19/11/13

Falsificazioni di Marx

Karl Marx ✆ Wiaz 
Olympe de Gouges   |  Scrive Eugenio Scalfari nel suo editoriale […] dal titolo “La società civile e la casta dei politici”:
«Il termine "società civile" fu inventato, niente meno, da Marx e forse, prima ancora, da Rousseau, per designare  l’insieme dei ceti che compongono una comunità con una propria identità, propri valori, propria cultura, propri interessi. Una società civile forte esprime anche proprie istituzioni e lo Stato che ne è il coronamento».
La definizione di “società civile” è data da Marx nel II capitolo dell’Ideologia tedesca in questi termini:
«La forma di relazioni determinata dalle forze produttive esistenti in tutti gli stadi storici finora succedutisi, e che a sua volta le determina, è la società civile, la quale [...] ha come presupposto e fondamento la famiglia semplice e la famiglia composta, il cosiddetto ordinamento tribale [...]. Qui già si vede che questa società civile è il vero focolare, il teatro di ogni storia, e si vede quanto sia assurda la concezione della storia finora corrente, che si limita alle azioni di capi e di Stati e trascura i rapporti reali. La società civile comprende tutto il complesso delle relazioni materiali fra gli individui all'interno di un determinato grado di
sviluppo delle forze produttive. Essa comprende tutto il complesso della vita commerciale e industriale di un grado di sviluppo e trascende quindi lo stato e la nazione, benchè, d’altra parte debba nuovamente affermarsi verso l'esterno come nazionalità e organizzarsi verso l’interno come Stato. Il termine società civile sorse nel secolo diciottesimo quando i rapporti di proprietà si erano già fatti strada fuori dal tipo di comunità antico medievale. La società civile come tale comincia a svilupparsi con la borghesia; tuttavia l'organizzazione sociale sviluppatasi immediatamente dalla produzione e dagli scambi, la quale forma in tutti i tempi la base dello stato e di ogni sovrastruttura idealistica, continua ad essere chiamata con lo stesso nome».
Scrive Scalfari: «Questo è lo schema di Marx, che ne parla diffusamente soprattutto in due delle sue migliori opere: "L'ideologia tedesca" e "Il 18 brumaio" [nel Il diciotto brumaio di Luigi Bonaparte la locuzione si riscontra una sola volta nel IV capitolo, mentre è nella Critica al Programma di Ghota che Marx si diffonde sul tema dei rapporti tra “società civile” e organismi politici statuali]. La società civile che egli ha in mente è quella borghese; il suo obiettivo è di riuscire a sostituirla con una società civile egemonizzata dal proletariato».
Ed eccoci al punto, cioè alla falsificazione (se no, come altrimenti definirla?), che messa alla fine della sua introduzione potrebbe passare (senz’altro ai più) inosservata in quanto tale, secondo lo schema, questo sì reale e semplice, che è il potere a produrre, secondo i propri interessi, i rituali di verità e il tipo di conoscenza che gli individui introiettano. Pertanto il messaggio mandato a segno è il seguente: Marx aveva per obiettivo la sostituzione dell’attuale società civile con un’altra, egemonizzata dal proletariato.
Cos’è un proletario? Un “libero” lavoratore, secondo la fictio juris, che vende la propria forza lavoro, cioè un salariato, uno schiavo moderno (Il Capitale, Libro I, cap. XXI, Utet 1974, p. 736, ). Quindi, secondo quanto ci dice Scalfari, l’obiettivo di Marx è quello di sostituire l’attuale società  con una società in cui i salariati sono egemoni: una società dominata dagli schiavi (*). Chiaro che Scalfari si riferisca al concetto di “dittatura del proletariato”, cioè a quella fase, secondo Marx, in cui il proletariato lotta per il superamento dell’egemonia borghese. Ma la dittatura del proletariato è solo una fase della lotta, non è l’obiettivo ultimo e fondamentale a cui allude Marx. Ne Le lotte di classe in Francia, Marx per la prima volta fa uso della formula "dittatura del proletariato", contro la dittatura economica della borghesia, che si esprime in una "formale" democrazia politica. In una lettera a Weydemeyer (1852), Marx afferma che la scoperta della lotta di classe spetta non a lui ma agli storiografi borghesi. Il suo contributo stava semplicemente: 1) nell'aver dimostrato che l'esistenza delle classi è legata a determinate fasi storiche di sviluppo della produzione e non è eterna, 2) che la lotta di classe conduce necessariamente alla dittatura del proletariato, 3) “che tale dittatura costituisce soltanto il passaggio alla soppressione di tutte le classi e a una società senza classi”.
Commentando queste parole, Lenin scriveva che colui che si accontenta di riconoscere la lotta delle classi non è ancora un marxista, e può darsi benissimo che egli non esca dai limiti del pensiero borghese e dalla politica borghese. Ridurre il marxismo alla dottrina della lotta delle classi, vuol dire mutilare il marxismo, deformarlo, ridurlo a ciò che la borghesia può accettare. Marxista è soltanto colui che estende il riconoscimento della lotta delle classi sino al riconoscimento della dittatura del proletariato. In questo consiste la differenza più profonda tra il marxista e il banale piccolo-borghese (e anche il grande).
Marx ebbe a precisare ulteriormente il suo pensiero su tale questione:
«Si domanda quindi: quale trasformazione subirà lo Stato in una società comunista? In altri termini: quali funzioni sociali persisteranno ivi ancora, che siano analoghe alle odierne funzioni dello Stato? A questa questione si può rispondere solo scientificamente, e componendo migliaia di volte la parola popolo con la parola Stato non ci si avvicina alla soluzione del problema neppure di una spanna. Tra la società capitalistica e la società comunista vi è il periodo della trasformazione rivoluzionaria dell'una nell'altra. Ad esso corrisponde anche un periodo politico transitorio, il cui Stato non può essere altro che la dittatura rivoluzionaria del proletariato (Critica del programma di Gotha) ».
Quindi, per espressa dichiarazione di Marx, l'egemonia del proletariato è intesa come "fase di transizione". E, inoltre:
«In una fase più elevata della società comunista [successiva al socialismo come periodo intermedio tra la società capitalistica e il vero e proprio comunismo]dopo che è scomparsa la subordinazione asservitrice degli individui alla divisione del lavoro, e quindi anche il contrasto tra lavoro intellettuale e fisico; dopo che il lavoro non è divenuto soltanto mezzo di vita, ma anche il primo bisogno della vita; dopo che con lo sviluppo onnilaterale degli individui sono cresciute anche le forze produttive e tutte le sorgenti della ricchezza collettiva scorrono in tutta la loro pienezza, solo allora l’angusto orizzonte giuridico borghese può essere superato, e la società può scrivere sulle sue bandiere: Ognuno secondo le sue capacità; a ognuno secondo i suoi bisogni ! (ibidem)».
Pertanto l’obiettivo di Marx, tanto per dirla come la canta Scalfari, non è l’egemonia (dittatura) dei salariati, ma il superamento della società classista e perciò del proletariato stesso. Il dissolvimento delle classi padronali è il dissolvimento stesso delle classi degli sfruttati; quando cade una delle classi separate cade anche l’altra. Quando e come questo sarà possibile è un altro paio di maniche. Quanto ai termini più generali dell’articolo di Scalfari, è opportuno sottolineare quanto scriveva Marx in rapporto al carattere del riformismo:
«Il carattere proprio della socialdemocrazia si riassume nel fatto che vengono richieste istituzioni democratiche repubblicane non come mezzi per eliminare entrambi gli estremi, il capitale e il lavoro salariato, ma come mezzi per attenuare il loro contrasto e trasformarlo in armonia. Ma per quanto diverse siano le misure che possono venir proposte per raggiungere questo scopo, per quanto queste misure si possano adornare di rappresentazioni più o meno rivoluzionarie, il contenuto rimane lo stesso. Questo contenuto è la trasformazione della società per via democratica, ma una trasformazione che non oltrepassa il quadro della piccola borghesia. Non ci si deve rappresentare le cose in modo ristretto, come se la piccola borghesia intendesse difendere per principio un interesse di classe egoistico. Essa crede, il contrario, che le condizioni particolari della sua liberazione siano le condizioni generali, entro alle quali soltanto la società moderna può essere salvata e la lotta di classe evitata. Tanto meno si deve credere che i rappresentanti democratici siano tutti shopkeepers [bottegai] o che nutrano per questi un’eccessiva tenerezza. Possono essere lontani dai bottegai, per cultura e situazione personale, tanto quanto il cielo è lontano dalla terra. Ciò che fa di essi i rappresentanti del piccolo borghese è il fatto che la loro intelligenza non va al di là dei limiti che il piccolo borghese stesso non oltrepassa nella sua vita, e perciò essi tendono, nel campo della teoria, agli stessi compiti e alle stesse soluzioni a cui l’interesse materiale e la situazione sociale spingono il piccolo borghese nella pratica. Tale è, in generale, il rapporto che passa tra i rappresentanti politici e letterari di una classe e la classe che essi rappresentano (Il diciotto brumaio, III capitolo)».
Sempre ne Il 18 brumaio di Luigi Bonaparte, Marx evidenzia l'essenza del bonapartismo, ovvero il fatto che la borghesia, pur di non perdere il proprio potere economico, è disposta anche a rinunciare alla propria democrazia parlamentare per affidarsi alla dittatura personale di un duce. In questo colpo di stato, Bonaparte riuscì a trovare nei contadini un efficace alleato. Marx esprime anche la necessità di "spezzare", "demolire" la macchina statale, evitando di trasferirla così com'è dalle mani borghesi a quelle proletarie.
(*) Perfino un liberale di vecchio stampo come Maffeo Pantaleoni scriveva: Allorché un individuo è costretto a pagare e a lavorare per altri, questo individuo è lo schiavo degli altri (La caduta della Società Generale di Credito mobiliare Italiano, UTET, 1988).
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