Hong Kong ✆ Tim Ashley |
► E’ uscita
da poco la traduzione italiana di ‘Le nouvel esprit du capitalisme’(1999)
di Luc Boltanski e Ève Chiapello (‘Il nuovo spirito del capitalismo’, Mimesis). Questo
è un estratto del saggio
Il
concetto di spirito del capitalismo, così come lo definiamo, ci permette di
superare l’opposizione, che ha dominato buona parte della sociologia e della
filosofia degli ultimi trent’anni – almeno per quanto riguarda i lavori che si
collocano all’intersezione tra sfera sociale e sfera politica – tra le teorie,
spesso di ispirazione nietzschiano-marxista, che hanno visto nella società solo
violenza, rapporti di forza, sfruttamento, dominio e scontri di interessi e,
sul fronte opposto, le teorie ispirate soprattutto alle filosofie politiche
contrattualiste, che hanno posto l’accento sulle forme del dibattito
democratico e sulle condizioni della giustizia sociale. Nei testi che fanno
capo alla prima corrente, la descrizione del mondo appare troppo negativa per
essere reale. In un mondo del genere non si potrebbe vivere a lungo. Mentre la
realtà sociale descritta dai testi della seconda corrente è innegabilmente
troppo rosea per essere credibile.
Il
di spirito del capitalismo ci permette anche di coniugare all’interno di una
stessa dinamica le evoluzioni del capitalismo e le critiche che gli vengono
mosse. Nella nostra costruzione, infatti, faremo svolgere alla critica un ruolo
determinante nei cambiamenti dello spirito del capitalismo.
Se
è vero che il capitalismo non può prescindere da un orientamento verso il bene
comune da cui trarre dei motivi di coinvolgimento, la sua indifferenza
normativa fa sì che lo spirito del capitalismo non possa generarsi a partire
dalle sue sole risorse: ha bisogno dei suoi nemici, di quelli che indigna e gli
si oppongono, per trovare i fondamenti morali che gli mancano e incorporare
alcuni dispositivi di giustizia dei quali, altrimenti, non avrebbe alcun motivo
di riconoscere la pertinenza. Il sistema capitalistico si è rivelato
infinitamente più solido di quanto avessero pensato i suoi detrattori, Marx fra
i primi, anche perché ha trovato nelle stesse critiche che gli venivano rivolte
le possibilità della sua sopravvivenza. Il nuovo ordine capitalistico emerso
dopo la Seconda guerra mondiale, per esempio, non ha in comune con il fascismo
e il comunismo il fatto di attribuire grande importanza allo Stato e a un certo
dirigismo economico? È probabilmente questa sorprendente capacità di
sopravvivenza per endogenizzazione di parte della critica che ha contribuito a
disarmare le forze anticapitaliste, con la conseguenza paradossale che, in
periodi come quello attuale in cui il capitalismo sembra trionfante, si
manifestano i sintomi di una fragilità che compare proprio quando i veri
antagonisti sono scomparsi. Il concetto stesso di critica sfugge peraltro alla
polarizzazione teorica tra interpretazioni in termini di rapporti di forza o di
relazioni legittime. Infatti l’idea di critica assume valore solo se esiste un
differenziale tra uno stato di cose desiderabile e uno stato di cose reale. Per
assegnare alla critica il posto che le spetta nella realtà sociale, bisogna
rinunciare a ridurre la giustizia alla forza o a lasciarsi accecare
dall’esigenza di giustizia al punto da ignorare i rapporti di forza. Per essere
valida, la critica deve potersi giustificare, deve cioè poter chiarire i propri
fondamenti normativi, in particolare quando deve confrontarsi con le
giustificazioni che dà delle proprie azioni chi è oggetto della critica. La
critica continua dunque a fare riferimento alla giustizia – poiché se la
giustizia è un inganno, a che scopo criticare… Ma, d’altra parte, la critica
mette in scena un mondo nel quale l’esigenza di giustizia è continuamente
trasgredita. Svela l’ipocrisia delle pretese morali che dissimulano la realtà
dei rapporti di forza, dello sfruttamento e del dominio.
L’impatto
della critica sullo spirito del capitalismo sembra essere, potenzialmente,
almeno di tre tipi. In primo luogo, è in grado di delegittimare gli spiriti
precedenti e togliere loro efficacia. Daniel Bell sostiene per esempio che il
capitalismo americano ha avuto grandi difficoltà alla fine degli anni sessanta
a causa della crescente tensione tra le modalità di vivere il lavoro derivate
dall’ascetismo protestante sulle quali continuava a fondarsi e, dall’altra
parte, lo sviluppo di un modo di vita fondato sul godimento immediato e sul
consumo stimolato dal credito e dalla produzione di massa, che i salariati
delle aziende capitalistiche erano spinti ad abbracciare nella vita privata. Secondo
questa analisi, l’edonismo materialista della società consumistica si scontra,
criticandoli, con i valori della fatica e del risparmio che si presuppone
sostengano, almeno implicitamente, la vita lavorativa, e scalza così delle
modalità di impegno legate alla forma di spirito del capitalismo allora
dominante, che risulta quindi parzialmente delegittimata. Ne segue una
smobilitazione importante dei salariati, che è il risultato di una
trasformazione delle loro aspettative e delle loro aspirazioni.
In
secondo luogo la critica, opponendosi al processo capitalistico, costringe
coloro che ne sono i portavoce a giustificarlo in termini di bene comune. Più
la critica si rivelerà feroce e convincente per un gran numero di persone, più
le giustificazioni dovranno essere legate a dispositivi affidabili che
garantiscano un miglioramento effettivo in termini di giustizia. Se infatti i
rappresentanti dei movimenti sociali si accontentano, in risposta alle loro
rivendicazioni, di dichiarazioni superficiali non seguite da azioni concrete –
di belle parole –, se l’espressione di buoni sentimenti è sufficiente a calmare
l’indignazione, non c’è alcuna ragione perché i dispositivi che dovrebbero
rendere l’accumulazione capitalistica più conforme al bene comune debbano essere
migliorati. E quando il capitalismo è costretto a rispondere effettivamente ai
punti sollevati dalla critica per cercare di calmarla e per continuare a
mantenere l’adesione dei suoi accoliti che rischiano di prestare orecchio alle
denunce, con questa stessa operazione incorpora a sé una parte dei valori in
nome dei quali era criticato. In questo caso l’effetto dinamico della critica
sullo spirito del capitalismo passa attraverso il rafforzamento delle
giustificazioni e dei dispositivi a esse associati che, senza mettere in
discussione il principio stesso dell’accumulazione né l’esigenza di profitto,
dà in parte soddisfazione alla critica e integra nel capitalismo dei vincoli
corrispondenti ai punti che preoccupano maggiormente i suoi detrattori. Per la critica,
il prezzo da pagare per essere ascoltata, almeno parzialmente, è dunque di
vedere che una parte dei valori che aveva mobilitato, per opporsi alla forma
assunta dal processo di accumulazione, vengono messi al servizio di questa
stessa accumulazione, secondo il processo di acculturazione di cui abbiamo
parlato in precedenza.
L’ultimo
possibile impatto della critica emerge da un’analisi molto meno ottimistica
circa le reazioni del capitalismo. Si può infatti supporre che, in certe
condizioni, il capitalismo si sottragga all’esigenza di rafforzamento dei
dispositivi di giustizia sociale rendendosi più difficilmente decifrabile e
“imbrogliando le carte”. In questo caso la risposta alla critica non porta alla
realizzazione di dispositivi più giusti, ma a una trasformazione dei modi di
realizzazione del profitto, al punto che il mondo si trova momentaneamente
disorganizzato rispetto ai referenti precedenti e in uno stato di forte
illeggibilità. Di fronte a nuove organizzazioni di cui non era stata prevista la
comparsa e di cui è difficile dire se siano più o meno favorevoli ai salariati
rispetto ai dispositivi sociali precedenti, la critica resta per un certo tempo
disarmata. Il vecchio mondo che denunciava è scomparso, ma non sa cosa dire del
nuovo. La critica agisce qui come sprone per accelerare la trasformazione dei
modi di produzione, che entreranno in contrasto con le aspettative dei
salariati formatesi in base ai processi precedenti, e questo indurrà a una
ricomposizione ideologica destinata a dimostrare che il mondo del lavoro ha
sempre un “senso”.
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