Tonino Bucci | «Io cito Marx senza dirlo, senza mettere le
virgolette, e poiché la gente non è capace di riconoscere i testi di Marx,
passo per essere colui che non lo cita. Un fisico, quando lavora in fisica,
prova forse il bisogno di citare Newton o Einstein? Li usa, ma non ha bisogno
di virgolette, di note a pie' di pagina o di un'approvazione elogiativa che
provi fino a che punto è fedele al pensiero del Maestro». Queste poche
righe portano la firma di Michel Foucault e sono riprodotte in una delle opere
che più ha contribuito a far conoscere in Italia gli aspetti militanti del suo
pensiero. Parliamo di Microfisica del potere , sottotitolo Interventi politici
, più che un'opera sistematica, una raccolta di testi, brevi scritti, dibattiti
e interviste, uscita non a caso qui da noi nel 1977. Anno cruciale, durante il
quale si registra nel campo della sinistra (soprattutto in Italia e in Francia)
il massimo di rottura tra movimento operaio e partiti comunisti, da un lato, e
i movimenti studenteschi dall'altro. Movimenti che dall'interno
delle università cominciano a guardare a nuovi soggetti al di fuori di quelle che vengono definite strutture burocratiche e di potere, dai sindacati ai partiti. Da qui si spiega l'attenzione del Settantasette verso i non garantiti e il proletariato metropolitano, verso gli esclusi e il sottoproletariato, verso i malati mentali e verso un'intera costellazione di soggetti che per la prima volta cade al fuori della "classe operaia".
delle università cominciano a guardare a nuovi soggetti al di fuori di quelle che vengono definite strutture burocratiche e di potere, dai sindacati ai partiti. Da qui si spiega l'attenzione del Settantasette verso i non garantiti e il proletariato metropolitano, verso gli esclusi e il sottoproletariato, verso i malati mentali e verso un'intera costellazione di soggetti che per la prima volta cade al fuori della "classe operaia".
Di questi soggetti si mette in evidenza non un'azione di
resistenza al potere riconducibile, in qualche modo, a una strategia politica
complessiva. I nuovi soggetti "desideranti" del '77 sono semmai
protagonisti di pratiche quotidiane di resistenza. E' la disseminazione,
l'assenza di gerearchie interne - il carattere "rizomatico" diranno
Deleuze e Guattari - a distinguere le azioni contro il potere. E non a caso, è
questo il periodo di massima fortuna politica di Foucault, artefice di una
teoria del potere come qualcosa di capillare e diffuso nella trama dei rapporti
sociali, dalla fabbrica al carcere, dalla scuola all'ospedale psichiatrico.
Forse per questo il rapporto teorico di Foucault con Marx (e
il marxismo, che però è altra cosa) diventa una questione sensibile, lo
specchio cioè in cui si riflette lo scontro tra partiti e movimento che non si
risparmiano scomuniche reciproche - da una parte l'accusa di radicalismo
piccolo-borghese e individualismo anarchico, dall'altra quella di burocratismo
e difesa corporativa dell'aristocrazia operaia. Sennonché il clima rovente di
quello scontro politico è forse all'origine della vulgata di un Foucault senza
Marx o, addirittura, contro Marx, e proprio per questo "organico" al
Settantasette. L'impressione che invece si ricava dalla lettura di una raccolta
di saggi pubblicata di recente, Foucault-Marx (a cura di Rudy M.
Leonelli, Bulzoni Editore, pp. 152, euro 13) è ben diversa. A cominciare
dall'intervista a Balibar che mette in guardia da un dibattito «che mi sembra
riduttivo», non solo rispetto alla complessità di due pensatori come Marx e
Foucault, ma anche «per quelli che ancora oggi - e bisognerebbe interrogarsi
sulla ragione per cui ne hanno talmente bisogno - continuano a battere il
chiodo, spiegando come, con Foucault, sarebbe stato definitivamente trovato
l'antidoto al marxismo». Non regge, ad esempio, la vulgata di un Marx
collettivista contro un Foucault più attento, invece, al micropolitico e alla
costituzione del soggetto individuale. Anche perché la critica di Marx
all'individualismo - ancora parole di Balibar - è essenzialmente «la
critica delle forme borghesi dell'individualismo», cioè dell'astrazione
giuridica dell'individuo proprietario che è alla base della società del
mercato. «Considerare il comunismo non come l'annientamento dell'individuo
nella massa, ma come l'emergenza di possibilità di individualizzazione
schiacciate dalla società borghese, è un aspetto molto profondo del pensiero di
Marx».
Anche se si guarda alla nozione centrale, che dovrebbe
registrare la massima distanza tra Foucault e Marx, ossia l'idea di potere , la
presunta incompatibilità tra i due pensieri comincia a vacillare. Anzi, proprio
i testi foucaultiani sul potere potrebbero insegnare a leggere correttamente
Marx. Per entrambi i filosofi, infatti, il potere è una funzione che si
esercita all'interno della società come sistema . Foucault non intende sbarazzarsi
di Marx - come scrivono Alberto Burgio e Guglielmo Forni Rosa nei rispettivi
interventi - ma del marxismo quando diventa una scienza legata a un sistema di
potere, indifferentemente che si tratti delle università, di un partito o di
uno Stato (per averne un'idea basta leggere il contributo di Manlio Iofrida sul
marxismo francese degli anni 50). L'idea del potere che ha in mente Foucault
come un meccanismo che produce i soggetti coinvolti, quindi come «relazione»,
come «rapporto di direzione che suppone anche il consenso del destinatario del
flusso di potere» (Burgio) è tutt'altro che assente in Marx. E', in breve,
colpa di una lettura economicistica se si è affermata la vulgata di un Marx che
si disinteressa della politica e del potere che si esercita al di fuori della
fabbrica, nel grande campo dell'ideologia. Da questo punto di vista la funzione
di potere come immaginata da Foucault assomiglia alla funzione intellettuale di
Gramsci, pervasiva non solo sul terreno della cultura e della comunicazione di
massa, «ma anche in tutti gli snodi del rapporto sociale, a cominciare dal
processo di produzione e dall'epifania della merce». Questo non significa far
scomparire gli scarti che in Foucault si producono rispetto a Marx, ad esempio
quando nega che nel flusso di potere ci sia una direzione verticale dall'alto
verso il basso, dalla classe dominata ai dominati. Il potere foucaultiano resta
un sistema orizzontale che distribuisce in modo equo e imparziale i prori
effetti. Forse la tesi meno adeguata a spiegare il reale funzionamento del
meccanismo capitalistico che dispensa costi e benefici in modi tutt'altro che
simmetrici.