9/11/15

Marx e noi: Stato e Società Civile

Karl Marx ✆ Alessandro D’Alatri
La contrapposizione marxiana fra concezione materialista e idealista della dialettica fra Stato e società civile è ancora oggi essenziale per contrapporre al pensiero unico dominante una visione del mondo autonoma, in grado di superare dialetticamente le ideologie precedenti. Soltanto mediante il rovesciamento della concezione idealista sarà possibile sviluppare la concezione materialista della storia per cui sono le strutture economiche e sociali a determinare, in ultima istanza, le sovrastrutture politiche.

Renato Caputo   |   Come è noto, sin da giovane Gramsci ha difeso la Rivoluzione di ottobre come una rivoluzione contro il Capitale. In altri termini si tratta di una rivoluzione che aveva avuto successo proprio perché i suoi ideatori avevano operato una cesura con quella ortodossia marxista, dinanzi alla quale lo stesso Marx aveva sostenuto di non essere marxista.

È altrettanto noto che Gramsci, riflettendo in carcere sulle cause della sconfitta della rivoluzione in Occidente le rinviene, in primo luogo, nell’incapacità dei comunisti, troppo ancorati alla tradizione massi- malista, di tradurre la lezione leninista nel contesto di un Paese a capitalismo avanzato. In tal caso, la rivoluzione in Occidente si sarebbe potuta realizzare solo operando una cesura con una schematica riproposizione del modello bolscevico in un contesto in cui non c’è essenzialmente da fare i conti con lo Stato, ma prima ancora con una società civile riccamente articolata.

Ciò rendeva necessario, dinanzi all’evidente fallimento del tentativo di affermarsi con una guerra lampo di movimento, prepararsi a una necessariamente lunga guerra di logoramento. Nelle società a capitalismo avanzato, infatti, il potere non si regge principalmente sul monopolio della violenza legalizzata ma sulla capacità di egemonia del blocco storico dominante sui ceti sociali subalterni. Ciò rende indispensabile lo sviluppo della lotta di classe al livello delle sovrastrutture.

Proprio il marxismo occidentale si è sviluppato insistendo sulla necessità di sviluppare la coscienza di classe nei ceti subalterni. Lo sviluppo di quest’ultima è certamente favorito dal comune sfruttamento da parte della borghesia e dalla necessaria lotta di classe che, dal piano della rivendicazione economica, tende a svilupparsi sul piano della lotta politica. Tuttavia tale passaggio, necessario per superare l’ottica riformista del sindacalismo, richiede l’elaborazione di una propria visione del mondo in grado di emanciparsi progressivamente dal pensiero unico dominante, ossia dall’ideologia della classe dominante.

L’elaborazione di una concezione del mondo, in grado di affermarsi nella lotta decisiva per l’egemonia sugli strati sociali intermedi, richiede al contempo autonomia e capacità di superare dialetticamente l’ideologia dominante. A tale scopo occorre ripartire dalla lezione di colui che ha elaborato i lineamenti fondamentali di tale autonoma concezione del mondo, a partire proprio da una critica dell’ideologia dominante nella società capitalista.

Certo è evidente che oggi tali lineamenti fondamentali non siano più sufficienti e che occorre necessariamente aggiornare la critica dell’ideologia dominante, ma è altrettanto vero che tale indispensabile sviluppo può aver luogo unicamente avendo ben chiaro il punto di partenza e lo scopo finale. Ora in un’epoca in cui il popolo della sinistra del nostro infelice Paese ripone in modo decisamente maggioritario le proprie residue speranze in un sindacalista che ancora si fa vanto di non aver letto Marx, è forse il caso di considerare con Hegel il noto che, proprio perché considerato tale, non è realmente conosciuto.

L’elaborazione di una concezione del mondo autonoma e critica da parte di Marx passa necessariamente attraverso il superamento dialettico del sistema filosofico hegeliano che aveva compendiato in sé la visione del mondo moderna, elaborata da una classe, la borghesia, che grazie a essa era riuscita a rovesciare l’ancien régime e a divenire la classe dirigente e dominante. Come è noto, il processo di maturazione di Marx passa proprio attraverso il confronto con la riflessione di Hegel sulla società civile e lo Stato moderni, secondo l’interpretazione della sinistra hegeliana.

È proprio tale incontro che porta Marx ad abbandonare la giurisprudenza, studiata fino ad allora per volontà del padre, e a occuparsi di filosofia. Il confronto con questo eccezionale compendio della tradizione moderna borghese è da subito critico, tanto che Marx si impegna da subito nel suo superamento dialettico attraverso la rivalutazione di quella tradizione materialista che l’ideologia idealista, allora dominante anche a “sinistra”, tendeva a sottovalutare.

Ciò porta Marx, a soli 25 anni, a criticare l’elemento determinante dell’ideologia borghese anche nella sua versione più progressista, ossia l’idea che lo Stato possa regolare e correggere, in quanto sfera superiore volta alla ricerca del bene comune, le contraddizioni socio-economiche di una società civile dominata dall’ individualistica ricerca del profitto. Tale concezione di uno Stato super partes, arbitro imparziale dei contrasti della società civile, in grado di far prevalere la volontà generale sulla volontà particolare ed egoista della sfera socio-economica, è smascherata dal giovane Marx – a partire dalla disamina critica della hegeliana Filosofia del diritto – come una mistificazione ideologica “necessaria”. In altri termini come la coscienza infelice del cristiano, dinanzi alla spietata crudezza di un mondo improntato alla ricerca dell’utile individuale, dominato da un impietoso darwinismo sociale, ricerca una soluzione in una fittizia sfera in grado di trascendere l’ambito socio-economico, così l’idealista borghese si illude di trovare nello Stato una camera di compensazione degli squilibri e delle contraddizioni laceranti la sfera economica della società civile. In quest’ultima, infatti, dominano gli interessi materiali che portano non solo gli individui a sfidarsi nella perpetua sfida della concorrenza, ma le classi sociali a confliggere costantemente per la distribuzione della ricchezza della nazione. Dinanzi a questo quadro sconfortante, che rischia di far precipitare la società in una perpetua situazione di conflittualità interna, che la indebolirà nella competizione esterna con le altre nazioni, diviene indispensabile delegare la soluzione di tali contraddittori interessi, fonti di perpetui conflitti intestini, a un giudice imparziale, uno Stato e un governo tecnico, di funzionari unicamente votati all’interesse generale (nazionale).

Tali concezioni ideologiche erano a tal punto pervasive, in quanto rese in qualche modo “necessarie” dalle contraddizioni reali, oggettive, da influenzare in modo determinante le prime forme di organizzazione autonoma della classe operaia in Germania sotto l’influenza di Lassalle. Tale concezione sarà inoltre in grado di influenzare a fondo sin dalla sua nascita la socialdemocrazia tedesca, partito cardine della Seconda internazionale. Non a caso al suo interno si affermeranno progressivamente le concezioni riformiste e revisioniste nei confronti del marxismo che non considerano più utile sovvertire lo Stato borghese, ma intendono concorrere con la borghesia alla sua direzione, accettando le regole della dialettica parlamentare. Come se, appunto, lo Stato fosse un organismo neutro, superiore alle contraddizioni della società civile, che potrebbe – una volta diretto da forze progressiste – far prevalere la volontà generale della nazione.
Tale ideologia è a tal punto stata pervasiva, ancora, da convincere la parte maggioritaria del ceto dirigente della Seconda Internazionale a votare i crediti di guerra, indispensabili allo scoppio della Prima Guerra Mondiale, in nome della difesa dello Stato nazionale democratico di contro alle concezioni antidemocratiche proprie sempre del nemico.

Tali concezioni hanno dato un contributo essenziale alla stessa mutazione genetica del Partito Comunista Italiano in Partito Democratico della nazione. Con il passare degli anni è venuta meno la stessa ragione d’essere di un partito comunista, ossia il superamento rivoluzionario della società capitalista, e ci si è progressivamente adattati a cercare di gestire politicamente, occupando le cariche istituzionali, le contraddizioni strutturali. Tale tendenza si è diffusa a livello continentale con il cosiddetto Eurocomunismo, ossia con l’illusione di poter governare le contraddizioni della società capitalista a livello comunitario.

Tale concezione, per cui è possibile governare dall’alto, occupando le istituzioni dello Stato, le contraddizioni della struttura economica della società capitalista, è tuttora dominante nella sinistra europea, tanto che costituisce un punto di incontro fra le forze della sinistra moderata e quelle della sinistra radicale. L’illusione resta quella di matrice idealista hegeliana che lo Stato sia, in quanto superiore alla società civile, in grado di domarne gli spiriti animali.

Detta ideologia idealista, non a caso contrastata da Marx sin dagli anni giovanili, accomuna nel nostro infelice Paese forze che continuano ostinatamente a definirsi comuniste e marxiste e forze che pretendono di porsi al di là dell’opposizione fra destra e sinistra. Le prime hanno come punto di riferimento le posizioni predominanti negli ultimi anni nel Partito Comunista Cinese, in cui si è affermata l’illusione che sia possibile controllare dall’alto gli spiriti animali del capitalismo, ai quali si concedono crescenti spazi al livello della società civile. In tal modo, non solo controllando progressivamente la struttura economica la concezione del mondo borghese tende a imporsi al livello delle sovrastrutture, ma l’ideologia idealista per cui sono le sovrastrutture ideologico politiche a determinare la struttura socio-economica è ormai dominante fra gli stessi dirigenti del PCC.

D’altra parte tale illusione è anche alla base dell’ideologia che pretende di superare la contraddizione fra capitale e forza lavoro, fra destra e sinistra nell’opposizione fra funzionari onesti, espressione della società civile, e politicanti corrotti espressione dei vecchi e superati partiti politici. In tal modo, sarebbe sufficiente, al solito, far occupare le istituzioni da uomini onesti, privi di conflitti di interessi, e ligi difensori dello Stato di diritto, per avere un governo non solo in grado di realizzare la volontà generale della nazione ma capace persino di superare le contraddizioni fra le classi sociali.

Non possiamo che concludere che siamo dinanzi a una delle due facce del pensiero unico, espressione della classe dominante, la faccia idealista cui fa da contraltare, secondo il meccanismo bipolare dell’alternanza, la faccia realista che non nasconde di considerare lo Stato come strumento della società civile. A questo punto appare evidente che sarà possibile ricostruire un’opposizione non solo sociale, ma anche politica, in grado di porre la questione del potere, unicamente ricostruendo una visione del mondo autonoma e in grado di superare dialetticamente la concezione dominante. A tale scopo, come abbiamo visto, è indubbiamente utile ripartire dagli spunti offerti dall’opera di Marx.
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