Karl Marx ✆ Eugene Wolters |
Luca Cangianti | Il Capitale di
Marx è un romanzo fantahorror. All’origine dell’opera c’è infatti il tentativo
di dimostrare, attraverso un lungo viaggio dialettico, che i fenomeni non
spiegati dalle teorie economiche convenzionali sono conseguenze di una più
profonda e invisibile realtà: “Ogni scienza sarebbe superflua”, ricorda il
filosofo, “se l’essenza delle cose e la loro forma fenomenica direttamente
coincidessero” (Marx, 1981, III, 930).
Noël Carroll ha individuato due grandi insiemi nei quali far
rientrare le trame fantahorror: quello delle narrazioni basate sul disvelamento
di una realtà nascosta e quello connotato dalla tracotanza dello scienziato
folle che si spinge verso le zone proibite del possibile. Come esempi di
quest’ultimo gruppo possiamo ricordare:Frankenstein, Il dottor Jekyll e il
signor Hyde, L’isola del dottor Moreau. Il Capitale, invece, mostra
interessanti analogie con il primo tipo di struttura, che secondo Carroll si
articola in quattro fasi: l’inizio, la scoperta, la conferma e il
confronto (Carroll, 1990, 97 e sgg.).
Facciamo un esempio. Il film di John Carpenter Essi
vivono (Usa, 1988) inizia con l’arrivo di John Nada in una Los
Angeles devastata dalla crisi economica. Tutto sembra procedere nella calma più
deprimente se non fosse per una serie di strani messaggi pirata che
periodicamente si inseriscono nei programmi dell’onnipresente televisione.
Tali trasmissioni anomale e farneticanti invitano il genere
umano a ribellarsi contro un invasore occulto. John, in un primo momento, non
le prende sul serio. Un giorno però, nella baraccopoli dove ha trovato
alloggio, nota un andirivieni di persone che trasportano scatole di cartone. La
sera stessa la polizia attacca violentemente la bidonville senza apparente
motivo. Rovistando tra le macerie John ritrova una delle scatole misteriose e
si accorge che contiene degli occhiali da sole. L’uomo scopre che le
loro lenti permettono di vedere la realtà circostante in un modo diverso: le
riviste patinate e i cartelloni pubblicitari perdono testo e colore lasciando
comparire crude ingiunzioni quali: “obbedite”, “sposatevi e prolificate”,
“spendete”, “non pensate”, “uccidete la fantasia”. Sulle banconote appare la
scritta “sono il tuo Dio”, sopra i semafori degli altoparlanti sussurrano:
“dormite”. Ma la cosa peggiore è che guardando attraverso i suoi occhiali John scopre che
alcuni esseri umani sono in realtà alieni mostruosi. La fase della conferma si
apre quando il protagonista cerca di comunicare la sua esperienza al suo amico
Frank. Questo, come il Cardinal Bellarmino di fronte al telescopio di Galilei,
rigetta a tal punto la possibilità di una realtà deviante che rifiuta perfino
di guardare attraverso le lenti deoccultanti. Segue una delle colluttazioni più
lunghe della storia del cinema che simbolizza la difficoltà del cambio di
prospettiva percettiva. Alla fine John riesce a imporre a Frank di inforcare
gli occhiali e i due si uniscono alla resistenza umana. Nel frattempo si viene
a sapere che gli alieni sono “liberi imprenditori per i quali la Terra è solo
un pianeta di cui sfruttare le risorse”. Essi sono arrivati sulla Terra nel XIX
secolo e l’hanno ridotta a un cumulo di rifiuti tossici. Hanno il loro quartier
generale nei sotterranei della città, trattano gli umani come polli
d’allevamento e accusano i componenti della resistenza umana di essere
pericolosi “comunisti”. A questo punto dovrebbe iniziare la fase del confronto,
invece si ripete a un livello superiore quella della conferma, o per meglio
dire si apre una fase in cui conferma e confronto coincidono. La lotta contro i
mostri, infatti, consiste nello smascherarli agli occhi di tutti. Gli alieni
però non sono visibili in quanto tali, poiché hanno adattato la loro biologia
alle condizioni atmosferiche terrestri e nessun occhio o telescopio riesce a
scorgere le loro astronavi che atterrano e decollano. Ciò è possibile grazie a
un segnale emesso da un trasmettitore che copre via satellite tutta la Terra.
Alla fine John riesce a distruggere l’antenna aliena. È ferito e forse morirà,
ma i mostri ormai hanno perso la loro arma più terribile: sono visibili agli
occhi di tutti gli umani e possono essere affrontati.
La struttura appena descritta, con le dovute variazioni del
caso, è facilmente rintracciabile in molti classici della letteratura e della
cinematografia fantahorror, da Dracula a It fino a Matrix e Dark
City.
All’inizio del Capitale, Marx spiega come il
modo di produzione capitalistico appaia alla superficie come una società
armonica di cittadini liberi e uguali che vivono scambiandosi beni e servizi.
L’origine del profitto, dell’accrescersi della ricchezza, rimane tuttavia
inspiegato. Inoltre eventi anomalie misteriosi emergono inaspettatamente: si
tratta delle crisi di sovrapproduzione che in una società basata sulla
produzione per il consumo, così come il capitalismo fallacemente si presenta,
non dovrebbero verificarsi.
La causa di tali distorsioni dell’ottica sociale risiede, a
detta di Marx, nella visibilità del solo scambio paritario: il lavoratore cede
la sua forza-lavoro in cambio di un salario monetario che ne rappresenta il
valore, cioè la somma necessaria all’acquisto di tutti i beni e i servizi atti
alla sua riproduzione materiale e intellettuale in un determinato contesto
storico-geografico. Ciò che resta nell’ombra è che l’uso della forza-lavoro
produce più di quanto costa, produce qualcosa di invisibile, un plusvalore. Tale
eccedenza viene appropriata dal capitalista dando luogo allo sfruttamento. In
questo modo il velo di Maya della libertà, dell’eguaglianza e della democrazia
viene lacerato, lasciando il posto a un mostro che nutrendosi di linfa
lavorativa si configura come una sorta di vampiro. Se nel primo libro delCapitale il
percorso della discesa agli inferi è connotato dal passaggio dal semplice e
superficiale al complesso e profondo, attraverso le tappe logiche della merce,
del denaro, del capitale, del plusvalore e dell’accumulazione, una volta
appurata l’esistenza del mostro dello sfruttamento, Marx nel terzo libro
intraprende il cammino contrario, ma non coincidente, della conferma. Il
filosofoè ora capace di spiegare l’origine del profitto e della crisi; può
quindi ricostruire tutta la realtà sociale mediante categorie che si fanno
sempre più empiriche e visibili, ma al tempo stesso concrete, grazie
all’avvenuta scoperta del meccanismo dello sfruttamento. Tali categorie sono
quelle del profitto e del saggio di profitto, dei prezzi, delle diverse forme
di capitale (commerciale, monetario, industriale), della rendita, dei redditi
(salari, profitti, rendite) e dei relativi percettori (lavoratori, capitalisti,
rentier).
Il Capitale descrive in questo modo una realtà
doppia: da una parte abbiamo il mondo egualitario, solare e visibile della
sfera della circolazione popolato dalle categorie del terzo libro; dall’altra
quello ctonio, invisibile e violento del primo libro, cioè la sfera della
produzione in cui si descrivono le fattezze del mostro dello sfruttamento e
dell’ineguaglianza. Da questo punto di vista, stando alla classificazione di
Tzvetan Todorov (1977), il genere del Capitaleapparterrebbe al meraviglioso,
ma essendo l’oggetto della scoperta lo sfruttamento, la meccanica del suo
occultamento e la dinamica catastrofica dello sviluppo capitalistico, possiamo
dire di trovarci all’interno di un contesto meraviglioso-orrifico, o
meglio di orrore soprannaturale – intendendo per naturale ciò
che dalla scienza economica convenzionale è comunemente accettato.
E la fase del confronto? Dov’è nel Capitale? Una
prima differenziazione rispetto al classico scontro finale risiede nella
struttura dialettica del rapporto tra lavoro salariato e capitale. Il capitale
non è un qualcosa di totalmente alieno dal lavoro salariato. È quest’ultimo a
generare il primo, anche se poi ne è dominato. Il confronto tra i due non è un
confliggere di forze estranee e indipendenti, quanto piuttosto un determinarsi
reciproco, correlativo, anche se conflittuale. Non c’è madre senza figlio. La
madre non può uccidere il figlio senza negare se stessa in quanto madre. In più
il rapporto lavoro/capitale, a differenza della mera correlazione madre/figlio,
non è un qualcosa di statico, ma di contraddittoriamente orientato dalla
tendenza all’accumulazione del capitale e dalla caduta tendenziale del saggio
di profitto. Il confronto si sviluppa dunque all’interno di tale rapporto e la
struttura del finale narrativo può essere esemplificata da una spirale di sequel in
cui l’ultima puntata può essere determinata solo astrattamente e
asintoticamente come punto in cui la produzione interamente automatizzata rende liberi,
posteconomici, tutti i beni e i servizi. È all’interno delle spirali di crisi e
ripresa di questo processo seriale che si situa il confronto storico tra il
mostro capitalistico disvelato e il suo antagonista salariato. In ogni sequel le
condizioni sociologiche del confronto cambiano con il mutare della composizione
di classe e delle conseguenti modalità di vita, di socializzazione e di lavoro
(cfr. Budra, 1998).
Il Capitale appare così una narrazione a finale
aperto, non tanto perchè sia un’opera incompiuta, ma perchè la sua struttura
logica, potentemente astratta, arriva ad affermare che c’è un mostro con il
quale occorre inevitabilmente scontrarsi senza specificare chi sarà il
vincitore, né se questo scontro sarà l’ultimo. Ma chi mai pretenderebbe ciò da
una buona opera di fantahorror?
Note
Budra,
Paul, 1998, “Recurrent Monsters: Why Freddy, Michael, and Jason Keep Coming
Back”, in Part Two: Reflections on the Sequel, University of Toronto
Press.
Carroll, Noël, 1990, The Philosophy of Horror:
Paradoxes of the Heart, Routledge.
Marx, Karl, 1981, Il Capitale, Editori Riuniti.
Todorov, Tzvetan, 1977, La letteratura fantastica,
Garzanti.
[Alcuni dei temi esposti in
questo articolo sono ripresi da "Dialettica dell’orrore. Fiction
fanta-horror e critica dell’economia politica", pubblicato in La
contraddizione, n° 92, 2002 con lo pseudonimo di A. Brillanti.]