Karl Marx ✆ Maze |
Marco Gatto | 1. Pur tenendo conto
dell’imprescindibile differenza tra i due approcci al testo, le interpretazioni
che David Harvey e Fredric Jameson hanno recentemente offerto del primo volume
di Das Kapital condividono molto più di quanto si creda [1]. Non solo perché i due studiosi americani incarnano differenti
figure intellettuali: Harvey si definisce da sempre geografo e urbanista e il
suo interesse filosofico, seppure solo in apparenza periferico, è spesso
spostato in un secondo piano; Jameson è un teorico della cultura (e della
letteratura, in particolare) sensibile alla lezione di Lukács e della Scuola di
Francoforte (con una predilezione spiccata per Adorno), e ha provato, nel corso
della sua esperienza filosofica, a importare nel contesto americano, a lungo
egemonizzato dall’empirismo, la tradizione dialettica europea. Tuttavia, l’uno
e l’altro si inseriscono a pieno titolo in un campo marxista: probabilmente
Jameson con maggiore ed esibita insistenza. Se il marxismo di Harvey nasce
dall’esigenza di «rivendicare che sia sul terreno dell’analisi della crisi e
delle “contraddizioni” del capitalismo che debba essere verificata la validità
teorica» [2] della critica di Marx al modo di produzione
capitalistico, collocandosi dunque in un ambito di demistificazione
dell’economia politica e di teorizzazione della nuova spazialità finanziaria,
il marxismo di Jameson è invece legato a doppio filo al cosiddetto “marxismo
occidentale” (secondo l’etichetta