18/6/14

Su decrescita e marxismo | La decrescita è rivoluzionaria ma i marxisti non lo sanno

Marino Badiale  |  Vi è qualcosa di paradossale nel modo in cui il variegato mondo dell'estrema sinistra più o meno marxista ha finora discusso e criticato la proposta della decrescita. Vi è infatti un consenso abbastanza diffuso, fra i marxisti, su due questioni: in primo luogo lo sviluppo storico degli ultimi due secoli ha portato ad una situazione nella quale il rapporto sociale capitalistico non implica solamente, come in passato, sfruttamento e disumanità nei rapporti sociali, ma sta ormai minacciando la distruzione degli equilibri naturali e, quindi, delle stesse condizioni fisiche di una vita umana sensata, se non di una vita umana tout court. In secondo luogo, tale rapporto sociale, nella forma attuale, ha come elemento necessario la crescita della mercificazione di ogni ambito dell'esistenza, cioè la riduzione a merce di sempre maggiori settori dell'attività produttiva umana, e quindi la correlativa crescita del consumo di merci, perché beni e servizi prodotti sempre più nella forma di merci devono ovviamente trovare degli acquirenti.

Il pensiero della decrescita parte da una analisi che ha forti assonanze con quanto appena detto, e propone come risultato di
tale analisi la riduzione della sfera dell'attività sociale organizzata secondo la logica del rapporto sociale capitalistico. Per capire questa proposta occorre naturalmente distinguere fra beni e merci: i beni (beni materiali o servizi) sono i prodotti del lavoro umano che soddisfano a qualche tipo di bisogno, le merci sono i beni prodotti per il mercato e dotati di un prezzo. La decrescita di cui si parla è quella delle merci, non dei beni. Ci si propone cioè di ridurre la sfera dell'attività umana che si esprime nella produzione di merci per il mercato. Le proposte sono di molti tipi diversi, perché è un'intera forma di organizzazione della produzione umana che deve essere ripensata.

Si va quindi da forme di autoproduzione di beni e servizi, scambiati all'interno di reti non mercantili, alla ricerca di sviluppi tecnologici che permettano la produzione di merci più durature e meno inquinanti, al risparmio energetico, alla creazione di una vasta rete di servizi pubblici gratuiti sottratti al mercato, alla riduzione dell'orario di lavoro. E si potrebbe continuare.

La caratteristica più interessante del movimento per la decrescita è probabilmente lo sforzo di articolare queste idee in proposte concrete, che incidano sulla vita quotidiana e che possano essere praticate nel presente.

Vista con gli occhi di un marxista che abbia voglia di guardare la realtà, e che condivida i due punti fondamentali enunciati all'inizio, come appare la decrescita? Appare, o dovrebbe apparire, come un insieme di proposte che contrasta con le tendenze fondamentali del capitalismo contemporaneo, e quindi come un movimento che è oggettivamente anticapitalistico, indipendentemente dalla coscienza che possono averne i suoi sostenitori. Se questa  è la situazione, una intera tradizione di politica anticapitalistica è lì ad indicare quale sia il comportamento che un marxista dovrebbe tenere nei confronti del movimento della decrescita: appoggiare il movimento, entrare in esso, cercando di svilupparne le potenzialità anticapitalistiche e criticandone dall'interno gli aspetti di ambiguità e confusione che indubbiamente sono presenti.

Per capire il senso di quanto stiamo dicendo, facciamo un esempio. La nota giornalista Naomi Klein, in un articolo tradotto in italiano dalla rivista “Internazionale” (N.Klein, Solo una rivoluzione salverà il pianeta, Internazionale 29-11/5-12  2013), nota come il mondo degli studiosi del clima si stia spostando su posizioni politiche radicali. Di fronte alle sempre maggiori evidenze relative alla gravità dei cambiamenti climatici indotti dalle attività umane, un crescente numero di studiosi sta prendendo coscienza della necessità di un impegno politico diretto e su posizioni di critica radicale all'attuale organizzazione economica.

Quale dovrebbe essere l'atteggiamento dei marxisti di fronte a questo fenomeno? La risposta mi sembra del tutto ovvia: i marxisti dovrebbero favorire questo movimento, interagire con esso, cercando di contribuire alle elaborazioni teoriche degli esperti del clima con le robuste conoscenze sulla dinamica del capitalismo che un marxismo serio è in grado di fornire. Naturalmente i marxisti dovrebbero criticare le ingenuità e le confusioni politiche e teoriche di cui possono soffrire anche i climatologi, ma dovrebbero farlo con l'intento di aiutare il movimento a portare alla luce le proprie potenzialità anticapitalistiche. Sarebbe assurdo, e denoterebbe una notevole cecità politica, che i marxisti si mettessero a fare la lezione di marxismo ai climatologi, criticandoli perché non dichiarano subito che il loro obiettivo è l'abbattimento del capitalismo. Eppure, questo atteggiamento assurdo è esattamente quello che in genere hanno i marxisti nei confronti del movimento della decrescita. Esso viene rifiutato e attaccato con un insieme di critiche che certo possono cogliere alcuni aspetti di confusione che, come s'è detto, il movimento presenta. Il punto è che in queste critiche manca completamente lo sforzo di individuare quegli aspetti di “anticapitalismo concreto” che sono il tratto più caratteristico e interessante della decrescita. Se si leggono queste critiche marxiste alla decrescita, si scopre che uno degli argomenti fondamentali (e forse quello più specificamente “marxista”) consiste nel notare che la decrescita propone una serie di mutamenti che, anche se desiderabili, non appaiono possibili all'interno della società capitalistica. La risposta a questo tipo di obiezione è molto semplice, e consiste in una sola parola italiana di sette lettere: “appunto”. Appunto perché le proposte della decrescita sono sostanzialmente impossibili da realizzare all'interno della società capitalistica, appunto per questo la decrescita è un movimento oggettivamente rivoluzionario, e appunto per questo i marxisti dovrebbero avere nei suoi confronti un approccio di adesione critica come quello sopra delineato.

Questa adesione critica dovrebbe certamente aiutare il superamento di quegli aspetti del pensiero e del movimento della decrescita che possono essere criticati. Queste critiche dovrebbero però cercare di mettere bene a fuoco l'oggetto. Il punto, a mio avviso, è che la decrescita non è una nuova teoria generale della società. L'aspetto più interessante della decrescita non è il fatto che essa proponga nuove e fondamentali intelaiature concettuali. Da questo punto di vista la decrescita non fa che raccogliere e mettere assieme una serie di elaborazioni teoriche sviluppate in vari contesti, dal pensiero ecologico a quello di Georgescu-Roegen, dal marxismo alla critica allo sviluppo. Più che una nuova teoria generale, la decrescita è a mio avviso una “teoria della fase storica attuale”, cioè una proposta teorica che, mettendo assieme contributi diversi, cerca di fornire un orientamento teorico nella fase storica attuale, e cerca di tradurre tale orientamento in proposte pratiche. Le critiche dei marxisti (e degli altri) rivolte alla decrescita dovrebbero quindi riguardare soprattutto questo aspetto, il suo essere oppure no una teoria adeguata alla fase storica attuale.

Ma, come si è detto, i marxisti in genere non hanno un tale atteggiamento di critica simpatetica nei confronti della decrescita. Restano da capire i motivi profondi di questa insofferenza. Non voglio lanciarmi in ipotesi ardite, e mi limito a rilevare alcuni fatti che mi sembrano evidenti: il mondo dell'estrema sinistra marxista appare del tutto incapace di fare politica, cioè di cogliere le potenzialità di lotta anticapitalistica, poche o tante che siano, presenti nel mondo reale, e di confrontarsi con esse, cercando di renderle attuali. Ciò che interessa a questo mondo non sembra sia il cercare di capire quale possa essere un anticapitalismo reale e concreto, ma sembra sia piuttosto la volontà di non essere svegliati dal proprio sogno di un anticapitalismo immaginario, fornito di tutte le caratteristiche previste dalla dottrina. In sostanza siamo di fronte a un mondo al quale interessa molto di più la propria autoriproduzione identitaria rispetto alla realizzazione degli ideali che vengono sbandierati.