Karl Marx & Friedrich Engels ✆ João Pinheiro |
Valerio Spositi | Questo
lavoro nasce grazie agli studi e alle riflessioni sulla borghesia e sul
capitalismo dei filosofi Costanzo Preve e Diego Fusaro, oltre che da miei studi
personali. L’analisi da me posta sulla sostituzione, al comando del sistema
capitalistico, della borghesia storica otto-novecentesca da parte di diverse
tipologie di élite è il risultato di alcune discussioni svolte dal sottoscritto
con l’amico filosofo Diego Fusaro, che ringrazio sentitamente. Il presente
lavoro non ha la minima pretesa di essere esaustivo su un tema assai delicato e
che necessita di ulteriori studi ed approfondimenti.
1. Borghesia come
“soggetto collettivo” portatore di una “coscienza infelice”
“Che cosa ha condotto alla bandiera rossa quelli che, per così dire, non ne avevano bisogno?” | Ernst Bloch, Il principio speranza
Molti studiosi marxisti del XX sec. hanno svolto le loro
analisi sul rapporto che intercorre tra Borghesia e Capitalismo identificando
la classe borghese quale classe-soggetto della società capitalistica, il che,
stando al pensiero del filosofo torinese Costanzo Preve, porta ad una
identificazione di essa con il capitalismo
stesso, ovvero una Borghesia come
lato soggettivo del Capitalismo e quest’ultimo come lato oggettivo della
Borghesia.
Studiosi come Preve, La Grassa e Fusaro, però, hanno posto
sotto una lente critica tale analisi. Secondo tali studiosi, infatti, questa
interpretazione non ci aiuta ad apprendere con il pensiero il nostro tempo
(parafrasando il filosofo tedesco Hegel) che è definibile come società
ultra-capitalistica, ove l’imperativo dell’onni-mercificazione permea ogni
strato esistenziale. Su questo aspetto, comunque, torneremo a breve.
Al fine di arrivare alla genesi della nostra analisi sulla borghesia come soggetto collettivo portatore di una coscienza infelice, credo che il seguente passo dell’opera di Marx ed Engels, La sacra famiglia. Ovvero critica della critica critica. Contro Bruno Bauer e soci, possa esserci di ausilio:
Al fine di arrivare alla genesi della nostra analisi sulla borghesia come soggetto collettivo portatore di una coscienza infelice, credo che il seguente passo dell’opera di Marx ed Engels, La sacra famiglia. Ovvero critica della critica critica. Contro Bruno Bauer e soci, possa esserci di ausilio:
“La classe proprietaria e la classe del proletariato presentano la stessa autoalienazione umana. Ma la prima classe, in questa autoalienazione, si sente a suo agio e confermata, sa che l’alienazione è la sua propria potenza e possiede in essa la parvenza di un’esistenza umana; la seconda classe, nell’alienazione, si sente annientata, vede in essa la sua impotenza e la realtà di un’esistenza inumana. Per usare un’espressione di Hegel, essa è nell’abiezione la rivolta contro quest’abiezione, una rivolta a cui essa è spinta necessariamente dalla contraddizione della sua natura umana con la situazione della sua vita, la quale situazione è la negazione aperta, decisa, completa, di questa natura [1]”
La genesi della coscienza infelice della borghesia nasce a
seguito della contraddizione e dell’impossibilità di realizzazione dei suoi
presupposti universalistici (di matrice illuministica) di emancipazione
generale dell’umanità e del particolarismo degli interessi di classe derivanti
dal modus operandi capitalistico che la erge a classe dominante.
Il capitalismo dialettico, tipico della fase
otto-novecentesca, al fianco della lotta materiale (lotta di classe) della
classe dominata, ovvero la classe operaia, vede anche una lotta intellettuale,
generatasi proprio da quella coscienza infelice borghese.
Tale coscienza infelice è, però, solo uno dei presupposti
generatisi dal capitalismo della fase dialettica; l’altro è il riconoscimento
del lavoro servile da parte di chi ne è portatore, ovvero la classe operaia.
Illuminante qui un passo di Hegel che, descrivendo la relazione tra servo e
signore (tipico dell’età feudale), ci aiuta a comprendere la relazione
esistente tra il capitalista e il venditore della forza-lavoro:
“i momenti si presentano dunque come due figure opposte della coscienza: l’una è la coscienza autonoma che ha per essenza l’essere-per-sé, l’altra è la coscienza non-autonoma, la cui essenza è la vita, l’essere per un altro. Uno è il signore, l’altro è il servo [2]“
È nel servo allora che risiede la chiave di volta della fase
dialettica, poiché solamente esso può comprendere appieno la contraddizione
esistente e creare le condizioni volte al suo superamento. Come può allora la
borghesia, intesa come soggetto collettivo, conciliare i suoi valori emancipativi
ed universalistici con il suo particolarismo per il mantenimento della
posizione dominante all’interno della società capitalistica?
Nuovamente Hegel torna ad essere colui il quale ci fornisce
la risposta. Secondo costui, l’unico modo per realizzare pienamente i principi
universalisticamente emancipativi è l’adesione della borghesia, e della sua
coscienza infelice, alla lotta per il riconoscimento del lavoro servile, poiché
solo attraverso tale riconoscimento la borghesia
“diviene consapevole della riconciliazione della propria singolarità con l’universale [3]“
Universalismo che, però, è solo possibilmente realizzabile
attraverso la prassi rivoluzionaria del proletariato, cioè del servo
(citando Hegel), poiché solamente esso, raggiunto il potere, non si ergerà a
nuova classe dominante e sfruttatrice, ma sarà quella classe che tutte le
sopprimerà. Compito rivoluzionario, quello del proletariato, le cui motivazioni
sono perfettamente comprensibili, e riassumibili, con le parole utilizzate da
Karl Marx e Friedrich Engels ne “Il Manifesto del Partito Comunista”:
“I proletari non hanno da perdervi altro che le proprie catene. Da guadagnare hanno un mondo [4]”
La borghesia è portatrice di valori non mercificabili,
quindi in pieno contrasto con l’odierna logica onni-mercificante del
capitalismo, quali la famiglia, la religione, lo Stato e via discorrendo.
Potremmo aggiungervi anche un’etica del limite, della giusta misura; quelmetron tipico
della filosofia greca antica. Già Marx, nel Manifesto del Partito Comunista,
era consapevole di questa forza corrosiva e travolgente propria del
capitalismo, che disgrega tutto ciò che incontra nel suo movimento:
“Tutto ciò che è solido si dissolve nell’aria, tutto ciò che è sacro viene profanato, e l’uomo è infine costretto ad affrontare con lucidità le reali condizioni della sua vita e le sue relazioni con i suoi simili [5]”
Dato che con l’avvento del modo di produzione capitalistico “tutto
divenne commercio”, la borghesia con la sua coscienza infelice ed i suoi
valori, risulta essere un ostacolo al processo onni-mercificante del
capitalismo stesso.
Concludiamo questo paragrafo definendo, quindi, cosa sia la Borghesia e
cosa sia il Capitalismo, dato che eravamo partiti, seguendo Preve, La
Grassa e Fusaro, dal fatto che vi è una differenza tra di essi.
Potremmo definire il Capitalismo come un processo volto alla
infinita “valorizzazione del valore” (Marx), all’accumulazione
continua di capitale e ad una auto-riproduzione di sé; movimenti questi del
tutto impersonali e non manovrati, potremmo dire roboticamente, dalla
borghesia. Il Capitalismo è un qualcosa che, con le parole di Marx, si muove “come
se avesse amore in corpo”.
Da parte sua, la Borghesia è definibile come quel
soggetto collettivo complesso che trova nell’era del capitalismo
dialettico (XIX – XX sec.) la sua collocazione come classe dominante, nonostante
il modus operandi capitalistico confligga con il suo principiouniversalistico
ed emancipativo del genere umano.
Nelle parole di Costanzo Preve:
“l’abitudine a concepire il capitalismo in modo antropomorfico è dura a morire. Il capitalismo, però, non è il teatro delle azioni coscienti di un Soggetto collettivo denominato Borghesia, ma il luogo sistemico di una riproduzione anonima e impersonale, che si tratta di conoscere bene [6]”
La coscienza infelice è, quindi, la risposta alla domanda di
Ernst Bloch che ha aperto questo paragrafo:
“Che cosa ha condotto alla bandiera rossa quelli che, per così dire, non ne avevano bisogno?”
2. Il crollo della
coscienza infelice borghese e l’avvento del capitalismo assoluto
“Dopo il Sessantotto la “Sinistra” è diventata l’ala
culturale ed artistica marciante di un nuovo capitalismo post-borghese, che ha
cancellato la stessa matrice originaria dello stesso comunismo di Marx, e cioè
la coscienza infelice (Hegel) della borghesia europea. [7]” Costanzo Preve
“Il capitalismo si modifica continuamente; non è mai uguale a se stesso.” Paul M. Sweezy, “rivista del manifesto“, aprile 2000
Due sono le date che segnano l’inizio della metamorfosi del
Capitalismo dalla fase dialettica ad una in cui esso si rende absolutus(sciolto
da vincoli): il 1968 e il 1989.
Il 1968, anno in cui i movimenti studenteschi in particolare
trovano un humus più o meno comune sul quale coltivare una protesta
globale, è l’anno in cui viene ucciso sia il proletariato come classe
rivoluzionaria sia la coscienza infelice borghese.
Se poniamo la nostra attenzione a quali furono gli slogan
sessantottini vi troviamo, tra i tanti: “Vietato vietare”, “Non esiste
l’autorità”. Letti con le lenti della filosofia questi due slogan risultano
essere totalmente anti-borghesi. Porre fine al divieto. Porre, quindi,
fine ad un limite eticamente dominante, dove per “etica” si intende
quella borghese.
La critica all’autorità poi è l’altro elemento che permea il movimento del “sessantotto”. Con la critica all’autorità prende il via, quindi, quel pensiero volto alla rimozione di ogni soggetto capace di porre dei limiti (quindi anti-capitalistico) alle dinamiche sociali ma anche economiche. Letta con le lenti del nostro tempo, ovvero il tempo in cui il Capitale è sciolto da vincoli e gli Stati, cioè la Politica, vengono resi subalterni al nomos dell’economia resosi assolutizzato, la rimozione dell’autorità sessantottina è oggi perfettamente realizzata nella rimozione di quelle che Hegel chiamava “potenze etiche”. Queste ultime, per Hegel, dovevano esser poste al controllo dell’economia poiché, sempre parafrasando il filosofo di Stoccarda, un’economia spoliticizzata, priva di un’autorità posta al controllo di essa, produce “tragedie nell’etico”.
La supremazia del Politico sull’Economico trova maggior validità e necessità nell’epoca contemporanea caratterizzata da quella che Fichte magistralmente definiva “anarchia commerciale” (Anarchie des Handels) [8].
La critica all’autorità poi è l’altro elemento che permea il movimento del “sessantotto”. Con la critica all’autorità prende il via, quindi, quel pensiero volto alla rimozione di ogni soggetto capace di porre dei limiti (quindi anti-capitalistico) alle dinamiche sociali ma anche economiche. Letta con le lenti del nostro tempo, ovvero il tempo in cui il Capitale è sciolto da vincoli e gli Stati, cioè la Politica, vengono resi subalterni al nomos dell’economia resosi assolutizzato, la rimozione dell’autorità sessantottina è oggi perfettamente realizzata nella rimozione di quelle che Hegel chiamava “potenze etiche”. Queste ultime, per Hegel, dovevano esser poste al controllo dell’economia poiché, sempre parafrasando il filosofo di Stoccarda, un’economia spoliticizzata, priva di un’autorità posta al controllo di essa, produce “tragedie nell’etico”.
La supremazia del Politico sull’Economico trova maggior validità e necessità nell’epoca contemporanea caratterizzata da quella che Fichte magistralmente definiva “anarchia commerciale” (Anarchie des Handels) [8].
Seppur inconsapevolmente, il movimento del ’68 con la sua
carica anti-borghese, e perciò stesso pro-capitalistica, ha spianato la strada
al Capitale permettendo ad esso di rimuovere quei vincoli borghesi non
mercificabili interiorizzandoli nel movimento onni-mercificante. L’edonismo
senza limiti, opposto all’edoné catastematico di Epicuro, materializzatosi
nell’odierno feticismo delle merci è, potremmo dire con Pasolini [9]
(1974), il fascismo perfettamente realizzato; dove non riuscì il fascismo
nell’omologare, nell’appiattire lo sviluppo ontologico umano, riuscì la società
dei consumi. Dal “Cogito ergo sum” di Cartesio si è passati al “Consumo
ergo sum” (Bauman) tipico del nostro tempo. E se il ’68 ha distrutto la coscienza
infelice borghese, anche il proletariato in quanto classe antagonista ha
perduto la sua matrice rivoluzionaria.
Seguendo Preve e Fusaro, il proletariato e la Sinistra
postsessantotto hanno abbandonato l’arsenale della critica marxiana e la lotta
di classe, ovvero una prassi aristotelicamente in potenza anti-capitalista,
per approdare a quella che il sociologo Zygmunt Baumanchiama “economicizzazione
del conflitto”; una lotta per salari più alti all’interno del capitalismo.
Una lotta per salari più alti che possiamo allora ricondurre a quella ricerca,
da parte della classe operaia, di un godimento illimitato derivante dal
marxiano feticismo delle merci, ancor più attuale oggi dove la forma-merce
permea ogni strato della realtà sociale.
Nel far ciò, il proletariato ha assunto quindi una posizione
non conflittuale nei confronti del Capitale. Il fascismo dei consumi ha
distrutto quella coscienza di classe tipica del capitalismo della
fase dialettica.
L’altra data emblematica che ha permesso al capitalismo di
realizzarsi pienamente è il 1989; il crollo del Muro di Berlino e il
successivo crollo (nel 1991) dell’Unione delle Repubbliche Socialiste
Sovietiche (URSS). Pur nelle sue contraddizioni interne, l’Unione Sovietica ha
rappresentato una cortina di ferro, un muro contro il qualel’avanzare imperante
del capitalismo si è sempre scontrato. Ha rappresentato, potremmo dire, quell’autorità, quel limite oltre
il quale la logica onni-mercificante del Capitale non riuscì ad andare.
Poste queste basi, non posso che trovarmi d’accordo con
Diego Fusaro quando definisce il crollo dell’URSS “la più grande tragedia
geopolitica del ’900”. Venuto meno l’impero sovietico, alcuni autori come Fukuyama (1992)
hanno dipinto tale “tragedia geopolitica”come “la fine della storia”,
quindi come tempo storico che, paradossalmente, annulla la storia nella sua
essenza.
La mega-macchina ideologica della manipolazione organizzata, attraverso quello che Noam Chomsky ed Edward S. Hermanchiamano “il modello della propaganda” [10], ha immediatamente provveduto a dipingere il nostro tempo come post-ideologico, come tempo storico in cui lo scontro tra ideologie (capitalista e comunista-sovietica) muore sotto le macerie del Muro di Berlino. Ma se precedentemente al triennio 1989-1991 lo scontro ideologico vedeva contrapporsi due parti, non si riesce a comprendere come, venuta meno una, non si classifichi più come “ideologia” l’altra.
La mega-macchina ideologica della manipolazione organizzata, attraverso quello che Noam Chomsky ed Edward S. Hermanchiamano “il modello della propaganda” [10], ha immediatamente provveduto a dipingere il nostro tempo come post-ideologico, come tempo storico in cui lo scontro tra ideologie (capitalista e comunista-sovietica) muore sotto le macerie del Muro di Berlino. Ma se precedentemente al triennio 1989-1991 lo scontro ideologico vedeva contrapporsi due parti, non si riesce a comprendere come, venuta meno una, non si classifichi più come “ideologia” l’altra.
Ed è qui che, nuovamente, le lenti interpretative di
Marx ci vengono in soccorso. Se l’ideologia è tale nella misura in cui tende a
rendersi invisibile, diceva Marx, allora siamo nell’epoca più ideologica
della storia. La continua ossessione nel ripetere che siamo nell’era
postideologica, nell’era della fine della storia, è esattamente il movimento
dell’ideologia stessa; negando la sua stessa esistenza, essa si rende
invisibile e, quindi, perfettamente esistente ed imperante.
Il Capitalismo diventa spinozianamente “sive natura”;
un mondo che, essendo naturalizzato, è solamente interpretabile, venerabile,
criticabile in misura molto marginale. Il Capitalismo, dal 1989, è divenuto,
come venne descritto dal filosofo David Hume, causa sui;esso, dal
1989, è come se esistesse da sempre. Non viene pensato più come
oggetto modificabile e superabile tramite la prassi trasformatrice, ovvero un Gegenstand posto
soggettivamente. Potremmo dire che l’oggetto (il Capitalismo) esiste a
prescindere da un soggetto che lo pone (l’umanità). Ciò quindi significa
abbandonare l’Idealismo tedesco, abbandonare Marx, abbandonare quella che
Gramsci chiamava “filosofia della prassi”.
3. Le élite al
potere. La supremazia dell’Economico sul Politico e la rimozione delle “potenze
etiche”
“L’odierna feticizzazione del mercato nella forma di un vero e proprio monoteismo, in cui la volontà imperscrutabile del Dio trascendente viene sostituita da quella dei mercati ipostatizzati, si regge sul principio metafisico dell’illimitatezza [11]” Diego Fusaro
Descritto, seppur sommariamente, il declino a cui è stata
soggetta la borghesia storica e il movimento travolgente della metamorfosi
capitalistica da cui essa è stata sepolta, rimane l’interrogativo di chi, nel
nostro tempo, abbia preso il posto, come classe dominante, della borghesia.
La visione che propongo qui è ascrivibile alla corrente
della Teoria delle Élite, sviluppatasi tra il XIX e il XX sec.
Ovviamente la mia analisi di tale corrente di pensiero sarà portata “all’altezza
dei tempi” (Gramsci); tempi in cui, come abbiamo visto nei paragrafi
precedenti, il capitalismo ha subito una metamorfosi non indifferente sia sul
piano filosofico che su quello economico.
Charles Wright Mills (1916-1962), sociologo
statunitense, studiò nella sua opera Le élite del potere (1956) la
struttura di potere esistente e dominante all’interno degli Stati Uniti
d’America. Intellettuale, Mills, impegnato nella costruzione di una coscienza
collettiva in grado di fungere da resistenza alla dominazione elitaria in atto.
Stando alla sua analisi, negli Stati Uniti 3 erano le élite
che detenevano le redini del potere (almeno nazionale): politica,
economica, militare.
Non che tale raffigurazione sia inattuale oggi ma credo che,
al fine di analizzare il nostro tempo, sia necessaria una nuova classificazione
del potere delle élite. Portando, quindi, all’altezza dei tempi il dipinto di
Mills, mi sento di dire che la triade oggi dominante, almeno nell’occidente,
sia composta da élite tecnocratico-politiche, grandi industriali e
finanziarie (o quelli cheHyman P. Minsky chiamava Money Manager).
Visione complementare a quella appena esposta è quella di James
Burnham (1905-1987), teorico politico e filosofo americano. Nella sua
opera The Managerial Revolution (1941), egli vede l’esigenza,
nell’età contemporanea, di un’ascesa di tecnici al potere, in vista di una
società che si fa sempre più tecnoburocratica [12].
3.1 Il caso storico dell’Unione Europea e dell’Eurozona
Se c’è un caso storico in cui vi sia manifestamente al
potere un’élite ultra-capitalistica, definizione che racchiude la triade
elitaria sopraccitata, questo è proprio quello dell’Unione Europea e dell‘Eurozona.
La moneta unica europea (Euro) è il prodotto di una ben precisa ideologia volta
a destrutturare lo Stato svuotandolo di senso; rimuovere quelle “potenze
etiche” di hegeliana memoria. Non che lo Stato, nell’era neo-liberale, sia
osteggiato in ogni sua funzione, anzi. La fase neo-liberale ha visto un ruolo
attivo dello Stato nella gestione della stessa: i doppi disavanzi di Reagan, lo
spostamento d’azione dalla politica fiscale a quella monetaria volto al
sostegno di quella accumulazione finanziaria sciolta da vincoli [13]. Non
vi è stata una rimozione totale del Politico ma una suasussunzione totale
all’interno dell’Economico. Totalmente differente rispetto a quella concezione
di Stato presente in Fichte, ove esso si erge ad autorità gerarchicamente
superiore all’economia ponendola sotto il suo controllo.
Siamo in una situazione in cui, quindi, lo Stato, dal capitalismo
assoluto odierno, viene visto secondo due visioni complementari:
Stato come totalmente organico, sussunto ma funzionale al
movimento impersonale del Capitale e alla sua valorizzazione ed accumulazione;
Stato come nemico da porre sotto il nomos egemone
dell’Economia in modo da renderlo impossibilitato a porsi nuovamente in una
chiave conflittuale con essa.
Il secondo punto è perfettamente realizzato
dall’architettura dell’Unione Monetaria Europea.
A tal
proposito risultano molto interessanti le parole di Mathew Forstater, docente
di economia alla University of Missouri-Kansas City e direttore del Center
for Full Employment and Price Stability (CFEPS):
“Le forze di mercato possono richiedere una politica fiscale pro-ciclica durante una recessione, aggravando gli effetti recessivi. Anche se non ci fossero limiti imposti sul deficit dei Paesi e dei debiti nazionali, la struttura della UEM rende quasi impossibile per un Paese adottare una politica anticiclica di bilancio anche se ci fosse la volontà politica. Questo perché, cedendo la loro sovranità monetaria nazionale, i Paesi non sono più in grado di condurre una politica fiscale e monetaria coordinata, essenziale per una risposta completa ed efficace alle crisi periodiche della domanda [14]”
La politica è stata resa totalmente inerme al monoteismo
del mercato (Garaudy, Fusaro). L’assolutizzazione dell’economia è qui
totale, anche se vi fosse la volontà politica di contrastarla.
Una definizione magistrale di cosa sia oggi l’Eurozona ci
viene offerta da Alain Parguez, Professore Emerito di Economia nonché ex
consulente dell’ex Presidente francese François Mitterand:
“È un nuovo ordine sociale totalitaristico, programmato molto tempo fa, nel periodo fra le due guerre, e poi completato nel corso del regime di Mitterand. In questo nuovo ordine non ci saranno più Stati sovrani. Lo Stato deve svanire, o per lo meno lo Stato che trova origini nella democrazia. (…)
Nel nuovo ordine il potere deve essere interamente
trasferito ad un’elite, ad una classe capitalistica di tecnocrati, ai quali
piace il potere di controllo assoluto [15]”
Anche Parguez, quindi, sembra classificare come élite l’attuale
classe tecnocratico-politica europea. Élite che si impone agli
elettori poiché quest’ultimi non posseggono gli strumenti volti alla
valutazione dell’effettiva competenza dell’élite, usando la grammatica di
James Burnham.
Quest’ultimo aspetto denota una totale idiosincrasia
nei confronti del popolo e della sua effettiva partecipazione alla
determinazione e costruzione dell’esistente. Noam Chomsky descrive
egregiamente la repulsione verso il popolo da parte delle élite al
potere:
“Il popolo dev’essere ridotto in condizioni di passività a livello politico, ma perché la sottomissione divenga un tratto affidabile va radicata anche a livello delle convinzioni. La gente deve limitarsi a osservare, non può ergersi a partecipante, dev’essere consumatrice di ideologia, oltre che del suo prodotto [16]”
Se quanto pocanzi detto definisce l’élite tecnocratico-politica,
l‘élite finanziaria può essere dipinta attraverso la definizione di Money
Manager, parafrasando Hyman Minsky. Nell’era del Finanzcapitalismo (Gallino),
dell’ “integrazione globale di produzione e finanza” (Sweezy), le
élite finanziarie possono essere individuate in quella mega-macchina
finanziaria composta dalle grandi banche d’affari, dai fondi speculativi (Hedge
Funds), dai fondi pensione, etc…
Tale finanziarizzazione del capitalismo pone anche un mutamento nel
suo modus operandi, o almeno nella direzione presa dal capitale alla
ricerca di un saggio di profitto più elevato. Il Capitale finanziario, cercando
l’ottenimento di un saggio di profitto più elevato nel mercato finanziario, non
produce plusvalore, come sottolineato da Fred Moseley [17]. Dato che
dietro al valore non c’è che il lavoro, allora nella via finanziaria alla
ricerca di un maggiore saggio di profitto, se non c’è creazione di plusvalore,
la relazione marxiana D-M-D’ diviene D-D’-D” etc…
Tutto ciò conduce ad un inasprimento del crollo
dell’economia reale poiché gran parte del capitale viene investito nel mercato
finanziario, cioè non viene reso produttivo. Gli investimenti di lungo
periodo nell’economia reale e nella produzione crollano e“l’abbagliante forma
di denaro” (Marx) plasma i comportamenti dei money manager, e
non solo, conducendoli verso investimenti di breve, brevissimo periodo sui
mercati finanziari. In questo contesto i primi ad essere sacrificati
sull’altare di Monsieur Le Capital sono i lavoratori.
In relazione, quindi, alla finanziarizzazione del
capitalismo si è prodotta la frantumazione del lavoro e la sua
precarizzazione.Fattore che, come sottolineato da Riccardo Bellofiore [18],
è stato anche dovuto ad uno sviluppo trans-nazionale della filiera
produttiva che ha messo in feroce competizione i “global players”,
rendendo con ciò instabile e ricattabile il lavoroattraverso la precarizzazione.
I processi di finanziarizzazione e precarizzazione nel nuovo capitalismo non
possono allora essere letti in maniera totalmente distinta l’uno dall’altro; si
è avuta una “sussunzione del lavoro alla finanza e al debito”,
parafrasando Bellofiore.
Se questo è l’orizzonte di senso in cui siamo, allora l’Euro sta
giocando il ruolo di rullo compressore sui diritti sociali acquisiti dai
lavoratori europei con le lotte di classe. Se il movimento del capitalismo è
diretto verso la frantumazione e la precarizzazione selvaggia del lavoro, i
diritti sociali europei risultano essere un ostacolo a tale movimento. Di qui
il violento e brutale attacco del capitale europeo attraverso la clava
chiamata Euro; quello che Costanzo Preve ha apostrofato come “la carica del
rinoceronte [19]”.
L’ultima élite, stando alla triade esposta all’inizio
di quest’ultimo paragrafo, è quella grande industriale. A livello europeo si
assiste a quella che, stando alla grammatica marxiana, è una centralizzazione
di capitale industriale.
Per fornire un caso concreto di élite industriale
e di centralizzazione capitalistica a livello europeo parliamo della European
Roundtable of Industrialists (ERT). La ERT, nata negli anni ’80, è uno
dei più potenti gruppi di pressione industriale a livello europeo. È costituita
da circa 40 leader industriali europei, i quali operano al fine di
rafforzare la competitività in ambito europeo. Coloro che ne fanno parte sono
dei degni rappresentanti del Capitale, quali ad esempio: Franco Bernabè
(Telecom Italia), Gerhard Cromme(ThyssenKrupp), Paolo Scaroni (ENI), John
Elkann (FIAT), Antonio Brufau (Repsol), Christophe de Margerie (TOTAL), Peter
Loscer (Philips) etc…
Cos’è quindi la ERT se non, come scriveva Marx, il risultato
di una transizione dall’autonomia dei capitali dalle loro formeindividuali ad
una centralizzazione degli stessi in una mano più grande?
Il giornalista Paolo Barnard ha dimostrato, nel
suo saggio “Il Più Grande Crimine”, la totale subordinazione delle
istituzioni europee a queste tipologie di élite industriali. Queste ultime
raccomandano, o meglio impongono, che in Europa si attuino misure a favore
della competitività, dell’apertura dei mercati, accordi commerciali trans-nazionali
e sovra-nazionali (come dimostrano gli accordi delWTO [20]) e la tutela
degli interessi delle corporations). Anche tra questa triade di élite al
potere si ha, quindi, una gerarchia che vede le élite tecnocratico-politiche,
il cui emblema è la Commissione Europea, essere al servizio dei desiderata
delle élite industriali, dei grandi capitalisti europei; anche qui
riscontriamo la totale subalternità e organicità delle istituzioni politiche al
grande Capitale.
Conclusioni
Il presente lavoro ha voluto porre sotto analisi
l’evoluzione del capitalismo dalla sua fase dialettica all’attuale
fase assoluta. Dalla genesi e al crollo della coscienza infelice
borghese, il capitalismo successivamente si è reso absolutus (sciolto
da vincoli), in grado cioè di permeare e colonizzare ogni strato
dell’esistente, tra cui anche le relazioni sociali. Il capitalismo della fase
assoluta odierna è anche privo della coscienza di classe delle classi
subalterne (Gramsci), anch’esse travolte da quel fascismo
perfettamente realizzato della società dei consumi. Annichilita anche ogni
potenzialità conflittuale delle classi subalterne, il capitalismo si è dipinto
come sì imperfetto ma intrasformabile. L’Economico si è assolutizzato
e si è reso egemone sul Politico, rimuovendo la funzione di“potenza etica” di
quest’ultimo.
Se “il mondo sempre è quale noi lo facciamo”, come
scriveva Gentile, allora bisogna ri-dialettizzare il nostro
tempo, cambiare il nostro orizzonte di senso. Bisogna rigenerare una passione
durevole dell’anticapitalismo, usando la grammatica di Costanzo Preve.
Note
[1] Marx K., Engels F. - La sacra famiglia.
Ovvero critica della critica critica. Contro Bruno Bauer e soci, Editori
Riuniti, Roma 1977, in Fusaro D., Minima Mercatalia, Bompiani,
2012
[2] Hegel, G. W. F - Fenomenologia dello
Spirito, cit. p. 283, in Fusaro D., Minima Mercatalia, Bompiani, 2012
[3] Ivi, p. 311, in Fusaro D., Minima
Mercatalia, Bompiani, 2012
[4] Marx K., Engels F. - Manifesto del
Partito Comunista, Capitolo IV, Posizione dei Comunisti di fronte ai
diversi partiti di opposizione esistenti, marxist.org (english version)
[5] Ivi, Capitolo I, Borghesi e Proletari,
marxist.org (english version)
[6] Preve C. - Il filo di Arianna, op. cit.,
p. 17, in Preve C., Filosofia e Marxismo
[7] Preve C. - Comunismo fra Idea e Storia,
Arianna Editrice, 2011
[8] Fichte, J. G. - Lo Stato commerciale
chiuso, cit., p. 70., in Fusaro D., L’aporia dello Stato in Fichte.
L’egemonia della politica sull’economia come reazione all’epoca della
compiuta peccaminosità.
[9] Pasolini, P. P., Brunatto P. - La
forma della città, 1974
[10] Chomsky N., Herman E. S. - La
fabbrica del consenso. La politica e i mass media, Il Saggiatore, 1998
[11] Fusaro D. - Senza inizio né fine.
Monoteismo del mercato e metafisica dell’illimitatezza, Giornale Critico
di Storia delle Idee
[12] Galli C., Greblo E., Mezzadra S. - Il
pensiero politico contemporaneo. Il Novecento e l’età globale, Il Mulino,
2011
[13] Bellofiore R., Halevi J. - La
Grande Recessione e la Terza Crisi della Teoria Economica
[14] Wray L. R., MMT, The Euro and The
Greatest Prediction of the Last 20 Years, neweconomicperspectives.org
[15] Parguez A. - Relazione al Summit MMT di
Rimini, 24-26 Febbraio 2012
[16] Chomsky N. - Contenere la minaccia della
democrazia, 1990, in Chomsky N., Anarchismo. Contro i modelli
culturali imposti, Tropea, 2008
[17] Moseley F. - Crisi, Marx e Occupy,
sinistrainrete.info
[18] Bellofiore R. - La crisi capitalistica,
la barbarie che avanza, Asterios Editore, 2012
[19] Preve C. - La carica del rinoceronte,
2011, pauperclass.myblog.it
[20] Spositi V. - WTO, GATS, ISA e la
svendita della sovranità, qualcosadisinistra.it