Marino Badiale | Vi è qualcosa di paradossale nel modo in cui
il variegato mondo dell'estrema sinistra più o meno marxista ha finora discusso
e criticato la proposta della decrescita. Vi è infatti un consenso abbastanza
diffuso, fra i marxisti, su due questioni: in primo luogo lo sviluppo storico
degli ultimi due secoli ha portato ad una situazione nella quale il rapporto
sociale capitalistico non implica solamente, come in passato, sfruttamento e
disumanità nei rapporti sociali, ma sta ormai minacciando la distruzione degli
equilibri naturali e, quindi, delle stesse condizioni fisiche di una vita umana
sensata, se non di una vita umana tout court. In secondo luogo, tale rapporto
sociale, nella forma attuale, ha come elemento necessario la crescita della
mercificazione di ogni ambito dell'esistenza, cioè la riduzione a merce di
sempre maggiori settori dell'attività produttiva umana, e quindi la correlativa
crescita del consumo di merci, perché beni e servizi prodotti sempre più nella
forma di merci devono ovviamente trovare degli acquirenti.
Il pensiero della decrescita parte da una analisi che ha
forti assonanze con quanto appena detto, e propone come risultato di
tale
analisi la riduzione della sfera dell'attività sociale organizzata secondo la
logica del rapporto sociale capitalistico. Per capire questa proposta occorre
naturalmente distinguere fra beni e merci: i beni (beni materiali o servizi)
sono i prodotti del lavoro umano che soddisfano a qualche tipo di bisogno, le
merci sono i beni prodotti per il mercato e dotati di un prezzo. La decrescita
di cui si parla è quella delle merci, non dei beni. Ci si propone cioè di
ridurre la sfera dell'attività umana che si esprime nella produzione di merci
per il mercato. Le proposte sono di molti tipi diversi, perché è un'intera
forma di organizzazione della produzione umana che deve essere ripensata.
Si va quindi da forme di autoproduzione di beni e servizi,
scambiati all'interno di reti non mercantili, alla ricerca di sviluppi
tecnologici che permettano la produzione di merci più durature e meno
inquinanti, al risparmio energetico, alla creazione di una vasta rete di
servizi pubblici gratuiti sottratti al mercato, alla riduzione dell'orario di
lavoro. E si potrebbe continuare.
La caratteristica più interessante del movimento per la decrescita è probabilmente lo sforzo di articolare queste idee in proposte concrete, che incidano sulla vita quotidiana e che possano essere praticate nel presente.
Vista con gli occhi di un marxista che abbia voglia di
guardare la realtà, e che condivida i due punti fondamentali enunciati
all'inizio, come appare la decrescita? Appare, o dovrebbe apparire, come un
insieme di proposte che contrasta con le tendenze fondamentali del capitalismo
contemporaneo, e quindi come un movimento che è oggettivamente
anticapitalistico, indipendentemente dalla coscienza che possono averne i suoi
sostenitori. Se questa è la situazione, una intera tradizione di politica
anticapitalistica è lì ad indicare quale sia il comportamento che un marxista
dovrebbe tenere nei confronti del movimento della decrescita: appoggiare il
movimento, entrare in esso, cercando di svilupparne le potenzialità
anticapitalistiche e criticandone dall'interno gli aspetti di ambiguità e
confusione che indubbiamente sono presenti.
Per capire il senso di quanto stiamo dicendo, facciamo un esempio. La nota giornalista Naomi Klein, in un articolo tradotto in italiano dalla rivista “Internazionale” (N.Klein, Solo una rivoluzione salverà il pianeta, Internazionale 29-11/5-12 2013), nota come il mondo degli studiosi del clima si stia spostando su posizioni politiche radicali. Di fronte alle sempre maggiori evidenze relative alla gravità dei cambiamenti climatici indotti dalle attività umane, un crescente numero di studiosi sta prendendo coscienza della necessità di un impegno politico diretto e su posizioni di critica radicale all'attuale organizzazione economica.
Quale dovrebbe essere l'atteggiamento dei marxisti di fronte
a questo fenomeno? La risposta mi sembra del tutto ovvia: i marxisti dovrebbero
favorire questo movimento, interagire con esso, cercando di contribuire alle
elaborazioni teoriche degli esperti del clima con le robuste conoscenze sulla
dinamica del capitalismo che un marxismo serio è in grado di fornire.
Naturalmente i marxisti dovrebbero criticare le ingenuità e le confusioni
politiche e teoriche di cui possono soffrire anche i climatologi, ma dovrebbero
farlo con l'intento di aiutare il movimento a portare alla luce le proprie
potenzialità anticapitalistiche. Sarebbe assurdo, e denoterebbe una notevole
cecità politica, che i marxisti si mettessero a fare la lezione di marxismo ai
climatologi, criticandoli perché non dichiarano subito che il loro obiettivo è
l'abbattimento del capitalismo. Eppure, questo atteggiamento assurdo è
esattamente quello che in genere hanno i marxisti nei confronti del movimento
della decrescita. Esso viene rifiutato e attaccato con un insieme di critiche
che certo possono cogliere alcuni aspetti di confusione che, come s'è detto, il
movimento presenta. Il punto è che in queste critiche manca completamente lo
sforzo di individuare quegli aspetti di “anticapitalismo concreto” che sono il
tratto più caratteristico e interessante della decrescita. Se si leggono queste
critiche marxiste alla decrescita, si scopre che uno degli argomenti
fondamentali (e forse quello più specificamente “marxista”) consiste nel notare
che la decrescita propone una serie di mutamenti che, anche se desiderabili,
non appaiono possibili all'interno della società capitalistica. La risposta a
questo tipo di obiezione è molto semplice, e consiste in una sola parola
italiana di sette lettere: “appunto”. Appunto perché le proposte della
decrescita sono sostanzialmente impossibili da realizzare all'interno della
società capitalistica, appunto per questo la decrescita è un movimento
oggettivamente rivoluzionario, e appunto per questo i marxisti dovrebbero avere
nei suoi confronti un approccio di adesione critica come quello sopra
delineato.
Questa adesione critica dovrebbe certamente aiutare il superamento di quegli aspetti del pensiero e del movimento della decrescita che possono essere criticati. Queste critiche dovrebbero però cercare di mettere bene a fuoco l'oggetto. Il punto, a mio avviso, è che la decrescita non è una nuova teoria generale della società. L'aspetto più interessante della decrescita non è il fatto che essa proponga nuove e fondamentali intelaiature concettuali. Da questo punto di vista la decrescita non fa che raccogliere e mettere assieme una serie di elaborazioni teoriche sviluppate in vari contesti, dal pensiero ecologico a quello di Georgescu-Roegen, dal marxismo alla critica allo sviluppo. Più che una nuova teoria generale, la decrescita è a mio avviso una “teoria della fase storica attuale”, cioè una proposta teorica che, mettendo assieme contributi diversi, cerca di fornire un orientamento teorico nella fase storica attuale, e cerca di tradurre tale orientamento in proposte pratiche. Le critiche dei marxisti (e degli altri) rivolte alla decrescita dovrebbero quindi riguardare soprattutto questo aspetto, il suo essere oppure no una teoria adeguata alla fase storica attuale.
Ma, come si è detto, i marxisti in genere non hanno un tale
atteggiamento di critica simpatetica nei confronti della decrescita. Restano da
capire i motivi profondi di questa insofferenza. Non voglio lanciarmi in
ipotesi ardite, e mi limito a rilevare alcuni fatti che mi sembrano evidenti:
il mondo dell'estrema sinistra marxista appare del tutto incapace di fare
politica, cioè di cogliere le potenzialità di lotta anticapitalistica, poche o
tante che siano, presenti nel mondo reale, e di confrontarsi con esse, cercando
di renderle attuali. Ciò che interessa a questo mondo non sembra sia il cercare
di capire quale possa essere un anticapitalismo reale e concreto, ma sembra sia
piuttosto la volontà di non essere svegliati dal proprio sogno di un
anticapitalismo immaginario, fornito di tutte le caratteristiche previste dalla
dottrina. In sostanza siamo di fronte a un mondo al quale interessa molto di
più la propria autoriproduzione identitaria rispetto alla realizzazione degli
ideali che vengono sbandierati.