Karl Marx ✆ Alessandro D’Alatri |
Renato Caputo | Come è noto, sin da giovane Gramsci ha
difeso la Rivoluzione di ottobre come una rivoluzione contro il Capitale. In altri termini si tratta di una
rivoluzione che aveva avuto successo proprio perché i suoi ideatori avevano
operato una cesura con quella ortodossia marxista, dinanzi alla quale lo stesso
Marx aveva sostenuto di non essere marxista.
È altrettanto noto che Gramsci, riflettendo in carcere sulle cause della sconfitta della rivoluzione in Occidente le rinviene, in primo luogo, nell’incapacità dei comunisti, troppo ancorati alla tradizione massi- malista, di tradurre la lezione leninista nel contesto di un Paese a capitalismo avanzato. In tal caso, la rivoluzione in Occidente si sarebbe potuta realizzare solo operando una cesura con una schematica riproposizione del modello bolscevico in un contesto in cui non c’è essenzialmente da fare i conti con lo Stato, ma prima ancora con una società civile riccamente articolata.
È altrettanto noto che Gramsci, riflettendo in carcere sulle cause della sconfitta della rivoluzione in Occidente le rinviene, in primo luogo, nell’incapacità dei comunisti, troppo ancorati alla tradizione massi- malista, di tradurre la lezione leninista nel contesto di un Paese a capitalismo avanzato. In tal caso, la rivoluzione in Occidente si sarebbe potuta realizzare solo operando una cesura con una schematica riproposizione del modello bolscevico in un contesto in cui non c’è essenzialmente da fare i conti con lo Stato, ma prima ancora con una società civile riccamente articolata.
Ciò rendeva necessario, dinanzi all’evidente fallimento del
tentativo di affermarsi con una guerra lampo di movimento, prepararsi a una
necessariamente lunga guerra di logoramento. Nelle società a capitalismo
avanzato, infatti, il potere non si regge principalmente sul monopolio della
violenza legalizzata ma sulla capacità di egemonia del blocco storico dominante
sui ceti sociali subalterni. Ciò rende indispensabile lo sviluppo della lotta
di classe al livello delle sovrastrutture.
Proprio il marxismo occidentale si è sviluppato
insistendo sulla necessità di sviluppare la coscienza di classe nei ceti
subalterni. Lo sviluppo di quest’ultima è certamente favorito dal comune
sfruttamento da parte della borghesia e dalla necessaria lotta di classe che,
dal piano della rivendicazione economica, tende a svilupparsi sul piano della
lotta politica. Tuttavia tale passaggio, necessario per superare l’ottica
riformista del sindacalismo, richiede l’elaborazione di una propria visione del
mondo in grado di emanciparsi progressivamente dal pensiero unico dominante,
ossia dall’ideologia della classe dominante.
L’elaborazione di una concezione del mondo, in grado di
affermarsi nella lotta decisiva per l’egemonia sugli strati sociali intermedi,
richiede al contempo autonomia e capacità di superare dialetticamente
l’ideologia dominante. A tale scopo occorre ripartire dalla lezione di colui
che ha elaborato i lineamenti fondamentali di tale autonoma concezione del
mondo, a partire proprio da una critica dell’ideologia dominante nella società
capitalista.
Certo è evidente che oggi tali lineamenti fondamentali non
siano più sufficienti e che occorre necessariamente aggiornare la critica
dell’ideologia dominante, ma è altrettanto vero che tale indispensabile
sviluppo può aver luogo unicamente avendo ben chiaro il punto di partenza e lo
scopo finale. Ora in un’epoca in cui il popolo della sinistra del nostro
infelice Paese ripone in modo decisamente maggioritario le proprie residue
speranze in un sindacalista che ancora si fa vanto di non aver letto Marx, è
forse il caso di considerare con Hegel il noto che, proprio perché
considerato tale, non è realmente conosciuto.
L’elaborazione di una concezione del mondo autonoma e
critica da parte di Marx passa necessariamente attraverso il superamento
dialettico del sistema filosofico hegeliano che aveva compendiato in sé la visione
del mondo moderna, elaborata da una classe, la borghesia, che grazie a essa era
riuscita a rovesciare l’ancien régime e a divenire la classe dirigente e
dominante. Come è noto, il processo di maturazione di Marx passa proprio
attraverso il confronto con la riflessione di Hegel sulla società civile e lo Stato moderni,
secondo l’interpretazione della sinistra hegeliana.
È proprio tale incontro che porta Marx ad abbandonare la
giurisprudenza, studiata fino ad allora per volontà del padre, e a occuparsi di
filosofia. Il confronto con questo eccezionale compendio della tradizione
moderna borghese è da subito critico, tanto che Marx si impegna da subito nel
suo superamento dialettico attraverso la rivalutazione di quella tradizione
materialista che l’ideologia idealista, allora dominante anche a “sinistra”,
tendeva a sottovalutare.
Ciò porta Marx, a soli 25 anni, a criticare l’elemento
determinante dell’ideologia borghese anche nella sua versione più progressista,
ossia l’idea che lo Stato possa regolare e correggere, in quanto sfera
superiore volta alla ricerca del bene comune, le contraddizioni
socio-economiche di una società civile
dominata dall’ individualistica ricerca del profitto. Tale concezione di uno
Stato super partes, arbitro imparziale dei contrasti della società civile, in grado di far
prevalere la volontà generale sulla volontà particolare ed egoista della sfera
socio-economica, è smascherata dal giovane Marx – a partire dalla disamina
critica della hegeliana Filosofia
del diritto – come una mistificazione ideologica “necessaria”. In
altri termini come la coscienza infelice del cristiano, dinanzi alla
spietata crudezza di un mondo improntato alla ricerca dell’utile individuale,
dominato da un impietoso darwinismo sociale, ricerca una soluzione in una
fittizia sfera in grado di trascendere l’ambito socio-economico, così
l’idealista borghese si illude di trovare nello Stato una camera di
compensazione degli squilibri e delle contraddizioni laceranti la sfera
economica della società civile. In
quest’ultima, infatti, dominano gli interessi materiali che portano non solo
gli individui a sfidarsi nella perpetua sfida della concorrenza, ma le classi
sociali a confliggere costantemente per la distribuzione della ricchezza della
nazione. Dinanzi a questo quadro sconfortante, che rischia di far precipitare
la società in una perpetua situazione di conflittualità interna, che la indebolirà
nella competizione esterna con le altre nazioni, diviene indispensabile
delegare la soluzione di tali contraddittori interessi, fonti di perpetui
conflitti intestini, a un giudice imparziale, uno Stato e un governo tecnico,
di funzionari unicamente votati all’interesse generale (nazionale).
Tali concezioni ideologiche erano a tal punto pervasive, in
quanto rese in qualche modo “necessarie” dalle contraddizioni reali, oggettive,
da influenzare in modo determinante le prime forme di organizzazione autonoma
della classe operaia in Germania sotto l’influenza di Lassalle. Tale concezione
sarà inoltre in grado di influenzare a fondo sin dalla sua nascita la
socialdemocrazia tedesca, partito cardine della Seconda internazionale. Non a
caso al suo interno si affermeranno progressivamente le concezioni riformiste e
revisioniste nei confronti del marxismo che non considerano più utile
sovvertire lo Stato borghese, ma intendono concorrere con la borghesia alla sua
direzione, accettando le regole della dialettica parlamentare. Come se,
appunto, lo Stato fosse un organismo neutro, superiore alle contraddizioni
della società civile, che potrebbe –
una volta diretto da forze progressiste – far prevalere la volontà generale
della nazione.
Tale ideologia è a tal punto stata pervasiva, ancora, da
convincere la parte maggioritaria del ceto dirigente della Seconda
Internazionale a votare i crediti di guerra, indispensabili allo scoppio della
Prima Guerra Mondiale, in nome della difesa dello Stato nazionale democratico di
contro alle concezioni antidemocratiche proprie sempre del nemico.
Tali concezioni hanno dato un contributo essenziale alla
stessa mutazione genetica del Partito Comunista Italiano in Partito Democratico
della nazione. Con il passare degli anni è venuta meno la stessa ragione
d’essere di un partito comunista, ossia il superamento rivoluzionario della
società capitalista, e ci si è progressivamente adattati a cercare di gestire
politicamente, occupando le cariche istituzionali, le contraddizioni strutturali.
Tale tendenza si è diffusa a livello continentale con il cosiddetto
Eurocomunismo, ossia con l’illusione di poter governare le contraddizioni della
società capitalista a livello comunitario.
Tale concezione, per cui è possibile governare dall’alto,
occupando le istituzioni dello Stato, le contraddizioni della struttura
economica della società capitalista, è tuttora dominante nella sinistra
europea, tanto che costituisce un punto di incontro fra le forze della sinistra
moderata e quelle della sinistra radicale. L’illusione resta quella di matrice
idealista hegeliana che lo Stato sia, in quanto superiore alla società civile, in grado di domarne gli
spiriti animali.
Detta ideologia idealista, non a caso contrastata da Marx
sin dagli anni giovanili, accomuna nel nostro infelice Paese forze che
continuano ostinatamente a definirsi comuniste e marxiste e forze che
pretendono di porsi al di là dell’opposizione fra destra e sinistra. Le prime
hanno come punto di riferimento le posizioni predominanti negli ultimi anni nel
Partito Comunista Cinese, in cui si è affermata l’illusione che sia possibile
controllare dall’alto gli spiriti animali del capitalismo, ai quali si
concedono crescenti spazi al livello della società
civile. In tal modo, non solo controllando progressivamente la struttura
economica la concezione del mondo borghese tende a imporsi al livello delle
sovrastrutture, ma l’ideologia idealista per cui sono le sovrastrutture
ideologico politiche a determinare la struttura socio-economica è ormai
dominante fra gli stessi dirigenti del PCC.
D’altra parte tale illusione è anche alla base
dell’ideologia che pretende di superare la contraddizione fra capitale e forza
lavoro, fra destra e sinistra nell’opposizione fra funzionari onesti,
espressione della società civile, e
politicanti corrotti espressione dei vecchi e superati partiti politici. In tal
modo, sarebbe sufficiente, al solito, far occupare le istituzioni da uomini
onesti, privi di conflitti di interessi, e ligi difensori dello Stato di
diritto, per avere un governo non solo in grado di realizzare la volontà
generale della nazione ma capace persino di superare le contraddizioni fra le
classi sociali.
Non possiamo che concludere che siamo dinanzi a una delle
due facce del pensiero unico, espressione della classe dominante, la faccia
idealista cui fa da contraltare, secondo il meccanismo bipolare
dell’alternanza, la faccia realista che non nasconde di considerare
lo Stato come strumento della società
civile. A questo punto appare evidente che sarà possibile ricostruire
un’opposizione non solo sociale, ma anche politica, in grado di porre la
questione del potere, unicamente ricostruendo una visione del mondo autonoma e
in grado di superare dialetticamente la concezione dominante. A tale scopo,
come abbiamo visto, è indubbiamente utile ripartire dagli spunti offerti
dall’opera di Marx.
http://www.lacittafutura.it/ |