Karl Marx ✆ Allan Mcdonald |
Robert Kurz | Oggi, il marxismo, e con esso la teoria
marxista, viene essenzialmente considerato come il fallimento storico di una
dottrina che guarda allo stato, alla redistribuzione monetaria fatta dallo
stato, alla regolazione dei processi economici da parte dello stato e che
guarda, infine, ad uno stato che gioca il ruolo di imprenditore generale della
società. Non è più altro che il sinonimo di una malevola tutela burocratica
sull'individuo, privato dei suoi diritti, e di una amministrazione repressiva
degli uomini, degli orrori dei gulag e del totalitarismo in generale; insomma,
di tutto ciò che "l'economia di mercato e la democrazia" non devono
né possono essere. In questo c'è qualcosa di vero, nella misura in cui le
società della seconda modernizzazione, che cercano la loro legittimazione
ideologica nel richiamarsi a Marx, sono effettivamente degli stati totalmente
autoritari.
Questo autoritarismo burocratico dello stato non rappresenta
assolutamente solo una delle distorsioni subite dal marxismo, riferita alle condizioni
di vita dei ritardatari storici che appartengono alla periferia del mercato
mondiale. E' sempre stata anche una caratteristica del movimento operaio
marxista, dei suoi partiti e dei suoi sindacati, nei paesi capitalisti
sviluppati, d'occidente. Fino ad oggi, la socialdemocrazia europea è rimasta,
attraverso tutte le sue metamorfosi, profondamente una forza di stato
autoritario.
Dall'ideologia fantasmagorica dello "Stato
Operaio" alla cogestione repressiva dell'impudente società capitalista,
dalle prime dichiarazioni di un programma per la formazione dello Stato sociale
e l'interventismo burocratico keynesiano dopo la seconda guerra mondiale, il
marxismo ed i suoi successori occidentali fino alla fine del XX secolo, non
potrebbe mai negare di aver guardato allo Stato rispetto alla "libertà di
mercato" liberale. Dire che Marx non c'entra nulla con questo statismo,
significherebbe distorcere i fatti. Possiamo trovare, nella sua teoria,
sufficienti dichiarazioni il cui punto culminante si trova nell'esortazione
alla classe detta operaia ad "impadronirsi del potere dello Stato",
per affrancarsi dall'oppressione (socio-economica) esercitata dalla classe
detta capitalista; viene annunciato che il socialismo sarà uno "Stato di
lavoro" con un "obbligo a lavorare", che bisognerà instaurare
realmente la "nazione" e la "democrazia" e alla quale
bisognerà arrivare per via "politica". Ma qui si tratta ancora del
Marx "essoterico", quindi del Marx le cui argomentazioni e il
cui sguardo sono rivolti - in modo immanente al sistema - al secolo del
movimento operaio. Così come è fondamentalmente determinato da un doppio gap
storico (quello riferito al vecchio status di "condizione inferiore"
dell'operaio, in generale, e quello riferito alla specifica situazione tedesca,
in particolare), il Marx essoterico lo è anche riguardo alle categorie di
politica, stato, nazione e democrazia. Da una parte, si tratta del ritardo,
doppio anch'esso, della Germania in quanto stato se paragonata all'Inghilterra
o alla Francia: in primo luogo, il paese è diviso in una moltitudine di piccoli
stati e non si è ancora innalzato al rango di nazione capitalista; in secondo luogo,
continua ad essere governato da una monarchia assoluta "per diritto
divino", retrograda, che non ha ancora intrapreso la strada della
repubblica capitalista. Allorché Marx, erede dissidente del pensiero borghese
moderno, aderisce ad una accezione razionalista, liberale e determinista del
progresso, ritiene che le "missioni capitaliste" non ancora
realizzate sul piano economico e culturale, ma anche politico, vengano
realizzate, per cui bisogna stabilire un'unità politica nazionale ed una repubblica
borghese. Nella misura in cui Marx considera che la borghesia tedesca, di cui
deride la codardia ipocrita, è incapace di svolgere questi pretesi compiti dati
dalla storia, decide di incaricare l'ambigua classe operaia di tale missione,
come se si trattasse di una capriola: tutto ciò che sta scritto nella lista
delle cose da fare della Storia non può che essere eseguito convenientemente e
al momento giusto! Non è senza motivo che Lenin utilizzerà politicamente
(prendendo una scorciatoia "politica") tale figura intellettuale
paradossale che consiste nel mettere in atto le categorie della società
capitalista che voleva sopprimete, di modo che esse possano essere in seguito
correttamente abolite. Marx non si è voluto rendere conto - o non ha voluto
ammetterlo - che poteva esserci una trappola che avrebbe legato la coscienza
critica a tali specifiche categorie di socializzazione capitalista.
Del resto, non solo in Germania, ma anche nei paesi
capitalisti più avanzati, il proletariato industriale che era appena apparso
sulla scena e che continuava a crescere era sotto molti aspetti una massa priva
di diritti. Di conseguenza, non era un attore che godesse pienamente di una
capacità civile e contrattuale, nel senso borghese del termine, e si vedeva
largamente escluso dalla vita politica delle repubbliche borghesi, anche sul
piano formale. Le donne non erano le sole a non avere il diritto di voto, ne
erano ugualmente privati anche gli uomini che non possedevano dei beni o, per
lo meno, avevano un diritto di suffragio limitato.In tali condizioni, lo stato,
anche repubblicano, era necessariamente stato di classe, cioè a dire era
esclusivamente affare e apparato della classe possidente. Nel loro essere,
quindi, i lavoratori salariati aspiravano a diventare soggetti di diritto giuridico
e civico, soprattutto gli uomini, per esistere (o per modellare e perfezionare
la loro esistenza).La lotta del movimento operaio per essere riconosciuto nel
capitalismo prende perciò necessariamente una piega politica. Questa
aspirazione aveva per stendardo la nozione enfatica di democrazia, e la lotta
di classe era una "lotta politica". E' così che apparve la
socialdemocrazia in quanto partito politico, come prototipo di un partito
politico moderno nella "gabbia di ferro" di una socializzazione capitalista.
Marx non poteva reagire altrimenti che facendo delle concessioni a questo
impulso, quasi integrandolo nella redazione della sua teoria, benché questa
lotta politica non conducesse fuori dal capitalismo e dal lavoro salariato, ma
li rafforzasse ancora più profondamente e condannasse ancora più
implacabilmente gli uomini a rispettare delle forme sociali che riguardavano
categorie e criteri del capitalismo.
Così, come su tutti gli altri punti, il cuore radicalmente
critico della teoria marxista si mimetizzò, per quanto riguardava la teoria
dello stato, della nazione, della politica e della democrazia. Si è voluto
vedere solo la formulazione sociologica della teoria dello stato, quella dove
Marx parla dello stato come del "comitato di affari della borghesia".
Questa espressione, appartenente al movimento operaio del secolo scorso, non
corrisponde affatto alla situazione di una democrazia borghese che ha raggiunto
la fine della sua evoluzione.
Invece, le idee dell' "altro Marx", il Marx
esoterico che, così come critica il lavoro, critica radicalmente anche
l'aspetto giuridico e le manifestazioni di statalismo democratico in quanto
tali, rivestono assai più importanza. Fin dall'inizio delle sue riflessioni
teoriche, Marx solleva la questione del carattere di una democrazia pienamente
realizzata, e di una concessione generale dei diritti, e scopre le
contraddizioni tra la forma giuridica e la sovranità statale; opposizione che
non può essere definita come semplicemente esterna alle classi sociali. Può sembrare
strano, riferito alla nostra comprensione attuale, che tale questione si leghi
al problema, apparentemente assai lontano, della critica della religione. Non
solo Marx presentiva la società capitalista come una sorta di religione
secolarizzata, una metafisica terrestre del denaro (il suo contemporaneo
Heinrich Heine si era già espresso in tal senso), ma si riferiva anche al
dibattito critico, filosofico e sociale, dominato, nella Germania prima del
1948, dagli "hegeliani di sinistra".
Dal punto di vista filosofico, la critica vede nella religione un'idea
"falsa", immaginaria, che l'uomo si fa di sé stesso e della società,
e che può essere eliminata superando la coscienza religiosa. Sul piano della
politica sociale, si risponde a quest'idea esigendo la fine della religione
cristiana di Stato - perciò, la separazione fra chiesa e stato, la libertà
religiosa, ecc.. In tutto questo dibattito, la caratteristica geniale di Marx
sta nel capovolgere il problema, attribuirlo all'ordine sociale esistente e sollevare
così il "velo religioso" che copriva tutta la discussione: invece di
superare la coscienza religiosa (all'interno della coscienza), secondo Marx
bisogna, per fare della società una società umana, cominciare a superare la
società esistente, per arrivare così a sbarazzarsi della coscienza religiosa.
Quando si guarda questa società da più vicino - continua Marx - si vede come le
riforme politiche, o l'emancipazione, soffrano di una contraddizione insolubile
che consiste nell'accontentarsi di far diventare "questioni private"
quelli che sono i veri problemi, invece di risolverli. Allo stesso modo per
cui, la coscienza religiosa non scompare con la libertà di culto e con la fine
della religione di Stato, ma si vede trasformata in una "questione
privata", interna o esterna allo stato; così avviene con i problemi
sociali ed economici. Nel momento in cui la proprietà privata economica non
giocherà più alcun ruolo politico, in una democrazia pura dopo l'abolizione del
voto censitario, proprio allora raggiungerà il suo pieno sviluppo negativo sul
piano sociale. Così, per Marx, la divisione dell'uomo e della sua società
attiene a due sfere: quella "ideale" dello stato, da una parte, e
quella "sporca", la sfera dell'economia borghese, privata, che
ingloba il lavoro astratto, gli interessi finanziari, la concorrenza, ecc.,
dall'altra. La "società borghese", in tal senso, non è la società
dove domina una certa classe, ma è la sfera della riproduzione economica,
diventata autonoma da tutti gli individui, che si oppone allo statuto statale
astratto di tutti gli individui.
Secondo Marx, una tale democrazia pura che rende
"sovrano" ogni individuo, mediante la cittadinanza, quando lo stesso
individuo può essere allo stesso tempo, sul piano sociale, un mendicante senza
casa, si fa beffe della comunità umana. Lo statuto statale, in generale, di cui
la democrazia rappresenta la forma suprema e più pura, conseguentemente è solo
l'altra faccia di una mancanza paradossale di socialità fra gli individui
reali, manovrati dal movimento autonomo e cieco del denaro. In quanto, nella
pratica sociale del tutto sottomessa al processo di valorizzazione del capitale
essi non possono avere tra di loro che dei rapporti in quanto persone
giuridiche. Ma le persone giuridiche non sono altro che dei
"rappresentanti della merce", e perciò sono obbligati a comportarsi,
gli uni verso gli altri, come dei semplici rappresentanti di categorie
economiche diventate indipendenti da loro stessi: gli uomini non possono
formare una vera comunità.
In effetti, se gli individui sono dei cittadini nella loro
vita quotidiana reale, in quanto membri di una comunità, nella loro
riproduzione materiale sono esattamente il contrario di una comunità, benché i
mezzi di produzione abbiano ormai da lungo tempo un carattere sociale.
Lungi dal considerare la concessione dei diritti, lo statuto
statale e la democrazia come la soluzione della miseria socio-economica,
l'altro Marx, quello nascosto, vede in questi principi solo l'altra faccia
della stessa miseria. Ed è proprio questo il punto di bruciante attualità.
Mentre il liberalismo non ha mai fatto altro che criticare la gestione esteriore e butrocratica della società da parte dello Stato per favorire, al contrario, il mercato e la sua pretesa libertà, la critica radicale dello Stato, fatta da Marx, vede nel mercato l'altra faccia della stessa medaglia: l'autoritarismo dello Stato non è altro che la controparte complentare dell'autoritarismo del mercato; ed il totalitarismo politico non è altro che una delle manifestazioni del totalitarismo economico. Su entrambi i versanti, gli individui non sono liberi, perché alla mercé della burocrazia gli uni, e preda della concorrenza anonima gli altri. Mercato e Stato, politica ed economia, non sono che le due facce di una situazione sociale paradossale, irrazionale e schizofrenica, in cui gli individui si sdoppiano in "homo oeconomicus" ed in "homo politicus", in "borghese" ed in "cittadino", e si trovano perciò in contraddizione con sé stessi. Mercato e Stato sono le due facce dello stesso errore che non devono essere usati l'uno contro l'altro, bensì annullati in egual modo - proprio per mezzo di quegli "individui sociali concreti" unici, come li vedeva Marx nella sua critica del lavoro astratto.
Mentre il liberalismo non ha mai fatto altro che criticare la gestione esteriore e butrocratica della società da parte dello Stato per favorire, al contrario, il mercato e la sua pretesa libertà, la critica radicale dello Stato, fatta da Marx, vede nel mercato l'altra faccia della stessa medaglia: l'autoritarismo dello Stato non è altro che la controparte complentare dell'autoritarismo del mercato; ed il totalitarismo politico non è altro che una delle manifestazioni del totalitarismo economico. Su entrambi i versanti, gli individui non sono liberi, perché alla mercé della burocrazia gli uni, e preda della concorrenza anonima gli altri. Mercato e Stato, politica ed economia, non sono che le due facce di una situazione sociale paradossale, irrazionale e schizofrenica, in cui gli individui si sdoppiano in "homo oeconomicus" ed in "homo politicus", in "borghese" ed in "cittadino", e si trovano perciò in contraddizione con sé stessi. Mercato e Stato sono le due facce dello stesso errore che non devono essere usati l'uno contro l'altro, bensì annullati in egual modo - proprio per mezzo di quegli "individui sociali concreti" unici, come li vedeva Marx nella sua critica del lavoro astratto.
Così, la lotta di classe in quanto lotta politica - il solo
modo per abolire parzialmente la concorrenza fra i lavoratori salariati - ha
compiuto il capitalismo, invece di superarlo, e lo ha compiuto precisamente in
quella sfera statale e politica, uniformando le differenti categorie della
funzione sociale del capitale in quanto cittadini astrattamente
"liberi", in modo che ormai la concorrenza, il lavoro astratto, la
concessione dei diritti e la cittadinanza democratica sono forme simili,
generali e comuni, alla fine portate a termine. Vista così, la lotta di classe
non ha abolito il capitalismo, ma ha finito per abolire sé stessa. Ma adesso
l'irrazionalità e la negatività di questo complesso sociale comune appare
ancora più chiaramente. Alla fine del XX secolo, nessuno credeva più veramente
alla politica, nemmeno gli stessi politici. Si faceva ancora una volta appello
al mercato, contro la forza funzionale decrescente della sfera politica
statale, per mezzo della sua concorrenza anonima. Ma il mercato è inadatto a
creare una comunità umana, anche astratta; e questo è il motivo per cui, in
ogni caso, si è fallito a sopprimere la sfera statale astratta. Così abbiamo
visto il complesso schizofrenico, sociale e non sociale, irreale ed ideale,
sporco e quotidiano, con i suoi individui in esso inglobati, cominciare a
pervertirsi. La realtà della concorrenza cancella l'idealità astratta della
cittadinanza democratica. Una sinistra fissata sulla politica e sulla
democratizzazione, non è più in grado di cogliere in modo critico la realtà del
capitalismo compiuto: invece di sopprimere i due aspetti dello sdoppiamento, e
perciò anche le loro categorie, essa domanda che le categorie ancora esistenti
della sfera politica fallita vengano trasportate sulle categorie, esse sì
ancora esistenti, della società di mercato borghese, sotto forma di
politicizzazione, o democratizzazione, dell'economia di mercato.
Quest'illusione è stata ridicolizzata e sta scomparendo. Adesso,
l'emancipazione dell'uomo non può più essere realizzata che contro la
cittadinanza astratta, perciò oltre l'illusione politica e democratica ed oltre
il lavoro e la concorrenza.
Uno degli ostacoli a tale emancipazione che supererebbe la
sedicente modernità del sistema di produzione di merci è il pregiudizio insito
nella nozione di "nazione". La nazione che in nessun caso costituisce
una realtà sovra-storica - ma è un'invenzione del capitalismo moderno - non è
altro che il velo, o il travestimento culturale simbolico, della sfera statale
politica presentata come un mito. La nazione è tanto astratta e
"falsa" quanto la sfera politica, ma i colori del suo travestimento
la fanno apparire più concreta e concepibile, capace di creare una comunità,
non contro la concorrenza, ma nella concorrenza, escludendo ciò che è
straniero. Un punto di vista sul quale il Marx essoterico e quello esoterico si
dividono in modo netto, precisamente per quello che riguarda la Germania. In
virtù della sua "lista di cose da fare" storico-determinista, Marx si
sente obbligato ad approvare che la Germania si costituisca come nazione, e ad
accettare il fatto che il movimento operaio possegga uno spirito nazionale. Per
aver condotto, direttamente, ai campi di battaglia della Prima Guerra Mondiale,
l'affermazione del patriottismo socialdemocratico si è rivelata ben presto come
la determinazione civica del movimento operaio. Al contrario, fin dall'inizio,
l'altro Marx, il Marx radicale, il Marx esoterico vide ben chiara la natura
della nazione, ed attaccò in maniera particolarmente violenta la sensibilità
nazionalista. Così facendo, Marx cade ben presto in questa "ideologia
tedesca" che, sulla scia della modernizzazione del XIX secolo, mitizzava
la nazione tedesca (ancora virtuale, all'epoca) e la elevava al rango di
comunità di sangue e di cultura che prevalesse sul capitalismo. Come se la
logica di questa nazione non fosse la logica, divenuta indipendente, del denaro
o del valore di scambio, bensì il "buon" capitale oggettivo di una
vera forza produttiva tecnica.
Questa costruzione si condenserà sempre di più fino a
costituire il nucleo dell'ideologia nazista. Nella sua polemica contro
Friedrich List, il fondatore dell' "economia nazionale" tedesca
(riscoperto negli anni 1970), Marx attacca con pungente virulenza tutte le basi
di questa "istituzione capitalista che si serve di frasi
anticapitaliste" specificamente tedesca. Allo stesso tempo, formula una
critica precoce dell'ideologia, ancora latente, di un
"nazional-socialismo", dunque di un capitalismo che si vuole
non-capitalista, precisamente in virtù della nazionalità, e che si riferisce
alla concorrenza esterna per costituire all'interno una "comunità
popolare" nazionale, etno-razzista. La polemica di Marx contro la
nazionalità in generale e contro l' "ideologia tedesca" in
particolare, ritrova oggi, qui, un'attualità bruciante.
Estratto da "Lire Marx. Les
textes les plus importants de Karl Marx pour le XXIe siècle". Choisis et
commentés par Robert Kurz.
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