Aldo Trotta
Manca
ormai da tempo un dibattito teorico-politico sullo stato di salute e sulle
prospettive del marxismo in Italia e non solo. Un dibattito tanto più
necessario e urgente a fronte di una sinistra residuale che, dopo più di un
quarto di secolo di abiure e di congedi dalla propria storia, continua ad
annaspare nelle sabbie mobili di un “nuovismo” esasperato ed esasperante, alla
ricerca affannosa e inconcludente di “nuovi” orizzonti teorici, di “nuovi”
linguaggi, di “nuove” forme e pratiche politiche, di “nuove” identità, e via
declinando. L’ultimo volume di Domenico Losurdo, Il marxismo occidentale. Come nacque,
come morì e come può rinascere, può senza dubbio fornire un contributo prezioso per
provare a rianimare una discussione che vada oltre le pur importanti
contingenze politiche. Pubblicato da poco per i tipi della Laterza, il testo si
presenta nel panorama editoriale nel centenario della Rivoluzione d’Ottobre, in
una fase storica in cui sullo scenario internazionale piovono bombe come
fossero coriandoli, i focolai di crisi aumentano e i rischi di una
conflagrazione bellica su ampia scala si addensano sempre più pericolosamente
all’orizzonte, nella preoccupante assenza di un movimento pacifista in grado di
far sentire preventivamente la sua voce prima che l’incendio divampi. Dalla prima guerra mondiale e dalla Rivoluzione d’Ottobre, atti di nascita rispettivamente del marxismo occidentale e di quello orientale, prende le mosse la ricostruzione storico-filosofica che l’autore compie analizzando ragioni oggettive, aspetti culturali e questioni di natura teorica che fin dagli inizi hanno portato i due marxismi a intraprendere strade diverse.