21/8/14

La globalizzazione smentisce le ‘profezie’ di Marx?

Karl Marx ✆ Junior Lopes 
Moreno Pasquinelli   |   Con quanta (insostenibile) leggerezza il pensiero unico liberista ha pensato di sbarazzarsi dello "spettro" di Marx!  Essi sono convinti che l'implosione del movimento comunista dipenda anzitutto dalla fallacia delle previsioni di Marx, considerate vaticini senza basi scientifiche, profezie filosofiche campate per aria. Le cose stanno veramente così? E' proprio vero che la globalizzazione avrebbe smentito le principali previsioni marxiane? O non è forse vero il contrario?  Proviamo a verificarlo, prendendo in considerazione, come amano tanto gli "scienziati" di Sua Maestà Il Capitale, i fatti, i dati empirici, e quindi rileggendo quanto Marx scrisse nel Manifesto del Partito Comunista del 1848. Diverse sono le tesi "profetiche" di Marx, tra le altre quella che concerne il rapporto indissolubile tra capitale e lavoro salariato, ovvero come, alla crescita del capitale deve corrispondere un'aumento dell'esercito proletario. Lo faremo svelando gli ultimi dati sulle classi sociali a livello mondiale.

Marx aveva previsto la globalizzazione?

Prima di arrivare al punto è necessario smentire quei detrattori che vorrebbero far credere che Marx, in quanto irriducibile anticapitalista, avesse sottovalutato, se non addirittura escluso, le capacità espansive del modo capitalistico di produzione.

Ben al contrario Marx, e ciò mentre il capitalismo  predominava solo in Inghilterra, aveva non solo sottolineato il dinamismo congenito del capitale ma previsto che il suo destino era, quello sì inesorabile, di colonizzare il resto del mondo, e lo avrebbe potuto fare, appunto, in virtù della sua capacità di sviluppare incessantemente i metodi di produzione, quindi le sue forze produttive con l'uso sistematico delle scoperte scientifiche e tecniche:
«La borghesia non può esistere senza rivoluzionare continuamente gli strumenti di produzione, i rapporti di produzione, dunque tutti i rapporti sociali. (...) Il bisogno di uno smercio sempre più esteso per i suoi prodotti sospinge la borghesia a percorrere tutto il globo terrestre. Dappertutto deve annidarsi, dappertutto deve costruire le sue basi, dappertutto deve creare relazioni».
Tabella N° 1. La curva del Pil mondiale. Dati Fmi
Il riconoscimento del ruolo "rivoluzionario" della borghesia non indusse tuttavia Marx a fare l'apologia del capitalismo. Ben al contrario! Marx colse l'aspetto disumanizzante dello sviluppo capitalistico, che il progresso economico poteva nutrirsi solo con maggiore sfruttamento e alienazione della classe dei lavoratori salariati:
«... la borghesia non ha lasciato fra uomo e uomo altri vincolo che il nudo interesse, il freddo "pagamento in contanti". Ha affogato nell'acqua gelida del calcolo egoistico i sacri brividi dell'esaltazione devota, dell'entusiasmo cavalleresco, della malinconia filistea. Ha disciolto la dignità personale nel valore di scambio e al posto delle innumerevoli libertà patentate e onestamente conquistate, ha messo, unica, la libertà di commercio prova di scrupoli. In una parola: ha messo lo sfruttamento aperto, spudorata, diretto e arido al posto dello sfruttamento mascherato d'illusioni religiose e politiche».
Si giudichi ora, alla luce della più recente evoluzione del sistema capitalistico, ovvero con l'avvento del neoliberismo, se la diagnosi marxiana non si sia rivelata esatta. La cosiddetta "epoca d'oro" keynesiana, segnata (ma solo in Occidente) dal sostanziale miglioramento condizioni di vita delle classi proletarie (strappato al costo di molti anni di durissime lotte sindacali e politiche) si è rivelata nulla di più che una parentesi. Piegato il movimento dei lavoratori, dissoltosi lo spauracchio del "socialismo reale", il capitalismo è tornato ad ubbidire ai suoi nativi e più feroci istinti.

E proprio alla luce dell'involuzione dei sistemi politici, prendendo in considerazione ogni singolo paese capitalistico, si provi a negare che Marx avesse avuto ragione nel caratterizzare governi e stati come comitati d'affari della borghesia:
«...la borghesia, infine, dopo la creazione della grande industria e del mercato mondiale, si è conquistata il dominio politico esclusivo nello Stato rappresentativo moderno. Il potere statale moderno non è che un comitato che amministra gli affari comuni di tutta la classe borghese».

Le crisi capitalistiche

Tabella N° 2. Il commercio mondiale
Quel che Marx mise poi in rilievo era una caratteristica essenziale del capitalismo, quella di causare crisi economiche periodiche (oggi le chiamiamo "recessioni") che, da parziali tendevano a diventare generali e devastanti. Negli anni della cosiddetta "maturità", quando si dedicherà a scrivere la monumentale opera che andrà sotto il nome de Il capitale, Marx indagherà per lungo e per largo il fenomeno delle crisi. Affermerà che queste crisi non giungono a caso, ma sono il risultato di contraddizioni intrinseche al sistema capitalistico stesso. Provai a riassumere quanto Marx scrisse sulle crisi ne Il capitale in questo articolo.

Già nel Manifesto tuttavia la sua analisi è sostanziale:
«Nelle crisi commerciali viene regolarmente distrutta non solo una gran parte dei prodotti ottenuti, ma addirittura gran parte delle forze produttive già create. Nelle crisi scoppia un'epidemia sociale che in tutte le epoche anteriori sarebbe apparsa un assurdo: l'epidemia della sovrapproduzione. La società si trova all'improvviso ricondotta a uno stato di momentanea barbarie: sembra che una carestia, una guerra generale di sterminio le abbiano tagliato tutti i mezzi di sussistenza; l'industria, il commercio sembrano distrutti. E perché? Perché la società possiede troppa civiltà, troppi mezzi di sussistenza, troppa industria, troppo commercio».
Sembra o no una descrizione fedele di quanto il nostro paese e tutto l'Occidente stanno attraversando dopo il collasso finanziario del 2008-09?  Marx indica poi con altrettanta precisione come il capitale tenti di venir fuori dalle sue crisi periodiche:
«Con quale mezzo la borghesia supera le crisi? Da un lato, con la distruzione coatta di una massa di forze produttive; dall'altro, con la conquista di nuovi mercati e con lo sfruttamento più intenso dei vecchi. Dunque, con quali mezzi? Mediante la preparazione di crisi più generali e più violente e la diminuzione dei mezzi per prevenire le crisi».
Tabella N° 3 The businnees cìycle
Il capitalismo, quindi, non si arrende alle sue crisi periodiche, non abbandona il campo, ricorre a tutte le sue risorse per superarle. Marx ammette quindi che il capitalismo può riuscire a riavviare un ciclo virtuoso di accumulazione (oggi la chiamano "crescita"), ma solo dopo avere causato catastrofi economiche e sociali. Sostiene tuttavia che dopo il nuovo ciclo espansivo la crisi successiva sarà ancor più grave della precedente. Non si sostiene forse, negli stessi ambienti borghesi, che la crisi attuale è una "depressione", e che è forse più grave di quella del 1929?

Secondo alcuni analisti, a cui non si può certo imputare simpatie anticapitaliste, questa crisi potrebbe smentire il modello che va sotto il nome di "ciclo del businness", l'idea che dopo ogni recessione/depressione ci sia necessariamente un'espansione. Siamo forse entrati nella fase del declino dell'Occidente imperialistico? 

Classi sociali e globalizzazione

Uno dei punti cardinali dell'analisi marxiana è che non può esserci sviluppo capitalistico senza un aumento delle file dei lavoratori salariati. 
«Nella stessa proporzione in cui si sviluppa la borghesia, cioè il capitale, si sviluppa il proletariato, la classe degli operai moderni, che vivono solo fintantoché trovano lavoro, e che trovano lavoro fintantoché il loro lavoro aumenta il capitale. (...) La condizione più importante per l'esistenza e per il dominio della classe borghese è l'accumularsi della ricchezza nelle mani dei privati, la formazione e la moltiplicazione del capitale; condizione del capitale è il lavoro salariato».
Tabella N° 4.  Dati: ILO e Cia Book. Elaborazione nostra
L'ultimo trentennio di globalizzazione capitalista ha invalidato o convalidato l'analisi di Marx?

I dati empirici (vedi la Tabella n.3) dimostrano che aveva visto giusto. La tabella mostra che i lavoratori salariati sono più di due miliardi. Ma sono numeri per difetto, poiché la tabella non prende in considerazione centinaia di milioni di salariati, spesso minori, che vengono sfruttati ma non sono registrati come forza-lavoro. Qui da noi si direbbe che "lavorano a nero". Si tenga poi conto che centinaia di milioni di addetti all'agricoltura sono anch'essi dei salariati. Lo stesso numero dei proletari senza lavoro è evidentemente calcolato per difetto. Anche ove fosse giusto gli stessi dati del Fondo Monetario indicano che la crisi scoppiata nel 2008 ha fatto aumentare la disoccupazione mondiale — nel 2005 le statistiche parlavano di 192 milioni di disoccupati. Sottolineiamo che Marx includeva i disoccupati, ovvero lo "esercito industriale di riserva", nella classi proletaria e non, come a torto si ritiene, nel "sottoproletariato". Mai come adesso la classe proletaria è stata così numerosa.

Su questo punto centrale del discorso marxiano, sul fatto che non ci sarebbe potuto essere sviluppo del capitale senza crescita delle file proletarie, sin dagli inizi degli anni '80, l'attacco dei pensatori borghesi è stato spietato, virulento.

Da più di un trentennio una schiera di intellettuali non hanno fatto altro che insistere sulle magnifiche sorti e progressive del capitalismo, che il capitalismo non solo aveva messo il turbo ed era destinato a non conoscere più crisi di sorta, ma che si era incaricato di far scomparire il lavoro salariato.

Tutti quelli che non erano capitalisti sarebbero diventati dei felici piccolo borghesi. Il tedioso lavoro di fabbrica sarebbe stato rimpiazzato dall'automazione generale.

Pensatori come Jeremy Rifkin avevano addirittura affermato che il capitalismo stesso stava liberando l'umanità dal fardello del lavoro. Anche a sinistra simile sciocchezze avevano trovato vasta eco. 

Tabella N° 5. Composizione sociale mondiale per settori produttivi
Qualcuno ricorderà la sicumera con cui i Negri e il suo clan brindavano alla fine delle legge del valore e dell'avvento del lavoro immateriale e cognitivo? Prima ancora che la critica, sono stati i fatti ad incaricarsi del fallimento di queste idee, fasulle prima ancora che occidentalo-centriche.

La tabella n. 4 è alquanto istruttiva e non lascia adito a dubbi che Marx avesse avuto ragione. Nell'arco di tempo che va dal 2000 al 2013 gli addetti all'industria sono cresciuti di 238 milioni, quelli ai servizi di 400 milioni —da segnalare che nel frattempo nella Cina post-maoista, dopo il 1980, i salariati pressoché raddoppiati.)

La tabella mette poi in evidenza l'evoluzione diseguale, tra paesi occidentali (imperialistici o tardo-capitalisti) e quelli di recente industrializzazione: nei servizi l'aumento degli addetti è stato omogeneo, mentre nell'industria nei primi c'è stato un calo e nei secondi vistosi aumenti. Quando si dice: il capitale va sempre a caccia di profitti per valorizzarsi....

Ora ci si risponderà che Marx, nel Manifesto, aveva parallelamente previsto che allo sviluppo e all'espansione del capitalismo sarebbe corrisposta la decrescita costante dei salari e la "pauperizzazione generale. Se questa "profezia" sia sia realizzata o meno,  e vedremo che si va realizzando, sarà compito di un prossimo intervento.