lotta critica della filosofia contro il mondo tedesco e non ha considerato che anche la filosofia sorta dopo l’inizio di quella lotta appartiene a questo mondo e ne è il completamento, sia pure ideale. Critico verso il suo avversario si è comportato acriticamente verso sé stesso, poiché è partito dalle premesse della filosofia e si è arrestato ai suoi risultati dati, ovvero ha spacciato come esigenze immediate e risultati della filosofia esigenze e risultati presi altrove, sebbene questi al contrario – posto che siano giustificati – si possono ottenere solo attraverso la negazione della filosofia avutasi finora , della filosofia in quanto filosofia : ci riserviamo una più approfondita descrizione di questo partito». (Definito da Marx sia nella Sacra Famiglia che Nell’Ideologia tedesca il partito «della contemplazione degenerata, della critica quiete della conoscenza»).
Il suo difetto principale era dunque il seguente: «esso credeva di poter realizzare la filosofia senza sopprimerla». Ai pratici Marx suggerisce una maggiore realizzazione della filosofia e ai teorici un maggiore superamento della filosofia.

Osserva Bloch che qui la negazione della filosofia è un concetto eminentemente hegeliano, la«negazione determinata» della filosofia, e dunque Marx si riferisce esplicitamente alla filosofia «avutasi finora», non in generale ad ogni filosofia possibile e futura. Si nega la filosofia autarchico-contemplativa che si limita ad interpretare il mondo in maniera unicamente antiquaria, e non si nega invece la filosofia che cambi il mondo in maniera rivoluzionaria. E proprio la filosofia classica tedesca, Hegel in primis, presentando così «tanto studio del mondo reale», figura «tra le tre fonti e tre parti integranti del marxismo», e questa non è una cosa poco pratica.

Ribadisce Bloch che la novità della filosofia marxista è la trasformazione radicale del suo fondamento, il suo compito proletario-rivoluzionario; ma non nel fatto che l’unica filosofia capace e determinata alla concreta trasformazione del mondo non sia più una filosofia. Poiché essa lo è come non mai; il marxismo non sarebbe affatto una trasformazione nel senso vero se prima di esso e in esso non ci fosse un prius teorico-pratico della vera filosofia. Ossia di quella filosofia a lungo respiro, pienamente immersa nella sua eredità intellettuale e culturale (assunta criticamente, con una sua negazione determinata, come insegna Adorno), che s’intende di luce ultra violetta, cioè delle qualità della realtà che sono portatrici di futuro (potenziali lineamenti dello spirito dell’utopia).

Dunque non è la prassi per la prassi, una trasformazione purchessia del mondo, che può essere identificata con la dottrina marxiana, con il suo metodo dialettico. Al contrario deve essere somministrato l’antidoto all’idea che le trasformazioni delle cose, in sé e per sé, siano necessariamente portatrici dell’avvenire dell’umanità e possano tranquillamente avvenire senza concetto, in modo folle o barbarico o catastrofico, o come delirio mentale di uno scenario futuro, (l’hegeliana «riproduzione perfetta del caos»). L’assunto marxiano è invece che solo una conoscenza solida e un dominio sempre più esatto della necessità (oggi potremmo dire la conoscenza dettagliata e precisa dei processi e meccanismi dominanti del capitalismo finanziario e dei possibili antidoti e strategie politico-economiche alternative) consente di traguardare alla trasformazione seria e al regno della libertà.

Com’è da intendersi dunque la trasformazione filosofica della realtà nell’accezione marxiana? Bloch risponde che la trasformazione filosofica è una trasformazione con incessante conoscenza del contesto; la filosofia non è una scienza a parte, al di sopra delle altre, tuttavia essa è la scienza e la coscienza specifica della totalità «soggetto-oggettiva» che «traluce» da tutte le scienze (rapporto di tensione e collaborazione a un tempo tra filosofia e scienze).

La filosofia è la coscienza in progresso della totalità progrediente( è filosofia della storia) dal momento che questa totalità non esiste come un fatto o dato oggettivo ma solo nel legame gigantesco del processo o divenire storico (un legame gigantesco dato nella funzione dinamica di legge o valore di scambio della merce e nel correlativo processo d’identificazione scientifico-tecnologico, processo d’identificazione«oggettiva» che a sua volta media l’interiorità profonda, l’inconscio, delle coscienze o psicologie, ossia la« soggettività») con ciò che non è ancora divenuto. Quindi la trasformazione filosofica è una trasformazione a misura della situazione analizzata, della tendenza dialettica, delle leggi oggettive, della possibilità reale. Essa avviene nell’orizzonte del futuro, assolutamente chiuso alla contemplazione, chiuso all’interpretazione, ma marxisticamente conoscibile.

Nello stesso luogo – Per la critica della filosofia del diritto di Hegel – in cui muove le sue critiche ai partiti dei «pratici» e dei«teorici» nella loro antitesi, Marx formula anche la seguente annotazione di sintesi dialettica: «La filosofia non può realizzarsi senza la soppressione del proletariato, il proletariato non può sopprimersi senza la realizzazione della filosofia». E se il proletariato viene inteso, come fa Marx, non solo come una classe sociale, ma anche e sopratutto come il «sintomo più acuto» dell’ autoalienazione umana, è indubbiamente un atto lungo: la piena soppressione così intesa coincide con l’ultimo atto del comunismo.

Questo estremo eschaton filosofico prevede la società del futuro come un realizzato naturalismo dell’esistenza umana e un realizzato umanesimo della natura (Manoscritti economico-filosofici del 1844). Questa prospettiva ultima della trasformazione del mondo diventa il punto archimedeo intorno a cui deve ruotare il pensiero che fa uscire la filosofia dalla sua dimensione contemplativa «antiquaria», con lo sguardo rivolto unicamente al passato, e la volge al presente e ai lineamenti dell’orizzonte del futuro in esso impliciti o potenziali. Qui Ernst Bloch, il fenomenologo delle passioni di attesa – tra cui rileva come la più potente di tutte la speranza– il filosofo dello spirito dell’utopia concreta, «torna a casa», come vedremo la prossima volta.
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